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PSYCHOMEDIA
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12 Settembre 2001


Date: Wed, 12 Sep 2001 09:30:14 +0200
Sender: Psychomedia Salute Mentale e Comunicazione
To: PM-SMC@LISTSERVER.SICAP.IT
From: Luca Pezzullo
Subject: [PM-SMC] Attentati e traumi...

Anche per calmare l'ansia ed il disagio che ieri mi giravano dentro - come immagino anche ad altri - mi sono buttato su una difensivissima intellettualizzazione, ed ho messo giù dei pensieri sugli aspetti traumatologici di quanto è successo...

Le conseguenze psicotraumatologiche dei drammatici attentati di oggi negli USA saranno con ogni probabilita' enormi, sia a livello individuale per i sopravvissuti e le vittime secondarie (alcune centinaia di migliaia di amici e parenti delle vittime), sia a livello collettivo per l'intera nazione.
I riverberi di questa massiva traumatizzazione collettiva rischiano anche di riflettersi in maniera pervasiva sulle scelte strategiche che i vertici americani dovranno intraprendere nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.
La traumatizzazione a livello collettivo, negli USA, e' enormemente incrementata dall'attacco diretto e consapevole, e soprattutto "riuscito e devastante", sui simboli del potere e dell'Identita' Americana, tante volte drammatizzato ed esorcizzato in film e romanzi, ma mai concretizzatosi fino ad oggi. Si puo' anzi pensare che il continuo tentativo di tenere simbolicamente lontana quella paura, tramite la sua ripetuta rappresentazione drammatica, adesso possa produrre un effetto di ricaduta molto amplificato.
In generale, e' assodato che gli effetti traumatici di un evento violento sono molto piu' significativi laddove un attacco venga esercitato contro gli aspetti simbolici di un'identita': in questo caso, l'attacco contro il Pentagono (simbolo della forza militare, e quindi della capacita' stessa del Paese di difendersi e tutelarsi contro le minacce esterne), le Twin Towers del World Trade Center (simbolo, gia' attaccato nel 1993, del potere economico), l'evacuazione della Casa Bianca (simbolo di rilevanza quasi "mitologica", sede del potere esecutivo; antropologicamente, una "Casa del Capo" che viene "svuotata" ed abbandonata per la paura).
L'improvvisa scoperta dell'estrema vulnerabilita' "dell'Isola Sicura"; il numero delle vittime, talmente elevato da eccedere qualunque forma di ancoraggio cognitivo per gli eventi violenti della sua stessa categoria (il "terrorismo"), e probabilmente paragonabile solo ad azioni di guerra come il bombardamento di Dresda o perfino il lancio dell'atomica su Nagasaki; le modalita' atroci dell'attacco (la ferocia psicopatica e lucidissima che porta al dirottamento in contemporanea di diversi aerei civili di linea carichi di passeggeri, ed il loro utilizzo come armi di distruzione di massa); l'imprevedibilita' degli attacchi successivi, costruiti secondo una precisa "timetable del terrore" che ha esasperato l'incertezza e la paura;
la palese organizzazione ad alto livello e di alta precisione che sta dietro gli attacchi; l'altrettanto palese incapacita' dei potenti servizi di sicurezza americani di prevederli e prevenirli sono tutti elementi che, fondendosi insieme, rendono acutissimo il senso di sconcerto per la popolazione americana, e fortissime le sue ricadute emotive e psicologiche. Per riprendersi da tale confusione e panico, una delle poche strade percorribili e' quella di una risposta di grande energia, tale da rassicurare "l'Aquila" americana della sua forza.
Psicologicamente, e' necessario, per ridurre gli effetti di impatto traumatico sulla collettivita' statunitense, che i vertici statunitensi mantengano un sangue freddo ed una capacita' di guida non obnubilata dalla confusione collettiva, dando un senso di "agency" ed efficacia nella risposta strategica.
Se non verra' operata una elaborazione di forza e "guidance" collettiva,
tutto il "trauma inespresso" potra' ripercuotersi e "percolare"
pericolosamente anche sul livello delle scelte politiche, pervadendolo di ombre ed angoscie distruttive.
Diecimila vittime e la distruzione dei simboli del potere nazionale sono una ferita atroce; quasi inelaborabile, in prima battuta.
Sara' rimarginabile, anche a livello delle singole persone coinvolte, solo se gli americani "sentiranno" collettivamente di non aver perso il senso psicologico del "controllo della situazione". Questo permettera' loro, nel lungo termine, di reinserire l'evento in una narrativa coerente e sufficientemente "positiva" (o quanto meno non del tutto distruttiva od incoerente), riducendo di conseguenza la traumatizzazione collettiva.
Peggio di un "cattivo senso" c'e' forse solo l'assoluta mancanza di un Senso, di un significato coerente degli eventi.
Se invece i terroristi saranno riusciti a veicolare un forte senso di impotenza o di "inefficacia dell'azione" agli americani, gli effetti post-traumatici a livello collettivo saranno gravissimi e di difficile cicatrizzazione. Le vittime ed i sopravvissuti dovranno essere aiutati a ricostruire una narrativa di quello che gli e' successo; e questa narrativa dovra' essere in gran parte ricostruita anche in base a quelli che saranno gli avvenimenti collettivi (la risposta strategica, il "Senso" storico che verra' costruito intorno all'evento, la sua cornice di significato e comprensibilita'). Anche per molti paesi occidentali il trauma collettivo sara' (e') forte: "Papa' si e' fatto male", e non e' stato nemmeno capace di difendersi.
Gli interventi clinici attuati ad Oklahoma City dopo l'attentato del 1995, per supportare le vittime ed i sopravvissuti, dovranno essere ripetuti su scala molto, molto, maggiore, cosi' come su scala enormemente maggiore dovra' riavvenire la "ricostruzione narrativa" della ferita emotiva collettiva. Una narrazione che in questo caso sfiora la portata degli "eventi storici": le vittime sono state coinvolte in quello che sara' ricordato in futuro come un evento di portata storica, da "libro di testo", e parte del loro benessere psicologico, anche individuale, dipendera' dalla risoluzione ed elaborazione "collettiva" di quello che e' successo oggi.
A livello operativo, il FEMA, l'agenzia federale statunitense di Protezione Civile, sara' in grado di gestire con l'efficacia necessaria l'immane opera di soccorso ? Sarà in grado di sostenere lo sforzo organizzativo atto ad assicurare un livello decente di assistenza socio-sanitaria e di supporto psicologico alle persone coinvolte, ed ai loro parenti ?
Un altro problema e' se i professionisti della salute mentale americani esperti di patologie post-traumatiche siano numericamente sufficienti per assistere tutte le persone coinvolte, direttamente od indirettamente (decine di migliaia di esseri umani). Probabilmente no, e questo conduce ad un rischio ulteriore per il benessere dei sopravvissuti: quello che sul luogo inizino ad operare senza controllo centinaia o migliaia di autoproclamati "Disaster Counselor", come spesso purtroppo succede negli Stati Uniti, in occasione di disastri anche di dimensioni molto minori.
Massima solidarieta' ai colleghi impegnati in un tale, impressionante, compito di sostegno ed intervento.
Speriamo bene.

Luca Pezzullo

Editorial Staff Member of Psychomedia Telematic Review


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