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A. M. P.
SEMINARI 2002 - 2003
Psicosomatica e psicoterapia della rettocolite ulcerosa.
L'unità mente – corpo in psicoterapia psicoanalitica

Prof. Fausto Agresta


Introduzione. I fondamenti

Nell’isola di Lesbos, molti secoli fa, si pronunciava una parola che tendeva a esprimere l’essenza di ciò che andiamo affermando: l’unicità della persona, la propria unitarietà della problematica mente - corpo, al di là del dualismo cartesiano e della “interdizione” kantiana della psicologia come scienza. Saffo, nel suo dialetto invece, parlava dei conturbamenti erotici del proprio animo usando il termine thymos, al posto della parola più aristocratica di Omero che è psyché. "Oh mia Afrodite, non forzare il mio animo (thymos) con affanni e con dolore [...] Mentre tu mi parli e ridi amorosamente - dice appunto Saffo rivolgendosi all’amante - il mio cuore (kardias) si agita nel petto solo che appena ti vede, e la voce si perde sulla lingua inerte mentre un fuoco sottile affiora rapido alla pelle e ho buio negli occhi e il rombo del sangue alle orecchieÉ”. Saffo, scrive G. Dello Russo, “riusciva a pensare il somatico partendo dall’animo e non dall’anima. E’ che l’anima, al contrario dell’animo, resta per definizione ciò che sopravvive alla morte di una persona. Essa è quindi immortale e, come tale, incorruttibile e intangibile dai sussulti dell’animo, cioè dagli affanni e dal dolore. L’animo, al contrario, è impastato della medesima sostanza delle viscere, le cui emozioni corrono direttamente lungo le direttrici del sangue e degli umori” (Ibidem,1992). In sostanza il linguaggio saffiano, nell’uso del mythos, riusciva a non essere intrappolato nelle aporie del logos. Se il mito è il linguagggio del tragico, come dice Levy - Strauss, esso nasce con lo scopo di offrire un modello unitario, olistico e globale in cui si può risolvere “una contraddizione logica, ossia di illustrare in modo piano e fabulativo ciò che la ragione concepisce come irremidiabilmente scisso. In effeti, come vedremo, la scienza moderna, a cominciare proprio da Cartesio, avendo rimosso il mito, non riesce ad arrivare al cuore della persona intesa come totalità. Seicento anni dopo Ippocrate, il medico Erasistroto, ponendo l’accento non solo sull’anatomia, sulla fisiologia e sugli studi medici, pensò anche che il medico avrebbe dovuto prestare attenzione, in egual misura, all’ambiente ( al contesto, al setting, diremmo oggi), così da comprendere meglio sia la salute che la malattia e, in questa concezione, la relazione medico - paziente (e la famiglia ). Erasistroto fu chiamato alla corte dal re di Siria perché suo figlio soffriva di una malattia ritenuta, allora, incurabile e, mentre il medico teneva e “sentiva” il polso del futuro re, entrò in quella stanza la seconda moglie del re, la bella Stratonice. Erasitroto capì subito che la malattia psicosomatica del giovane - in quel momento il suo battito cardiaco era aumentato notevolmente - era provocato dalla matrigna, verso la quale egli nutriva un amore proibito e senza speranza, cioè senza essere ricambiato. A questo punto, il re si separò da lei perché il figlio potesse guarire.
Già nell’antica Grecia abbiamo due tendenze, che ritroveremo sempre nella storia del rapporto mente - corpo: da una parte, la scuola ippocratica che assumeva i concetti più dinamici, umorali e psichici (diciamo più “psicosomatici”), dall’altra, la scuola di Cnido che era a orientamento meccanicistico e organicistico.
Le radici del concetto dell’interazione dei due principi corpo - anima, soma - psiche partono dai primi pensatori greci ma, rispetto alla nostra cultura occidentale, l’idea unità mente - corpo nell’Uomo trova origine e fondamento nella connessione stretta tra l’Uomo e l’Universo e la vita di ogni giorno: questa simbiosi archetipica aveva permeato già le terre lontane di altri orizzonti, come quello dei Maya, degli Incas, degli Aztechi, così come il vissuto di continua vicinanza tra Cielo e Infinito è stato attribuito alla costruzione delle Piramidi d’Egitto. Nella concezione unificante, poi, dell’Oriente ritroviamo il Tantra, la Medicina Tibetana e quella Ajurvedica: queste sono testimonianze ormai consolidate di una concezione in cui l’uomo è il microcosmo dell’universo (macrocosmo). L’Ayurveda, scienza nata in India nel periodo Vedico (dal X al V secolo a. C.) è tutt’ora praticata come sistema ufficiale di medicina in India e in altri paesi dell’Asia: questa concezione riassume il più antico concetto di “ medicina olistica” dell’uomo. Ma se nello stesso periodo anche i primi pensatori e i poeti della Grecia di Omero (X sec. a. C.) cantavano l’anima come strettamente legata alla corporeità, il filosofo Anassagora (500 a.C.) è stato il primo a operare una distinzione fra psiche e soma e questo dualismo fu mantenuto, in parte, da Platone e accentuato da Aristotele (Ilomorfismo). Tale visione della realtà, secondo cui l’anima dà la forma al corpo, è stata tenuta in vita fino al Medioevo (Tomismo di S. Tommaso). Con Cartesio, invece, (1596 - 1650) è stata ufficializzata la separazione netta tra spirito e materia e la scienza moderna ha esasperato ancora di più le due “autonome realtà” (res extensa e res cogitans). La prima realtà, corpo e mondo materiale, poteva essere esaminata mediante l’osservazione (res extensa); la seconda, carattere ed emozioni, il pensiero insomma ( res congitans), restava dominio assoluto della filosofia. Questo interazionismo della dottrina mente - corpo di Descartes rende ragione del fatto che la separazione tra la mente immateriale e il corpo materiale esiste come differenza notevole. Tale assunto cartesiano, scrive G.B. Vicario, ”rende gli atti volontari dello spirito del tutto affrancati da condizioni legate al mondo materiale (libero arbitrio). Ma quella rigorosa separazione pone il problema del come la mente riesca a muovere il corpo, e di come il corpo possa dar notizia di sé alla mente”(2001; il neretto è mio, n.d. r.). Cartesio cercò di risolvere il dilemma ipotizzando l’esistenza di una ”rete” di contatto tra le due sostanze e la identificò nella “ghiandola pineale”(oggi edentificabile nell’epifisi): questa ghiandola, per Cartesio, era il luogo di contatto, di interazione (interazionismo di Cartesio). “Ma gli anni bui arrivarono con la separazione tra il corpo e l’anima” - scrive P. Sifneos - “e questo atteggiamento ha perseguitato la medicina da allora in poi. Così è il merito della medicina psicosomatica che incominciò lo sforzo per eliminare questa dicotomia, e cercò di introdurre un approccio olistico allo studio della medicina”( 1995). Il filosofo J. Stuart Mill ( 1806 - 1873) è stato l’antesignano della medicina psicosomatica per la sua concezione dell’uomo: egli sosteneva che la mente non è una entità autonoma, ma solo una funzione a base somatica e quindi è”meccanica” e totalmente interpretabile secondo gli stessi processi che spiegano le altre funzioni del corpo. Nessuna incompatibilità tra mente e corpo, la psiche è una”qualità” funzionale del corpo stesso. Di conseguenza ogni aspetto del sentire e della condotta della persona è osservabile e comprensibile a partire dall’analisi del funzionamento del corpo o del sistema nervoso. Tutti gli Autori, però, sono concordi nel ritenere che il termine “psicosomatico” è stato usato, per la prima volta, nel 1818, nel corso della “medicina romantica” dal poeta- poi diventato professore di psichiatria a Lipsia - J. C. Heinroth. E’ pur vero, però, che non bastò togliere il trattino di penna che in origine legava le due parole “psico” - “somatica” per risolvere il problema che poneva Heinroth, per il quale “l’insonnia ha un’origine psichica “e” somatica, ma qualunque fase della vita può costituire di per sé la causa prima del disturbo” (Cremerius J., 1977). Egli considerava, però, le malattie psichiche e fisiche non in senso psicodinamico ma come risultato di una diretta espressione della colpa dell’uomo e il termine medicina psicosomatica in senso psicodinamico fu coniato, nel 1922, proprio da uno stretto allievo di Freud, Felix Deutsch.
Sono passati molti secoli dall’antica Grecia ad oggi e in questo arco di tempo la scissione tra medicina sacra e profana è andata sempre più accentuandosi nel Medioevo, nel Rinascimento e nell’Illuminismo, sino alla rivoluzione industriale, dove “l'accento sarà messo sempre più sulla biologia e l’anatomia, il resto essendo considerato non scientifico” (Gilliéron E., 1991). Tuttavia una definizione molto attuale e più complessa del termine “psicosomatico” mi sembra sia quella che ha dato R. R. Grinker il quale scrive che la psicosomatica è “un approccio che ingloba nella totalità alcuni dei processi integrati di transazione fra più sistemi: somatico, psichico, sociale e culturale. Infatti, la nozione di 'psicosomatica’ non si riferisce né alla fisiologia o alla patofisiologia, né alla psicologia o alla psicopatologia, ma a un concetto di processo fra i sistemi viventi e alla loro elaborazione sociale e culturale” (1953).
Freud e la psicosomatica
Freud
, rivalutando le “rappresentazioni inconsce” e le “prime associazioni libere” già con la tecnica ipnotica prima, e con il metodo psicoanalitico dopo, ha dato un valore primario alla persona in senso globale (toccare e massaggiare il corpo isterico e prime manipolazioni con l’ipnosi). Paradossalmente, il padre della psicoanalisi ha, però, valorizzato soltanto il corpo “isterico” per quanto riguarda il riconoscimento “scientifico” della nuova prassi terapeutica psicoanalitica: secondo Freud, infatti, il corpo “ferito” dentro sé stesso, vale a dire le “nevrosi d’organo” e le “psicosi d’organo” - così venivano chiamate dai suoi allievi le malattie psicosomatiche - doveva essere lasciato fuori dal campo di ricerca degli psicoanalisti anche se, ufficiosamente e parallelamente, era già oggetto di studio e di cura da parte dei vari colleghi e dei suoi allievi più stretti come G. Groddeck, S. Ferenczi, P. Federn, Helen e Felix Deutsch. Ricordiamo, poi, la scuola di Berlino con O. Fenichel, H. Sacks e, in particolare, F. Alexander il quale sposta la ricerca dal conflitto tra le istanze psichiche allo studio della situazione interpersonale della prima infanzia; mentre O. Fenichel e molti altri emigrarono negli Stati Uniti, intorno agli anni trenta e allargarono l’applicazione dei rapporti tra lo psichico e l’organico. Felix Deutsch - dopo molti studi e sforzi per ampliare il concetto di conversione isterica scriveva che questi processi si potevano trovare anche “in malattie caratterizzate da disturbi non solo funzionali ma fondamentalmente materiali e organici”(Cremerius, cit.) - pubblicherà, nel 1950, il noto libro “Il misterioso salto dalla mente al corpo”. Freud, nello scritto del 1898 “La sessualità nell’etiologia delle nevrosi“, aveva adottato il termine definitivo di “nevrosi attuali” per indicare rispettivamente sia la nevrosi d’angoscia (equivalente somatico d’angoscia), sia la nevrastenia. Dal 1914, invece, includerà l’ipocondria e la categoria delle psiconevrosi che comprendono le nevrosi di traslazione (oggetto di analisi) e le nevrosi narcisistiche (resistenti all’analisi). Freud parlava di “estraneazione tra il somatico e lo psichico” nella nevrosi d’angoscia, e di una “capacità di conversione” nelle forme isteriche. In altre parole, al posto di strutture psichiche che sarebbero destinate a selezionare, differenziare e canalizzare l’eccitazione somatica, nel suo “progetto” egli sostituisce un’angoscia generalizzata che non favorisce, anzi nega, una radice psichica. “Lasciate queste cose alla biologia...”- scriveva Freud - “...per ragioni didattiche ho dovuto trattenere gli analisti dall’intraprendere questi studi: innervazioni, vasodilatazione, vie nervose avrebbero costituito tentazioni troppo pericolose, essi dovevano imparare a limitarsi al ragionamento psicologico” affermava il padre della psicoanalisi, (Lettera a V. von Weizsäker, 1932, in Cremerius, Ibidem). Egli si riferiva a tutto ciò che riguardava quello che oggi va sotto il termine di disturbi e malattie psicosomatiche( somatizzaioni multiple, ulcera, colite ulcerosa, ipertensione, diabete, asma bronchiale, neurodermatiti). Ricordiamo poi altri nomi prestigiosi che hanno allargato le ricerche nell’ambito della medicina psicosomatica: Cannon, Dunbar (statunitense), poi E. Weiss e O. S. English dell’Università di Temple. Molti non citano J. H. Schultz, fondatore e divulgatore del Training Autogeno, forse perché non è stato un allievo Freud. Negli ultimi tempi, molti psichiatri e psicoterapeuti si sono occupati di psicoterapia dei disturbi e delle malattie psicosomatiche: ricordiamo, lo svizzero Medard Boss - analizzato da Freud nel 1925 - e, più vicino a noi, K. Rohr (allievo di Boss e di Balint), M. Sapir e B. Luban - Plozza, anche questi allievi di Balint, E. Gilliéron e poi gli italiani M. Biondi e P. Pancheri, F. Antonelli. M. Biondi, di formazione cognitivo e comportamentale, ha pubblicato molte ricerche e testi sulla ormai acquisita “unione” tra la mente e il corpo, sviluppando tecniche psicoterapeutiche specifiche in questo campo (ricerche sul distress e sistema immunitario, tecniche di visualizzazioni guidate). Altri Autori, come i francesi P. Marty e M. de M’Uzan, hanno approfondito molte ricerche teorico - cliniche sul “pensiero operatorio” e, indipendentemente, P. Sifneos per gli studi sull’alessitimia (difficoltà ad esprimere con parole le proprie emozioni), mentre la scuola tedesca con A. Mitscherlich, G. Ammon, J. Cremerius ha studiato nella pratica clinica di stampo psicoanalitico gli stretti rapporti tra la psiche, il corpo, il contesto e la psicoterapia per i pazienti psicosomatici. Mi sembra che in questa breve frase di M. Balint si può sintetizzare l’atteggiamento psicosomatico più positivo e più funzionale, al di là delle diverse posizioni che abbiamo appena ricordato: “Ascolta il tuo paziente, ti dirà la sua malattia” (1960). Contemporaneamente a questa attenzione non possiamo sottovalutare i vantaggi primari (come “pseudoequilibrio” psichico e/o somatico) e i vantaggi secondari dei sintomi (regressione, possibilità di tenere i legami con parenti o amici, ricatti a diversi livelli, “stare a letto”, proprio per riposare, specialmente per quegli individui che non lo farebbero mai) e il loro significato nella relazione dinamica interpersonale. Teniamo pure presente che il sintomo, o i sintomi, hanno un diverso valore: 1. simbolico di linguaggio d’organo; 2. espressività soggettiva; 3. sostituzione; 4. Vantaggio (primario e secondario); 5. difesa; 6. offerta e richiesta.

L’approccio psicosomatico
Per quel che riguarda l’integrazione e l’unione tra mente e corpo, in questo breve paragrafo, si sottolinea che l’atteggiamento terapeutico dell’operatore, dallo psichiatra allo psicologo, dal medico allo psicoterapeuta e agli educatori professionali tutti quelli che svolgono una pratica relazionale con l’utente e al di là del sintomo, non può essere né riduttivo, né caratterizzato soltanto pur dal rilevante aspetto tecnico della riabilitazione (nel caso dell’intervento psichiatrico penso alla valorizzazione del Sé, dell’attenzione, della logica e del ragionamento, della narrazione, dell’integrazione dell’Io). L’approccio psicosomatico, con qualsiasi tipo di paziente si instauri e in qualsiasi forma specifica di intervento esso si manifesti, è essenzialmente basato sulla relazione interpersonale, a pù livelli: dalla terapia rieducativa del paziente psichiatrico al training autogeno, dalla ristrutturazione cognitiva alle narrazioni psicoemotive, naturalmente, fino all’analisi dei sogni laddove vengono usati in senso psicoterapeutico e/o psicoanalitico. Scrive M. Sapir: “Questa dimensione relazionale, capace d’influenzare il corso della malattia, solo da poco ha un valore scientifico” (1985). Sappiamo che i disturbi psicosomatici sono “mescolati” e mascherati rispetto a manifestazioni emotive o addirittura a stati isterici o deliranti senza che ne risulti una specificità particolare. Il problema, allora, sorge anche nell’approccio diagnostico dei primi colloqui, focalizzati, sul valore dinamico della conoscenza della personalità del paziente: dobbiamo sapere se abbiamo a che fare, appunto, con una personalità con una struttura nevrotica o psicosomatica, borderline o con una struttura psicotica. Dobbiamo sapere quale valore ha il richiamo del corpo: nelle forme di bulimia e di anoressia, per esempio ( Agresta F., 2002). Dobbiamo sapere se il paziente psicosomatico è disposto a “lasciare” i suoi sintomi, se è disposto ad andare al di là del sintomo e coglierne i diversi valori, sincronici e simbolici (Jung C. G., 1976, pag. 506). Voglio sottolineare soltanto che il legame fra psiche e soma deve al concetto di sincronicità (e quindi alla simultaneità e al senso) il superamento della antinomia: infatti, un discorso sul metodo psicosomatico, come quello da me proposto e più in avanti spiegato, permette di saltare il nesso causale per evitare di ritrovarsi sempre di fronte al solito dilemma, come sottolinea R. Morelli, ”che divide la modalità di approccio e gli operatori, mettendoli o dalla parte del corpo o dalla parte dello psichico” (1988). Scrive Jung:” Il principio causale ci dice che la relazione tra causa ed effetto è una relazione necessaria. Il principio di sincronicità afferma che i termini di una coincidenza significativa sono legati da un rapporto di contemporaneità e dal senso...”. Jung - che non si era addentrato sul piano clinico delle malattie organiche, negli ultimi anni del suo lavoro si è dedicato alla “metafisica” del rapporto psiche - soma, egli afferma:” Il rapporto della psiche con il corpo non andrebbe considerato sotto questo punto di vista? O anche: il coordinamento dei processi psichici e di quelli fisici nell’essere vivente non andrebbe inteso come fenomeno sincronistico, anziché come una relazione causale? “ ( Jung C. G., 1976, pag.524).
Scrive R. Morelli:” Il discorso vale quanto mai in psicosomatica e nello studio clinico. L’evento psicosomatico appare quindi come un “fatto unico” non già nei processi “razionali - causali” (quelli dell’IO), legati agli emisferi cerebrali, quanto piuttosto nello spazio transcerebrale (in primis il mondo ipotalamico e le vie vegetative), laddove una immagine, un suono, un’emozione “coesistono” con il dato bioelettrico e biochimico”(cit., 1988). Da questo concetto della sincronicità in una psicoterapia basata sul simbolismo, per esempio, la parola “utero”, “mestruazioni”, “cose sporche”, “borsa” appartengono ad uno stesso significato: In questo senso troviamo il simbolismo analitico che l’utero “ piange” con le sue mestruazioni Come vedremo, l’”intestino” contiene le “cose sporche” e il “sangue” nel sogno fuoriesce “sincronicamente” anche nell’intestino di un paziente con rettocolite ulcerosa.
Continuando il discorso sul corpo e sulle somatizzazioni multiple sappiamo ormai che nei pazienti alessitimici il lavoro di rilassamento corporeo di senso analitico può essere un altro aspetto del significato “psicosomatico” della relazione. Naturalmente, non parliamo solo di suggestione. Specialmente con i ragazzi, quando non esiste uno scambio verbale, quando c’è una ferità “dentro” il corpo, una psicoterapia solo verbale difficilmente avrà successo. La preparazione ad una psicoterapia analitica che non nega il corpo avrà successo. Come vedremo, il rilassamento analitico assume una funzione psicoterapetuica che sta, che è, prima della parola e che induce la formazione di fantasmi, che stimola il ricordo dei sogni, senza i quali non è possibile trovare quell’”unione” tra mente e corpo, come stiamo studiando in alcune forme di asma infantile e di diabete adiolescenziale( Agresta F., 2001; 2002). Il “corpo a corpo” non è una relazione asettica o asimmetrica o totalmente suggestiva: è una relazione emozionale, fantasmatica e immaginaria che si soggettivizza prima come relazione tra due individui, al di là dei rispettivi ruoli di paziente e terapeuta. Il corpo a corpo, come accade nel rilassamento analitico, è una relazione dinamica piena di emozioni che vivono e circolano nella mente “reciproca ” di due individui, nell’immaginario di coppia e di gruppo: uno, il terapeuta, l’altro il paziente, ma sempre due persone (chiusi in una stanza) che parlano; il primo, attraverso il sintomo (i sintomi), il secondo, rimandando all’attenzione dell’interlocutore - paziente l’allargamento del significato del sintomo attraverso una interpretazione che tenga conto della relazione che passa durante l’incontro stesso (Di Donato R., 2001). Questa può essere intesa come una “visione complessa” della malattia chiamata uomo ormai integrata sia negli aspetti del “corpo” che in quelli nella mente. Così il corpo (messaggio del corpo) non è soltanto sensazione (corpo- sensazione) o funzione (corpo- funzione) ma, nella storia dell’uomo e della sua evoluzione, è anche significato (corpo - significato, Minkowski) e relazione (corpo - relazione, De Ajuriaguerra; Sapir), e ancora espressione, rapporto e comunicazione di vissuti consci e inconsci (desideri e immaginario di Sapir), e, non ultimo, come “aggressività nel corpo a corpo Medico - Paziente” (Di Donato R., 1987; 2001), mente - corpo “guidato” (visualizzazioni guidate di Widmann C.; Agresta F.). Allora, quando la richiesta d’aiuto è di tipo “specialistico” o massivamente sintomatico, come si dispone lo psicoterapeuta (medico o psicologo) di fronte ad una situazione in cui il paziente è già passato per le mani di più specialisti? Spesso i pazienti hanno effettuato tutti gli esami clinici e le varie terapie possibili, anche i più invasivi, qualche volta sottoponendosi a delle vere e proprie torture, nel tentativo di scacciare da sé ed oggettivare il malanno, o sintomo, che li affligge. Sono spesso perseguitati dai propri sintomi che vengono vissuti come qualcosa di inspiegabilmente punitivo ed inevitabile e, purtuttavia, estremamente doloroso e limitante della propria libertà d’azione e di pensiero (mi riferisco ad alcune patologie psicosomatiche, per es. ulcere, asma, e a forme gravi di nevrosi fobico - ossessive dei ragazzi in cui il corpo è pesantemente coinvolto, negato, “sporcato” e dove la farmacologia può soltanto “tamponare” il sintomo( Onnis L., 2001; Agresta F., 2002)
Al contrario, nella visione olistica e dinamica della relazione l’unico atteggiamento possibile dello psicologo e dello psicoterapeuta è quello di ascoltare attentamente e di partecipare empaticamente al loro disagio, ai sintomi e ai conflitti sottostanti, cercando di spostare pian piano la loro attenzione (descrizione) ansiosa dai sintomi ai vissuti ed in particolare, dal “lì e allora” al “qui e ora” nel rapporto che si può stabilire col terapeuta: un rapporto che è lo specchio delle difficoltà che essi ritrovano nell’ambiente da cui provengono e molto probabilmente è il motivo e la prova delle loro difficoltà psicologiche. Sotto il sintomo c’è la possibilità di ascoltare l’altro: lasciarlo parlare, essere disponibili ad aiutare il paziente affinché possa esprimere i propri vissuti o ciò che non riesce ancora a dire con le parole e che comunica principalmente e storicamente col corpo. Con questo assunto l’intervento terapeutico si sposta dal sintomo (sintomi) alla relazione e, nel caso di tecniche corporee, la relazione é tra “corpo a corpo”, tra corpo reale e corpo immaginario, laddove il corpo a corpo favorisce anche l’emersione dell’inconscio, con vissuti, fantasmi, fantasie e sogni. Proprio quelli che gli alessitimici e gli psicosomatici non riescono a ricordare.
J. Cremerius scrive: “Solo quando si entra nel rapporto si partecipa con la propria vita, solo allora si può veramente capire e il rapporto oggettivo diventa dialettico e terapeutico al tempo stesso” (1981). Colui che ha focalizzato meglio di ogni altro ciò che si può prendere dalla “psicosomatica” è M. Balint, il quale sostiene che il medico, prima di fare una “diagnosi più profonda, debba imparare ad ascoltare: “Quella di ascoltare è un’abilità nuova, che esige una modificazione notevole seppur parziale della personalità del medico”(1960). Balint raccomandava ai medici - oggi lo facciamo anche con gli psicologi - di non fare troppe domande tipo anamnesi medica ai pazienti: ottengono sempre e solo risposte, e nient’altro! Il terapeuta deve porsi quella domanda standard che dice: “Che cosa cerca di trasmettermi il paziente col suo sintomo”? Il problema della interazione nella relazione transfert - controtransfert negata da Freud e valorizzata per primo da S. Ferenczi e, poi da Balint, oggi entra anche nelle altre forme di terapia. A proposito del “Senso e del Significato della Malattia”, che era il tema del XVII Congresso della Società Italiana di Medicina Psicosomatica M. Reda conclude: “Ci si chiede quanto questo tipo di ricerche, che postulano lo studio dei collegamenti fra significati verbali e implicazioni corporee, possano interessare la componente immaginativa e quella emotivo - sensoriale in modo da poter sviluppare un modello complesso della psicosomatica che tenga appunto conto del “senso” inteso come modo differenziato di sentire i segnali corporei e del “significato” inteso come modo di parlarne a se stessi e agli altri acquisendo informazioni e conoscenze più o meno coerenti col proprio senso di identità personale” (Atti, 1999). La metodica dei Gruppi Balint prende corpo da queste osservazioni e si presenta come una forma originale per “imparare a relazionarsi” col corpo e con la mente insieme, senza una scissione tra colui che sa e colui che deve imparare. Il significato del senso della relazione mente - corpo, nel sintomo e nel gruppo, riappare nella speriementazione del gruppo Balint. K. Rohr, allievo di Balint, scrive: “Il punto focale del lavoro nei Gruppi Balint è il rapporto tra medico e paziente, fortemente influenzato dalle emozioni. Le nostre emozioni sono soprattutto risposte a messaggi non verbali dei pazienti, rilevamenti importanti che ci comunicano molto circa il paziente e il suo essere malato. Ogni medico è consapevole di reagire con emozioni e stati d’animo diversi nei confronti dei pazienti. Ci si rallegra di uno, ci si preoccupa di un altro, con un altro ancora ci si adira e si desidera dare conforto ad un quarto. Se impariamo a non considerare in queste emozioni le reazioni di transfert di disturbo, bensì le valutiamo come risultati e comunicazioni del paziente dei suoi bisogni più inconsci, entreremo in un dialogo completamente nuovo. Quindi, il paziente non sarà più un portatore di sintomi da rimuovere, bensì sarà un partner con il quale comunicare a livello totale. A livello diagnostico e terapeutico il rapporto sarà nuovo e ricco di prospettive” (Rohr K., 2001).

Modello dinamico - psicosomatico
L’atteggiamento di tipo “dinamico - psicosomatico” nell’intervento terapeutico condivide un assioma ormai ineludibile: alla base di qualsiasi intervento terapeutico passa un tipo di rapporto emozionale di natura globale che investe contemporaneamente due o più persone a più livelli (cinque livelli: verbale, non verbale, corporeo, analogico/ metaforico / simbolico, e onirico). Questo modello, da me creato, non è uno schema rigido e universale, ma è un progetto di allineamento relazionale e di ascolto nella dinamica di tutte le relazioni umane. Non più due o un livello, ma quattro livelli nelle situazioni relazionali e interpersonali (coscienti), e cinque, nella relazione terapeutica (perché è inserita la comunicazione onirica). Gli sviluppi di tale metodologia riguardano le coppie, le famiglie e i gruppi di persone ( Agresta F., 1997; 2000; 2001):




Fig. 1 - F. Agresta: Modello dinamico-psicosomatico, visto nello schema teorico dei Sistemi Complessi in Malattie Psicosomatiche e Psicoterapia Analitica, 1997

Il modello dinamico psicosomatico - qui riportato solo nel modello per l’individuo; immaginando che questa figura si riferisca ad un soggetto, possiamo rapportare due triangoli per avere l’idea di una coppia, più triangoli per immaginare una famiglia e ancora più triangoli per immaginare i membri di un gruppo - vedi: Agresta Fig. A; 1997 - rappresenta una visualizzazione globale e una applicazione pratica della teoria dei “Sistemi Complessi”, entro la quale si costituisce come una proposta del tutto originale. In particolare, secondo la Teoria dei “Sistemi Complessi” (L. von Bertalanffy, I. Prigogine, I. Steingers) alla base del reale non ci sarebbero delle sostanze di per sé esistenti e definibili, intese quindi come un permanere di qualità e di strutture di fondo, ma ci sarebbero delle relazioni organizzative nella loro processualità. In altre parole, la nozione di oggetto è sostituita da quella di sistema. Scrive von Bertalanffy: “Un sistema può essere definito come un insieme di elementi interagenti” (1983). Ho sviluppato questo apporto teorico - clinico nel volume “ Malattie Psicosomatiche e Psicoterapia Analitica (1997) e la “relazione” sostituisce la nozione di oggetto. Questo aspetto, iniziato da Balint e dai teorici delle relazioni d’oggetto (Winnicott, Fairbain), è diventato il ”laboratorio”clinico e psicoterapeutico in cui, come cercherò ancora di dimostrare, è possibile osservare l’”unione mente- corpo” attraverso i livelli di integrazione ( secondo la teoria dei livelli multipli di realtà di K. Lorenz e in accordo con la Teoria dei sistemi complessi).
Le interazioni tra i cinque livelli (Fig.1) vengono, quindi, considerate alla luce della Teoria dei Sistemi Complessi con una visione epistemologica della complessità della malattia psicosomatica. Di conseguenza, questo tipo di terapia dinamica psicosomatica si specifica sia nel lavoro di interpretazione dei nessi tra i vari livelli ( sintomi, parole, lapsus, metafore, linguaggio analogico, sogni), sia nell’analisi psicodinamica dei rapporti interpersonali nella coppia, nella famiglia e nel gruppo (TAB A: Agresta, 1997) laddove uno o più membri presentano turbe psicosomatiche (senza lesioni, cioè disturbi funzionali, come emicranie, coliti, lombalgie, somatizzazioni multiple) e malattie psicosomatiche (con lesioni, come ulcera, asma, gastroduodenite, colite ulcerosa ed emorragica, diabete, ipertensione essenziale, neurodermatiti) od altre “malattie” del corpo organizzate in senso più “perverso” come l’anoressia e la bulimia grave. In questo modello è inserito come struttura di base l’approccio teorico - clinico denominato “appoggio oggettuale” di Gilliéron che considera l’apparato psichico legato sia all’aspetto biologico che a quello ambientale (Fig.1). Il mio apporto si enuclea nel lavoro analitico sul setting e sui legami tra l’intraspichico e l’interpersonale, da una parte, e quelli infrastrutturali per ogni individuo, dall’altra (analisi dei cinque livelli considerati alla luce dei “livelli multipli di realtà di K. Lorenz). Il vantaggio di questa interpretazione cpmplessa e globale della relazione analitica è che la psicoterapia può iniziare da un qualsiasi punto di partenza della richiesta di aiuto, tenendo conto, però, del significato oggettivo e dinamico dei cinque livelli di comunicazione, sia degli aspetti interpersonali che a volte nascondono i disturbi del corpo, sia delle richieste sintomatiche stesse. Da qui inizia il processo di mentalizzazione (che è in rapporto alla desomatizzazione): esso è inteso come il precipuo lavoro di interpretazione simbolica, analogica, e onirica (4° e 5° livello) che parte dall’analisi dei livelli conflittuali del mondo dei fantasmi originari somatizzati nel corpo e delle relazioni tra i corpi fino ad arrivare ad “cambiamento intrapsichico” con “nuove rappresentazioni” individuali, di coppia, di gruppo. Le “nuove rappresentazioni psichiche”(Agresta F., 1997) favoriscono sia la diminuzione del senso di colpa inconscio, sia quelli dei vissuti edipici e pre - edipici. Più sogni, più desomatizzazione: il processo di mentalizzazione porta l’individuo ( il gruppo) ad un distacco dei conflitti e delle angosce dal corpo “malato” verso la mente e le nuove “sovrastrutture psichiche dell’immaginario”(Agresta F.,1997) si evidenziano nei sogni; di conseguenza, anche le relazioni interpersonali e il carattere subiscono un cambiamento. Le nuove sovrastrutture psichiche sono analizzate in qualsiasi tipo di terapia (dall’individuo al gruppo) e l’originalità di questo modello permette di intraprendere un lavoro psicodinamico psicosomatico a tutti i livelli considerandola alla luce dell’unità psicosomatica dell’uomo. In questi contesti e in questo setting ( laboratorio sperimentale) si vanifica ogni eventuale visione solo psichica o solo corporea dell’individuo, ovvero solo sintomatica e solo relazionale della richiesta d’aiuto. Questo approccio rappresenta la sintesi tra la psicoanalisi e la terapia sistemico - relazionale indirizzata ai disturbi e alle malattie psicosomatiche anche nelle psicoterapie analitiche brevi.
Nella relazione terapeutica, fenomenologicamente, una delle due persone chiede aiuto all’altra: una, il paziente, è più “malata” dell’altra, ma ciò non toglie che due individui con il rispettivo bagaglio culturale ed emozionale irripetibile stanno giocando una partita “vera e falsa”, allo stesso tempo, sicuramente molto importante. Nell’ambito strettamento psicoterapeutico il “nesso” di cui i filosofi, i neurofisiologi e gli sperimentatori vari vanno alla ricerca è quel “quid” che “lega” la mente con il corpo. Sappiamo che potremmo fare una lunga lista di nomi, specialmente quelli più vicino a noi che si sono cimentati in questa ricerca, sia nell’area dualista, sia in quella monista (comportamentismo, identitismo, il contributo di Köhler); nella prima abbiamo il già citato Cartesio, poi i moderni K. Popper, R.W. Sperry. G. B. Vicario riporta altri due nomi prestigiosi, uno R. Jackendoff, l’altro, J. Eccles, premio Nobel per la fisiologia (1963) per i suoi studi sulle “membrane neuronali”, già frequentatore degli Incontri Balint ad Ascona (è lì che lo abbiamo conosciuto, insieme con E. Fromm, poi, con Rohr e Gilliéron). Eccles, nel suo ultimo libro Come l’Io controlla il suo Cervello afferma che dietro, anzi, sopra il cervello c’è la mente, il mondo dell’Io. Vicario scrive che, secondo i quattro punti riguardo al problema universale mente - corpo e che sinteticamente esprimono le quattro angolazioni di studio di questo problema e che lo stesso ha sviluppato nel II cap.,“essi (i quattro punti) danno per scontato che tra mente e corpo esistano una diversità e una distanza incolmabili, che vanno innanzitutto dimostrate. E’ vero che certi fatti appaiono chiaramente come mentali, e non assimilabili a certi altri fatti, che chiamiamo fisiologici o fisici, ma questo non significa che, osservando bene ciò che accade intorno a noi, non si possono trovare fatti che siano a metà strada tra gli uni e gli altri”. Vicario riporta le esperienze dei biologi i quali “nel tentativo di colmare il fossato che divide la materia inanimata da quella vivente, [risulta] abbiano trovato nelle argille le avvisaglie del meccanismo della riproduzione ( Dawkins,1988)”. Continua Vicario: “Mi rendo perfettamente conto che può apparire risibile il tentativo di dividere una distanza “infinita”, come quella tra mente e corpo, in due o più distanze che siano viceversa colmabili, andando alla ricerca di supposti fenomeni di status intermedio tra processi mentali e processi neurali [...] Ma a ben guardare è questo il senso delle operazioni di Jackendoff e di Eccles. Il primo ha messo in mezzo la “mente computazionale”, e il secondo i suoi “psiconi” (una variante di “neuroni”) ( Vicario G.B.,Il problema mente corpo in, Psicologia generale. I fondamenti, pag.68, 2001). Eccles sostiene di aver trovato, in taluni fenomeni occorrenti nelle sinapsi, il luogo e il modo dell’interazione tra mente e corpo( Ibidem, pag.52). Vicario sostiene la tesi che i due termini di cui sopra, non siano altro una etichetta di realtà che non conosciamo o mal comprendiamo, “ma secondo me - egli continua - indicano una via per mettere definitivamente la questione mente - corpo tra i falsi problemi [...] l’esistenza di qualcosa che chiamiamo mente, e l’esistenza di qualcosa che chiamiamo corpo, non può escludere l’esistenza di processi intermedi che segnino il passaggio tra l’uno e l’altra” (Ibidem, pag. 52).
Se spostiamo la nostra visuale nella sperimentazione clinica osserviamo che nelle malattie psicosomatiche e in quelle più gravi, come il cancro - in cui si presuppone uno strettissimo legame tra l’asse ipotalamico - ipofisi - surrenalico e le altre parti del corpo come scrive il noto oncologo e biochimico M. Bizzarri (La mente e il cancro, 1999), la dicotomia di derivazione cartesiana tra mente e corpo salta direttamente agli occhi come una concezione obsoleta e, paradossalmente, antiscientifica. Scrive Bizzarri: “ [...] una volta dimostrata la stretta interconnessione esistente tra gli apparati endocrino, immunitario e il sistema nervoso, bisognerebbe dimostrare come anche uno stato mentale, i contenuti dei pensieri, le emozioni e quanto fa insomma parte di quel complesso teatro che è la nostra coscienza, possano, volontariamente e involontariamente, influenzare la risposta immunitaria” (cit., pag.112). “La capacità del sistema immunitario di distinguere tra ciò che è proprio dell’organismo (il self) e ciò che gli è estraneo (non self) fa sì che attraverso il riconoscimento antigenico esso possa percepire un’immagine interna del corpo e reagire a eventuali distorsioni di questa; parimenti, è attraverso la “presentazione” appropriata dei diversi antigeni che entra in rapporto con il mondo esterno e discrimina tra ciò che può essere e ciò che non è pericoloso per la propria omeostasi. Questa funzione ne fa propriamente un organo sensoriale, capace di trasmettere e ricevere informazioni, contribuendo così ad ampliare le capacità di conoscenza dell’organismo e concorrendo a definirne l’dentità biologica” (1999, cit., 117). A questo punto, secondo la mia esperienza e i miei lavori, ritengo (e non solo io) che lo strumento psicoterapeutico per eccellenza, come in una situazione di laboratorio, nell’esperiemento continuo nelle terapie individuali, di coppia, di famiglia e di gruppo, sia il sogno. Il sogno, in accordo con le mie riflessioni teorico - cliniche del modello dinamico - psicosomatico, è il “trait d’union” tra l’area della “mente” e l’area del “corpo”. M. Mancia, neurofisiologo e psicoanalista, sostiene la tesi dello “spazio del sogno”(1987) che è intrecciato con il transfert e che, con l’aiuto della memoria può fare da collegamento tra diversi livelli di realtà, cioè il mondo interno e il mondo esterno, il passato e il presente, nella parte privata soggettiva e in quella condivisa con gli altri (Agresta F., 2002). Svilupperò questo aspetto nella seconda parte di questo artcolo.

I sogni in due casi clinici
I due casi qu, sinteticamente presentati sono trattati con due tecniche complementari: 1.Rilassamento analitico e psicoterapia verbale: partendo da una via non verbale e somatica (2° e 3° livello del mio modello per arrivare al 4° e al 5°); 2. per via analitica verbale, con possibilità di associare un’ esperienza “sul corpo” partendo dal 4° e 5° livello. Si pensa di integrare, nel caso dell’adulto, con una terapia corporea di rilassamento con un altro collega per evitare eventuali problemi controtransferali che potrebbero sorgere, a differenza che con i bambini e con gli adolescenti.Questa strategia di raccordo mente - corpo” può essere utile specialmente in casi di ricadute, come nel secondo caso presentato.

Caso clinico. Alberto, un ragazzo di 15 anni affetto da rettocolite emorragica, dopo vari ricoveri e trattamenti farmacologici, senza risultati concreti, mi viene inviato da un collega dietro indicazione del suo Pediatra. Alberto è la fotografia dell’alessitimico. Senza emozioni, senza sogni, senza fantasia; nei suoi disegni e nei colloqui viene fuori proprio il suo “pensiero operatorio”: disegni quasi in trasparenza con un tratto leggero e “anonimo”, senza forza; essi sono delimitati solo dai confini grafici con un vuoto dentro, tipizzazione della “relazione bianca”. Ai test psicodiagnostici ci sono state risposte forti e inconsce di gelosia e di aggressività distruttiva nei confronti del fratello (immagini di fratricidio) e di gelosia molto forte nei confronti della figura materna; manca il confronto con l’autorità paterna (complessi di castrazione; in realtà il padre è una figura buona). Tutto il suo mondo ineriore è completamente negato, rimosso e somatizzato. Data questa situazione, a parte la collaborazione dei genitori che vengono seguiti con dei colloqui dal mio collega, inizio col ragazzo una psicoterapia analitica di rilassamento corporeo anche perché Alberto è teso, impaurito, non dorme bene da più di un anno per i vari ricoveri ospedalieri. Dopo un mese Alberto è più rilassato, tranquillo, anche se, nei giorni precedenti l’uscita dei risultati scolastici (pensava di essere respinto) ha avuto una nuova perdita di sangue. Dopo due mesi di rilassamento analitico Alberto ha cominciato a”ricordare” sprazzi di sogni e dopo il colloquio con la famiglia c’è stata una seduta molto importante in cui ha portato tre sogni, di cui uno molto significativo e interessante. Ecco il sogno: “Ho sognato che andavo al bagno, mi guardavo allo specchio e avevo i capelli lunghi ed erano bagnati; come me li asciugavo col fono diventavano rasati; poi, come me li bagnavo di nuovo, diventavano lunghi”. Abbiamo parlato sia della stretta connessione tra la pelle, l’intestino e il sistema nervoso che nascono dallo stesso foglietto embrionale. Poi, del significato dinamico e simbolico del bambino che si guarda allo specchio per farsi ammirare dalla madre; abbiamo parlato del significato dinamico e simbolico dei capelli (i pensieri, il capello come simbolo del “pene”); quindi il problema della castrazione e della ri - nascita. L’acqua che fa ricrescere i capelli, mentre nell’intestino i villi intestinali vengono “rasati” dal sangue, e così via. E’ la prima volta, dopo tre mesi di terapia, che Alberto si apre così tanto e mi segue in questi passaggi: è interessato a questo tipo di linguaggio nuovo che si avvicina al significato psicodinamico della sua malattia impregnata sul corpo ma originata nella sua mente. E’ tranquillo, anche perché tutti i giorni deve fare bene il rilassamento a casa, come dei compiti e si sente impegnato rispetto all’inizio, quando era un po’ abbattuto. In questo caso il metodo, dalla suggestione all’immaginario e quindi al sogno, ripropone lo stesso modello dinamico - psicosomatico. Partiamo dal corpo e dalla parola per attraversare il quarto livello e, quindi, il quinto, quello dei sogni che riconducono al corpo. Alberto racconta, poi, altri due sogni, che vogliono esprimere l’aggresività che non viene più somatizzata. C’è un primo attacco al codice paterno, un confronto col Super - Io non ancora vissuto a livello inconscio, come confronto tra le sue parti “peccaminose” (leggi il legame profondo e “incestuoso” con la figura materna, ma molto rimosso e con relativi forti sensi di colpa) e la realtà analitica. “Ho litigato con un mio amico che ha un anno meno di me, facevamo a cazzotti con la madre e il padre. Poi, ci siamo attaccati con i suoi genitori e anche i miei amici mi hanno difeso contro i suoi genitori” (aggressività, mentalizzazione, e somatizzazione: ha avuto mal di pancia, senza perdite di sangue, questa volta). Altro sogno. “C’è una discesa ripida, c’è l’auto di una persona che sta in mezzo alla strada. Il vigile mi fa uno sguardo brutto. Io andavo col motorino e il casco, che era ben allacciato, ma se n’è volato e la ruota di dietro se ne è scivolata e il motorino è caduto per terra e io appresso a lui. Al vigile se n’è volato il cappello. E’ quello del mio paese, me lo sogno col viso brutto”. Adesso si sente meno in colpa nei confronti del padre (e del fratello) verso i quali può confrontarsi con meno paure: riesce ad “aggredirli” con più naturalezza e trasparenza: senza somatizzazioni per sensi di colpa. Seguiranno altri sogni che approfondiscono questo canale psicodinamico. Dopo cinque mesi la situazione è migliorata. Agli esami medici la sua ulcerazione non risulta più. Alberto va a scuola, va meglio, dorme tanto, “è veramente più tranquillo, noi siamo contenti” affermano i genitori. Questi sogni rappresentano un buon inizio di mentalizzazione con marcata desomatizzazione.
Caso clinico. Gianni
, un ragazzo di 28 anni, di professione avvocato praticante, è affetto da rettocolite emorragica ed è in analisi di gruppo. Accade che ad ogni situazione esterna di stress - somatizza e, contemporaneamente, i suoi sogni “toccano” i significati più simbolici che riguardano la sua malattia. Per due anni non aveva avuto problemi, era senza cure, in accordo con i medici. Evidenzierò questo percorso di un mese di terapia, durante la crisi e poi nella ricaduta dopo due anni (importante è il sogno di “Gesù Cristo”, il “suo” personaggio che apparirà nell’ultimo sogno, prima dell’esame di Stato per l’iscrizione all’Albo). Primo sogno nella prima seduta del mese. “Una padella per fare la pasta prende fuoco perché c’é dell’alcool; la spengo scottandomi una mano, poi porto questa pentola per fare delle analisi. Queste consistono nel far esaminare l’acidità del sangue; il sangue viene preso da una mia ferita su un dito da dove il sangue esce nero come l’inchiostro. La ferita da cui esce il sangue nero è una ferita vecchia come le ferite cicatrizzate che si vedono nei reduci di guerra. L’esame si svolge in mezzo al mare, dove vi sono mia madre, mio padre ed io. L’esaminatore è mio padre che assaggia il sangue nero con la bocca e lo trova molto acido. Io gli dico che forse era acido per via dell’alcool della padella e del suo fuoco”. Sintesi dei commenti nel gruppo. La padella può avere dei riferimenti alla sua ulcera rettale, che scotta e brucia. La scena dell’analisi del sangue può essere un controllo da parte del padre sempre invadente. Domanda: “Il sangue è puro e non incestuoso?” - si chiede una ragazza. La scena del mare può rappresentare il raffreddamento, dove la padella (ferita ulcerosa) può per il momento raffreddarsi nel mare (materno). Altra ipotesi: può riferirsi ad un desiderio perverso di inserire lo sperma (sangue) del dito (pene) nella bocca del padre, il tutto forse desiderato per nascondere una paura ancora più arcaica di temere una violenza subita da un padre persecutore (Terapeuta che sta “indagando”?). Secondo sogno: “Eravamo io e la mia ragazza insieme a Giuseppe e la sua ragazza: erano molto invadenti”. Terzo sogno: “Dovevo fare l’esame del retto, i medici mi dicono che dovrò anche rivitalizzare (nel senso che era morto) tutto il colon. Mi sposto a Firenze ed incontro una ragazza morta e insieme con lei c’erano altri morti: questi erano in un piano superiore. Questi morti si confondevano con i vivi ed alla fine mi chiedevo “ma si morirà alla fine?”. RIFERIMENTI REALI: “ Giuseppe è il mio compagno che mandai via dalla casa di Firenze dove studiavo. La goccia che fece traboccare il vaso, in quanto con lui era da tempo che non andavo d’accordo per vari motivi, fu che gli lascai la casa perché era con la sua ragazza, ma quando ritornai la casa era in condizioni disastrose. Lo presi come un affronto e una seria mancanza di rispetto nei miei confronti. Dopo la lite incominciai ad avere i primi segni di diarrea sanguinante. Adesso dopo quasi due anni siamo ritornati amici e lui si comporta con me molto meglio”. Interpretazione del sogno nel gruppo. Ci sono molti fantasmi di morte da eliminare, da affrontare ed essi risiedono nella testa di G. che li deve “evacuare” per stare meglio (scaricare in basso: colon, ano; scaricare in alto: testa, pensieri, sogni inizio processo di mentalizzazione).
Seconda seduta. Terzo sogno. “Ero a piazza Salotto e c’era un orchestra che stava suonando. Un signore dell’orchestra mi indica una persona. Questa persona era uno zingaro che voleva uccidere qualcuno. Ho paura, non so che fare. Alcuni zingari incominciano ad inseguire il mio amico Roberto che corre, si dispera e, alla fine, riesce a salire su un camper dove c’ero io con altre persone. Comunque, lo zingaro riesce ad entrare e dà uno schiaffo a Roberto, ma mi accorgo che non era più lui ma era Giuseppe, l’altro mio amico. Solo una donna riesce a domare questo zingaro facendolo ritornare bambino. Impaurito da questa donna lo zingarello va via”. Commenti. “Ho dei ricordi molto confusi su questo sogno, forse lo zingaro sono io di tanto tempo fa”. Il gruppo lavora sulle dinamiche relazionali tra i componenti dell’”orchestra” di gruppo: l’aggressività di Gianni è indirizzata verso di sé, verso le sue parti vecchie, impersonate dai suoi due più stretti amici. Quarto sogno. “Un padre giovane con il suo figlio neonato. Il neonato gli cade sui testicoli, lui si caccia il pene ed il bambino prima si avvicina ad esso con la bocca ma gli fa schifo e poi lo tocca con un dito”. Commenti del gruppo. Ritorna il tema della perversione e delle fantasie primordiali orali. “Il neonato è Gianni. Può essere un vissuto di violenza che ha nei confronti della figura paterna - afferma una ragzza; “E’ l’identificazione col pene - dito“, c’è un desiderio di un rapporto orale - afferma un’latra ragazza. “Ma anch’io nel sogno cerco il rapporto orale con lui, col Dottore (l’inverso del primo sogno)”- aggiunge Gianni.
Terza seduta. Quinto sogno: “Entro in un’osteria e Monica, la mia ragazza, resta fuori. Vado dal proprietario, un tipo molto losco, gli chiedo indicazioni per andare con una prostituta. Pago, ma lui non mi porta la prostituta. Ho una grande rabbia dentro di me, ma non riesco a dirgli niente perché ho paura di lui. Poi gli pago un pacchetto di sigarette, lui prende i soldi, fa finta di niente e, prendendomi anche in giro, non mi dà neanche le sigarette. Grandissima rabbia ma non riesco a reagire. RIFERIMENTI REALI. “La seduta prima non c’ero. Ero andato all’Università a fare l’esame complementare di Psicologia e Psicopatologia. Ho fatto un lapsus: mi sono studiato un libro di 700 pagine che non dovevo portare, forse perché volevo studiare me stesso e la mia infanzia”. Gruppo.“Il barman è il terapeuta che frustra i bisogni perversi e orali. L’aggressività repressa è canalizzata sul corpo ed è correlata alle ulcerazioni; “la via dello scarico di essa attraverso la via anale è vera, nel sogno di rabbia ce n’è veramente tanta”, aggiunge una paziente che soffriva di colon irritabile.
Sesto sogno. “Epoca degli antichi romani, alcune persone vengono sgozzate e c’era un’altra persona che, mentre si tagliava la testa, a metà del taglio lanciava rabbioso parolacce ai Romani”. Settimo sogno. “Vivo da solo a Silvi, ho paura di restare da solo. Decido di andare a correre, ma in quel momento arrivano Mattia e un suo amico che mi fanno perdere tempo e così non riesco ad andare a fare ginnastica. Vedo l’istante in cui c’è il trapasso tra la vita e la morte e capisco con molta angoscia che dalla morte non vi è più ritorno. Grande angoscia di morte nel sogno”. RIFERIMENTI REALI. “Mattia, a differenza di Giuseppe, non lo vedo più. Gruppo. ”La violenza, tema sempre nel suo pensiero, una violenza che data di antichità. Ritorna l’angoscia di morte, quella morte da cui si sta separando. La solitudine gli ricorda la morte, il distacco (Mattia).
Ottavo sogno.”Incomincio ad uscire con persone che conoscevo ma che non avevo mai frequentato. Giuseppe mi raccomanda di registrare a mezzanotte un film sadomaso. Il film si trasformerà in una partita del Milan. Il Milan perde questa partita e questa “PERDITA” mi fa vincere al calcio scommese una grossa somma di denaro da calcolare in miliardi di lire. Ritorno a casa per vedere la partita. Con me ci sono quei nuovi amici. Entro nel salone e ci sono mio padre, mio zio Antonio e mio cugino Fulvio. Non essendoci posto nel salone i miei nuovi amici si vanno a sistemare in cucina”.
Gruppo.”Le persone nuove sono il gruppo, come vede il gruppo con parti nuove di Sè. Le sue fantasie perverse sadomaso si trasformano in un gioco, “il calcio”. La perdita del Milan che si può metaforicamente riferire alle sue perdite di sangue ( rosso e nere), paradossalmente lo fanno vincere, quindi possono in un certo senso essere costruttive in quanto per rinascere bisogna toccare il fondo e trasformare “i simboli”. Nella seconda parte del sogno c’è il ritorno della sua coazione a ripetere e riporta di nuovo il gruppo dentro la sua famiglia reale (con - fusione tra”dentro e “fuori”)”.
Quarta seduta. Nono sogno. “Entro in un salone, vi sono un padre in un angolo in un lettino, e una madre su una poltrona. Con me vi è un gruppo di persone, riconosco fra questi, mio cugino Fulvio, la mia ragazza Monica. Vedo molte videocassette legate fra di loro, all’inizio ci sono films di De Niro, poi in ultimo il film di Annibal il “Cannibale”. Dalla poltrona del salone si alza Elisabetta, una conoscente della mia famiglia che mi si avvicina in sottoveste e alzandosi mi mostra quasi violentandomi la sua vagina. Era veramente un brutto spettacolo che mi suscita un senso di schifo”. Decimo sogno. “Entro in una casa dove vi sono mia cugina Amalia e suo marito Tullio, insieme con loro c’è mia cugina Elettra con il suo neonato. Prendo in braccio affetuosamente il neonato, assomiglia molto a me quando ero neonato”. Lavoro di gruppo. “ C’è una separazione dai genitori negando o meglio nascondendo il padre dietro un lettino e una madre sulla poltrona; c’è un regredire ad una fase preedipica. In questa fase non si riconosce ancora il padre e si è totalmente concentrati sulla figura materna. Quindi, questa Amalia può essere un fantasma materno molto invadente e vissuto con molta intrusione e violenza. La seconda scena può rappresentare un cambiamento della posizione di questo neonato violentato. Infatti, finalmente nasce da genitori più sani. Questi coniugi potrebbero essere persone che hanno fatto l’analisi col paziente. Tullio è andato via, Elettra è ancora con Gianni. Qualcuno fantastica questa loro unione e si chiede da dove nasce questo neonato che finalmente può essere gestito dal paziente stesso, che lo tiene letteralmente tra le sue braccia”. Aggiunge Gianni: “Questo neonato potrebbe essere anche la mia malattia che io dovevo curare come un neonato”.
Dopo questo periodo tutto procede bene per due anni: la sua ulcera non risulta più agli esami clinici. Adesso, però, sta per affrontare la fase più difficile della sua vita: l’esame che lo porta a lasciare la sua vecchia vita ( “sporca”, disordinata, ecc., almeno così l’ha vissuta) e prima di affrontare l’esame di Stato ha una brutta ricaduta, con nuove perdite di sangue. Racconta un sogno terribile e importante: “ Sono come Gesù Cristo in croce, c’è una lista di donne scritte su un foglio di carta. Ad ogni nome di donna corrisponde un chiodo che mi viene conficcato sulle mani, proprio come Cristo. Ed esce il sangue”. Questo sogno è oggetto di analisi nel gruppo. Nel gruppo c’è una donna cattolica osservante e ci sono solo donne. Si ricorda che, anni prima, le prime avventure di Alberto venivano ascoltate con risate, con sorrisi, come fantastiche avventure con donne libere, sposate, ragazze, una prostituta. “ Ma io ho già detto tutto” - afferma Alberto. Il terapeuta fa notare che prima di “morire crocifisso”, ci potrebbe essere la confessione... e la eventuale resurrezione... Alberto dice: “ ma io ho detto tutto, cosa deve dire?”. Dopo varie insistenza da parte di tutti egli comincia a raccontare le “vere” avventure, i suoi vissuti profondi avute con ragazze “ingannate”: chi era ubriaca, chi era incinta, chi era fuori di testa, chi vomitava e di tutte Alberto “approfittava”. I sensi di colpa vengono fuori. Cose sporche con donne non libere nella “mente”. Ora le donne non ridono, ascoltano e sono indecise se “perdonare” l’uomo “cattivo” che le aveva “ingannate”. Ora se Alberto farà l’avvocato, avrà una sua moralità, una sua etica e quindi non potrà più approfittare, ”sfruttare” le donne “malate”. Il sangue di Cristo nel sogno, il sangue nella realtà - dopo due anni dalle ultime “perdite” - la dicono lunga sui legami non ancora “osservabili” tra la mente e il corpo! E’ proprio in questo laboratorio che avviene la scoperta di una “corrispondenza tra il sangue mentalizzato e il sangue somatizzato. Alberto ricorda al gruppo che una volta, ancora studente, si era spacciato per avvocato con una prostituta: lei gli poneva quesiti professionali e lui rispondeva alle sue domane ed poi ebbe un rapporto sessuale “gratis”, perché non aveva soldi. Questa morte prima della resurrezione è una nuova “vita” e altamente emozionale nel gruppo. Alberto ha detto al gruppo che non era ancora pronto a “tagliare” con la vecchia vita nel senso che, se qualcuno gli avesse chiesto aiuto, sapeva che non poteva confondere i livelli tra professionalità e seduzione e viceversa ma, ha aggiunto: “ Ora non so, se voglio cambiare, se sono pronto, se ce la faccio”. Questo sogno è stato portato al gruppo una settimana prima che Alberto effettuasse l’esame di Stato. La sera della seduta del gruppo (la mattina G. avrebbe dovuto sostenere l’Esame) Gianni mi ha telefonato e mi ha detto che stava a letto con la febbre alta, e l’esame non lo aveva potuto sostenere. Mi è dispiaciuto molto, come pure ai membri del gruppo. Qualcuno ha detto: ”Forse non era ancora “risorto”; un altro: “non era ancora pronto?”. “ Ma la Resurrezione esiste” - è stato il commento di tutti!

L’UNITA’ MENTE - CORPO IN PSICOTERAPIA PSICOANALITICA. ESPERIENZE CLINICHE
Parte seconda


Come ho già premesso nella prima parte di questo lavoro, pubblicato nel numero precedente (Agresta F., L’unità mente - corpo in psicoterapia psicoanalitica(prima parte), N. Prospettive in Psicologia, maggio 2002, fasc. n. 27) e come ho ribadito in altri Congressi e Convegni (Agresta F., 2001; 2002; 2003), secondo la mia esperienza, ritengo (e non solo io) che lo strumento psicoterapeutico per eccellenza nei disturbi e nelle malattie psicosomatiche sia il sogno, ovvero il lavoro onirico “trattato”come in una situazione di laboratorio, nell’esperimento continuo nelle terapie individuali, di coppia, di famiglia e di gruppo. Non solo l’interpretazione del sogno. In accordo con le riflessioni teorico - cliniche del mio “modello dinamico - psicosomatico”, il lavoro analitico “complesso” viene esperito a cinque livelli di comunicazione cioè, verbale, non verbale, somatico, analogico, simbolico, metaforico e onirico (Agresta F., 1997; 2002; 2003). Naturalmente, il sogno è il “trait d’union” tra l’area della “mente” e l’area del “corpo”. M. Mancia, neurofisiologo e psicoanalista, sostiene la tesi dello “spazio del sogno”(1987) che è intrecciato con il transfert e che, con l’aiuto della memoria, può fare da collegamento tra diversi livelli di realtà, cioè tra il mondo interno e il mondo esterno, tra il passato e il presente, nella parte privata soggettiva e in quella condivisa con gli altri (Agresta F., 2002). Per prima cosa, vorrei occuparmi di una questione poco sviluppata nel campo della ricerca psicologica e nella psicoterapia di indirizzo psicodinamico, cioè il sogno “del corpo”, nelle varie situazioni cliniche: dall’individuale alla coppia, dal gruppo alla famiglia. E’ acquisito, ormai, che durante i sogni (che identifichiamo nelle fasi del sonno REM) si producano, allo stesso tempo e paradossalmente: a. uno o più scenari onirici saturo di immagini e di fantasmi emotivi; b. una situazione corporea molto particolare: movimenti oculari rapidi, calo di temperatura, battito cardiaco e pressione sanguigna irregolari, ipotonia muscolare, (talora) pene in erezione, irrorazione sanguigna del cervello in aumento; infine, modificazioni neurormonali. Questa complessa struttura paradossale (sonno paradosso o “REM”) dimostra in maniera assoluta che il mondo dei sogni media e costruisce una unione, la più sofisticata, tra soma e psiche, tra corpo e mente (Agresta F., 1986; 1988; 2001; 2002; Mancia M., 1994). Questo nel campo della ricerca neurofisiologica. Nello studio dello psicoanalista accade, non spesso, che i pazienti raccontano sogni in cui i corpi sono, o sono stati investiti, o toccati, in quel determinato sogno, in maniera non tanto e non solo “immaginifica” - cioè il paziente racconta che sogna un qualcosa che riguarda l’idea di un cambiamento nel o del suo corpo - quanto di una modificazione corporea reale che accade durante il sogno e nel corpo del paziente, al di là delle modificazioni del punto b. Il paziente, infatti, racconta, nel dialogo analitico, il sogno di cui è stato protagonista e “vittima” nel suo proprio corpo. Riguardo al corpo isterico e a quello psicosomatico (nel sottogruppo inseriamo la vasta area delle somatizzazioni, cioè tutte le forme di disturbi somatici senza lesione), molti Autori hanno dato diverse interpretazioni sia riguardo alla struttura dinamica della personalità, sia ai rapporti più o meno riconosciuti tra la mente e il corpo. Spesso, tali ricerche sono state indirizzate soltanto verso l’individuo, o verso il gruppo analitico: l’analisi classica del significato dei sogni, d’altra parte, ha riempito molte pagine di libri. Dal mio punto di vista seguo un filone più balintiano, e non solo questo, in cui le ricerche ormai sono indirizzate verso un ribaltamento rispetto all’analisi classica, che si identifica in “quella - come dice R. Di Donato - rivolta a cogliere i rapporti di causalità psiche - soma. Al contrario, M. Balint osserva il campo di interazione medico - malato, studia le comunicazioni che si istituiscono a livello conscio ed inconscio ritenendo che il materiale più importante sia il controtransfert del medico, il modo cioè in cui egli utilizza la sua personalità nel rapporto col paziente; come è nel suo stile Balint si muove dalla clinica alla teoria” (2000). Nelle mie esperienze, seguendo questo filone che prospetta una psicoterapia di tipo relazionale a più livelli, ho la possibilità di seguire i sogni di più “istanze soggettive” (individuo, coppia, gruppi). Come reagiscono i corpi nei sogni e come sono i sogni di alcuni tipi di personalità, nella terapia individuale, in quella di coppia e di famiglia e nella psicoanalisi di gruppo, nel corso del lavoro analitico (interpretazione). In questa ricerca registro i cambiamenti nelle (delle) immagini mentali: nel tempo e nella memoria analitica seguo questo processo di cambiamento delle “sovrastrutture psichiche dell’immaginario” dei soggetti pazienti (Agresta F., 1997; 2001). In accordo col metodo clinico, l’osservazione e l’ascolto terapeutico rappresentano la via regia da seguire. Ma l’osservazione non è asettica, non è neutra; è intrisa, invece, di una relazione speciale contraddistinta dal transfert e dal controtransfert, dall’interpretazione analitica del terapeuta, senza negare la sua creatività e la sua personalità.

Il linguaggio degli organi
Schematizzando all’osso i concetti espressi nella prima parte di questo lavoro possiamo qui ribadire che, secondo P. Marty e di P. Sifneos, il problema psicologico centrale, da cui nasce il disturbo o la malattia psicosomatica è sostanzialmente dominato dal “pensiero operazionale”, da un pensiero di tipo concreto, materiale, privo di emozioni, incapace di accedere a quella capacità (o possibilità negata nell’infanzia al bambino) di simbolizzazione che costituisce, al contrario, il cuore del problema del funzionamento sano dell’apparato psichico dell’adulto. Così notiamo che gli “alessitimici” hanno notevoli difficoltà e sono incapaci di esprimere il conflitto intrapsichico e interpersonale in maniera simbolica o attraverso la via regia del sogno, delle fantasie. E a causa di questa struttura autolimitante lo stesso malato psicosomatico (spesso equiparato alla personalità alessitimica, almeno all’inizio della terapia) sarebbe indotto a scegliere la via e i canali del corpo, cioè dell’espressione corporea dei disturbi e della patologia. In questi casi, la tecnica psicoanalitica classica non ottiene risultati e deve essere applicata con delle varianti, come per esempio le tecniche di Rilassamento corporeo di senso analitico (Sapir M., 1984; Di Donato R., 1986; 2002; Agresta F.; 2002; 2003) dove le emozioni “compresse” vengono “stimolate” alla ri - nascita attraverso la rivisitazione del corpo a corpo, come accade, appunto, nel rilassamento analitico e nelle visualizzazione guidate.
L. Chiozza, partendo ripartendo da Freud e da queste considerazioni, ha portato ulteriormente avanti il lavoro dell’interpretazione simbolica, cioè del lavoro psicoanalitico in maniera radicale. Chiozza afferma che una malattia che colpisce un organo può essere compresa sul piano interpretativo allorquando si riesce a mettere a fuoco la “capacità di tale organo di rappresentare simbolicamente la fantasia che rimane inconscia” (1981). Una fantasia fondamentalmente conflittuale, tanto inaccetabile per la coscienza, può prendere la forma di sintomi psichici, come accade per gli ansiosi cronici, per gli ossessivi, ma ormai è noto dalla pratica clinica che gli stessi ossessivi esprimono segnali fisici, come sudorazione, tachicardia, gastriti ecc., appunto come sintomi fisici, a carico del corpo. Per Chiozza, a proposito delle fantasie a contenuto invidioso - distruttivo, queste valenze sono a carico del fegato e della cistifellea. Scrive D. Frigoli: “Queste fantasie specifiche con un contenuto “aggressivo - invidioso”, non coscientizzate e somatizzate, saranno tipiche del fegato e della cistifellea, mentre fantasie specifiche di diversa natura si esprimeranno attraverso il linguaggio di altri organi come il cuore, il polmone, la pelle e via dicendo”( 2000). Oggi, la richiesta di consultazione e di psicoterapia non si ferma più alla classica “salute mentale”. Sappiamo che molti psicoterapeuti lavorano su “malattie limite”, anche per un solo caso. Negli ultimi dieci anni sono state fatte richieste di terapia per pazienti leucemici, rettocolitici ulcerosi, pazienti con cancro al seno, con sclerosi multiple e molte patologie legate al sistema immunitario, psoriasi ecc. Insomma, lo psicoterapeuta si trova oggi di fronte persone (o Istituzioni) che cercano di trovare una risposta ai ”limiti”, una risposta a malattie che parlano di morte “fisica”, e non solo di “malattie mentali”. L’area della ricerca si è allargata anche nella zona ristretta della psicosomatica che non è più limitata alle classiche malattie (come ulcera, asma, ipertensione essenziale, ma in tutti i disturbi del corpo). In questo senso non si può più parlare di una energia psichica che non abbia a che fare con il biologico, con il somatico, con il metabolico, come osserva D. Frigoli ( 2000). ”Studiare la di un paziente (ad esempio scoprire che durante l’adolescenza ha avuto certe malattie, mentre altre si sono presentate dopo il matrimonio, altre ancora in determinate situazioni lavorative ed esistenziali) può aiutare a vedere la sua patologia non come un’arida e casuale sequenza di fatti biologici, ma come la successione di eventi problematici legati al divenire conflittuale della sua struttura psicologica” (Idem).
A questo punto il corpo potrebbe essere la base, la mappa “concettuale” che può “dirigere” il processo di “ri - nascita” e di sviluppo della psiche verso un processo di guarigione più vicino a “quel” determinato paziente. Così il corpo, di giorno, da sveglio, è la sede del cervello che controlla il mondo; di notte, ogni sera, nella posizione supina, lascia il posto al sonno: “sonno che è effettivo riposo, passività, ristoro delle forze, ma è anche il luogo del sogno”( Idem). Il sogno, durante la notte, esprime la forza dell’inconscio; nel corpo, nella sensorialità, nella fisiologia più pura, l’uomo permette a se stesso di essere sé stesso: l’Io è in comunicazione con l’inconscio. Addirittura sul corpo possiamo “leggere” i sogni: pensiamo alla mimica, alla postura. Quando una tendenza emotiva di qualsiasi tipo non riesce a trovare una via di sfogo attraverso le parole, l’azione, o i sogni, il corpo riuscirà sempre a trovare una maniera di esprimere questa tensione, mediante appunto una specie di linguaggio degli organi. A volte, questa trama, viene tradotta, durante la psicoterapia, nel linguaggio onirico. In generale, il concetto di specificità emotiva comporta sempre il concetto del linguaggio simbolico degli organi. E questo linguaggio simbolico, in psicoterapia analitica, specialmente per le malattie psicosomatiche” viene affiancato, quando c’è materiale onirico, all’interpretazione del sogno riguardante proprio quel determinato organo, e quel determinato problema conflittuale che comincia ad essere mentalizzato dal paziente.

La regressione del corpo e i suoi significati
Allorché si verificano disturbi nella comunicazione interpersonale del soggetto, questi, in assenza di comunicazione verbale, ripropone il corpo come soggetto che comunica. Il soggetto disturbato nella relazione verbale, regredendo a livelli in cui la parola non era ancora un suo patrimonio psichico, ritrova l’antico linguaggio corporeo ed agisce i propri rapporti con il mondo attraverso tale linguaggio, allo stesso modo in cui, prima della conquista del linguaggio verbale, il bambino comunica con il suo corpo. Scrive R. Di Donato:” Accade ancora, in psicopatologia, di trovarsi di fronte al fenomeno delle somatizzazioni. Il corpo, in questi casi, è assunto a simbolo e così come, a un livello più maturo di relazione, il soggetto organizza la propria comunicazione con gli altri nell’ambito dei contenuti simbolici delle parole e della struttura dei rapporti tra i significati di queste, al livello corporeo il corpo stesso diventa contenitore di significati e mezzo espressivo di questi”(2000). A questo punto, il corpo sostituisce la parola e dice, con la sua “malattia”, ciò che la parola non sa e non può comunicare. In effetti, possiamo dire che è il soggetto stesso ad aver rinunciato alla parola: forse, egli ha constatato che, in diverse situazioni, la “parola” si è rivelata inutile, pericolosa, paradossale e così è ricorso ad una forma di comunicazione, quella dei sintomi somatici che, sebbene più dolorosa e ambigua, proprio per la sua ambiguità (il sintomo rivela e nasconde contemporaneamente, dice e nega allo stesso tempo) offre, nel momento e nelle circostanze in cui il soggetto vi si ritira, e vi si annida, maggiori garanzie al suo equilibrio psicologico. E poi, cosa dire di quelle parole reiterate, di quei lamenti quasi solo “gutturali” e onomatopeici che accompagnano, soltanto a livello di “descrizione”, i lamenti che riguardano il corpo stesso. Così, questa comunicazione “dolorosa” contorna il corpo, si manifesta soltanto come biglietto da visita dei sintomi o delle malattie psicosomatiche. Una donna col cancro al seno non riusciva più a deglutire e presentava un gozzo gonfio, di origine isterica. I medici non avevano trovato alcuna causa organica capace di spiegarne la ragione: a questo punto era chiaro che nella situazione emotiva della paziente esisteva un qualcosa che lei “non poteva mandar giù”. Già all’inizio della psicoterapia, il sintomo della paziente aveva perso il suo significato di difesa: lei ha cominciato a parlare di tutto e, dopo un mese, il collo era completamente sgonfio tanto da non ostacolare più la deglutizione (e il Verbo!). La nausea, quando non è sostenuta da una causa organica (ed è difficile trovarla) può significare che la persona che parla, o meglio che comincia a “vomitare” parole “sporche”, “pericolose” ha “la nausea” del suo “vivere”, “non può digerire” una situazione che vorrebbe rigettare. Così avviene per il simbolismo del vomito psicogeno. Nel caso dell’anoressia, quando perde peso, simbolicamente possiamo ipotizzare che c’è un peso “interno” alla persona, un peso psichico che controbilancia quello fisico, somatico.
Una tensione intrapsichica inconscia si può esprimere anche mediante una “tensione muscolare” che provoca acuti dolori tanto da far pensare a qualche cosa di organico: ma se non ci sono riscontri clinici allora il significato simbolico dell’organo bersaglio parla un linguaggio della sofferenza. Nella nostra casistica abbiamo riscontrato diverse situazioni molto significative. Per esempio, una signora che doveva partecipare al matrimonio della propria primogenita - concepita fuori del matrimonio, trascurata durante la sua crescita perché lei e il marito impegnati al lavoro e allevata dai nonni - a due mesi dalla cerimonia è rimasta paralizzata a letto per un forte dolore alla schiena. Dopo cure e esami le vengono diagnosticate due ernie: due dei quattro specialisti consultati le hanno consigliato l’operazione chirurgica; gli altri due hanno attribuito questa situazione allo stress e le hanno consigliato di riposarsi e di fare cure (ozonoterapia). La figlia, ancora in analisi, chiede al terapeuta di prendere in cura la madre perché è riuscita a convincerla ad iniziare un trattamento, almeno, di terapia di rilassamento (la speranza era di farla partecipare alla cerimonia del matrimonio!). Pian piano, il rilassamento analitico, focalizzato non solo sul sintomo, dopo già il primo mese, ha dato buoni risultati, abbassando la tensione psichica che derivava dal vissuto di rimozione e dai sensi di colpa della madre nei confronti della figlia: lei, più bella della figlia - e di questo la figlia ne era cosciente - molto rigida e coerente con i suoi principi etici e morali, si era sposata già in “peccato”, perché gravida. La figlia, questa volta, per la prima volta avrebbe vinto. Non era incinta! Questa lotta sotterranea, tra Giocasta e la figlia edipica, mai risolta inconsciamente, aveva provocato nella madre una autopunizione: nei sogni che pian piano venivano raccontati lei si vedeva a casa, a letto, mentre tutti erano al matrimonio, lei sofferente e attorniata dalla sua famiglia d’origine. Dopo sei mesi il trattamento ha avuto termine e la signora ha ripreso a nuotare tranquillamente nella sua piscina, come prima, senza interventi chirugici.
Questo è uno stralcio di un colloquio con un paziente sull’orlo della psicosi e con una struttura ipocondricaca: il suo linguaggio corporeo collude con il linguaggio verbale: usa le parole per descrive questa paura di un corpo “spezzettato” a livello di esami clinici e medici, un corpo vissuto che è “diviso” in tanti organi e apparati: è proprio vero che questa collusione nasconde una grave frattura tra mente e corpo, tra corpo biologico e corpo psicologico che è difficile ri - annodare. Non si sentono emozioni, o sensazioni biunivoche: no, il soggetto offre il corpo malato e dice:” Ecco, cosa ho. Ho male alla schiena, alle gambe...poi ho paura di avere un tumore al cervello...vado a fare le analisi...non c’è niente, solo colesterolo e grassi...il medico mi ha messo a dieta, sto meglio, però sto dimagrendo...poi vado a farmi un controllo alle feci, di nascosto del medico, per vedere se ho qualche cosa di brutto...se continuo a dimagrire (e il suo peso adesso è normale)...guardi, dottore, no, non va bene...poi penso sempre alle malattie brutte...è come se devo trovare qualcosa nel mio corpo e se non trovo niente, a parte l’ulcera che ho da quindici anni, non ho niente...forse avrei dovuto fare una curetta primaverile...sì mi fa male un po’ la cervicale, il dottore mi ha fatto fare delle applicazioni anche per l’ernia che ora non mi dà fastidio”.

Il sogno e il simbolo: il superamento del dualismo mente - corpo nell’individuo e nel gruppo.
Esperienze cliniche

Vorrei servirmi - a mo’ di metafora - delle prime frasi della Metamorfosi di F. Kafka ed utilizzarle come possibile “cerniera” dinamica tra la mente e il corpo nello spazio dell’inconscio in cui si situa il sogno. G. Samsa (il suo pseudonimo) scopre che durante il sonno (“Io sono uno scarafaggio”) è avvenuta la sua “trasforma-zione”. La crudezza della descrizione fisica e la implicita realtà metaforica (onirica?) dell’insetto - scarafaggio fatta da Kafka presentificano uno stretto rapporto tra le “due entità”, tant’è che il lettore non sa bene se si tratta di un sogno o di una realtà percettiva di Samsa così positivamente descritta dal suo punto di osservazione. “Una mattina - così inizia il capolavoro di Kafka - Gregorio Samsa, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato in un insetto mostruoso. Era disteso sul dorso, duro come una coraz-za, e alzando un poco il capo poteva vedere il suo ventre bruno convesso, solcato da nervature arcuate, sul quale si manteneva a stento la coperta, prossima a scivolare a terra Una quantità di gam-be, compassionevolmente sottili in confronto alla sua mole, gli si agitava dinanzi agli occhi. “Che mi è accaduto?”, pensò. Non era un sogno. Se nel sogno l’individuo esprime la propria soggettività ed, al tempo stesso, esso è il mezzo privilegiato che ogni individuo possiede per far fronte alle proprie dinamiche, interne, è lecito affermare che il sogno è una vera rappresentazione mentale di ciò che accade nel nostro inconscio. Il sogno è una produzione è una produzione individuale e creativa che esiste in nuce. Se il simbolo - per quel che ci riguarda in questo lavoro - ci indica la strada per “entrare” nel mondo onirico, come possiamo inserire il problema dei simbolo nel discorso onirico? (Livello 40 e 50). Se per Freud i simboli servono per mascherare il significato di idee e sentimenti di colui che sogna, per Jung, al contrario, i simboli onirici non servono a mascherare il contenuto inconscio. Per Jung, la psiche lavora “per prove ed errori” onde chiarire “qualche contenuto della realtà del soggetto”. Resink (Il Teatro del sogno, 1982) accomuna il mito e il sogno nella misura in cui, in entrambi, c’è il “dispiegarsi della spiegazione”, ovvero, possiamo dare un senso all’apparente non - senso; insomma mettere “ordine” rispetto al “disordine”.

Una seduta tipo in cui la paziente Alba, di 40 anni, in fase alterne in rapporto alle sedute (una volta fa conquiste di cambiamento, un’altra si lamenta e fa la vittima arrabbiata), inizia il dialogo terapeutico raccontando i suoi nuovi disturbi, questa volta al suo braccio destro, al muscolo che le pulsava forte e “poi un forte aumento del battito cardiaco, di notte”. Dopo i lamenti sintomatici le chiedo se si ricorda i sogni. “Sì, qualcosa, uno”- risponde. Questo il sogno: “Sono andata alla prima media, a scuola di Tiziana (la figlia di 10 anni); mi ero presentata, io ero nascosta...poi vedo un mio ex ragazzo che ho avuto per 5 anni, dal primo superiore al quinto. Lui stava col carrozzino, col bambino e la moglie era un po’ lontana. Io e lui parlavamo”. Si parla delle associazioni varie, lei riprende i lamenti sul suo braccio destro, sul battito cardiaco accelerato, “stavo per chiamare il medico”, poi all’improvviso si ricorda di un altro sogno. “Ah, mi sto ricordando, dottore: - C’era un bambino maschio che non era mio, un maschietto nudo, rideva, si muoveva, io e Tiziana lo osservavamo, però non lo abbiamo toccato”. “Cosa pensa Signora?”. Lei: “Non so”. Dopo un po’ di silenzio, Alba dice ancora che non sa, io risottolineo che nel primo sogno c’è un ex-ragazzo con un carrozzino e un bambino, poi un altro bambino su un letto. E lei, subito, di getto: “Ma questo non c’entra niente col sogno”. Terapeuta: “Mi faccia capire meglio”. E lei:“No, io ho sognato in un altro giorno, non nella stessa notte!”. Le ribadisco che abbiamo detto altre volte che questa divisione in giornate o in nottate non inficia la sequenza dei “quadri” e delle immagini oniriche, e allora lei: “Dottore, lei che vuole dire che c’è il desiderio di un bambino?”. Silenzio di qualche secondo. “E va bene, ci sto pensando, ultimamente, però non è un pensiero che mi assilla. Mi piacerebbe avere un bambino piccolo, però mi spaventa tantissimo”. Poi Alba ricorda bene la dinamica dei sintomi, sia da sveglia che nel secondo sogno. Nel primo caso aveva dolori all’altezza dei reni, dolori alla schiena, un po’ di mal di pancia e il braccio destro le pulsava fortemente e, a tratti, nel momento in cui stava, per la prima volta, insieme con suo marito e la figlia. Nel secondo caso, durante il sogno, aveva piacere di sognare, sperava che il sogno non finisse e sentiva il suo cuore che “aveva piacere di pulsare, sentivo il battito cardiaco, ma non avevo paura” (questo durante il sogno del bambino nudo sul letto). Così abbiamo sintetizzato: lamenti del corpo, disturbi funzionali, lamenti in seduta, racconto di sogni, ricordi del sogno del “desiderio espresso”, associazioni e interpretazione, riproposizione nel setting di alcuni sintomi (“mi batte il cuore, respiri profondi”) e, finalmente, il desiderio espresso di avere un altro bambino. -Desiderio sempre represso, per anni, perché la sua dinamica edipica e i suoi conflitti intrafamiliari, specialmente la conflittualità e la patologica dipendenza con i suoi genitori, non le permettevano di avere lo spazio del desiderio; così, il corpo era diventato un “sicuro” rifugio per tutte le angosce inconsce e consce: somatizzava sempre ed era costretta a pensare al “suo star sempre male”. Ora il corpo si “sveglia” al desiderio, “somatizza” il sogno, e dinamicamente, il sogno è poi desomatizzato e riproposto come desiderio e paura nel setting. Ma questo conflitto ora è stato espresso, non represso o somatizzato. Per la prima volta il suo corpo pulsa di piacere e lei ne è spaventata.
Alfia, 37 anni, era venuta in cura per uno stato confusionale, per depressione e stati ansiosi diffusi. Fino all’adolescenza aveva sofferto di attacchi di asma. Il suo problema era che il suo legame con la propria madre era terribilmente conflittuale, tanto che era convinta della “bontà” matriarcale e materna nel senso che, avendo ricevuto una educazione libertaria, di tipo femminista - così come per la nonna e per la madre - sulla carta viveva una prassi sociale libertaria. In verità, nell’ambito del rapporto madre - figlia, la madre controllava intrusivamente e seduttivamente tutta la vita di Alfia (stessi amici, stessi locali, stessi party, ecc.). Dalla nascita della figlia Beba, di 3 anni, Alfia era ancora più soffocata da sua madre. Durante la psicoterapia prende coscienza di questo conflitto paradossale e, nel momento in cui dice - con difficoltà e paura - alla madre che non deve venire più a casa sua senza un suo assenso, e comincia a mettere dei limiti più rigidi in vista di una separazione normale fra le due donne, Alfia fa questo sogno: “Stavo sul balcone con mia figlia, eravamo abbracciate; una donna mi dice di volare, “vola, vola”- . Io mi accorgo che c’è un vento forte che ci può portare in alto, come un turbine. La voce continua. “Vola, vola”. Penso al suicidio mio e della bambina, poi il volto di mia madre mi appare come un flash. Mi sveglio con un sussulto, ansimando, con attacchi di asma, di forte dolore al torace, sono angosciata, ma dico: “Oddio, è solo un sogno! Realizzo che è una cosa di testa, penso alla terapia e mi calmo, e il mio attacco di asma diminuisce, questa volta senza farmaci. Nella realtà adesso io e Beba ci abbracciamo spesso”. Beba ha cominciato a parlare da quando Alfia le ha aperto uno spazio mentale; in contemporanea, non vuol rimanere da sola con la nonna.
Quando possiamo osservare i sogni “nel corpo”? Forse, nel momento in cui rompono la barriera delle difese. Quando registriamo questi sogni che inondano il corpo? Possiamo affermare che questi tipi di sogni si registrano soltanto in momenti di conflitto e di regressione: avvengono in momenti particolari della cura, momenti intrinseci al soggetto (resistenze ai cambiamenti, difesa dai cambiamenti) ed estrinseci al soggetto stesso (fatti reali, cambiamento nel setting: due gruppi in analisi hanno cambiato il setting per iniziare il rilassamento analitico). Infatti, nelle giornate precedenti e in quelle successive c’è stata una regressione significativa per ogni partecipante del gruppo e ognuno ha reagito con sogni che esprimevano, in alcuni casi, solo un disagio psichico con immagini intorno al corpo e, in altri, più sogni dove erano riproposti i sintomi fisici che avevano indotto il paziente ad iniziare la cura. In questa nuova esperienza e durante la terapia di rilassamento, si ri - crea uno status psicologico ed affettivo di tipo materno - infantile (Di Donato R., 2002; Sapir M., 1984) in cui l’indifferenzazione mente - corpo viene riprodotta e, al tempo stesso, analizzata. Scrive M. Mancia: “Alla base di questa concettualizzazione c’è l’idea di una indifferenzazione mente corpo (di cui ho parlato nel capitolo III), di una loro identità che corrisponde a momenti della vita intrauterina, a partire dai quali la mente si differenzierebbe dal corpo, anche se la formazione di una vita mentale separata dal corpo avviene dopo l’esperienza della nascita (Gaddini E.; Mancia M., 1981)” (Mancia M., 1994). Ricordiamo solo che nel primo anno di vita il neonato “vive” nella fase REM per circa 15 ore su 24.

Serena, 40 anni: Ho sognato che stavo a letto e ho fatto la cacca, una grande cacca, dentro il letto. Ero in posizione come al bagno, a fianco a me c’era mio fratello, mio marito no. Poi mio fratello doveva spolverare le coperte e pulire, disinfettare. Poi voleva alzare l’altro lenzuolo, dalla mia parte per scoprirmi. Solo all’idea mi sono svegliata e sono andata al bagno, di corsa, perché ho avuto una fortissima diarrea. Serena ha fatto questo sogno due giorni dopo la morte di suo suocero che, in parte la difendeva, dagli attacchi della suocera che era legatissima al figlio Giorgio, cioè al marito di Serena.

Coppia: Gianna e Paolo. Gianna che è altamente agorofobica con crisi depressive, racconta questo sogno. Ero in una specie di carcere e cacciavo dalla bocca gomitolini di legno sfilacciato e non finivo mai di cacciarli. Ho preso una bottiglia d’acqua per deglutire ed ero indecisa nel pensare se dall’acqua venivano fuori i gomitolini, l’acqua era torbida e non capivo se ce li mettevo io mentre bevevo o se c’erano già. Come parlavo venivano fuori i pezzettini di legno. Mi sono svegliata con un fortissimo attacco di tosse e mal di gola che alla fine ho tossito sputando goccioline di sangue. Paolo, nella seduta successiva ha sognato che stava a letto malato di gola e aveva tosse e la moglie gli disinfettava la gola. Durante il sonno (o il sogno), si sveglia di colpo e vomita il cibo non digerito (Paolo è impotente).

Note sulla psicoterapia analitica di gruppo

Nella pratica della psicoanalisi di gruppo è molto significativo lavorare sui collegamenti tra livelli e insistere sui passaggi tra il 3°, 4° e 5° livello, soma, simbolo/analogie/metafore, sogno - fantasmi (e viceversa). Se nel sogno vi è una indistinzione tra il simbolo e il suo oggetto, è utile e necessario un procedimento tecnico - terapeutico che dia la possibilità di recuperare tale “diversità” nella comunione del processo psichico. Specialmente nei disturbi psicosomatici lavorare sui legami tra sintomo e sogno, tra simbolo e dinamiche di gruppo è prassi utile. Nella pratica di gruppo, come è stata qui prospettata, i livelli di “integrazione” sono cinque, intersecati con massimo nove persone, che teoricamente, potrebbero comunicare a proprio a cinque livelli! E chiaro che più si lavora nei primi livelli (1, 2, 3), più le divisioni tra il corpo e la mente sono evidenti (livello di scissione psicosomatica); più si va verso i livelli profondi (4, 5) tanto più, nella pratica intergruppale, l’immaginario di gruppo si costruisce dai livelli individuali onirico - simbolici ( in particolare il cap. XIII, Agresta F., 1997). Lo stesso contenuto del sogno, come abbiamo visto, ha diverse dimensioni contestuali. E l’individuo che fa venir fuori la “sua” verità: il suo organo malato (3° livello) in particolare, forse vuol dire qualcosa di “estremamente individualizzato”, anche se il significato generale del simbolo è sostanzialmente “universale” come si evince dalle mie esperienze cliniche (idem).
Il sintomo e i sintomi sono comunicazioni distorte; il sintomo è un linguaggio di copertura, come nel sogno. Quindi “l’interpretazione dei sogni”, non è una semplice decifrazione del significato, ma “è un procedimento che permette all’individuo di Ôpartorire’ la sua verità, cioè di partorire il significato che lui come essere unico ed irripetibile dà ai simboli che il suo inconscio ha creato” (L. Tassi, Il simbolismo nel sogno come elemento di superamento del dualismo mente-corpo, Es - Sé, 1995, pag. 18). I diversi Autori che si sono occupati dei sogni in psicosomatica (inserendo in questa diagnosi anche il cancro) non disdegnano di uscire dagli schemi psicoanalitici e affermano che è naturale, nella relazione analitica, sviluppare un fertile campo per lo sviluppo di connessioni simili, cioè di intrecci fra i simboli degli organi, fra “metafore” del sogno, fra i miti espressi nel sogno; certo non è possibile Ômischiare’ come in un minestrone tutti - questi “cibi”: l’importante è dare loro una identità specifica perché solo così è possibile, nella riunione finale, analizzare (distinguere) bene “l’organo malato” dal “cibo sano”.
Per esempio, nell’articolo ”Dream Work and the psychosomatic process”, (1987, pag. 241), C. Limmer riporta una esperien-za di M. Ullman che “offre una eccitante e provocativa descrizione del segno nel suo scritto “Dreaming as Metaphor in Motion” (in The variety of dream experience, U. Ullman). L’uso della metafora e della analogia nel lavoro del “simbolo” del sogno riti sembra una tecnica densa di nuove strade per “entrare” ed illuminare il corpo “arido” dello psicosomatico: nel suo “animus”, nel suo “arché”, oggi è più facile scoprire ed esaminare molto materiale analitico. Noi abbiamo constatato che nei sogni degli alessitimici e degli psicosomatici il simbolismo è mol-to “forte” e siamo del parere che esso sia stato “schiacciato”, pressato già nella prima infanzia. Alcuni pazienti hanno espresso, in gruppo, delle sensazioni nuove. Cioè, dopo un sogno “faticoso” rimane solo la sensazione di emozione “dentro”, mentre i contenuti sono anonimi. Si tratta di “ri-allacciare” le emozioni ai fatti. Mi viene in mente una analogia dei Cartoons che vengono schiacciati dal loro avversari di turno e poi subito risorgono dallo “schiacciamento” che equivarrebbe, per un uomo, alla “morte”.
In accordo con altri Autori (C.P. Wilson, N.B. Atkins, Gilliéron,) siamo dell’avviso che questi pazienti non hanno una deficienza della capacità di simbolizzazione; pensiamo, al contrario, che la malattia psicosomatica esprima dei contenuti simbolici e “per contenuto simbolico intendiamo che la malattia è legata ad un significato inconscio, che è indice di rappresentazioni pulsionali rimosse” (A. Pasini e C. CaIlea, Symbolic representation and psychosomatic discese”, in Analytic psychotherapy and psychopathology, vol. 1., 1984, pag. 182). L’uomo nel sogno incontra la propria libertà, la propria destinazione mortale. Quindi i segni “dicono la verità”. E’ implicita in questa posizione l’idea di “totalità” della persona nell’esperienza onirica e, quindi, della esperienza simbolica in quanto esistenza umana.
Certamente, non possiamo limitarci a considerare il sogno come la semplice decodificazione dei messaggi tra contenuto manifesto e contenuto latente (corpo-sogno, parole-fantasie). Né ci riconosciamo in un discorso interpretativo meramente pulsionale e simbolicamente dato una volta per tutte (per es., i simboli fallici e i relativi complessi). Al contrario, nel lavoro di “rientro” dentro se stessi, non “andiamo” vicino alla morte intendendola come “morte”, come destino: la morte per la nostra esperienza è rinascita, è rigenerazione delle “parti morte del corpo”, “quel vissuto particolare”, che riguarda, in particolare, le malattie che toccano il corpo. E’ proprio questa “morsa” della morte che ci permetterebbe di riemergere. Per noi i sogni sono essenziali proprio per uscire da questi nodi (neri e nascosti) di unione mente - corpo. Pensiamo che al di là del contenuto del sogno possiamo “liberare” i fantasmi che sono “dietro” il sogno, o sui quali i sogni si appoggiano: il corpo e il fantasma coprono la libertà immaginaria e, al tempo stesso, uniscono la mente e il corpo, nel lamento e nel dolore (pensiamo a coloro che non hanno mai ricordato un sogno, oppure a quelli che non sognano i “corpi”). Allorché il sogno comincia ad emergere nella mente e man mano che la struttura psichica permette il ricordo, ci accorgiamo che esso ci dice qualcosa che “unisce” e che sostiene la mente al corpo. Infatti, più si procede nel lavoro analitico, tanto più si libera l’immaginario (e i fantasmi) chiusi nell’immagine stessa del sogno.
“Entrare nel mondo di Pierre” - per usare la metafora foucaultiana a proposito dei sogni - significa spingerci “dentro” non tanto per trovare il nostro “destino”, o soltanto per tradurre i simboli nei sintomi (e viceversa), ma per vivere nel “dolore” della verità, anche attraverso il corpo, i messaggi della mente, nell’hic et nunc terapeutico.
Attraverso i cinque livelli, da me proposti, possiamo “sostare” per “smascherare” le immagini, “false” e distorte che si annidano nei conflitti di tutti i livelli di comuni-cazione relazionale e dell’influenzamento reciproco nella dialettica transfert - controtransfert, “scegliendo” il campo di intervento per quel determinato momento. M. Grotjahn - formatosi negli anni 30 a Berlino (analizzato da T. Reik) andò a Londra e lavorò sia con Foulkes, che con de Maré, per poi stabilirsi a Los Angeles - è stato un po’ misconosciuto dagli ortodossi (forse perché poco allineato) e porta avanti un discorso tecnico sulla resistenza e sui sogni che mi ha incuriosito. Egli scrive (1987): “Nella psicoterapia di gruppo il terapeuta interpreta la resistenza contro la comunicazione libera e spontanea e l’interazione reattiva. Il gruppo usa alcune forme specifiche di interpretazione... La resistenza nella psicoanalisi è resistenza contro l’insight nell’inconscio, mentre la resistenza nel gruppo è diretta a impedire la libera comunicazione. Ciò è particolarmente evidente nell’analisi dei sogni all’interno dei gruppi” . Questa situazione è particolarmente ricorrente ed evidente allorquando, con i malati psicosomatici, ci sono molti “salti” di livello. Il compito del terapeuta è quello di interpretare questo tipo di resistenza e chiedere, al gruppo perché, per es. da un sogno di un paziente un altro membro “salta”, o agisce direttamente verso una descrizione di un dolore fisico, oppure di un fatto reale.
Apparentemente, sembra che non ci sia alcun legame tra queste dinamiche intergruppali. Al contrario, dopo l’interpretazione, viene fuori la “verità”: il passaggio “diretto” era una copertura, ov-vero era un “far” presente, per evitare l’approfondimento analitico e il significato profondo della malattia, o per squalificare “quello appena nato”, o negando la parola, al “fratello”o al nemico, o a un altro membro del gruppo, un personaggio rappresentativo di quel determinato fantasma del passato (fantasia e/o realtà). Sulla difficoltà di “lavo-rare” con i sogni nella psicoanalisi di gruppo, c’è anche un utile chiarimento di J. Bergeret, il quale parte da un punto “dimenticato” della mitologia psicoanalitica ortodossa. Egli ci ricorda che nel rapporto tra figlio e Padre, tra Paziente e Analista, tra Edipo e Laio si insinua, a monte, l’oracolo di Apollo. Egli scrive: “Freud parla di Edipo solo riferendosi alla parte finale, ma il mito comincia prima. Il primo oracolo di Apollo dice che subentrerà tra i genitori ed il figlio una forte ostilità: - O il figlio dovrà uccidere i genitori per salvarsi la vita, oppure i genitori dovranno uccidere il figlio se vorranno proteggere la loro vita” -. Il primo istinto attivo che c’è alla nascita è un istinto di violenza, che è un istinto di sopravvivenza. Da questo mito ci possiamo chiedere qualcosa che riguarda il lavoro della “violenza dell’interpretazio-ne”: c’è posto per il nuovo essere? Per la nuova interpretazione di un sogno? C’è posto per le nuove immagini, per le nuove fantasie? Cosa ne pensa il paziente (“Cosa pensate”) di questo sogno? C’è spazio per tutti per pensare, per associazioni... e le fantasie e gli altri sogni? In questo “miscuglio” di immagini, di fantasie e di realtà gruppali, interne ed esterne al gruppo con actings ed extra-setting (“veri” e “falsi” / mondo intrapsichico e mondo oggettuale, fantasmatico e simbolico), si snoda il lavoro dell’analista - “padre” che, nel suo concreto silenzio e nel suo poco spazio di parole, deve riflettere per dare la possibilità creativa alle più svariate comunicazioni di emergere, comunicazioni a volte violente e aggressive, altre vol-te collusive e fantasmatiche dei “figli” e della “parentela” gruppale. Bergeret dice che bisogna accettare la “violenza dei figli (causata dal fantasma inconscio dell’insicurezza, come manifestazione narcisistica) e non la loro aggressività, per mezzo della quale si fa soffrire con piacere un altro da sé ben definito con ragioni ben definite” (Intervista, Noi Psicologia, agosto, 1990). Il lavoro di “congiunzione conflittuale” tra la mente e il corpo - rintracciabile nei sogni - ci sembra un percorso equilibrato e non pretenzioso, tanto meno “onnipotente”.
Dalle nostre ricerche emerge, inoltre, che “al di là” del sogno nei gruppi, è possibile rintracciare i “fantasmi - base” del costrutto onirico, laddove sono nascosti pezzi di realtà oggettiva “influenzati” da pezzi di realtà del presente oggettivo e/o del presente terapeutico (desideri, paure, traumi, distorsioni varie) che si prolungano nel sogno o lo anticipano. In questo senso, a seconda dell’immaginazione psichica della personalità, ovvero del livello di crescita nella prassi terapeutica, il simbolismo onirico rappresenta il “mattone” del sogno stesso. Dal punto di vista teorico - tecnico, notiamo che, non solo è possibile ma è oltretutto auspicabile, scavare sia verso un “prima” del sogno (fantasmi e condensazioni passato/presente), sia verso un “dentro”: il sogno che è rappresentato dal simbolismo classico di alcuni segnali di “picchettaggio” e di segnalazione oggettiva del sogno stesso (per es. acqua, sole, casa, serpente, fuoco, terra, elefante, ecc.). Il corpo (o un suo organo) è percepito e rappresentato “dentro” il sogno e lo ritroviamo “tra” queste due barriere: infatti, all’inizio di ogni terapia non c’è alcuna rappresentazione onirica del soma; poi, a poco a poco e con sofferenza, esso emerge. Possiamo pensare che all’inizio il corpo è “schiacciato dentro il sogno” mentre durante la terapia comincia a svilupparsi, come un feto nel liquido amniotico materno (gruppo come contenitore) e si “svela”, cominciando a parlare attraverso i simboli. Il corpo sofferente si affaccia sulla scena analitica seguendo questo profondo processo di cambiamento: all’inizio, c’è il sintomo oggettivo senza sogno che si esprime attraverso la comunicazione verbale e non (1°, 2°e 3° livello il corpo malato e sofferente), in seguito c’è la creatività onirica e simbolica (5° livello) dove il corpo malato comincia ad “essere rappresentato”, a vivere e ad esistere nella mente dell’individuo e, poi, crescendo, nel gruppo dei “pari”
Così si instaura concretamente il processo di mentalizzazione. Il van-taggio / rischio, è che questo segreto individuale ( il sogno, come ferita e rinascita) verrà reso pubblico, nel grup-po. Se questo accade - cioè se il paziente accetta la terapia rimettendo in gioco quei legami interrotti o mai sperimentati nell’infanzia, dopo qualche tempo non c’è più traccia di ferite nel corpo del “personaggio psicosomatico”. Con il lavoro onirico, qui schematicamente delineato - con tutte le lacune possibili del nostro lavoro quando viene riproposto- non solo si supera il dualismo mente corpo, ma aumenta la portata della sofferenza sull’aspetto psichico del “corpo”; contemporaneamnete, diminuisce il peso dell’angoscia sul corpo stesso. Ci sembra che il sogno rappresenti il principale artefice di crescita e di reintegrazione delle scissioni avvenute nella prima infanzia. Una facile constatazione clinica è data dai pazienti stessi che durante la terapia si meravigliano che cominciano a ricordare sogni per la prima volta e nel gruppo, quando inizia il processo onirico in alcuni individui, tutti i suoi membri cominciano a ricordare più sogni. Il corpo del gruppo mi sembra che possa rappresentare il “corpo” del sogno; questa è una metafora sempre utile e da tener presente nel corso della terapia.

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