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JOURNAL OF PSYCHOSOMATIC RESEARCH - VOL. 47, N. 4 / 1999
Special Issue: Sleep and Fatigue

Un aspetto particolare della pratica clinica contemporanea è la divergenza fra i metodi delle discipline biomediche e quelli delle discipline psicologiche. In medicina, è diventata pratica comune affidare ai test biologici l’elemento determinante del management clinico. In psichiatria, al contrario, l’uso dei test biologici è assolutamente marginale. Nell’intestizio creatosi fra indagine clinica classica di tipo semeiotico su segni e sintomi e indagine primariamente basata su test strumentali e di laboratorio vi è un’ampia gamma di disturbi che interessano tanto i medici quanto gli psichiatri. Tali disturbi vengono definiti “psicosomatici” per una duplice ragione: perché presentano sintomi “a cavallo” fra il mentale ed il somatico e perché interessano tanto i vari specialisti medici (a seconda degli organi e funzioni colpite) quanto gli psichiatri. Fra essi, questo numero speciale del Journal of Psychosomatic Research si occupa dei disturbi del sonno e di quelli da affaticamento cronico. Spesso i dati di laboratorio (si pensi, ad esempio, ai tracciati polisomnografici sull’architettura del sonno) risultano poco utili sul piano clinico poiché gran parte dei pazienti con disturbi di sonno e di affaticamento vengono poi trattati dagli psichiatri con uso sovrabbondante di antidepressivi che potrebbero peggiorare più che migliorare i disturbi del paziente.
Fra i lavori presentati in questo numero, ve ne sono alcuni che meritano una segnalazione. 
Schwartz et al (Insomnia and heart disease: a review of epidemiologic studies) compiono una meta-analisi per valutare l’entità dei disturbi di sonno quali fattori di rischio per disturbi cardiovascolari severi. Ad esempio, forme severe di apnea centrale (cessazione dell’ispirazione d’aria per 10 secondi o più durante il sonno senza alcuno sforzo respiratorio compensativo) vengono ritenute segno di congestione cardiaca severa. Ricercando su Medline i lavori pubblicati dal 1976 al 1997, gli autori di questa meta-analisi trovano dati importanti, quali ad esempio un rischio stimato fra 1.5 e 4 fra l’insonnia iniziale ed eventi coronarici, dopo aver controllato per età ed altri noti fattori di rischio. E’ interessante notare che tale rischio è comparabile al valore stimato dal famoso Framingham epidemiologic study per i 4 classici fattori di rischio per i disturbi coronarici e per l’infarto del miocardio (fumo, intolleranza al glucosio, ipertensione e elevata colesterolemia). Ciò significa, secondo gli autori, che l’indagine sull’insonnia dovrebbe rientrare routinariamente  nell’anamnesi cardiologica, insieme alle informazioni generali sulla salute, depressione e stress psicosociale.
Baker et al (A comparison of subjective estimates of sleep with objective polysomnographic data in healthy men and women) hanno studiato la differenza in 20 soggetti sani per 3 notti consecutive fra dati polisomnografici e stime soggettive del sonno sul periodo di latenza dell’inizio del sonno e numeri di risvegli notturni. I soggetti hanno costantemente sovrastimato il periodo di latenza e sottostimato il numero dei risvegli notturni. Gli autori concludono affermando che i dati riportati dai pazienti sulla qualità del sonno sono inaccurati rispetto ai dati obiettivi dell’architettura del sonno. Il problema, però, si ripropone intatto poiché la qualità del sonno è basata sulla percezione soggettiva del soggetto e non può essere inficiata da dati obiettivi in quanto le due misure si basano su presupposti metodologici del tutto differenti, così come è stato riscontrato nei resoconti soggettivi dei pazienti che riportano dolore funzionale rispetto alle misurazioni quantitative dei corrispettivi distretti corporei.
Per quanto riguarda i fattori terapeutici, Jean-Louis et al (Predictors of subjective sleepiness induced bv melatonin administration) hanno effettuato uno studio sui fattori predittivi dell’efficacia della melatonina nel trattare i disturbi di sonno transitori. E’ noto come la melatonina sia una delle sostanze maggiormente utilizzate in questi casi, come nella jet-lag syndrome. In un recente lavoro sperimentale apparso sull’American Journal of Psychiatry (1999; 156: 1392-1396), Spitzer e collaboratori hanno trovato che la melatonina non è efficace in questi pazienti, contrariamente all’opinione diffusa su questa pratica terapeutica. In questo lavoro, Jean-Louis e collaboratori hanno trovato che l’efficacia della melatonina è più elevata e proporzionale al numero di ore speso all’aria aperta durante il periodo di somministrazione della sostanza, conformemente alla comune pratica consigliata di restare esposti quanto più possibile alla luce diurna per potenziare l’effetto stabilizzatore del ritmo sonno-veglia della melatonina. Ohayon et al (Are prescribed inedications effective in the treatment of insomnia complaints?) hanno studiato un ampio campione di adulti (N=11.810) in uno studio multicentrico francese di medicina di base. L’insonnia è riportata da un quarto dei pazienti ed il 10% sul totale usa farmaci a questo scopo (essenzialmente benzodiazepine e ipnoinduttori). Contrariamente alla pratica clinica corrente (non solo in Francia), dallo studio non emergono però differenze significative per quanto riguarda vari aspetti del sonno fra soggetti trattati e non trattati. Ciò indicherebbe che la pratica di somministrare ansiolitici per i disturbi del sonno si basa su considerazioni dei medici che non trovano alcun corrispettivo negli studi empirici i quali, al contrario, mostrano che tali sostanze sono largamente inefficaci per i disturbi di sonno sul lungo periodo.

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