PM --> H P ITA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> RECENSIONI --> LIBRI

PSYCHOMEDIA
LIBRI - Recensioni e Presentazioni


Giuseppe Martini

La psicosi e la rappresentazione
Borla, 2012




 



Quarta di copertina

    L’esistenza umana ha a che fare inevitabilmente con una dimensione di irrappresentabilità e incomprensibilità da cui si originano sia le angosce psicotiche, sia le angosce esistenziali, sia i processi di simbolizzazione. Questa dimensione è anche un possibile punto d’incontro condiviso tra il terapeuta e il paziente psicotico, nella consapevolezza che tuttavia, a partire di qui, le loro strade sono destinate a divergere drammaticamente. L’irrappresentabile fonte del simbolico e quello generatore di psicosi sono enormemente distanti: è possibile tuttavia “sfruttare” questa comune radice per consentire un loro sia pur limitato interscambio?

    Nasce di qui un’ipotesi della psicoterapia delle psicosi centrata sul limite, sul frammento, sulla presenza –sino al paradosso dell’incontrarsi senza comprendersi- e soprattutto sulla dialettica: tra rappresentabile e non rappresentabile, tra l’intersoggettivo e l’unipatico informe, tra inconscio rimosso e non rimosso. Se in questa psicoterapia il paradigma della narrazione ha un ruolo centrale è certamente per la sua stretta interconnessione con quello dell’inenarrabile e con la soggiacente dimensione sensoriale-emozionale.

    Il titolo La psicosi e la rappresentazione (anziché La psicosi e l’irrappresentabile che pure gli sarebbe convenuto) vuole segnalare come l’impegno terapeutico con questi pazienti vada necessariamente nella direzione di consentire alla rappresentazione di emergere a partire da un fondo di non pensiero, sovrastato dall’angoscia e dal terrore senza nome.

    I capitoli sono intercalati da tre racconti, che tentano, anche con stili difformi, di esprimere il vissuto dell’isterico, del paranoico e dello schizofrenico, nella consapevolezza della intraducibilità del vissuto psico(pato)logico, ma anche della ineludibile necessità di approssimarlo attraverso la rappresentazione, e dunque la parola o l’immagine.

    Giuseppe Martini, psicoanalista S.P.I. e primario psichiatra presso il Dipartimento di Salute Mentale Roma E, ha tenuto per circa venti anni insegnamenti di Psicopatologia presso diverse Scuole di specializzazione in psichiatria e si interessa in particolar modo di psicoterapia delle psicosi e dei rapporti tra psicoanalisi ed ermeneutica. Tra i suoi lavori più significativi: Ermeneutica e narrazione (1998), La sfida dell’irrappresentabile (2005) e, in qualità di curatore, i volumi Psicoanalisi ed ermeneutica. Prospettive continentali (2006) e Paul Ricoeur e la psicoanalisi (in coll. con D. Jervolino, 2007)

     

Recensione di Vinicio Busacchi
(Ricercatore di Filosofia teoretica, Dipartimento di Pedagogia, Psicologia, Filosofia, Università degli studi di Cagliari)

    In modo diverso, ma sotto diversi aspetti correlato, psicoanalisi e psichiatria sono per Giuseppe Martini due scienze mediche dal costitutivo ancoraggio ermeneutico. ‘Costitutivo’ nel senso che, in psichiatria come in psicoanalisi, per l’Autore de La psicosi e la rappresentazione, crocevia teorico-riflessivo dell’insieme delle questioni metodologico-epistemologiche e pratico/prassico-cliniche sono quelle questioni e tematiche collocate/collocabili nel quadro della ricerca e del lavoro ermeneutico: principalmente, l’interpretazione (di segni, fatti e occorrimenti, di rappresentazioni, simboli e significati), la creazione espressiva (produzione simbolica, culturale/conoscitiva, artistica) e la rappresentazione/narrazione (questioni di teoria dell’immaginazione e della narrazione, e di antropologia filosofica). Di fatto, anche se con i dovuti distinguo, la gran parte dell’efficacia (sul piano scientifico, come su quello clinico e pratico-sociale/pratico-etico) di psicoanalisi e psichiatria si gioca (1) sulla capacità della comunità degli specialisti [= di ciascun specialista] di risolvere il problema di sapere ‘cosa si fa’ e ‘che cosa fare’, e di esser capace/i di riproporre tale problematica, di riaprirla ad ogni buona occasione (non per un principio di radicale incertezza, ma per sicura pratica [umanistica] della scienza medica); ancora, si gioca (2) sulla capacità d’esercitare (scientificamente, professionalmente, cum grano salis) le risorse, le possibilità/“poteri”, gli strumenti della parola e dell’azione terapeutica; infine [?], si gioca (3) sulle risorse del mezzo della scrittura (dalla compilazione della cartella clinica al racconto/ri-costruzione del caso clinico, dal resoconto seminariale al saggio teorico). Epperò, Giuseppe Martini non propone una psichiatria ed una psicoanalisi tout court ‘ermeneutiche’. Questo è chiaro già con la sua prima opera, Ermeneutica e narrazione. Un percorso tra psichiatria e psicoanalisi (Torino, 1998), in cui se da un lato è messa in evidenza la profonda interrelazione teorica, specialmente sul piano metodologico, della psichiatria e della psicoanalisi con l’ermeneutica, è da un altro lato sottolineata (specialmente per la psichiatria) [a] la ricca articolazione interna (certo, per differenze di scuola, anche, ma in primis per varietà e livello di gravità/problematicità della/e patologia/e mentale/i) e [b] per la forte apertura interdisciplinare (in ambito teorico come in ambito terapeutico e clinico).

    In modo diverso (giova ribadirlo) psichiatria e psicoanalisi appartengono ad un genere complesso di scienza rigorosa. È attraverso l’ermeneutica – specialmente quella di configurazione ricœuriana – che l’Autore, facendo saltare le classiche [più o meno ideologiche] contrapposizioni tra esplicazione e comprensione, tra verità narrativa e verità storica, tra approccio biologico-naturalistico e approccio antirealistico, contribuisce a ridisegnare il quadro epistemologico di queste discipline mediche. Qui risiede il principale debito della psichiatria e della psicoanalisi nei confronti della filosofia. Con l’ermeneutica anche la prassi clinica e gli approcci terapeutici sono, in psicoanalisi e psichiatria, ripensati. E qui risiede il principale debito della filosofia nei confronti della psichiatria e della psicoanalisi (poiché è da esse che questa ermeneutica medica scaturisce, portando sul terreno del confronto interdisciplinare e dell’indagine teorica elementi nuovi, inediti, sconosciuti alla filosofia). Un reciproco arricchimento, insomma, che – certo – non ha piena circolarità, né piena equivalenza, ma che riflette quell’inevitabile orientamento al confronto ed alla ricerca interdisciplinare che tanta differenziazione, sofisticazione e frammentazione dei saperi impone oggi con la più evidente urgenza.

    Ora, se con la sua seconda opera maggiore – consacrata alla psicoanalisi clinica, La sfida dell’irrappresentabile (Milano, 2005) – Martini tenta una messa a frutto teorica [= di teoria organizzata] del suo itinerario interdisciplinare costruendo sul cardine metapsicologico, dialettico e terapeutico di rappresentabile/irrappresentabile un nuovo apparato ermeneutico per la psicoanalisi, ne La psicosi e la rappresentazione – opera complessa, eccezionalmente ricca (di lontana ma, mi pare, evidente afferenza/referenza jaspersiana) – la sfida [che poi è anche provocazione!] si sposta dal piano della psicoanalisi a quello (ben più spinoso) della psicosi, e da un piano tendenzialmente teorico ad un piano tendenzialmente pratico-clinico, ovvero dal discorso e dalla scienza all’uomo ed all’esistenza.

    Sulla dialettica della rappresentazione, sulle dialettiche delle rappresentazioni – secondo l’Autore, fulcro della stessa concezione psicopatologica di Freud (p. 24) – ne va dello sviluppo dell’identità e della personalità umana, non solo del dinamismo patologico e delle ragioni/cause delle psicosi, questo pensa l’Autore; ne va, ancora, delle angosce esistenziali, e delle trasformazioni correlate/correlabili, delle possibilità di affrancamento da esse, non solo delle angosce qualificate come patologiche; ne va in una parola del processo dell’emancipazione umana, sia che tale processo si trovi a passare per la penosa strettoia del disagio psichico, della malattia mentale, sia che esso vari sulle variazioni dell’esistenza, delle circostanze ambientali, familiari, sociali, del momento e del tempo.

    La concezione della cura e del trattamento delle psicosi (di vario genere, sotto vari aspetti), del rapporto clinico (nelle varie forme e nei diversi modi), dell’uso delle risorse narrative in psichiatria, dei limiti di penetrazione dei fenomeni psichiatrici [= rinuncia alla pretesa di certezza assoluta, conclusiva] – tutto ciò è profondamente messo in discussione e ri-pensato da Martini. Si ribadisce, contro l’empirismo descrittivo/operativo dei vari DSM [utili ma, anche, limitati] e dei vari approcci teorici e [unilateralmente] farmacologici di ‘psichiatria non-comprendente’, l’idea di un orientamento tendenziale alla psicopatologia psicodinamica delle psicosi. Nasce l’ipotesi di una psicoterapia delle psicosi centrata sull’ermeneutica [interpretativa ed espressivo-narrativa] del limite del vissuto irrappresentabile, del frammento rappresentabile/irrappresentabile della realtà e del Sé, del momento, dell’incontro, della presenza di paziente e specialista – una concezione essenzialmente «trasformativa», come evidenzia Antonello Correale nella sua Introduzione al libro.

    Mi pare che un passaggio più di tutti renda al meglio la cifra e le implicazioni – in termini di sfida ad un tempo teorica, clinica, professionale ed etica – del modello avanzato da Giuseppe Martini: «Lo scambio analista-paziente – scrive – può intendersi come un processo di traduzione intersemiotica (dagli affetti al linguaggio e viceversa). La parola è una sorta di regolatore di un traffico emozionale. Compito dell’analista è (in buona parte) trasformare un’emozione, o un vissuto irrappresentabile in parole (dal codice simbolico non verbale o subsimbolico al codice simbolico). Ma il compito del paziente è speculare e più arduo ancora: trasformare la parola in emozione, o anche in una sensazione non rappresentabile. Ho molto rispetto per la dimensione “veritativa” dell’interpretazione, e più ancora per la sua dimensione “comprensiva” (noi possiamo comprendere l’altro anche attraverso una intuizione che non raggiunge la verità). Tuttavia l’interpretazione non cura per ciò che disvela, ma per quanto attiva» (p. 35).

    Inutile dire quanto l’Autore sia consapevole delle difficoltà e sfide rappresentate dall’applicazione di questa prospettiva (di chiara “ispirazione” psicodinamica) nel trattamento delle psicosi. Ma quest’ambito particolarmente delicato, di forme di patologia mentale particolarmente invasive e pervasive, invalidanti, non mette in crisi l’impianto dell’approccio generale, in quanto esso si incardina o, meglio, si coordina (in risposta alle diverse esigenze, ai diversi casi) con modalità ed approcci psichiatrici e psicoterapici di diversa natura, matrice e diversa configurazione teorico-prassica. Inoltre, anche sul piano teorico [tra altro, in perfetto accordo con la prospettiva ricœuriana, una prospettiva che non è siglabile come ermeneutica tout court] il modello di Martini tiene conto, abbraccia e lega, in qualche modo, il piano biologico, pulsionale e pre-simbolico della vita neuro-psichica al piano simbolico, di senso, e storico-narrativo della vita mentale e personale dell’individuo. Scrive: «È attualmente sicura la presenza, alla base del disturbo [schizofrenico; V.B.], di una così detta “debolezza biologica”. Ma se, come pure probabile, la malattia nasce dall’incontro di questa stessa con un ambiente che viene a favorirla o slatentizzarla, ecco che tale “debolezza” difficilmente potrà essere riportata ad un unico fattore genetico, neurochimico o dismetabolico. La schizofrenia potrebbe così rappresentare la “via finale comunie della interazione di svariati fattori d’ordine bio psico sociale» (p. 53).

    Detto in altre parole, per la psicoanalisi e la psichiatria le psicosi non costituiscono un caso altro di patologia, né sono fenomeno altro/oltre l’umano, piuttosto, “semplicemente” rafforzano il carattere di sfida – ad un tempo teorica, clinica, professionale ed eticadell’azione medica (psichiatrica, psicoanalitica, psicoterapica). Una sfida difficile, quasi una scommessa col destino. Certo. Ma la scienza può rinunciare a questa sfida? E può l’uomo?

 

Indice

    Bruno Callieri
    Prefazione p.7

    Antonello Correale
    Introduzione p.13

    Capitolo primo

    Tra rappresentabile e irrappresentabile p.17

    1. La rappresentazione e i suoi correlati: immagine, simbolo, comprensione p.17
    2. Il concetto di rappresentazione in psicoanalisi p.24
    3. L’irrappresentabile in psicoanalisi p.28
    4. Conseguenze sul piano clinico del rilievo attribuito all’irrappresentabile p.33

    Il racconto della schizofrenia p.40

    Capitolo secondo
    Il vuoto, il nulla e l’irrappresentabile: psicopatologia psicodinamica
    della schizofrenia p.51

    1. La schizofrenia è ancora una nebulosa? p.51
    2. La concezione dinamica della schizofrenia nel suo sviluppo storico: le origini p.54
    3. Vie d’ingresso nella schizofrenia p.58
    4. Meccanismi e strutture del mondo schizofrenico p.61
    5. Il delirio schizofrenico p.64
    6. L’irrappresentabile schizofrenico p.67

    Capitolo terzo

    Un contributo alla problematica del vuoto e dell’assenza p.74

    1. L’articolazione tra vuoto e assenza nella genesi del pensiero p.74
    2. Il vuoto e l’angoscia di frammentazione p.78
    3. Fenomenologia del vuoto p.84
    4. Dal vuoto all’assenza p.89

    Capitolo quarto
    Modi del dolore schizofrenico p.97

    1. Le depressioni schizofreniche: un’escursione nel campo
    della nosografia psichiatrica p.97
    1. Mondo della depressione e mondo del delirio p.101
    2. La depressione basica p.103
    3. La depressione da svuotamento del Sé p.106
    4. La depressione reintegrativa p.112
    5. La schizofrenia come condizione patetica: implicazioni terapeutiche p.116

    Capitolo quinto
    Schizofrenia e narrazione p.119

    1. La narrazione in psichiatria e in psicoanalisi p.119
    2. Il terapeuta come narratore p.125
    3. Lo schizofrenico tra narrazione e antinarrazione p.128
    4. I gradi della narrazione p.132
    5. Esperienze di terapia narrativa p.137

    Capitolo sesto
    Comprensione e rappresentazione nella psicoterapia con il paziente schizofrenico p.141

    1. Alcune questioni preliminari al trattamento della schizofrenia p.141
    2. Il vissuto dello schizofrenico tra incomprensibile e irrappresentabile p.143
    3. L’incomprensibile alle fondamenta dell’incontro terapeutico p.146
    4. L’emergere della rappresentazione p.151
    5. L’incomprensibile e la rappresentazione nella stanza d’analisi p.157
    6. Incontrarsi senza comprendersi p.160

    Capitolo settimo
    Il delirio: una narrazione senza rappresentazione p.167

    1. Trasversalità del delirio p.167
    2. Contributi fenomenologici e psicodinamici alla comprensione del delirio p.170
    3. Il delirio adattativo p.176
    4. Polarità del delirio p.182
    5. Essere nel delirio, essere nella relazione p.185

    Il racconto dell’isteria p.191

    Capitolo ottavo
    Gli isterici delirano? p.204

    1. La nosografia dell’isteria e l’emergere del delirio p.204
    2. Le ambiguità del delirio isterico e i suoi rapporti col delirio schizofrenico p.209
    3. Le radici affettive e relazionali del delirio isterico p.214
    4. Delirio isterico e transfert p.217

    Capitolo nono
    Il borderline e le rappresentazioni del Sé e dell’altro p.222

    1. Il borderline e l’idea di soggetto p.222
    2. Lo scacco della rappresentazione e l’insediarsi della dissociazione p.226
    3. La fragilità della terapia e la ricostruzione della rappresentazione: dalla relazione duale al campo istituzionale p.234

      Il racconto della paranoia p.245

      Capitolo decimo

      La posizione paranoica: l’angosciante ricostruzione del senso p.255
    1. La posizione paranoica p.255
    2. Lo scienziato, il paranoico, lo schizofrenico p.259
    3. Dall’angoscia di dissoluzione all’angoscia della scoperta p.263
    4. Il non senso delle cose e la tenacia del ricercatore: il Presidente Schreber p.265
    5. Il doppio registro del paranoico: narcisismo e non esistenza p.267
    6. Carenze rappresentazionali nell’inconscio familiare e individuale p.274
    7. La cura della paranoia p.276

    Capitolo undicesimo
    L’irrappresentabile schizofrenico e la sua rappresentazione cinematografica p.278

    1. Simbolo e cinema p.278
    2. Paradigmi psicopatologici al cinema: vuoto, dissociazione, psicosi p.281
    3. Il rapporto tra cinema e schizofrenia p.285
    4. Il conforto e le trappole della narrazione p.292

    Bibliografia p.297



PM --> H P ITA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> RECENSIONI --> LIBRI