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I.S.A.P. - Istituto di Studi Avanzati in Psicoanalisi
La psicoanalisi alla prova della postmodernità
Francesco Conrotto


Nel 1984 E. Gaddini (1989) affrontava la questione dell’eventuale cambiamento dei quadri clinici dominanti nella popolazione dei pazienti che frequentavano gli studi degli psicoanalisti. Qualche anno più tardi J. Kristeva descriveva quelle che definiva “Le nuove malattia dell’anima” (1993). Negli anni successivi numerosi sono stati i contributi psicoanalitici che hanno provato a descrivere le forme in cui si manifestano le organizzazioni psicopatologiche all’epoca della postmodernità.

Anche questo Convegno affronta questo tema.

Personalmente affronterò la questione distinguendo tra nosografia e sintomatologia. Se rileggiamo i Casi clinici descritti da Freud, a partire dai quali è stata costruita la psicopatologia psicoanalitica, e, quindi, sono state formulate le sue categorie nosografiche, possiamo facilmente constatare che, in larga misura, le diagnosi di isteria e di nevrosi in generale formulate da Freud e dai primi psicoanalisti, oggi, non sarebbero confermate. Basti pensare che A. Green (1990 pag. 130 sg.) separa l’isteria, che pure ha rappresentato il paradigma della nevrosi, dall’area nevrotica per definirla “follia isterica”, quindi né nevrosi né psicosi. Che dire poi dell’ “Uomo dei Lupi” nei confronti del quale, après-coup, è stata fatta la diagnosi di psicosi e della appartenenza, quasi universalmente riconosciuta delle manifestazioni ossessive gravi all’area della psicosi.

Questi pochi esempi, credo che bastino a smentire la tesi che le patologie che si presentano oggi all’osservazione degli psicoanalisti non siano più attinenti all’area della nevrosi ma siano piuttosto degli stati-limite, che ironicamente Green definisce come cahe-misère,1 a differenza di quelle che venivano affrontate negli anni della nascita della psicoanalisi. Dobbiamo allora riconoscere che la percentuale di nevrosi “pure” è stata sempre piuttosto limitata tra quanti frequentavano gli studi degli psicoanalisti e, direi, anche tra la popolazione in generale.

Dovremmo allora rapidamente concludere che non esistono “nuove malattie dell’anima” e che i nostri pazienti non sono affatto cambiati? Prima di rispondere dobbiamo fare alcune riflessioni.

Buona parte di coloro che ritengono che i nostri pazienti siano effettivamente cambiati e che siano emerse nuove forme di patologie psichiche ne attribuiscono la causa alla crisi dei modelli tradizionali della società. Con un linguaggio lacaniano si direbbe che è stato il venir meno del “Nome del Padre” ad essere responsabile della sparizione delle nevrosi classiche. Altri autori, negli anni successivi alla morte di Freud, hanno sviluppato teorie psicoanalitiche che mettono al centro della organizzazione psichica di tutti gli individui un funzionamento di tipo psicotico – è il caso di M. Klein e dei suoi seguaci con l’affermazione della ubiquitarietà della posizione schizoparanoide. Altri hanno messo in evidenza l’importanza delle carenze dell’ambiente umano di provenienza – vedi Winnicott – per mettere a fuoco funzionamenti psichici extra-nevrotici che possono essere definiti come stati-limite.

Per quanto mi riguarda, utilizzo uno schema che si ispira a Freud, per illustrare il quale è necessario fare una premessa di ordine generale.

Il punto di partenza è l’ammissione che sin dalla nascita nell’organismo umano si producono delle tensioni, prodotte da stimoli endosomatici e provenienti dall’esterno del corpo che la psiche immatura dell’infante non può tollerare per cui queste vengono espulse dalla coscienza o non viene proprio concesso loro di accedervi. Esse vanno così a costituire un distretto psichico separato. Si tratta della “rimozione originaria” costitutiva dell’inconscio. Questo processo espulsivo comporta che tali tensioni, ad opera di un processo traduttivo che ritengo essere congenito e dipendente dall’evoluzione della specie, diventano dei significanti per cui il rimosso acquista la capacità di attrarre altre tensioni, idee e emozioni che possano essere assimilate al primo nucleo di significanti che si è formato con la rimozione originaria; è la cosiddetta “rimozione secondaria” o “post-rimozione”. Non è questa la sede nella quale posso soffermarmi sulle vicende trasformative che occorrono a questi contenuti dell’inconscio. Posso soltanto dire che, come ha messo in evidenza Bion e, in forma differente Laplanche, la rimozione (Verdragung) è un processo doppio: da un lato, espulsione dalla coscienza o non accesso ad essa, dall’altro, attivazione di successive e reiterate traduzioni-simbolizzazioni dei significanti rimossi. Tale processo traduttivo è potenzialmente interminabile in quanto ogni traduzione lascia dei resti non tradotti - I fueros descritti da Freud - che stimolano ulteriori traduzioni. Nella misura in cui tali contenuti accedono ad un processo di traduzione-simbolizzazione e di sublimazione (Conrotto 2004, 2005), oltre a formare l’universo psichico del soggetto, verranno proiettati all’esterno andando a costituire l’universo sociale e culturale. Nella misura in cui tali significanti non potranno essere tradotti e simbolizzati tenderanno a ritornare alla coscienza, in maniera deformata sotto forma di sintomi nevrotici – è il ritorno del rimosso. Quanto maggiore è il numero di resti non tradotti né simbolizzati tanto più l’organizzazione psichica del soggetto sarà gravemente nevrotica. Se il processo funziona in maniera sufficientemente buona – goud enough – il soggetto potrà essere definito sufficientemente sano.

Qualora il processo di rimozione sia seriamente inadeguato, ad esso si sostituisce il meccanismo del diniego (Verleugnung) che si accompagna alla scissione (Spaltung) dell’Io. L’organizzazione psicopatologica che ne deriva non sarà quella della nevrosi ma della perversione. Se il rigetto (Verwefung) dei significanti è ancora più radicale si avrà un’organizzazione di tipo psicotico con deliri o con trasformazioni in allucinosi. In questi casi la scissione dell’Io è ancora maggiore e si può arrivare fino alla sua frammentazione. Se è la separazione/perdita dell’oggetto a non essere tollerata, nel senso che essa non può essere simbolizzata, il quadro psicopatologico che ne deriva è quello della depressione e/o della mania.

Ho fatto questa breve premessa per dire che ciò che accomuna queste organizzazioni psicopatologiche è il dato che i significanti fondamentali che strutturano l’Edipo sono comunque attivati e, anche se non sono adeguatamente simbolizzati o non lo sono quasi per nulla, essi divengono comunque “segni”. In questi casi l’inconscio anziché essere rimosso è intercluso (enclavé) (Laplanche 2004) o anziché formarsi la “barriera di contatto”, per deficit della funzione ?, si forma lo schermo ? (Bion).

Il questito che ora dobbiamo porci è cosa accade di diverso nelle società postmoderna che Z. Bauman definisce “società liquida”?

Personalmente, seguendo N. Chomsky, ritengo che, come accade per il linguaggio verbale, anche le regole di trasformazione che presiedono alla formazione dei significanti fondamentali sono innate e legate all’evoluzione della specie. Pertanto come ciascun bambino apprenderà la lingua parlata nell’ambiente umano nel quale vive i suoi primi anni, analogamente, organizzerà il suo mondo psichico in relazione agli inputs che riceverà nel suo ambiente. Come sappiamo, coloro che sono affetti da sordità dalla nascita non potranno mai apprendere la lingua perché sono necessari gli inputs uditivi affinché si attivino i processi generativi trasformazionali che permettono l’acquisizione della capacità di comprendere e di usare il linguaggio verbale. Allo stesso modo, qualora l’ambiente umano nel quale l’infans è immesso non stimoli l’attivazione dei processi di formazione e di trasformazione dei significanti fondamentali, questi, benché potenzialmente presenti, non si attiveranno.

Possiamo supporre che è questo che accade in alcuni contesti culturali della società postmoderna nella quale come dice Kaës (2005) le trasformazioni sociali e culturali hanno portato alla caduta dei “garanti metasociali” (Touraine 1965, 1992) e, quindi, al venir meno dei corrispettivi “garanti metapsichici”. Questo fa si che il “contratto narcisistico” (Aulagnier 1975), in virtù del quale, ogni nuovo nato trova il suo posto nell’ambiente sociale e psichico ove è collocato non può essere attivato per cui gli individui che si trovano in questa situazione sono esposti ad un grave deficit di rispecchiamento da parte dell’ambiente sociale e familiare, quindi, la loro l’organizzazione psichica sarà precaria in quanto non si costituisce intorno ai significanti fondamentali che sono alla base dell’Edipo. Pontalis ci ricorda che la formazione della psiche dell’individuo deriva dalla introiezione della psiche materna, intesa come il funzionamento psichico dell’ambiente umano nel quale l’ infans è immesso. E’ in questa maniera che le tensioni endosomatiche e quelle provenienti dal mondo esterno vengono significate e simbolizzate. Si forma così una sorta di schermo parastimoli che protegge dall’irruzione delle tensioni interne così come quello descritto da Freud doveva proteggere dagli stimoli provenienti dall’esterno. Si tratta della “struttura inquadrante” che è il prodotto dell’appoggio dei significanti pulsionali sul funzionamento autoconservativo dell’ordine vitale. Qualora questa funzione sia gravemente carente parliamo allora di psiche astrutturale. In questo caso il funzionamento psichico è quello che, con un linguaggio metapsicologico, Freud ha definito il funzionamento delle “nevrosi attuali” cioè un vero e proprio deficit di psichicizzazione. Pertanto al posto del “mondo interno” avremo un “vuoto” psichico. Ed ecco che si profila, da un punto di vista teorico-clinico, quella che viene definita la “clinica del vuoto”. Al posto di una vita psichica abbiamo il prevalere dell’ “agire”, sia questo motorio che somatico. Da un punto di vista sintomatologico avremo una “psicosomatosi generalizzata” che si manifesta sia in veri e propri disturbi somatici, sia nella tendenza all’ acting, che nella dipendenza da sostanze oppure nella tendenza all’eccitazione generalizzata o nella depressione essenziale che è stata descritta da Marty che non è depressione da perdita inelaborabile dell’oggetto ma da vuoto psichico. Accade che i significanti fondamentali, quantunque non significati, permangano comunque, in quanto sono strutture di codifica geneticamente trasmesse. Essi sono designificati e pertanto possono venire agiti in forma “amorale” come è stato detto a proposito della condotta apparentemente ossequiente dell’autorità ma, in realtà, criminale come quella di Eichmann (Chabert 2009). In altri termini, anziché una forclusione del Nome del Padre si ha una sua banalizzazione. Alcune ideologie che danno corpo a comportamenti criminali, come certe forme di terrorismo detto fondamentalista, sono spiegabili in termini di messa in atto amorale dei significanti fondamentali. Ovviamente anche la temporalità è annullata e il funzionamento tende a fissarsi in un eterno presente. Come abbiamo detto in precedenza, la presenza di una tale condizione di vuoto psichico implica una “depressione essenziale” in cui manca il sentimento soggettivo di depressione perché ovviamente è la soggettivizzazione stessa che non ha potuto aver luogo. I sintomi sono concretizzati come nel caso dell’anoressia, della bulimia e dell’ipocondria. Da un punto di vista metapsicologico si verifica una sorta di “disappoggio”, cioè un ribaltamento del pulsionale sull’autoconservativo ma, poiché l’autoconservativo puro nell’uomo non può realizzarsi a causa della presenza congenita di codici traduttivi che trasformano le tensioni in significanti, si instaura una economia psichica dominata dalla tendenza alla scarica e al disinvestimento in cui la rappresentazione e l’elaborazione mancano. Sul piano della clinica, che non tocca a me affrontare in questa sede, è necessario ricorrere alle teorizzazioni di una sorta di “terza topica”, cioè all’ipotesi che sia l’analista a dover “prestare” al paziente, che ne è mancante, alcune funzioni psichiche, per cui è necessario pensare ad una sorta di apparato psichico di coppia. Naturalmente, in situazioni di questo tipo l’efficacia della cura è fortemente limitata. Metaforicamente, si tratta di qualcosa che è paragonabile al tentativo di insegnare a parlare a soggetti che, magari, a causa di una sordità congenita, non hanno avuto accesso all’ascolto del linguaggio nei primi mesi ed anni della loro vita.

Si tratta di qualcosa che, con un linguaggio immaginifico, Recalcati (2010) ha definito come un “uomo senza inconscio”. In realtà non si tratta di mancanza di inconscio ma di deficit di inconscio rimosso e quindi aperto all’inesauribile processo di traduzione-simbolizzazione. Gli individui che sono in questa situazione saranno allora portatori, dunque di un inconscio amenziale (Déjours 2004) o énclavé (Laplanche 2004) le cui possibilità trasformative in direzione della mentalizzazione rimangono gravemente limitate.

Bibliografia

Aulagnier, P. (1975) La violenza dell’interpretazione, Borla, Roma, 1994.

Chabert, C (2009) (sous la direction de) Psychopathologie des limites. Dunod, Paris

Conrotto, F.:

- (2004) La sublimazione nella cura e nella teoria. Riv. Psicoanal., 50, 4,

1027-1048.

- (2005) La sublimation: un fonctionnement psychique de base?

Revue Française de Psychanalyse. 69, 5, 1531-1537.

Dejours, C. (2004) Il corpo tra seduzione e scissione. Riv. Psicoanal. 50, 3, 773-798.

Gaddini, E. (1989) Scritti. Raffaello Cortina Editore, Milano

Green, A. (1900) Psicoanalisi degli stati-limite. Raffaello Cortina Editore, Milano,

1991.

Kaës, R. (2008) La trasmissione delle alleanze inconsce, organizzatori

metapsichici e metasociali. Generi e Generazioni. FrancoAngeli.

Kristeva, J. (1993) Le nuove malattie dell’anima. Borla, Roma, 1998.

Laplanche, J. (2004) Tre accezioni del termine “inconscio” nella cornice della Teoria

della Seduzione Generalizzata. Riv. Psicoanal. 50, 1, 11-26.

Recalcati, M. (2010) L’uomo senza inconscio. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Touraine, A.:

- (1965) Sociologie de l’action. Edition de Seuil, Paris.

- (1992) Critica della modernità. Il Saggiatore EST, Milano 1997.

 

Note:

1 Letteralmente “nascondi-miseria” forse alludendo alla povertà teorica che si nasconde nella formula stato-limite.


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