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Anno I - N° 2 - Maggio 2001

L'articolo del maestro




Sull’adolescenza *

Jeanne Lampl-de Groot




L’adolescenza è spesso considerata nella psicoanalisi come una “figliastra”, sia in senso teorico che in senso pratico. Molti analisti ritengono che il trattamento di ragazzi e ragazze adolescenti sia molto difficile, a volte perfino impossibile, sebbene in alcuni casi si siano ottenuti buoni risultati, soprattutto con le inibizioni, gli stati depressivi e le nevrosi compulsive.
Molti autori sottolineano il fatto che la nostra conoscenza teorica dell’adolescenza è incompleta. Non riesaminerò qui in dettaglio la letteratura, ma farò riferimento alle disamine di Leo Spiegel (1951) e Anna Freud (1958) sull’argomento.
Al di là dei molti problemi dell’adolescenza, il mio lavoro si concentrerà su due punti: 1) l’esperienza pratica, e 2) alcune considerazioni teoriche, relative in particolare alla formazione del Super- io e dell’ideale dell’Io.


I

Anna Freud (1958) ci ha ricordato che “la nostra conoscenza dei processi mentali dell’infanzia deriva dalle ricostruzioni nelle analisi degli adulti ed è stata semplicemente confermata ed ampliata più tardi, grazie alle analisi e alle osservazioni effettuate nell’infanzia”. E’ opinione di Anna Freud che nel trattamento degli adulti si ottenga raramente la piena reviviscenza delle esperienze adolescenziali. Penso che la maggior parte degli autori concorderà con me su questa affermazione.
Parecchi anni fa vennero da me per un trattamento analitico due pazienti adulti, un uomo e una donna, entrambi sulla trentina. Nelle loro analisi emersero in primo piano, con notevole vivezza e accompagnati da forti emozioni ed impulsi, una gran quantità di esperienze adolescenziali, eventi reali, fantasie e pulsioni. Mi preme aggiungere che questo ri-sperimentare emerse soltanto nelle fasi più avanzate delle analisi. All’inizio del trattamento il materiale relativo all’adolescenza era presentato soltanto come semplice resoconto della storia della vita del paziente, nel modo descritto da Anna Freud. Il punto più significativo è che la reviviscenza degli affetti collegati con questo materiale non si rese possibile fino a quando l’infanzia del paziente non fu svelata e ricostruita. Nel confrontarmi con queste osservazioni, mi è tornato alla mente un assunto che Freud mi prospettò circa trent’anni fa. Freud mi parlò di una giovane donna che aveva collaborato bene nella propria analisi ed il cui sviluppo infantile era stato accuratamente ricostruito, senza tuttavia alcun successo terapeutico. La maggior parte dei sintomi della paziente era perdurato finché, improvvisamente e vividamente, ella aveva ricollegato un’esperienza traumatica accaduta nel suo quindicesimo anno di vita. Dopo che questa situazione traumatica e tutte le emozioni connesse furono elaborate, la paziente guarì.
Le mie personali osservazioni mi hanno portato a riesaminare numerosi altri casi, ricavandone l’impressione che in alcuni di essi il fallimento o il successo solo parziale potesse essere imputabile alla mancata reviviscenza delle esperienze adolescenziali. Devo quindi, ovviamente, chiedermi quali cause possano essere state responsabili del fatto che in questi casi lo sviluppo infantile avesse potuto essere ricostruito senza difficoltà e ri-sperimentato in pieno emozionalmente, mentre il periodo dell’adolescenza era rimasto privo di una sentita partecipazione affettiva.
Attraverso lo studio diretto di casi di adolescenti, tutti noi ci siamo abituati all’atmosfera carica di tensione in cui l’adolescente vive, con l’intensità e la profondità dei sentimenti, gli improvvisi ed imprevedibili sbalzi d’umore, la forza delle pulsioni, la portata dell’ansia e dello sconforto. Siamo, però, davvero autorizzati ad affermare che nei bambini piccoli i sentimenti, le pulsioni, le richieste, gli imprevedibili viraggi dall’assoluta contentezza alla più profonda pena e disperazione, siano meno intensi degli analoghi fenomeni dell’adolescenza?
Effettivamente c'è differenza tra le richieste delle pulsioni istintuali nell’infanzia e nell’adolescenza, perché la sessualità infantile è diversa dalla genitalità, che deve diventare il fattore dominante nella vita amorosa dell’adolescente e dell’adulto.
Ho l’impressione, comunque, che non si tratti soltanto dell’ intensità dei sentimenti, delle pulsioni o dei viraggi dell’umore, ma che altri fattori siano maggiormente responsabili delle difficoltà a rivivere i processi mentali dell’adolescenza. Questi fattori sembrano essere l’evoluzione dell’Io e del Super-io.
L’Io del bambino piccolo, poco evoluto com’è, deve appoggiarsi sull’Io ausiliario preso a prestito dalla madre per poter padroneggiare i conflitti esterni ed interni. Il Super-io nell’infanzia non si è ancora consolidato come istanza mentale autonoma. Regole e limiti sono imposte al bambino dai genitori. Una strutturazione della personalità ha luogo solo nella fase edipica. Nel periodo di latenza il bambino sviluppa, in misura maggiore o minore, una personalità individuale, sebbene ancora dipendente dai genitori. Una grossa quota di capacità dell’Io si stabilisce e matura in questo periodo. Nella sfera relativamente libera da conflitti si sviluppano l’intelligenza, la conoscenza, particolari talenti e abilità, mentre nella sfera conflittuale diventano gradualmente tratti caratteriali l’adattamento, le formazioni reattive e i meccanismi di difesa. Il Super-io, come istanza interna, sorveglia in larga misura il comportamento del bambino in latenza.
Questo breve profilo dello sviluppo infantile è molto schematico e incompleto, ma è sufficiente ad introdurre le nostre considerazioni sull’adolescenza.
Quando, in pubertà, le pulsioni istintuali pongono nuove e più intense richieste al ragazzo, incontrano una personalità differente da quella dell’infanzia. L’Io dell’adolescente ha molte più vie e mezzi per venire a patti con gli istinti; in un certo senso, possiamo chiamarlo un Io più forte. D’altra parte, però, esso è carente del supporto dell’Io ausiliario genitoriale, perché l’adolescente si sta allontanando da loro. Lo scioglimento dei legami con i genitori è un processo difficile e prolungato, spesso accompagnato da un vero lutto, come Root (1957) e Anna Freud(1958) hanno sottolineato. Da questo punto di vista l’Io dell’adolescente si presenta molto più debole dell’Io del bambino. Un processo simile è in atto nel Super-io. Da un lato il Super-io dell’adolescente si è adesso installato come coscienza interna, dall’altro è scosso nelle sue fondamenta proprio dal processo di distanziamento dai genitori e dalle regole e norme morali genitoriali. L’adolescente deve far conto sul proprio personale Super-io. L’adulto, nel guardare indietro alla propria storia, si sente più responsabile per i propri comportamenti adolescenziali che per quelli dell’infanzia; prova un maggiore senso di colpa e vergogna per i propri conflitti adolescenziali, le disarmonie, le goffaggini. Nel ricordare gli avvenimenti dell’adolescenza, tenta di sfuggire alla reviviscenza della colpa connessa e delle emozioni cariche di vergogna, sia sopprimendo o negando ogni emozione di quel periodo, sia regredendo alle esperienze infantili.
Questo è esattamente quanto spesso osserviamo nel trattamento analitico. Il paziente continua a portarci una gran quantità di materiale infantile in varie forme e diverse associazioni, anche quando la storia infantile è stata completamente ricostruita e rivissuta. Si aggrappa tenacemente al materiale infantile; ma quando esaminiamo più attentamente questo materiale ci accorgiamo che in questo quadro sono contenute caratteristiche adolescenziali. Il paziente ha usato il materiale infantile per difendersi dalle esperienze adolescenziali. L’analista deve perciò analizzare il carattere difensivo e l’angoscia sottostante a tale materiale, confrontando il paziente con il suo sentimento adolescenziale di colpa, vergogna, orgoglio ferito, ecc. In molti casi il risultato sarà una vera reviviscenza della adolescenza in tutta la sua intensità.
Nella difficile realizzazione di questo compito ci confrontiamo con difficoltà che non sono dovute esclusivamente alla riluttanza del paziente ad affrontare i propri problemi adolescenziali, il proprio comportamento disarmonico, le emozioni esagerate o le proprie stranezze. Dobbiamo anche fare i conti con le reazioni dell’analista. L’analista è preparato a confrontarsi con gli acting out del paziente nel transfert. Quando il paziente trasferisce in forma infantile sull’analista gli impulsi del proprio periodo infantile, è molto più facile mantenere una comprensione benevola e neutrale. L’adolescente ha utilizzato tutta la sua intelligenza, le sue capacità e talenti speciali per tenere a bada i propri impulsi intollerabili, le proprie disillusioni e conflitti. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda la sua ostilità verso i genitori e gli adulti in genere. Perciò, incoraggiando un paziente adulto a rivivere la sua esperienza adolescenziale, l’analista deve confrontarsi con una forma raffinata dell’ aggressività del paziente.
Si può sorridere della manifestazione comportamentale aggressiva di un bambino, ma l’aggressività di un adolescente è espressa in modo molto più irritante, tormentoso e a volte quasi intollerabile. Può accadere che l’analista, che è anch’egli un essere umano, sia (inconsciamente) incline a seguire il paziente nella sua fuga verso l’infanzia, allo scopo di evitare il sottile giudizio critico del paziente, i suoi rimproveri e le sue richieste ostili. In ogni adulto permangono non solo tratti infantili, ma anche adolescenziali, e ciò è particolarmente vero per i nostri pazienti. Essi tendono a giustificarsi per le accuse e gli attacchi tormentosi dando per scontato che l’analista sia onnipotente e perciò invulnerabile. L’interscambio tra l’angoscia del paziente nel rivivere le emozioni e i conflitti adolescenziali, e la riluttanza dell’analista a sopportare le manifestazioni di aggressività dell’adolescente, può essere una delle cause della difficoltà che incontriamo nell’analizzare ed elaborare l’adolescenza di un paziente adulto.


II

Passo ora al secondo punto: alcune considerazioni teoriche che spero contribuiranno alla nostra comprensione sia delle difficoltà pratiche sopra menzionate, sia della vita psichica dell’adolescente in generale. In questa presentazione posso solo far luce su alcuni pochi punti. Le mie affermazioni si basano in parte sul materiale raccolto nel trattamento di adolescenti, ma soprattutto sulla ricostruzione di esperienze adolescenziali nel trattamento di adulti.
L’Io di un ragazzo può reagire in una infinita varietà di modi al riemergere delle pulsioni istintuali e alle nuove richieste sociali, che sono tanto diverse da quelle poste ad un bambino. L’adolescente ha da un lato un ardente desiderio di crescere, perché abitualmente s'immagina l’adulto come libero, indipendente e autosufficiente, e si sforza di usare tutte le sue capacità per uguagliarlo o magari superarlo. D’altro canto, comunque, vuole restare bambino, per non dover abbandonare i suoi legami infantili con gli oggetti genitoriali. Sappiamo bene che compito difficile è questo. La perdita di una persona cara o perfino la rinuncia all’amore di un oggetto che è ancora in vita, è seguita da una certa quota di “lavoro di lutto” (“Trauerarbeit”). Che il risultato del processo di lutto sia relativamente normale o patologico, dipende da una gran quantità di fattori, tra i quali la quota di aggressività originariamente diretta verso i genitori. Sappiamo che il bambino ritiene i genitori responsabili delle sue tensioni e perdite, e che risponde ad ogni tipo di sofferenza con odio e desideri di morte diretti ai genitori. Quando in pubertà le relazioni d’oggetto dell’infanzia sono rivissute, l’adolescente comincia a reagire in modo analogo. Quanto più intensa era l’ostilità arcaica, tante più difficoltà incontrerà nel venire a patti con i suoi desideri di morte. I processi di lutto si colorano di un’aggressività autodiretta; ne può derivare un disturbo nevrotico depressivo, una reazione psicotica, acting out o condotte antisociali, oppure una combinazione di questi vari disturbi. Molti autori hanno descritto svariate evoluzioni in lavori clinici e teorici.

Vorrei ora trattare un altro problema dell’adolescenza, che è molto diverso dai processi dell’infanzia e tuttavia strettamente dipendente da essi. Mi riferisco alle problematiche del Super-io. Ho già accennato al fatto che in adolescenza il Super-io è diventato un’istanza interna, mentre nella prima infanzia il comportamento era guidato dalle richieste, dalle proibizioni e dalla morale dei genitori. Il bambino collabora con loro soprattutto allo scopo di evitare di perdere il loro amore o di essere punito. Solo gradatamente egli internalizza le regole genitoriali, che poi diventano contenuti del Super-io. In adolescenza egli deve abbandonare i vecchi legami incestuosi con i genitori, un processo che equivale in parte a perdere l’oggetto d’amore. Ma, in aggiunta, egli deve anche abbandonare una parte fondamentale del contenuto del suo Super-io, quella parte di limitazioni, norme e ideali che, sebbene internalizzate, sono strettamente connesse all’oggetto incestuoso. Ma proprio il fatto che questi contenuti del Super-io sono internalizzati, implica che l’adolescente deve abbandonare qualcosa che è sostanzialmente una parte del suo Sé. Distogliersi da un oggetto d’amore è un processo duro e penoso; svincolarsi da una parte della propria personalità è ancora più arduo.
Al fine di esaminare più dettagliatamente questi eventi, propongo ancora una volta di distinguere tra Super-io in senso più ristretto, come istanza che limita e proibisce, e Ideale dell’io, che comprende norme, valori etici e ideali. Ho proposto questa distinzione in precedenti lavori e mi è sembrata utile. Il conformarsi alle limitazioni e proibizioni genitoriali richiede la rinuncia al piacere immediato, ma è ricompensato dall’amore e dall’approvazione da parte dei genitori. La formazione di ideali ha una funzione aggiuntiva ed ha cominciato a formarsi molto tempo prima che le limitazioni genitoriali diventassero richieste interne. Il bambino idealizza i genitori e li concepisce come perfetti e onnipotenti. Si aggrappa tenacemente a quest’idea perché si sente estremamente impotente. L’introiezione di immagini parentali onnipotenti e infallibili è una compensazione dei sentimenti di impotenza; comincia nella primissima infanzia ed è la soddisfazione narcisistica per eccellenza. Queste immagini introiettate danno origine a fantasie di grandiosità e onnipotenza, che nella fase magica dello sviluppo sono tra gli elementi fondanti l’autostima e l'autoconservazione del bambino. E’ ben noto che parte dei sentimenti di grandiosità persistono, sebbene inconsci, per tutta la vita.
L’adolescente non soltanto deve sopportare il dolore di perdere gli oggetti d’amore, fronteggiare il lutto relativo, e rivedere i vecchi modelli di restrizioni e limiti. In aggiunta a questi ardui compiti, egli deve resistere alle ferite narcisistiche causate dal fatto che la sua autostima è scossa nelle fondamenta e quindi pressoché perduta. Sappiamo bene che una certa quota di investimento narcisistico della personalità è indispensabile per uno sviluppo sano. Quando le basi della formazione dell’ideale sono andate in pezzi, il ragazzo è completamente indifeso. Mi preme aggiungere che anche la perdita dell’amore è naturalmente sentita in parte come ferita narcisistica e che il trovare un nuovo oggetto d’amore accresce l’autostima. Tuttavia sembra che ci sia una considerevole differenza quando una parte essenziale dell’Io (Ideale dell’io) è danneggiata o perduta e deve essere ricostruita daccapo. L’adolescente trova con relativa facilità nuovi oggetti d’amore negli insegnanti, nei leaders, nei compagni, ecc. E’ più difficile (almeno nella nostra cultura) acquisire nuovi ideali che compensino l’impotenza essenziale dell’essere umano. Il giovane sa bene, e lo sente, che gli adulti non sono onnipotenti, ma creature vulnerabili. Ne troviamo conferma studiando quegli adolescenti che non rispondono all’offerta amore e di guida da parte di nuovi oggetti (parenti, insegnanti, terapeuti, compagni, ecc.). Questi ragazzi non riescono a superare la profondità delle loro ferite narcisistiche interne e perciò sono indifferenti ai rifornimenti di amore che provengono dal mondo esterno. E’ probabile che buona parte delle strane reazioni, delle condotte inaspettate e degli imprevedibili viraggi dell’umore siano dovuti a questo disturbo di base della libido narcisistica e al fallimento dell’Io nel ripararlo. Inoltre, sono proprio le ferite narcisistiche le più inclini a dare origine ad aggressività, che a sua volta riduce la risposta all’assistenza affettuosa degli altri o all’offerta di nuovi ideali e norme.
Nel transfert durante il trattamento possiamo osservare che l’ostilità profonda e raffinata del paziente, la sua critica severa dell’analista, il recriminare che l’analista è incapace e buono a nulla, vanno di pari passo con la convinzione inconscia e arcaica dell’onnipotenza dell’analista. L’immagine ideale di genitori e analista onnipotenti non solo è indispensabile al mantenimento dell’investimento narcisistico del ragazzo, ma in via secondaria è usata per attenuare i sensi di colpa sollevati proprio da questo stesso comportamento ostile e aggressivo. E’ come se il ragazzo si dicesse: “Genitori e analista sono onnipotenti, perciò sono invulnerabili; quindi posso attaccarli, torturarli e agire ogni aggressività senza dovermi sentire colpevole o dovermi rimproverare.”
Sarebbe allettante poter illustrare questi assunti con materiale clinico dettagliato, ma in questo lavoro mi ero proposta soltanto di sottolineare l’importanza dei problemi relativi all’Ideale dell’io in adolescenza. L’aggrapparsi degli adolescenti alle immagini parentali più arcaiche e idealizzate rende loro difficile fare i conti con le ferite narcisistiche causate dalla necessità di dover abbandonare queste immagini e di trovare nuovi ideali in forme più adattate alla realtà. Per di più, essi hanno bisogno di mantenere questo quadro idealizzato, in quanto necessario anche come difesa dalla colpa e dalla vergogna generate dall’intensa ostilità.
Visto che molti analisti concordano sul fatto che spesso i pazienti adolescenti non sono adatti per un trattamento analitico, nel nostro sforzo di capire la psicologia dell’adolescente dobbiamo principalmente contare sulle osservazioni e ricostruzioni dell’adolescenza nei casi di pazienti adulti. Ma perfino queste ricostruzioni, come è stato sottolineato, sono estremamente difficili da ottenere. Ho tentato in questo lavoro di investigare alcuni degli ostacoli a tali ricostruzioni, e di indicare alcuni mezzi per superarli.
Ritengo che in molti casi potremmo avere successo nel far rivivere l’adolescenza, se facessimo lo sforzo di superare le nostre stesse resistenze verso le forme adolescenziali dell’aggressività del paziente, se focalizzassimo la nostra attenzione e quella del paziente sui suoi ideali e fantasie nascoste di onnipotenza attribuita ai genitori e poi internalizzata, e se sostenessimo il paziente nel sopportare le ferite narcisistiche e nell’abbandonare il carattere difensivo del suo ideale arcaico. Credo che questo sforzo valga la pena.


BIBLIOGRAFIA

Freud A. (1958), Adolescence. Psychoanalytic Study of the Child,1958, XIII:255-278
Root N.N. (1957), A Neurosis in Adolescence. Psychoanalytic Study of the Child,1957, XII:320-334.
Spiegel L.A. (1951), A Review of Contributions to a Psychoanalytic Theory of Adolescence: Individual Aspects. Psychoanalytic Study of the Child, 1951, VI: 375-395.



* Tradotto da : On Adolescence. Psychoanalytic Study of the Child, 1960, XV: 95-103, che qui si ringrazia. Traduzione di Eleda Spano





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