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PSYCHOMEDIA
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28 Febbraio 2002


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www.psychomedia.it


Università Cattolica del Sacro Cuore
Istituto di Psichiatria e Psicologia
(Direttore Prof. Sergio De Risio)


Gruppo di ricerca sulle forme criminali emergenti
(Responsabile Prof. Massimo Di Giannantonio)


DELITTO DI COGNE: IPOTESI CRIMINOLOGICHE

Dr. Marco Strano
Criminologo, Coordinatore scientifico dell'equipe
Redattore dell'area Criminologia di Psychomedia



Dall'analisi della letteratura scientifica criminologica e dallo studio della casistica internazionale proponiamo alcune valutazioni criminologiche sulla possibile dinamica dell'omicidio.


(1). La madre.

Usualmente gli omicidi dei figli da parte della madre avvengono nelle seguenti circostanze:
* nelle prime settimane di vita del bambino (solitamente entro 7-10 giorni) quando ancora la donna non si è affezionata alla sua prole (definito infanticidio);
* quando la madre vive un'esistenza disagiata (tossicodipendenza, alcolismo, scarsezza di mezzi di sostentamento, generale degrado);
* quando la madre è molto giovane di età (15-18 anni);
* quando il partner maschile è estremamente violento (magari pedofilo). In tali casi l'omicidio viene definito in Criminologia "complesso di Medea" ed è finalizzato a "togliere" il bambino da un'esistenza sicuramente drammatica.
* quando la madre è affetta da un quadro psicopatologico grave (solitamente di natura psicotica) in grado di alterare completamente la sua coscienza in certi momenti. Alcuni studi descrivono la personalità della donna infanticida come caratterizzata da depressione, distacco affettivo, tendenza all'acting-out, alterazione della realtà, ecc
In tutte le altre situazioni la madre è generalmente poco sospettabile.


(2). Il fratello maggiore.

I bambini dell'età del fratello minore della vittima (circa 7 anni) sono tecnicamente in grado, dal punto di vista psico-criminologico, di compiere atti aggressivi, anche letali, nei confronti di coetanei o di altri bambini più piccoli. Gli insegnanti delle prime classi delle elementari conoscono bene l'aggressività che talvolta viene posta in essere da bambini di questa età. Le motivazioni coscienti di tali atti sono solitamente legate ad una sorta di gelosia delle cure parentali ma su di esse agiscono anche dinamiche di immaturità generale o marcatamente psicopatologiche che "immergono" l'azione criminale in una dimensione ludica (semicosciente). La percezione di quello che si è fatto può sfumare nel bambino fino alla rimozione a causa dell'impatto forte della scena (sangue, reazione della madre eccetera). All'interno dei nuclei familiari, in tali circostanze, i genitori possono tendere a coprire il fatto attuando dei comportamenti di depistaggio (assumendosi anche la responsabilità). Specie quando l'autore del crimine è l'ultimo figlio rimasto i genitori possono tendere a preservarlo da un'esistenza marcata dall'evento delittuoso. Alcune azioni emerse dalle investigazioni del delitto mostrano ad esempio dei comportamenti psicologicamente incongruenti da parte della madre, primo tra tutti quello di aver lasciato la porta di casa aperta con all'interno un bambino di 3 anni mentre si reca ad accompagnare a scuola il fratello maggiore. Normalmente il medico curante del bambino, anche sotto segnalazione dei genitori, è al corrente di eventuali sintomatologie di origine psicopatologica del giovane paziente.


(3). Un intruso.

Un omicidio di un bambino ad opera di un soggetto esterno al nucleo familiare della vittima solitamente è legato alle seguenti motivazioni:
* una vendetta ad opera di un singolo o di un'organizzazione criminale;
* per impedire che il soggetto riveli altri crimini minori (es. una violenza sessuale a suo danno);
* come soddisfazione di impulsi sadici in un soggetto affetto da parafilie;
* la gelosia di maternità e della famiglia in genere in un soggetto (normalmente donna) disturbato;
* un'aggressività esasperata da intossicazione acuta da alcool o cocaina;
* un movente su base psicopatologica ad opera di un soggetto affetto da psicopatologie su base psicotica.
La prevalenza dei moventi negli omicidi di bambini ad opera di adulti estranei al nucleo familiare è quindi correlata ad anomalie psico-comportamentali e parafilie. Spesso in tale categoria di assassini si annoverano le babysitter e le "tate". Vengono considerati estranei (intrusi) anche parenti di secondo grado (cugini, zii, cognati eccetera).


In base a quanto esposto le ipotesi sulla dinamica del delitto vedono quindi (in ordine di probabilità) i seguenti responsabili: il fratellino maggiore (40%), un intruso (30%), la madre (30%). Tali valutazioni in termini di probabilità si riferiscono ovviamente alla sola analisi criminologica del delitto, prescindendo quindi da riscontri investigativi che possono modificare, già nella fase dell'analisi della scena criminis, le percentuali proposte.


Riferimenti bibliografici:

Ammaniti M. et Al., "Il bambino maltrattato", il Pensiero Scientifico, Roma, 1981
Cesa - Bianchi M. (a cura di): "La violenza sui bambini", Franco Angeli, Milano, 1993;
Cirillo S.: "La famiglia maltrattante", Cortina Editore, Milano, 1996;
De Cataldo Neuburger L. (a cura di): "La criminalità femminile tra stereotipi culturali e malintese realtà", CEPAM, Padova, 1996;
Ferracuti F. (a cura di) "Trattato di criminologia, medicina e psichiatria forense", Giuffrè, Milano,1988, vol VIII.
Gulotta: "Famiglia e violenza. Aspetti psicosociali", Giuffrè, Milano,1983
H. VON HENTIG, The criminal and his victim, Yale University press new Heaven, 1984.
M. E. WOLFANG, Patterns in criminal homicide, Philadelphia, University of Pensylvania Press, 1958.
Ewing P., Fatal Families, Sage, 1997
Ewing P., Kids who kill, Avon Books, 1990
Websdale N., Understanding Domestic Homicide, Northestern University Press, 1999


RECAPITI TELEFONICI
Dr. Marco Strano: 338-7538931/06-9074050


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