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INTERAZIONI N. 1 - 2002
Editoriale

a cura di Antonino Brignone, Daniela Lucarelli, Gabriela Tavazza



Con questo numero, dedicato alle “Famiglie ricostituite e nuove filiazioni”, proseguiamo la riflessione che avevamo già iniziato nel primo numero del 2001: “Nuovi scenari familiari: Il Mito tra stabilità e cambiamento”.
Se lì avevamo individuato nel mito una possibile via di avvicinamento per la comprensione e la pensabilità dei complessi fenomeni di trasformazione nelle relazioni familiari ai quali stiamo assistendo e dei quali facciamo parte, i contributi di questo numero focalizzano la nostra attenzione su come questi cambiamenti si riflettano sulle relazioni interpersonali e come producano trasformazioni nelle vicissitudini fantasmatiche che caratterizzano la vita mentale individuale, familiare e di coppia.
Ai giorni nostri, infatti, si sta attuando una pluralizzazione di forme della vita sociale che nascono dalla rottura del patto coniugale: si tratta di nuovi di stili di vita e di nuove forme di convivenza che rivendicano per sé la qualifica di “famiglia”.
Mentre nella famiglia premoderna le motivazioni di fondazione erano per lo più dettate dalla tradizione culturale di appartenenza, oggi la costruzione di una famiglia richiede un maggiore impegno ed anche le motivazioni che spingono a costruire una famiglia appaiono più variegate e pluralistiche. Mentre nella società tradizionale la famiglia era una sorta di isola privato-sociale, delimitata da confini ben precisi, un ambito di vita che interiorizzava la cultura della comunità circostante, stiamo oggi assistendo ad un’inversione del processo, per cui da forme relazionali familiari mobili, precarie, problematiche e maggiormente differenziate si va formando una nuova cultura?
Queste nuove configurazioni, spesso chiamate nel linguaggio corrente “nuove famiglie”, “famiglie ricomposte” o “famiglie ricostituite” ci propongono funzioni differenti sia sul versante genitoriale che filiale, messe sempre più frequentemente in evidenza dalla pratica clinica.
Ma siamo di fronte ad una nuova forma di famiglia o, piuttosto, come suggerisce Vittorio Cigoli, nel suo articolo “Confini, gerarchie, triangolarità: per una clinica delle famiglie ricomposte”, a famiglie ricomposte espressione di una “forma storica del famigliare“ e non altra forma di famiglia?
L’autore mette in evidenza come l’incertezza dei termini ricomposto/ricostituito rimandi ad una riflessione più specifica sul lavoro psichico attuato dalla famiglia.
Di fatto per Cigoli il divorzio è un trauma del legame con l’altro che minaccia sia il mondo rappresentazionale che le relazioni familiari. A questo riguardo ci sembra utile l’attenzione che egli porta al trauma in quanto attacco alla triangolarità del legame. Un apporto interessante dell’autore, sul piano clinico ci viene, inoltre, dall’in-dividuazione di “indicatori di processo” finalizzati a segnalare gli ostacoli e le risorse nella famiglia e/o nella coppia.
Jean-G. Lemaire, che pone attenzione alla vita di coppia riconoscendola come uno dei principali spazi psichici di soddisfazione tale da rappresentare per l’individuo un fondamentale mezzo di conferma identitaria, individua sul piano clinico un proliferare di “coppie senza progetto” per le quali si domanda se si sia mai costituito un legame e un apparato psichico comune.
L’autore crede che, a seguito dei cambiamenti subiti dall’evento divorzio nella mentalità sociale (da fenomeno raro e stigmatizzabile ad abituale ma non banale, fino ad essere attualmente, anche se in misura ancora limitata, “promosso, ricercato, se non raccomandato”), il partner sia sempre più spesso scelto in funzione di una precarietà esistenziale, con l’assunzione di una previsione di separazione, vissuta come fenomeno ineluttabile, quasi una sorta di destino.
Ciò trarrebbe sostegno da una cultura della relazione che, facendo proprio un modello consumistico, non tollera l’idea di essere infelici e “diventa cosa vergognosa mostrarsi infelici”.
Se su un piano sociologico si assiste ad un incremento dei secondi matrimoni dopo il divorzio, peraltro sul versante clinico è significativa la richiesta di aiuto psicoterapeutico da parte di queste coppie. Johanna Rosenthall tratta questo tema nel suo articolo dal titolo evocativo: “Secondo round”. L’autrice propone di affrontare il significato della maggiore vulnerabilità dei secondi matrimoni attraverso la presentazione di un ricco materiale clinico.
Due aree psichiche vengono individuate come centrali nel funzionamento di queste coppie: la mancata elaborazione del lutto relativa al primo matrimonio e la difficoltà nello stabilire relazioni tripersonali.
La particolare incidenza di queste tematiche in tali situazioni le rende utile oggetto di attenzione nell’approccio terapeutico.
Gli articoli di Valérie Laflamme e Hélène David, di Christine Frisch-Demarez e di Francesca A. Zampino ci introducono nell’intricato dedalo delle nuove funzioni genitoriali e nuove filiazioni laddove i secondi matrimoni vedono il costituirsi di nuclei in cui figli della precedente unione convivono con figli dell’attuale coppia e i partner della coppia assolvono a funzioni genitoriali verso figli non biologici.
Valérie Laflamme e Hélène David ci consentono di esplorare una dimensione poco trattata in campo psicoanalitico, quale la situazione psicologica della “matrigna” o per dirla in altre parole, il tema della maternità acquisita per matrimonio. Le autrici pongono come snodo significativo nelle relazioni tra i membri della famiglia ricostituita il senso di colpa inconscio facilitato dal riproporsi di uno scenario edipico.
La lontananza dal genitore naturale non affidatario e il relativo conflitto di lealtà, da parte del figlio, nel tentativo di non fare un investimento nei confronti del nuovo partner del genitore, sono alcuni dei temi critici di Christine Frisch-Demarez.
Francesca A. Zampino sottolinea come in situazioni così complesse sia necessaria una particolare attenzione all’opzione di cura nella scelta del setting e degli attori da coinvolgere (coppia, figlio, nuova famiglia).
I cambiamenti culturali hanno anche profondamente trasformato l’ottica del concepimento con l’uso della contraccezione prima e le tecniche di fecondazione assistita oggi, introducendo l’idea della possibilità di decidere quando e se attuare i progetti di paternità e maternità.
In che modo la possibilità di ricorrere alla Procreazione Medicalmente Assistita e la possibilità di superare una sterilità del corpo può costituirsi come spazio nuovo di esperienza che permetta anche di superare la sterilità del pensiero ed aprire una dimensione di desiderio e quanto, invece, il ricorso all’intervento medico può costituire un modo per evitare di incontrare il desiderio e di mantenere le conflittualità emozionali fuori della coppia, confermando e immobilizzando un difetto della simbolizzazione dell’unione sessuale?
Carlo Passarelli e Eleonora Riccardi riflettono sulla ricerca di genitorialità sostenute da un processo riproduttivo nel quale l’intervento delle tecniche biomediche svolge un ruolo determinante. L’intervento dell’uomo e delle tecnologie sulla riproduzione umana modifica in modo irreversibile Ð dicono gli autori Ð il rapporto con la procreatività (nella complessità del suo divenire biologico e mentale). L’essere genitori sarà comunque un’esperienza diversa per la quale occorre aprire una riflessione per superare il profondo senso di solitudine e di insicurezza presenti sia in chi fruisce delle tecniche di riproduzione assistita, sia in chi vi è coinvolto operativamente.
Ci è sembrato di particolare utilità proporre anche, tra le esperienze cliniche, l’articolo di Anna Maria Nicolò sulla “Mediazione familiare psicoanalitica”. La peculiarità del contributo può essere inscritta nell’individuazione di un intervento che, traendo origine dalla terapia focale breve, si colloca “in un’area intermedia tra la terapia e la negoziazione del conflitto”.
La scelta della Redazione di proseguire con questo numero l’esplorazione e la riflessione di questo complesso fenomeno quale è il cambiamento della famiglia, dà il senso di come se ne colga la pregnanza e si percepisca un’urgenza che, partendo dal piano delle richieste cliniche, rimanda alla necessità di una rivisitazione delle teorie.
In tal senso l’intervista a tre autorevoli esponenti del mondo filosofico, sociologico e psicoanalitico quali Claudia Mancina, Dina Vallino e Stefania Vergati, tenta di guardare a questa importante tematica da più vertici di osservazione.


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