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A. M. P.
SEMINARI 1998 - '99
Goriano Rugi

Riflessioni sul modello psicoanalitico di campo


Il modello di campo che la psicoanalisi ha sviluppato in questi ultimi anni si propone come particolarmente interessante per le sue capacità di fornire una valida descrizione di complessi fenomeni analitici, gruppali e istituzionali.
Questo modello, ancora in progress, è però variamente inteso dagli autori e sembra oscillare da una semplice valenza metaforica ad una applicazione rigida e riduttiva del modello originario che la psicoanalisi ha mediato dalla fisica. Molti autori hanno prodotto sforzi ammirevoli e tuttavia persiste una certa confusione e un vivace dibattito sulla natura stessa e la portata di questo modello. Alcuni contestano che si possa parlare di un nuovo modello, altri si domandano se il modello proposto sia sufficientemente coerente e sviluppato da poter essere considerato un'alternativa ai precedenti o se sia solo un arricchimento utile in certe situazioni o certe patologie.
Il modello di campo è poi una evoluzione del modello relazionale o ne rappresenta una rottura?

Alcuni autori osservano che la forte opzione relativista e costruttivista potrebbe implicare il rischio di una perdita di profondità e specificità proprie dell'esperienza analitica. Terapeuta e paziente apparirebbero relegati al ruolo di semplici co-attori di un copione senza autore. Attribuire una prevalenza radicale ai fenomeni che si producono nel "qui ed ora" a scapito della realtà storica e pulsionale, sembrerebbe infatti ridurre il campo ad un sistema autoreferenziale, appiattito sulla bidimensionalità e centrato sulla fenomenologia interna della relazione.
E tuttavia per altri altri autori il modello di campo nasce proprio dalla necessità di ampliare il punto di vista relazionale, senza perdere di vista la prospettiva storica e le sedimentazioni teoriche che mantengono la profondità e le caratteristiche proprie dell'esperienza psicoanalitica.
L'oggetto d'indagine manterrebbe inoltre la propria specifità, ovvero la sofferenza e l'irripetibile vicenda di un individuo, che anche solo come "ombra dell'oggetto", pre-esiste e resiste alla relazione.
Delineare il modello di campo in psicoanalisi non è quindi semplice.
La prima vera difficoltà è dunque quella di capire se esiste davvero un modello di campo o se piuttosto dovremmo più semplicemente riferirci ad un "punto di vista" o "vertice" che accumuna in un certo bagaglio teorico ed esperienziale una parte della psicoanalisi attuale.

Claudio Neri (1993;1995), ad esempio, considera prematuro ogni tentativo di sintesi del concetto di campo, e sembra preferire mantenerlo a livello di contenitore insaturo al fine di evitare la perdita della potenziale ricchezza clinica e teorica dei vari nuclei di senso che coesistono al suo interno; ciò presenta degli indubbi vantaggi e tuttavia sembra evocare anche il rischio di una funzione-ricettacolo che alla lunga potrebbe dissolverne il valore euristico.

Fernando Riolo (1997) ammette che ancora non esiste una teoria psicoanalitica del campo e che questa implicherebbe una revisione puntuale degli elementi della teoria e della tecnica psicoanalitica in termini di fenomeni di campo. L'autore, che appare il più consapevole dei forti vincoli con l'originale modello fisico, tenta una sintesi complessa di questo nel tentativo di individuare le invarianti indispensabili per la costruzione di un modello generale di campo psicoanalitico. Per queste ragioni Riolo mette in guardia da una semplice importazione-ibridazione del modello fisicalista, come da un suo impiego puramente suggestivo e metaforico, ed è contrario ad ogni uso generico e aspecifico del concetto di campo, inteso talvolta come sinonimo di "spazio analitico", "setting", "relazione analitica", "controtransfert"etc.

Giuseppe Di Chiara (1997) sembra invece usare il concetto di campo psicoanalitico nel senso generico di "campo relazionale", di cui segue i naturali destini di formazione, evoluzione, dissolvenza e introiezione; una posizione che lascia ovviamente aperta la domanda su quali differenze e specificità possa presentare il concetto di campo rispetto ad altri concetti ben noti come quello di "processo psicoanalitico".

Domenico Chianese (1997) ammette la necessità di superare una concezione puramente interattiva dell'incontro tra paziente ed analista aprendo alla ricerca su quelle "aree intermedie" comuni ad entrambi e mediate dalla cultura e dall'intersoggettività. Per l'autore il campo resta legato ad una dimensione spaziale e temporale, di fantasmi comuni , "chiasmi", scene, riti, rappresentazioni più che interazioni; in questa ottica il lavoro sui gruppi appare come il più promettente per l'approfondimento di quel fondo comune che lega analista e paziente. Chianese tuttavia non ha dubbi nel ritenere che non esiste alcun "nuovo paradigma", in quanto finora non è avvenuto alcun passaggio da un livello descrittivo ad un "modello concettuale" e non è stata definita alcuna legge generale da cui poter derivare delle modifiche tecniche.

Di diversa opinione sono naturalmente Antonino Ferro, Bezoari e Barale (1991;1996) che considerano il concetto di campo come un notevole ampliamento del modello relazionale in grado di modificare l'intera situazione analitica setting compreso. Per questi autori il campo è come uno spazio-tempo di intense turbolenze emotive, che si attiva e si trasforma in base al funzionamento mentale della coppia paziente analista e che consente operazioni trasformative e narrative.

Quali sono allora le caratteristiche specifiche dell'attuale modello di campo?
Quando oggi parliamo di modello di campo ci riferiamo ad un complesso sistema concettuale assai distante dal concetto di campo introdotto originariamente dai coniugi Baranger (1961). Questi negli anni 60 misero in evidenza che la situazione analitica non poteva essere compresa se non come processo dinamico che coinvolge entrambi i membri della relazione.
La loro ipotesi di base era che la coppia paziente-terapeuta genera un campo ed è compresa nel campo che essa stessa genera. Gli autori individuarono tre livelli di strutturazione del campo: il setting, la relazione manifesta e le fantasie inconscie bipersonali paziente-analista. Quest'ultime, costituite da un gioco incrociato di identificazioni proiettive, rappresentano la struttura latente del campo e la loro analisi costituisce lo specifico dell'esperienza analitica. I Baranger, curiosamente, non tennero conto del lavoro di Bion, ma il loro concetto di fantasia inconscia della coppia appare in stretta risonanza con il concetto bioniano di identificazione proiettiva.

Entrambi i concetti, ammettono infatti un coinvolgimento emozionale reciproco e un reciproco scambio di emozioni primitive, implicando così la formazione di uno spazio "terzo" tra soggetto e oggetto, e quindi di un campo comune di energie emotive. Possiamo quindi affermare che una prima, essenziale, nozione di campo, si apra in psicoanalisi a partire dal concetto di fantasia inconscia bipersonale dei coniugi Baranger e dallo sviluppo bioniano dell'identificazione proiettiva.
Questo concetto di campo sembra tuttavia restare entro i confini di una dimensione "intersoggettiva" e "relazionale" in cui l'identificazione proiettiva funge da meccanismo di base della formazione del campo, che quindi si intrama di energie emotive capaci di imprimere ai legami affettivi presenti turbolenze e curvature complesse e imprevedibili. In questo senso il campo appare come una configurazione gestaltica di una situazione, che seppur strutturata dal setting e dalle fantasie inconsce, resta ancoràta all'incontro e alle reciproche esperienze emozionali tra i partecipanti.
Esso si individua come luogo perturbato, soggetto ad intense variazioni di energia, orientate secondo particolari linee di forza, che occupano lo spazio tra i corpi. E' opportuno infatti ricordare che questo concetto di campo si sviluppa a partire dal modello di campo della psicologia della Gestalt e il tentativo di Kurt Lewin (1935) di applicare ai gruppi la teoria del campo elettromagnetico di Faraday e Maxwell.

Questa teoria prevede che lo spazio circostante i corpi elettrizzati e megnetizzati sia descrivibile come campo e che solo le proprietà del campo siano essenziali alla descrizione dei fenomeni, mentre la diversità delle sorgenti non conta. In base a questa Teoria Classica le interazioni vengono trasmesse a mezzo del campo perturbato e quindi sono le variazioni d'intensità delle cariche (perturbazioni), la loro velocità e distanza che determinano le trasformazioni complessive. Il campo inoltre non può essere osservato, ma solo inferito dal suo effetto sui corpi (corpo di prova); esso tuttavia può essere rappresentato con un modello formale, dato dal linguaggio matematico delle equazioni di Maxwell, che mettono in relazione le variazioni dei campi magnetici ed elettrici in un punto qualsiasi dello spazio e del tempo. Queste concezioni permisero a Lewin di considerare il gruppo come la risultante complessiva delle forze emergenti nel campo stesso e non più a partire dai caratteri dei singoli membri. Il gruppo quindi come organismo intero, che si muove sotto la spinta di potenti fattori emotivi, di valori, credenze e obiettivi, in uno scenario in cui la totalità degli eventi è concepita come una trama di variabili interdipendenti e interagenti. Lewin si limitò a utilizzare questo modello di campo mediato dalla fisica per rappresentare la struttura logica delle relazioni descritte, ciò non toglie che il suo tentativo sia stato criticato per la spregiudicata contaminazione tra elementi fenomenologici e fisici e la fallimentare pretesa di offrire un modello matematico del comportamento umano. La famosa formula C= f(P,A) non indica infatti il campo, ma il comportamento.

Lewin è interessato a studiare sperimentalmente ogni comportamento C in un ambiente A inteso come globalità fenomenologica. Ogni comportamento viene quindi concepito come movimento, locomozione, passaggio cioè da una "regione" psicologica ad un'altra, e determinato dalla risultante complessiva delle forze che agiscono su quell'individuo in quel momento, compresi stati interni come bisogni e desideri, e valenze positive e negative degli oggetti nel campo. Per Lewin sono quindi importanti le barriere, i divieti, i premi, le punizioni, l'educazione, la cultura, tutto ciò che può orientare il comportamento e creare situazioni di conflitto con i desideri interni. Lewin stesso dubitava che si potesse arrivare ad una teoria unitaria dell'intero campo e tuttavia riteneva possibile e necessario rappresentare per mezzo di concetti matematici la struttura dinamica della persona e dell'ambiente. Oggi questa concezione mostra tutta la sua ingenuità comportamentistica e tuttavia converrà notare la sorprendente lucidità di Lewin nel suo tentativo di superare una dimensione essenzialista e monopersonale della psicologia a favore di una dimensione dinamico-funzionale e di campo. Ciò che a noi oggi appare inaccettabile è la dimensione sperimentale applicata ai comportamenti emozionali in quanto nega ogni principio etico e motivazionale; sconcertante infine l'ingenuità scientifica insita nella pretesa di considerare un campo aperto con infinite potenziali variabili.

Bion conosceva queste ricerche e pubblicò i suoi primi lavori sui gruppi proprio su Human Relations, la rivista che faceva capo a Lewin; tuttavia non parlò di campo almeno fino a Trasformazioni, molti anni dopo. E' possibile però che nel suo concetto di valenza resti una traccia dell'omonimo concetto lewiniano che rinvia ad un legame tra bisogno interno e oggetto. Il tentativo di superare l'aspetto essenzialistico e categoriale della psicologia e il bisogno di formalismo logico-matematico restano comunque delle caratteristiche che in qualche modo avvicinano questi due autori così diversi.
La successiva evoluzione del concetto di campo è poi legata soprattutto al lavoro di autori italiani, in particolare Corrao, ma anche Riolo, Gaburri, Neri Ferro e altri ed è soprattutto a queste ricerche che ci riferiamo quando oggi parliamo di modello di campo.

Corrao introdusse il suo modello alla metà degli anni 80 al termine di una lunga elaborazione del pensiero di Bion e un'attenta riflessione epistemologica sul modello fisico della teoria quantistica dei campi.
La sua proposta si fondava soprattutto sul lavoro sui gruppi in cui è più evidente la corrispondenza tra campo analitico e campo gruppale, tra gruppo- contenitore e campo transpersonale; in un gruppo-osserva Riolo- gli elementi dell'analisi non sono quasi mai ricondotti al mondo privato del soggetto, ma assunti come funzioni del campo, materiali attraverso cui è possibile edificare i miti e le relazioni del gruppo, così che il campo analitico condivide con il campo del gruppo la sua natura "illusionale". Nella situazione analitica di gruppo i vari elementi su cui opera il pensiero (idee, emozioni, fantasie) vanno quindi a formare un "campo comune" in cui la trasformazione di un singolo elemento riguarda anche tutti gli altri e contemporaneamente la trasformazione del campo riguarda anche ogni singolo elemento. Corrao quindi ammette che nel gruppo analitico, accanto ad una attenuazione o sospensione delle funzioni attive della personalità e specificatamente della funzione alfa, sia possibile una sorta di prestito o di cessione al gruppo stesso di alcuni fattori di cambiamento o funzioni trasformative originariamente individuali.

In base dunque ad una sorta di transfert d'identità dall'individuo al gruppo, Corrao (1981) postula una funzione gamma , "intesa come una variabile incognita, che si può definire l'analogo simmetrico, nella struttura di gruppo, di ciò che rappresenta la funzione alfa nella struttura personale". Questa funzione gamma corrisponde in definitiva alla capacità del pensiero di gruppo di metabolizzare gli elementi sensoriali ed emotivi bruti dispersi nel campo analitico (elementi beta). Essa individua pertanto i livelli superiori della mente di gruppo o "campo mentale condiviso" e in particolare la capacità di reverie del gruppo. In questo modo Corrao porta alle estreme conseguenze l'intuizione introdotta nel 1977, quando riferendosi al modello bioniano contenitore\contenuto aveva affermato nel saggio Per una topologia analitica la probabilità che la "mente" potesse collocarsi non solo all'interno di un individuo, ma anche all'interno di una coppia o di un gruppo.

A partire da queste considerazioni Corrao (1985;1986), introduce l'ipotesi di un concetto di campo come "funzione il cui valore dipende dalla sua posizione nello spazio-tempo" o altrimenti come "un sistema ad infiniti gradi di libertà, forniti dalle infinite determinazioni possibili che esso assume in ogni punto dello spazio ed in ogni istante del tempo". Secondo questo modello quindi il campo non è circoscrivibile, né limitabile ad osservazioni fattuali di tipo percettivo, ma riferibile a movimenti "fenomenologici eventuali", casualmente invisibili e tuttavia deducibili e simbolizzabili, secondo un linguaggio scelto. In questo senso il campo può essere descritto in base alle sue "trasformazioni cinetiche" e rappresentabile con equazioni specifiche. In questo modello non è centrale tanto il concetto di forza o di potenza, bensì quello di energia: "l'energia,-scrive Corrao (1994)- il modello energetico, che avevamo tanto criticato in Freud, adesso, tramite il concetto di campo, può essere reintrodotto. Energia non più concepita in termini di forze vettorializzabili, ma di impulsi, che implicano il concetto di propagazione, di espansione".

L'autore precisa che il suo uso delle teorie fisiche è metaforico, secondo la filosofia del "come se", ed evoca il concetto winnicottiano di oggetto transizionale, un oggetto impregnato di illusione, ma che può avere una grande funzione ermeneutica e che allo stesso modo del mito può promuovere lo sviluppo della funzione simbolica. In verità Corrao parla anche di equazioni del campo e sembra aderire ad un ipotetico modello unitario di campo quantistico che riusciamo appena ad intravedere.
Tuttavia l'autore sembra fare un uso evocativo di questi concetti e la sua ricerca di formalismo non sembra andare oltre il formalismo semplice della griglia di Bion. Quella di Corrao è quindi una ricerca di corrispondenze tra eventi e oggetti, di equivalenze di moti e movimenti, che nel tentativo di farci capire la realtà polidimensionale del gruppo, la coesistenza di interno ed esterno, di individuale e gruppale, introduce il concetto quantistico di campo per evidenziare quei formidabili movimenti energetici che stanno alla base dei fenomeni protomentali. L'iniziale modello di campo, quale fenomeno dinamico generato dalle particelle e responsabile delle forze che si esercitano tra loro, sembra quindi lasciare il posto ad un modello più astratto in cui la natura stessa degli oggetti appare come il prodotto del campo interposto e gli oggetti stessi divengono descrivibili come punti del campo.

Tra le due concezioni vi sono cinquanta anni di Fisica, quanti ne passano tra la teoria del campo elettromagnetico di Farady e Maxwell e la teoria quantistica dei campi di Heisenberg e Dirac.
Le nuove ipotesi quantistiche implicano che le condizioni locali non bastano a formulare le leggi di moto, come non basta a comprendere il significato di una pittura l'esame microscopico di tutte le sue parti, ed è il sistema fisico nel suo complesso che occorre osservare. Ogni singolo punto materiale del sistema si trova infatti in ogni momento, in un certo senso, in tutti i luoghi dello spazio complessivo che sta a disposizione del sistema, e non soltanto col campo di forza che espande intorno a sé, ma con la propria massa, e con la propria carica. Il movimento di un punto materiale non viene più descritto con una curva determinata, ma con una onda materiale (prodotto della frequenza di vibrazione e della lunghezza d'onda) e la rappresentazione dell'atomo passa dal ben noto modello del sistema planetario a quello di una carica nubiforme, mentre il fenomeno quantistico elementare, il fotone, diventa un "dragone di fumo" di cui possiamo individuare solo la testa e la coda. Nella nuova teoria quantistica è quindi il campo stesso, oggetto fisico a cui è associato un numero infinito di gradi di libertà, che viene sottoposto ad un processo di quantizzazione, in cui i quanti sono le particelle ad esso associate. Le particelle materiali vengono così concepite come quanti di campi energetici, e l'universo stesso può essere concepito come un insieme di campi in cui le particelle sono puri epifenomeni. Lo stesso dualismo tra energia e materia e tra campi e oggetti, viene così superato dall'ipotesi che la materia è solo ciò che si produce nelle trasformazioni quantistiche del campo. Ciò che ad un livello di osservazione appaiono infatti particelle dotate di una realtà indipendente, altro non sono che diverse intensità dei punti del campo e diverse configurazioni delle sue linee di forza.

Questo concetto di campo è stato sviluppato oggi soprattutto da Gaburri e Riolo che pur con sottolineature diverse sembrano intendere il campo analitico come un "campo emozionale", " un sistema di trasformazione della realtà fattuale ad opera della realtà emozionale" (Gaburri 1997; Riolo 1997).
Di questo sistema Riolo sottolinea soprattutto l'aspetto "trasformazionale" e "costruttivista", per cui gli elementi della psicoanalisi perdono ogni realtà indipendente da quella del campo da essi istituito, e il veicolo principale di trasformazione viene riferito alle "perturbazioni" affettivo-cognitive che determinano il rapporto tra soggetto e oggetto.
Le descrizioni del campo comportano così una costante attenzione agli aspetti trasformazionali, ai passaggi da uno stato all'altro e una abolizione del confine stabile tra soggetto e oggetto. Più che gli attori e i contenuti della relazione diventano importanti le fluttuazioni, le perturbazioni, " ciò che è presente" e che in un dato istante si manifesta come "un'onda, una quantità, una sensazione, un'emozione" e che nell'istante successivo può diventare "un'immagine, un sogno, un ricordo, un'associazione, un'interpretazione o una teoria"; oggetti che esprimono le realizzazioni dell'analisi, ma che al di fuori di essa non possiedono alcuno statuto oggettivo di realtà.

Il concetto di campo quindi non si risolve in quello di relazione, ed anzi è proprio dall'insufficienza di questa che nasce la necessità di un modello più complesso, "in grado di rendere conto delle interazioni che intervengono tra analista e paziente, ma anche tra conscio e inconscio, tra mente e corpo, tra interno ed esterno, tra presente e passato..." Per Riolo quindi il campo appare legato soprattutto a ciò che esorbita il soggetto e l'oggetto della relazione: "o perchè al di qua di essi, come ciò che -pulsione, sensazione, emozione- non partecipa della natura simbolica della relazione; o perchè al di là di essi, come ciò che- proiezione, allucinazione, azione- ne è stato espulso".
Appare evidente quindi che tale concezione di campo converge con la teoria bioniana del conscio e inconscio come prodotti di una differenziazione continua operata dalla funzione alfa sulle esperienze sensoriali ed emozionali e più genericamente con la concezione bioniana della psicoanalisi come sistema trasformazionale che include tanto le persone che le teorie. Il sistema teorico bioniano sembra così emergere come il perno di un eventuale modello psicoanalitico di campo, mentre gli ultimi lavori di Bion, tesi ad uno "smontaggio" degli aspetti sostanziali e reificati della teoria psicoanalitica, potrebbero rappresentarne un inquietante tentativo di descrizione.
Il modello di campo verrebbe allora a collocarsi nel punto di crisi epistemologica dei "vecchi" modelli psicoanalitici, che a partire dal modello topologico fino a quello della teoria oggettuale, avevano finito per reificare e sostanzializzare gli elementi e gli oggetti della psicoanalisi.

Anche Gaburri concepisce il modello di campo come una evoluzione "non-lineare" rispetto al modello relazionale e ne sottolinea soprattutto l'elemento "terzo" di contenitore comune emozionale e le potenzialità trasformative degli elementi preverbali e protomentali.
Il modello relazionale collocava il momento trasformazionale nei fenomeni emergenti tra i membri della coppia o del gruppo e nel gioco transfert-controtransfert riferito comunque alla soggettiva matrice del mondo interno. Il campo emotivo avvolge invece i soggetti della coppia o del gruppo, che divengono coautori solo parziali dell'esperienza stessa, svincolata così dall'imbrigliamento di un'ottica unipersonale della psiche o di una dinamica strettamente interattiva. Questa dimensione "terza", tra analista e paziente, tra soggetto e oggetto, perturba reciprocamente i componenti che contemporaneamente la attivano e ne sono contenuti. La consapevolezza di un campo emotivo che avvolge paziente e analista marca allora di imprevedibilità il fare psicoanalitico e depotenzia l'apparato teorico e cognitivo dell'analista, costringendolo ad una rotta più incerta, ma anche meno scontata e più autentica. L'esperienza analitica si orienta verso la realizzazione di eventi trasformativi e appare pervasa da un carattere di imprevedibilità, causalità e incoerenza; in essa l'analista rinuncia ai modelli teorici forti, a uno stato mentale saturo di inutili protesi, accettando di esporsi, nella coesistenza con l'altro, al nudo incontro con le emozioni.

Il compito fondamentale dell'analista diventa allora quello di non creare impedimenti alla realizzazione di un'esperienza nuova che può scaturire dalle imprevedibili trasformazioni autoorganizzative del campo. Egli quindi deve prestare attenzione ai segnali del campo facendo uso di una particolare disposizione mentale, meno vigile e attiva, in grado di consentire una saltuaria e parziale dissolvenza del proprio io e della propria tensione a capire. Condizioni queste che Bion aveva descritto come capacità negativa quale temporaneo oscuramento di memoria, desiderio e conoscenza, allo scopo di consentire quelle particolari esperienze di autoorganizzazione da cui scaturiscono le trasformazioni in "O", in cui soggetto e oggetto divengono la Cosa che la trasformazione realizza, anzichè limitarsi a coglierla sul piano cognitivo. Nel modello di campo possiamo quindi pensare che intervengano energie non vettoriali di natura emotiva, che configurano il campo come un elemento terzo in continua attività tra paziente e analista e che potrebbe funzionare da prerequisito per rendere digeribili all'analista le associazioni del paziente e al paziente le interpretazioni dell'analista. In altre parole il campo emotivo avrebbe la funzione di sostenere, (o di ostacolare) la funzione alfa in modo da rendere possibile l'esplorare e cogliere la dimensione più arcaica, preverbale, compresi i pensieri non ancora pensati, potenzialmente emergenti dal contesto situazionale piuttosto che dalla relazione dei soggetti coinvolti: "dove c'era la mimica, il gesto, l'azione ci sarà la parola"- scrive Gaburri- echeggiando l'antico aforisma freudiano: " Dove era l'Es, ci sarà l'Io".

Il campo viene quindi a configurarsi come l'insieme dei pensieri non ancora pensati, emergenti dalla situazione piuttosto che dalle menti dei soggetti.
In questo modo Gaburri postula l'esistenza di un campo di pensieri veri, prodotti dalla situazione, che si interseca in parte con il campo relazionale, quando questo riesce a sviluppare una rinuncia alla bugia.
La relazione diventa così solo una delle funzioni del campo, che si configura come una sorta di "area intermedia", in cui possano vivere e prendere corpo scene e personaggi che rimarrebbero altrimenti ingabbiati, resi inerti... elementi "di stanza" prima ancora che di "relazione"... che possono attenere a "semi" di relazioni potenziali o virtuali, "ricordate" o "inseguite".
Il concetto di campo offre così la possibilità di accogliere elementi non sufficientemente strutturati per essere riconoscibili e attribuibili, come emozioni ancora indifferenziate, protopensieri, ma soprattutto movimenti trasformativi che cercano una consistenza ed una forma. Il campo ha quindi la caratteristica di autoavviarsi e autoorganizzarsi indipendentemente dagli aspetti consapevoli e intenzionali dei partecipanti, e la sua funzione è simile a quella del sognare da svegli nel pensiero di Bion, un continuo lavoro di "digestione" delle esperienze emozionali, in uno spazio-tempo fluttuante in cui "galleggia" tutto ciò che è in trasformazione, in attesa di raggiungere un significato, che possa essere pensato e a volte comunicato.

Questo aspetto potrebbe includere anche quelle caratteristiche di "pervasività" e "invasività" descritte da Correale (1991) e Neri (1993), in cui fantasie e atmosfere sembrano invadere il campo e condizionare l'andamento della terapia a prescindere dalla relazione. Fenomeni come "il clima" di un contesto, le fantasie transgenerazionali o quelle atmosfere di depressione e noia che invadono il campo come nuvole di pesantezza e negatività, sono infatti difficilmente riconducibili ad aspetti relazionali e rinviano piuttosto ad aspetti protoemotivi a carattere diffusivo. Questa caratteristica del campo appare complessa e originale, in quanto sembra uscire dal modello di base fondato sul meccanismo dell'identificazione proiettiva, che accumunava il già noto modello di campo dei Baranger alle teorie di Bion. Per capire questa proprietà del campo occorre far riferimento non solo all'intrecciarsi delle identificazioni proiettive, ma anche a quell'aspetto protomentale del legame che Bion definisce "valenza". Con questo concetto viene infatti introdotta una cesura rispetto alla concezione della libido come unica matrice dei legami ed appare possibile affrontare il delicato crinale dove l'assenza di relazione drammaticamente convive con la presenza di un linguaggio inarticolato e occlusivo. Il sistema proto-mentale viene infatti descritto da Bion come matrice indifferenziata tra fisico e mentale, al di quà della stessa distinzione soggetto/oggetto e individuo /gruppo, e pertanto si propone come un concetto in grado di condividere la natura della pulsione freudiana e individuare la zona in cui si salda più strettamente psicoanalisi individuale e gruppale.

Diversamente da Freud, Bion (1961) pensa che nel gruppo la natura dei legami sia diversa da quella libidica, e la nomina valenza, in riferimento alla teoria chimica sulla natura automatica e aspecifica della capacità di combinazione degli atomi. Il gruppo è così concepito come un aggregato di oggetti parziali tenuti insieme dal legame-valenza; una elementare energia di attrazione meno differenziata rispetto all'investimento libidico-affettivo che nel gruppo freudiano, concepito sul modello familiare, lega il soggetto al leader quale significante dell'identificazione con l'imago paterna.
Possiamo allora pensare che nei gruppi in ab, in tutte le situazioni di massa a forte "funzione magmatica" e nei fenomeni di "clima emozionale", il tipo di legame in gioco sia ancora più primitivo di quello basato sull'identificazione proiettiva, che rimane un fenomeno puntiforme ed implica pur sempre un passaggio da un soggetto all'altro e quindi una qualche relazione e differenziazione. In tali casi dobbiamo ammettere che nel campo intervengano energie non vettoriali di natura emotiva o proto-emotiva, che sembrano comportarsi piuttosto come onde di propagazione energetica (Rugi 1998).

Questo aspetto del campo è stato sviluppato in modo originale da Antonino Ferro (1996) che considera il campo come uno spazio-tempo di intense turbolenze emotive, di vortici di elementi beta, che urgendo e attivando le funzioni alfa dell'analista e del campo iniziano ad essere trasformati in elementi alfa, cioè prevalentemente in immagini visive, che possono manifestarsi nel racconto del paziente, nella reverie dell'analista, nel suo controtransfert o in qualunque altro punto del campo. Essenziale per l'autore è il pensiero onirico della veglia, cioè quel continuo sognare per essere svegli, descritto da Bion, in cui la funzione alfa procede a costituire gli elementi alfa a partire da tutte le afferenze senso-percettive-emotive di ogni istante esistenziale e relazionale. Anche per Ferro il campo che si attiva e si trasforma è una funzione del lavoro mentale della coppia, della libertà dell'analista e delle sue capacità negative, come non persecuzione, non intrusione, non decodificazione, che possono permettere la trasformazione di un clima di terrore e di incubo in uno più familiare e di gusto per la ricerca.
Il campo quindi è un medium che consente operazioni trasformative, narrative e piccoli insight successivi, che non hanno bisogno di essere interpretati, ma che preludono ad altri cambiamenti: il campo quindi, man mano che viene esplorato si allarga di continuo, diventando matrice di storie possibili, molte delle quali sono lasciate in deposito in attesa che possano gemmare.

Il concetto di Campo contiene quindi al suo interno vari "nuclei di senso", diversi tra loro e che si sono andati stratificando nel tempo;
questi tuttavia sembrano individuare un modello complesso, "aperto" e in progress, ma con una struttura epistemologica precisa e coerente.
Questo modello è il modello bioniano della psicoanalisi.
Osservazione che può apparire paradossale, dal momento che Bion non ha mai teorizzato una teoria del campo, e tuttavia nel nostro percorso appare evidente che le teorie bioniane costituiscono l'asse portante del nuovo modello di campo. Se infatti non è ancora possibile delineare un modello di campo concluso e coerente (tanto che Chianese lamenta almeno dieci definizioni diverse di campo) è pur vero che il nocciolo duro e originale di questo modello emerge dal pensiero bioniano e soprattutto da quella particolare elaborazione nata dall'ottica gruppale di autori come Corrao, Gaburri, Riolo, Neri, Ferro ed altri. Così se oggi in psicoanalisi esiste un nuovo e rivoluzionario paradigma è perchè il modello bioniano è nuovo e rivoluzionario, ed è un modello di campo. Se è legittimo dubitare del nuovo è tuttavia ingenuo pensare di accettare Bion e mantenersi tranquilli nell'alveo dei noti paradigmi freudiani o kleiniani. Il cambiamento che Bion impone è catastrofico. Il suo poi è un modello di campo perchè è il primo e l'unico che riesce a rinunciare ad ogni concetto sostanziale, a lasciar da parte i concetti d'inconscio e conscio, seno e bocca e ad indicare la cesura e il legame come il vero oggetto d'indagine e osservare le loro relazioni e le trasformazioni del sistema. Ma è anche un modello psicoanalitico in quanto ne stabilisce i confini e il metodo. In Trasformazioni (1965) Bion afferma infatti che:

"In psicoanalisi, qualsiasi O che non sia comune all'analista ed anche all'analizzando e che quindi non sia disponibile per la trasformazione da parte di entrambi, può essere ignorato come non pertinente alla psicoanalisi. Qualsiasi O che non sia comune ad entrambi non è suscettibile d'indagine psicoanalitica; qualsiasi apparenza contraria dipende dal non comprendere la natura della interpretazione psicoanalitica."

Queste osservazioni appaiono essenziali in quanto Bion ammette
che non si potrà mai conoscere quali sono i fatti in sé, che indica con il "segno O", e pone un limite preciso e invalicabile al campo psicoanalitico.
Il paziente che entra e dà la mano è un fatto esterno, una realizzazione, che fino a quando sarà utile considerare come una cosa in sé e non conoscibile (nel senso kantiano), sarà indicato col segno O. Il fenomeno corrispondente al fatto esterno, quale esiste nella mente del paziente, viene invece rappresentato col segno Tpalfa, in quanto fa parte della trasformazione del paziente. E' questo che possiamo conoscere, ma solo a patto che l'O in questione sia comune all'analista e all'analizzando e quindi disponibile per la trasformazione da parte di entrambi. ( In questo modo il concetto di trasformazione di Bion si avvicina in modo sorpendente al processo di semiosi descritto da C.S.Peirce per il quale il segno è "qualcosa che da un lato è determinato da un Oggetto e dall'altro determina un'idea nella mente di una persona, in modo tale che quest'ultima determinazione ,...l'Interpretante del segno, è con ciò stesso mediamente determinata da quell'Oggetto". Anche in Peirce l'interpretazione di un oggetto è essenzialmente un'ipotesi e quindi "possibilmente erronea", la semiosi è quindi illimitata. - Peirce,C.S., 1980).

Bion quindi osserva come un fenomeno in sé, non mentale, possa diventare mentale e assumere un significato, quando entri in un campo comune di esperienza analista-paziente di modo che possa venire elaborato e trasformato. Bion poi descrive anche il processo opposto quando un fenomeno o elemento mentale diventa una cosa in sé, come nello psicotico, che non è capace di "pensare"- nel senso di manipolare le parole e i pensieri in assenza dell'oggetto- e che non ha ricordi, ma solo "fatti nudi e crudi", e in cui le allucinazioni sono "cose-in-sé", non-pensiero (Bion, 1965). Il problema di Bion è quindi quello di esprimere in termini formali o comunque trasmissibili le complessità di ciò che avviene nella seduta analitica. Ed è proprio a questo scopo che Bion introduce in Trasformazioni il concetto di campo. Egli ammette che l'esperienza emotiva che paziente e analista vivono nella stanza d'analisi è influenzata da amore (L), odio (H) e conoscenza (K) e ricorda che la situazione analitica è stata escogitata per fornire le condizioni in cui il paziente abbia un terreno su cui proiettare. L'idea implicita nella teoria del transfert è infatti che l'analista sia la persona su cui l'analizzando trasferisce le proprie immagini. Tuttavia perfino le trasformazioni a moto rigido (nel senso classico) non sempre trovano un terreno appropriato su cui il transfert possa essere rivelato.

Le teorie di Melanie Klein mostrano che un tale medium non è comunque adeguato nel caso delle trasformazioni proiettive; in particolare esso non aiuta l'analista a riconoscere gli elementi dell'identificazione proiettiva, quando compaiono in mezzo al materiale e ai sintomi clinici. L'analista deve saper scorgere i segni della identificazione proiettiva in un campo che, rispetto a quello vigente nella teoria classica, è, per così dire, multidimensionale. La situazione analitica richiede una ampiezza e una profondità maggiore di quelle che possono essere fornite da un modello tratto dalla concezione euclidea dello spazio. Un paziente che mostra trasformazioni proiettive e richiede, per essere compreso, l'uso di teorie kleiniane, adopera anche un campo che non è semplicemente l'analista o la propria personalità o anche il rapporto tra lui e l'analista, ma tutte queste cose e altre ancora. Bion infine postula che la situazione analitica possa essere considerata nel suo complesso come un sistema di energia (come già Freud nel suo Progetto di psicologia scientifica e Corrao nel suo modello di campo) in cui la somma totale di energia rimane la stessa e la instabilità di una qualunque parte del sistema può essere vista negli aumenti di "pressione". Una tale complessità può quindi essere male visualizzata in un elemento topologico come un cerchio o una sfera; il "campo" della trasformazione, o "ricettore" o "terreno" viene invece avvicinato per analogia da Bion ad un dipinto in cui il terreno per la trasformazione è la tela su cui la trasformazione è proiettata. Il modello di campo era già quindi implicito nella teoria delle trasformazioni di Bion, e tuttavia sono occorsi decenni prima che ne potessimo prendere piena consapevolezza e occorrerà ancora del tempo prima di realizzare tutta la sua enorme portata.

Seminario Università La Sapienza, Roma, 20\01\99
Dipartimento Scienze Neurologiche Prof. Rocco A. Pisani
Coordinatore Dr. Mario Giampà

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