PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ALTRE ASSOCIAZIONI
A.R.I.R.I --> HOME PAGE ITALIANA

A.R.I.R.I.




Paolo Migone

Psicoanalisi e psicoterapia: identità e differenze




Relazione tenuta al Corso di Aggiornamento ARIRI "Aggiornamenti in Psicoterapia Psicoanalitica" a Bari il 6 settembre 2003


In questo breve scritto mi propongo di riassumere alcuni passaggi del mio seminario tenuto a Bari il 6 settembre 2003 sulle identità e differenze tra psicoanalisi e psicoterapia. Non potendo in questa sede esporre la trattazione dettagliata di questo argomento, rimando ad altri lavori per un maggiore approfondimento (vedi in particolare Migone, 1991, 1992, 1995b, 1995c, 1998, 2000, 2001).
Per cercare di dare una risposta coerente all'annoso problema della differenza tra psicoanalisi e psicoterapia (problema mai risolto chiaramente - si vedano ad esempio i vani tentativi di un Wallerstein, 1969, 1989) è indispensabile partire da una prospettiva storica e sociologica, oltre che teorica. La pratica della cosiddetta "psicoterapia psicoanalitica" si è diffusa negli Stati Uniti attorno agli anni 1950 parallelamente allo widening scope della psicoanalisi (Stone, 1950): in quegli anni, come naturale conseguenza della enorme diffusione della psicoanalisi in quel paese, sempre più analisti si trovarono a trattare casi difficili, ed era sorta la necessità di modificare il setting analitico classico per venire incontro ai bisogni dei pazienti che non riuscivano a tollerarlo. Ma va ricordato che proprio in quegli anni, non a caso, si era nel periodo di massimo fulgore della Psicologia dell‰Io (Hartmann, 1937, 1964; Hartmann, Kris & Lowenstein, 1964; Blanck & Blanck, 1974) secondo la quale assumeva importanza, sia a livello teorico che tecnico, il ruolo dell'Io, cioè delle difese del paziente (A. Freud, 1936). Si può dire che il passaggio da una precedente "Psicologia dell'Es" alla Psicologia dell'Io significava innanzitutto prestare una massima attenzione alle difese, rispettarle, e in generale trasformare la tecnica psicoanalitica da una pratica meramente interpretativa ad una "analisi delle difese" (dalla superficie al profondo, e così via). Si può dire che per precisi motivi teorici e clinici la naturale sovrapposizione di psicoanalisi e psicoterapia, e quindi la mancata fondatezza di un tentativo di differenziarle su basi solamente teoriche (i "criteri intrinseci" di cui parlerà Gill nel 1984), era già posta e risolta allora; i successivi tentativi di differenziare queste due tecniche, quando non erano basati su fraintendimenti ed teorizzazioni incoerenti, rispondevano prettamente ad esigenze politiche e di mercato (preservare la identità del marchio "psicoanalisi"), oppure si arenavano in tautologie (del tipo: la psicoterapia si fa in un modo e la psicoanalisi in una altro - ovviamente a livello di criteri "estrinseci" o esterni, cioè frequenza settimanale, lettino ecc.). Infatti, secondo la prospettiva della Psicologia dell'Io, la variabile indipendente non era più la tecnica che andava applicata ai pazienti, anche di diverse diagnosi, ma il paziente, il suo Io, cioè il suo stato difensivo, il suo livello di sviluppo (o diagnosi), insomma i suoi specifici bisogni: da questi bisogni dipendeva la tecnica, che appunto diveniva la variabile "dipendente" (non a caso, secondo la prospettiva kleiniana, che era opposta a quella della Psicologia dell'Io, veniva teorizzato un identico approccio tecnico, quello interpretativo classico, anche ai casi clinici più gravi come gli psicotici). Per far comprendere meglio questa problematica, si può dire che uno "psicoanalista" che con un determinato paziente si rifiutasse di fare lo "psicoterapeuta" (intendendo con questa accezione tra virgolette la modificazione del setting a seconda dello stato dell'Io del paziente, cioè dei suoi bisogni) risulterebbe essere solo un "cattivo psicoanalista", cioè tradirebbe la sua stessa teoria (la Psicologia psicoanalitica dell'Io), non essendovi alternative. Per un approfondimento, rimando a un dibattito suscitato da un articolo di Kernberg del 1999 sull'International Journal of Psychoanalysis, in cui intervenni criticamente anch'io (questo dibattito è riassunto da Galatariotou nel n. 2/2000 dell'International Journal, ed è scaricabile da Internet: vedi Galatariotou, 2000). Per rendere meglio l'idea di quello che voglio dire, e per brevità, riporto qui un mio brano (tra i tanti che potrei citare) di quel dibattito sulle posizioni di Kernberg in cui ponevo delle domande precise (vedi Migone, 2001): "Perché uno psicoterapeuta supportivo 'orientato psicoanaliticamente' non dovrebbe analizzare il transfert e il controtransfert? Se questo terapeuta, dato che conosce la teoria psicoanalitica, è consapevole dell'esistenza del transfert e del controtransfert, e se crede che la loro analisi sia utile, perché dovrebbe deprivare il paziente di questa opportunità? Quale è il razionale di questa tecnica? D'altro lato, se uno psicoanalista crede che con un certo paziente in un dato momento una analisi del transfert o del controtransfert possa essere dannosa o inutile, perché dovrebbe farla? Se non la fa, diventa improvvisamente uno psicoterapeuta? E se la fa, e quindi danneggia il paziente, che tipo di tecnica psicoanalitica sta usando?". Kernberg non rispose direttamente a queste domande.
A proposito della differenza tra psicoanalisi e psicoterapia è fondamentale presentare il contributo di Eissler del 1953, che appunto sistematizzò in modo logico e coerente, dal punto di vista classico, i motivi per cui poteva essere modificata la tecnica psicoanalitica classica affinché potesse essere ancora definita "psicoanalitica" e non "psicoterapeutica". Vediamo brevemente il contributo di Eissler, che conserva tuttora la sua validità nonostante possano essere modificate le premesse (e questo grazie anche a Gill) secondo le quali solo un determinato setting (quello classico) poteva caratterizzare la psicoanalisi.

Il contributo di Eissler (1953) sul "parametro di tecnica"
Eissler nel 1953 teorizzò, a scopo euristico, un "modello di tecnica di base" (basic model technique): questo è un modello ideale, difficilmente attuabile in pratica, in cui si suppone che l'analista lavori con un paziente che abbia un Io intatto, e in cui i suoi interventi si limitino solamente all'interpretazione verbale, senza che le regole di base del setting vengano modificate. In questo caso l'Io del paziente è talmente forte che riesce a tollerare ed elaborare i significati trasmessi dalle interpretazioni (le quali sole, va ricordato, erano ritenute lo strumento terapeutico par excellence della psicoanalisi "ortodossa"). Eissler coniò il termine "parametro di tecnica" per indicare una modificazione della tecnica resa necessaria dalle condizioni deficitarie dell'Io del paziente; queste modificazioni possono includere vari tipi di interventi diversi dall'interpretazione, quali ad esempio la rassicurazione, il consiglio, il ritorno alla posizione vis-à-vis, la prescrizione di un comportamento (come il suggerire l'esposizione a un oggetto fobico), lo stabilire di autorità la data del termine della analisi per mobilizzare eventuali resistenze (queste ultime due tecniche furono praticate da Freud [1914] con l'Uomo dei lupi [Migone, 1995a, pp. 42 e 56]), e così via. Però secondo Eissler, e in questo consiste il suo principale contributo, una tecnica può essere chiamata ancora "psicoanalisi" quando l'introduzione di un parametro si basa sui seguenti quattro criteri: 1) deve essere introdotto solamente quando sia provato che la tecnica di base non è sufficiente; 2) non deve mai oltrepassare il minimo inevitabile; 3) deve condurre alla sua autoeliminazione; 4) le sue ripercussioni sul transfert non devono mai essere tali che non possa più essere abolito dall'interpretazione. In questo modo Eissler propose una giustificazione razionale della differenza tra psicoanalisi e psicoterapia: per operare una reale modificazione della struttura dell'Io, il parametro eventualmente introdotto deve essere poi eliminato, altrimenti si incorrerebbe in un pericolo dell'uso di un parametro (contro il quale mise acutamente in guardia lo stesso Eissler), quello del "sequestro di materiale analitico" come conseguenza dell'introduzione del parametro stesso, in quanto "ogni introduzione di un parametro incorre nel pericolo che una resistenza venga eliminata senza essere stata analizzata" (p. 65). Quindi da un punto di vista psicoanalitico, secondo Eissler per "psicoterapia" si potrebbe intendere una terapia basata su parametri non analizzati e non eliminati, introdotti in modo fisso nel setting (quindi a rigore non definibili "parametri" nel senso dato ad Eissler del termine, ma come vere e proprie "modificazioni" della tecnica [Eissler, 1958]). Questa terapia potrebbe avere un effetto benefico nel paziente, ad esempio lo rassicurerebbe, ma, non permettendogli di introiettare determinate funzioni (mantenendolo dipendente da certe caratteristiche dell'ambiente per funzionare, ad esempio da un determinato parametro), né di acquisire l'insight sulle ragioni del suo benessere ottenuto tramite il parametro, non opererebbe quelle modificazioni strutturali dell'Io che sono l'obiettivo della psicoanalisi (per una esemplificazione clinica dell'utilizzo del parametro del setting di terapia breve, vedi Migone, 1995a, pp. 58-62).
Come si accennava prima, il ragionamento di Eissler conserva tutta la sua lucidità e coerenza, e sottolinea il possibile significato difensivo dell'azione, anche nel senso di agito (acting out o, meglio, acting in, cioè all'interno della seduta), rispetto alla capacità del paziente di trasformare l'azione in parole, ovvero di disporre di una maggiore mentalizzazione o di nuove strutture dell'Io, ad esempio di poter fare a meno di un determinato comportamento dell'analista senza necessariamente perdere l'equilibrio psicologico raggiunto (sia veda anche la tradizionale differenza tra disturbo "alloplastico" e "autoplastico"). E' in questo processo che Eissler identificò, e a mio parere correttamente, l'essenza della psicoanalisi, e questo ragionamento, anche se Eissler legò la psicoanalisi al setting "classico", regge a prescindere dal tipo di setting usato, ortodosso o eterodosso che sia (Migone, 2000). La revisione teorica compiuta 30 anni dopo da Gill (1984) e la sua enfasi sul ruolo della interpretazione del transfert come aspetto centrale della psicoanalisi, come vedremo, non è in antitesi con questa impostazione di Eissler. Gill, grazie ad una riconcettualizzazione "relativistica" del concetto di transfert, permetterà un ampliamento dei criteri che lui chiamò estrinseci (cioè del setting classico), e quindi un utilizzo della psicoanalisi nei setting più vari. Ma accenniamo ora alla posizione dell'ultimo Gill (1982, 1983, 1984, 1993, 1994).

La revisione di Gill (1984)
Nel 1954 Merton Gill definì i criteri coi quali differenziare la psicoanalisi dalla psicoterapia, e questo suo contributo rimase un punto di riferimento per tutto il movimento psicoanalitico. Ma trenta anni dopo, nel 1984, rivide le sue posizioni e scrisse un altro lavoro in cui propose le differenza tra psicoanalisi e psicoterapia in termini nuovi, grazie anche alla sua revisione del concetto di analisi del transfert. Questa revisione riprende le intuizioni degli psicoanalisti interpersonali degli anni 1920-1940 (Sullivan, Fromm-Reichmann, Horney, Thompson, ecc.), inquadrandole però in una rigorosa e coerente cornice teorica come mai era stato fatto prima all'interno della tradizione classica. Gill propose una concezione allargata di psicoanalisi basata non sui criteri "estrinseci" (alta frequenza settimanale, uso del lettino, ecc.) ma solo sui criteri "intrinseci" (l'analisi del transfert), visti però con un significato diverso perché inseriti all'interno di una concezione bi-personale e "relativistica" della interazione analista-paziente, secondo la quale il concetto di transfert viene talmente allargato che per certi versi diventa sinonimo di "relazione". Questa revisione di Gill è importante perché ha profonde implicazioni per la psicoanalisi, anche a livello istituzionale e del training. Permette infatti in questo modo di ampliare la applicazione della psicoanalisi rimanendo coerenti con il principio della centralità della analisi del transfert (o della relazione). La psicoanalisi, secondo la accezione allargata di Gill (che tentativamente definì "terapia psicoanalitica" [Gill, 1984, p. 157]), consiste essenzialmente nella analisi della relazione col paziente, qualunque setting si adotti o in qualunque situazione clinica ci si trovi.
In questa sede non mi è possibile riassumere tutti i passaggi della revisione teorica di Gill, per cui rimando ad alcuni lavori già citati (Migone, 1991, 1995b). Quello che voglio fare è semplicemente presentare un breve caso clinico, consistente in una "psicoterapia sul lettino" e una "psicoanalisi sulla sedia", dove viene capovolto il tradizionale modo di concepire la differenza tra psicoanalisi e psicoterapia se la loro identità rimane legata unicamente ai criteri estrinseci, bene esemplificati con l'uso del lettino che ancora oggi da molti è considerato parte integrante del setting psicoanalitico e non di quello psicoterapeutico.

Caso clinico: una "psicoanalisi sulla sedia" e una "psicoterapia sul lettino"
Si tratta di un episodio che mi accadde alcuni anni fa con una paziente, allora di 31 anni, in terapia trisettimanale vis-½-vis, che durante una fase difficile della terapia incominciò a mostrare, assieme a varie manifestazioni di cosiddetto "transfert negativo" (aggressività, sensazione di non essere capita, minacce di interruzione, ecc.), una notevole difficoltà a tollerare il contatto visivo con me, lamentando il fatto che la terapia era faccia a faccia, mentre lei avrebbe preferito il lettino che le avrebbe permesso di sentirsi più "contenuta", "protetta", "rilassata", di esprimere con minore difficoltà i suoi "veri sentimenti", e così via.
L'elaborazione interpretativa di questa situazione comportava, tra le altre cose, le seguenti considerazioni. I genitori della paziente, che non erano sposati, si erano lasciati poco prima della sua nascita; il padre avrebbe voluto che la madre abortisse, e si rifiutò di riconoscere la figlia. Per una serie di litigi che non erano mai stati chiariti né capiti a fondo dalla paziente, da allora erano cessati del tutto i rapporti col padre. Questi, che era di classe sociale molto superiore a quella della madre, viveva nella stessa città, e qualche volta si incontravano per strada, ma sempre facendo finta di non conoscersi. I sentimenti della paziente erano di forte aggressività, mista a paura, affetto, e sentimenti di inferiorità e vergogna causati dalla ambivalente fantasia che il padre per un qualche motivo avesse "fatto bene" ad abbandonarla, o che comunque avesse avuto le sue buone ragioni. Naturalmente la paziente avrebbe potuto prendere l'iniziativa e andare a parlare col padre, ma ne era impossibilitata da una forte paura di esplodere di rabbia con lui. Inoltre l'avvicinarsi al padre avrebbe comportato una rottura della loyalty con la madre, con cui viveva ancora insieme e a cui era molto legata, la quale per problemi propri non era stata capace di elaborare il rapporto con lui, e per motivi di orgoglio aspettava che fosse lui a fare il primo passo. Inutile dire che questa situazione pesava come un lutto non risolto per la paziente, avendo contribuito per esempio a crearle una forte inibizione a farsi una famiglia e ad avere essa stessa un figlio nonostante le molte occasioni che le si erano presentate, poca assertività nel fare carriera, un forte senso di inferiorità, indegnità di meritare i diritti di tutti gli altri, ecc. (questa problematica, tra l'altro, era qui ben razionalizzata anche dal fatto che la paziente ambivalentemente svalutava me - e, a ben vedere, se stessa - per il fatto che non usando il lettino secondo lei io non le facevo una "psicoanalisi" ma una "psicoterapia", anche perché io ero un terapeuta indipendente dalla associazione psicoanalitica "ufficiale", la quale sola la avrebbe finalmente "riconosciuta" e "legittimata"; ma ero ben consapevole che nella sua ambivalenza lei aveva scelto proprio me perché sapeva bene che, in un certo senso, ero un suo alleato in quanto anch'io ai suoi occhi ero un "non riconosciuto"...).
Ebbene, con molta probabilità dietro a questa difficoltà del contatto emotivo e visivo diretto con me c'era anche quella a provare ed esprimere tutti i dolorosi sentimenti ambivalenti verso il padre (odio, amore, ecc.). La richiesta del lettino poteva significare anche un ripetere il dramma del "non rapporto" col padre, e se avessi accettato di introdurre questo cambiamento, forse avrei dato inconsciamente alla paziente l'immagine di un padre che non voleva fare veramente i conti con la forza delle emozioni che la paziente appunto voleva evitare: si può far l'ipotesi che in questo caso io sarei stato "risucchiato" dal transfert della paziente, la quale sarebbe riuscita ad evocare inconsciamente in me la "risonanza di ruolo" (Sandler, 1976) evocata dal transfert.
Ma non voglio soffermarmi sull'analisi di queste ipotesi psicodinamiche, perché sono facilmente alla portata di qualunque terapeuta esperto. Quello che voglio discutere è il ruolo degli elementi del setting nella logica interpretativa. Nel caso in questione fortunatamente il lavoro interpretativo, incentrato sul significato inconscio della sua richiesta del lettino, riuscì a sbloccare la paziente e a farle evocare tutta una serie di ricordi e sentimenti dolorosi, sia su di sé che sul padre, facendo così procedere la terapia positivamente. Ma supponiamo che il mio lavoro non fosse riuscito, che cioè la paziente non avesse retto nel rapporto faccia a faccia con me e avesse minacciato di interrompere la terapia se non la mettevo sul lettino, quale sarebbe stata la condotta da seguire? Pongo questa domanda qui solo come esercizio teorico, e supponendo ovviamente che l'analisi da me fatta sulla genesi delle resistenze della paziente sia corretta. Una possibilità in effetti sarebbe stata, seguendo Eissler (1953), quella di introdurre, a causa della "debolezza dell'Io" della paziente, un "parametro" nella "psicoanalisi con la sedia" e metterla in "psicoterapia col lettino" per continuare il lavoro, fino a quando non si riuscisse ad eliminare il parametro (il lettino) per poi farla ritornare alle condizione della mia tecnica di base (che in questo caso comportava l'uso della sedia). Così, paradossalmente, qui la psicoanalisi si sarebbe fatta con la sedia e la psicoterapia col lettino, reso necessario dalla paziente per la quale non era sufficiente il lavoro di interpretazione verbale sulla difficoltà a guardarmi in faccia, per cui avrebbe richiesto un "agito", cioè l'introduzione di un parametro proprio secondo la concezione di Eissler.
Trovo questo esempio utile, anche perché in modo divertente capovolge i termini del problema delle differenze tra psicoanalisi e psicoterapia così come sono intese se si considerano solo i criteri estrinseci, e nel contempo ci fa pensare a quale può essere il rischio che si corre in molte psicoanalisi ortodosse, dove si può scivolare in una psicoterapia "manipolatoria" nella misura in cui, proprio come disse Gill, permettiamo che parte del materiale sfugga dal lavoro interpretativo se crediamo nella neutralità e nella universalità del setting classico.

Abstract. Viene discusso l'annoso problema della differenza tra psicoanalisi e psicoterapia, mostrando come sia indispensabile partire da una prospettiva storica e sociologica per comprendere i vari sviluppi della psicoanalisi. In particolare viene ripercorsa la storia del dibattito ufficiale sulla differenza tra psicoanalisi e psicoterapia, e discusse le radici storiche della identità della cosiddetta "psicoterapia psicoanalitica" così come si è andata formando negli Stati Uniti attorno agli anni 1950 parallelamente allo "widening scope" della psicoanalisi. All'interno di questo excursus storico viene presentata e discussa la concettualizzazione del "parametro" di tecnica di Eissler del 1953. Infine vengono presentate in dettaglio le posizioni dell'ultimo Merton Gill (1984), degli anni '80, che si sono radicalmente modificate rispetto a quelle da lui stesso sostenute una trentina di anni prima e che erano considerate un punto di riferimento per tutta la tradizione classica. La revisione operata da Gill coinvolge non solo i criteri estrinseci della psicoanalisi (uso del lettino, frequenza settimanale, ecc.) ma anche gli stessi criteri intrinseci (teorici), riformulando in modo più lucido e coerente le intuizioni fatte da alcuni pionieri della psicoanalisi vari decenni prima (Sullivan, Alexander, Fromm-Reichmann, ecc.), e permettendo in questo modo di ampliare la applicazione della psicoanalisi rimanendo coerenti con il principio della centralità della analisi del transfert. Per far comprendere meglio le implicazioni della revisione di Gill viene presentato infine il dettagliato esempio clinico di una "psicoterapia sul lettino" e di una "psicoanalisi sulla sedia", dove viene capovolto il tradizionale modo di concepire la differenza tra psicoanalisi e psicoterapia se la loro identità rimane legata unicamente ai criteri estrinseci.

Bibliografia
- Blanck G. & Blanck R. (1974). Ego Psychology: Theory and Practice. New York: Columbia Univ. Press (trad. it.: Teoria e pratica della psicologia dell'Io. Torino: Boringhieri, 1978).
- Eissler K.R. (1953). The effect of the structure of the ego on psychoanalytic technique. J. Am. Psychoanal. Ass., 1: 104-143 (trad. it.: Effetto della struttura dell'Io sulla tecnica psicoanalitica. Psicoterapia e scienze umane, 1981, XV, 2: 50-79; anche in Genovese C., a cura di, Setting e processo psicoanalitico. Milano: Cortina, 1988, pp. 3-35. Edizione su Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/eiss53-1.htm).
- Eissler K.R. (1958). Remarks on some variations in psychoanalytical technique. Int. J. Psychoanal., 39: 222-229 (trad. it.: Osservazioni su alcune variazioni nella tecnica psicoanalitica. In Genovese C., a cura di, Setting e processo psicoanalitico. Milano: Cortina, 1988, pp. 186-199).
- Freud A. (1936). Das Ich und die Abwehrmechanismen. Wien: Internationaler Psychoanalytischer Verlag (trad. ingl.: The Ego and the Mechanisms of Defense. New York: Int. Univ. Press, 1946; trad. it.: L'io e i meccanismi di difesa. Firenze: Martinelli, 1967. Anche in: Scritti, Vol 1: 1922-1943. Torino: Boringhieri, 1978).
- Freud S. (1914 [1918]). Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico dell'Uomo dei lupi). Opere, 7, 483-593. Torino: Boringhieri, 1975.
- Galatariotou C. (2000). Internet site discussion: "Psychoanalysis, psychoanalytic psychotherapy and supportive psychotherapy: contemporary controversies" by Otto F. Kernberg. Int. J. Psychoanal., 81, 2: 385-401 (scaricabile da Internet al sito: http://ijpa.org/archives1.htm).
- Gill M.M. (1954). Psychoanalysis and exploratory psychotherapy. J. Am. Psychoanal. Ass., 2: 771-797.
- Gill M.M. (1982). The Analysis of Transference. Vol. 1: Theory and Technique (Psychological Issues, Monogr. 53). New York: Int. Univ. Press (trad.it.: Teoria e tecnica dell'analisi del transfert. Roma: Astrolabio, 1985).
- Gill M.M. (1983). The interpersonal paradigm and the degree of the therapist's involvement. Cont. Psychoanal., 19, 2: 202-237 (trad. it.: Il paradigma interpersonale e la misura del coinvolgimento dell'analista. Psicoterapia e scienze umane, 1995, XXIX, 3: 5-44).
- Gill M.M. (1984). Psychoanalysis and psychotherapy: a revision. Int. Rev. Psychoanal., 11: 161-179 (trad. it.: Psicoanalisi e psicoterapia: una revisione. In: Del Corno F. & Lang M., a cura di, Psicologia Clinica. Vol. 4: Trattamenti in setting individuale. Milano: Franco Angeli, 1989, pp. 128-157; seconda edizione: 1999). Edizione su Internet: http://www.psychiatryonline.it/ital/10a-Gill.htm. Dibattito su Internet a cura di A.M. Favero & P. Migone: http://www.psychomedia.it/pm-lists/debates/gill-dib-1.htm (Interventi di A. Alloisio, A. Angelozzi, T. Carere, G. Dell'Anna, L. Filingeri, W. Galliano, T. Garau, G. Giordano, R. Giraldi, M. Longo, S. Manai, F. Marcolongo, P. Migone, L. Panseri, P. Porcelli, E. Ronchi, G.P. Scano, D. Toffoletto).
- Gill M.M. (1993). Tendenze attuali in psicoanalisi. Psicoterapia e scienze umane, XXVII, 3: 5-26.
- Gill M.M. (1994). Psychoanalysis in Transition: A Personal View. Hillsdale, NJ: Analytic Press (trad. it.: Psicoanalisi in transizione. Milano: Cortina, 1996).
- Hartmann H. (1937). Ich-Psychologie und Anpassungsproblem. Internationale Zeitschr fÄr Psychoanalyse, 1939, 24: 62-135 (trad. ingl.: Ego Psychology and the Problem of Adaptation. New York: Int. Univ. Press, 1958; trad. it.: Psicologia dell'Io e problema dell'adattamento. Torino: Boringhieri, 1966).
- Hartmann H. (1964). Essays on Ego Psychology. New York: Int. Univ. Press (trad. it.: Saggi sulla Psicologia dell'Io. Torino: Boringhieri, 1976).
- Hartmann H., Kris E. & Lowenstein R. (1964). Papers on Psychoanalytic Psychology. New York: Int. Univ. Press (trad. it.: Scritti di psicologia psicoanalitica. Torino: Boringhieri, 1978).
- Kernberg O.F. (1999). Psychoanalysis, psychoanalytic psychotherapy, and supportive psychotherapy: contemporary controversies. Int. J. Psychoanal., 80: 1075-1092 (scaricabile da Internet al sito: http://ijpa.org/archives1.htm).
- Migone P. (1991). La differenza tra psicoanalisi e psicoterapia: panorama storico del dibattito e recente posizione di Merton Gill. Psicoterapia e scienze umane, XXV, 4: 35-65 (una versione dal titolo "Esiste ancora una differenza tra psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica?" è uscita su Il Ruolo Terapeutico, 1992, 59: 4-14. Edizione su Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt59pip.htm).
- Migone P. (1992). Ancora sulla differenza tra psicoanalisi e psicoterapia. Il Ruolo Terapeutico, 60: 44-47. Edizione su Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt60-92.htm.
- Migone P. (1995a). Terapia psicoanalitica. Milano: Franco Angeli (Segnalazione su Internet: http://www.psychomedia.it/pm-revs/books/migone1a.htm).
- Migone P. (1995b). Le differenze tra psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica. In: Terapia psicoanalitica. Milano: Franco Angeli, 1995, cap. 4.
- Migone P. (1995c). Terapia o ricerca della verità? Ancora sulla differenza tra psicoanalisi e psicoterapia. Il Ruolo Terapeutico, 69: 28-33. Edizione su Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt69-95.htm.
- Migone P. (1998). Chi ritiene indissolubile il binomio divano/psicoanalisi si pone fuori dalla logica psicoanalitica. Il Ruolo Terapeutico, 78: 16-21. Edizione su Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt78le98.htm.
- Migone P. (2000). A psychoanalysis on the chair and a psychotherapy on the couch. Implications of Gill's redefinition of the differences between psychoanalysis and psychotherapy. In: D.K. Silverman & D.L. Wolitzky, editors, Changing Conceptions of Psychoanalysis: The Legacy of Merton M. Gill. Hillsdale, NJ: Analytic Press, pp. 219-235 (trad. spagnola: El psicoanálisis en el sillón y la psicoterapia en el diván. Implicaciones de la redefinición de Gill sobre las diferencias entre psicoanálisis y psicoterapia. Intersubjetivo. Revista de Psicoterapia Psicoanalitica y Salud, 2000, 2, 1: 23-40).
- Migone P. (2001). La differenza tra psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica è solo una questione politica. Il Ruolo Terapeutico, 86: 17-20. Edizione su Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt86pp01.htm.
- Sandler J. (1976). Countertransference and role responsiveness. Int. Rev. Psychoanal., 3: 43-47. Internet edition: http://ijpa.org/jsjan00.htm (trad. it.: Controtransfert e risonanza di ruolo. In: C. Alberella & M. Donadio, a cura di, Il controtransfert. Napoli: Liguori, 1986, pp. 189-197).
- Stone L. (1954). The widening scope of indications for psychoanalysis. J. Am. Psychoanal. Ass., 2: 567-594.
- Wallerstein R.S (1969). Introduction to panel on psychoanalysis and psychotherapy: The relationship of psychoanalysis to psychotherapy - current issues. Int. J. Psychoanal., 50: 117-126.
- Wallerstein R.S. (1989). Psychoanalysis and psychotherapy: an historical perspective. Int. J. Psychoanal., 70: 563-591.

Paolo Migone
Via Palestro, 14
43100 Parma
Tel./Fax: 0521-960595
E-Mail: migone@unipr.it


PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> PSICOSOMATICA