Gran parte di questo numero del Journal of Psychosomatic Research
è dedicato ad un tema molto particolare, marginale all’interno del
già marginale settore della psicosomatica: la ricerca psicosomatica
culturalmente informata, o più prosaicamente psicosomatica transculturale.
La sezione si apre con l’editoriale di G.M.Devis, uno dei due Associate
Editors della rivista, che illustra il motivo di questa iniziativa
e presenta i lavori pubblicati.
Come in altri campi della conoscenza clinico-teorica (ad es. la psichiatria
transculturale o la etnopsicoanalisi), comprendere la cultura di appartenenza
di un soggetto significa capire attraverso quali lenti (credenze, pratiche,
atteggiamenti, valori socialmente condivisi) vengono interpretate le esperienze.
Concretamente, ciò si traduce nell’indagine di ciò che in
una cultura viene definito salute e malattia, del modo di manifestare i
sintomi somatici e di distress psicosociale, dei fattori ritenuti etiologici
per una data condizione clinica, del modo sociale di considerare lo stigma
di malattia. Da un punto di vista clinico, essere informati sulla cultura
di appartenenza di un paziente straniero significa individuare tanto i
fattori che differenziano la sua cultura dalla nostra quanto ciò
che differenzia quel singolo paziente all’interno della sua cultura di
appartenenza quanto il modo in cui il paziente ha assimilato e si è
integrato nella cultura ospite. Nella società occidentale, sempre
più multietnica, il clinico che ignora alcune informazioni basilari
della cultura del paziente straniero potrebbe non avere cognizione delle
stesse manifestazioni cliniche essenziali con cui il paziente si presenta.
Questo numero della rivista dell’International College of Psychosomatic
Medicine contiene 6 lavori giapponesi, ed lavori di ricercatori di
Israele, Taiwan ed Emirati Arabi Uniti (EAU).
Nel lavoro di El-Rufaie et al vengono presentate le prevalenze di disturbi
somatoformi e psicologici fra pazienti di primary care degli EAU
con disturbi psichiatrici. La metà dei pazienti presentava sintomi
di somatizzazione da disturbi ansiosi, fobici, depressivi e ossessivi (soprattutto
emicrania, lombalgia e dolore addominale), mentre l’altra metà presentava
sintomi psichiatrici classici (soprattutto disturbi ansioso-depressivi
misti, d’ansia generalizzata, di depressione maggiore e di adattamento).
Sullo stesso tema, Ono & Janca presentano i risultati della discussione
avvenuta al III Keio University International Symposium tenutosi
a Kyoto sul tema ìRethinking somatoform disordersî. I due lavori
mostrano che la somatizzazione è un disturbo universale che differisce
nel modo di manifestarsi clinicamente nelle varie culture ma non nella
sostanza dei meccanismi di formazione.
Due lavori trattano il tema delle patologie più specificamente
culturali. Mizushima & Kanba spiegano il Kampo che è
stata la medicina ufficiale nipponica fino al 1875, sviluppatosi nell’antica
Cina e giunta in Giappone nel VI secolo. Oggi il Kampo sta riacquistando
popolarità e diffusione (un fenomeno non specifico del Giappone
ma che coinvolge tutte le società occidentali: la riscoperta di
una serie di pratiche non ortodosse alla medicina classica e che viene
definita ìmedicina alternativaî o, con un termine più politically
correct, ìmedicina complementareî, a cui negli ultimi mesi del 1999
il British Medical Journal ha dedicato una intera serie di articoli
molto interessanti), tanto che in Giappone ben 150 prescrizioni (sostanzialmente
composti a base di erbe) sono rimborsate dal sistema sanitario nazionale.
Maeda & Nathan descrivono invece il taijin kyofusho, un disturbo
simile alla fobia sociale, che significa letteralmente ìpaura delle relazioni
interpersonaliî, secondo i criteri diagnostici, il meccanismo etiologico
ed i principi terapeutici stabili da Masatake Morita all’inizio del secolo.
Nella sezione sono compresi anche alcuni studi empirici su argomenti
più classici. Fukunishi et al hanno indagato sul rapporto tra alexithymia,
rapporti parentali e attivazione del sistema simpatico in uno studio di
stress lab su un gruppo di studenti giapponesi. Essi hanno trovato una
relazione statisticamente significativa fra punteggio di alexithymia alla
Toronto Alexithymia Scale, deficit di rapporto supportivo fornito
dalla madre nell’infanzia (valutato retrospettivamente con un questionario
autosomministrato sulle relazioni con i genitori) ed elevata attività
del simpatico misurata attraverso frequenza cardiaca e valori pressori,
suggerendo che qualità del rapporto materno e alexithymia possono
essere mediatori importanti nelle manifestazioni neurofisiologiche dello
stress. Melamed et al hanno indagato la sindrome da burn-out
in impiegati israeliani di una grande industria metalmeccanica. Gli impiegati
con sindrome da burn-out hanno mostrato maggiore tensione sul lavoro,
irritabilità dopo il lavoro, disturbi di sonno, astenia mattutina
e livelli più alti di cortisolo salivare durante il tempo di lavoro
rispetto agli impiegati senza sindrome da burn-out. Gli autori suggeriscono
che la maggiore tendenza a somatizzare e gli elevati livelli di cortisolo
potrebbero far parte dell’associazione che sta emergendo dagli studi empirici
fra burn-out e rischio cardiovascolare. Nakamura et al hanno mostrato,
in un gruppo di impiegati giapponesi, che esiste un’associazione significativa
fra sindrome da burn-out e attività del sistema immunitario
(numero ed attività delle cellule natural killer).
Infine, è da segnalare il prezioso lavoro di Naotaka Shinfuku:
egli fu vittima del terremoto di Hanshin-Awaji nel 1995 poiché in
quel momento si trovava nel suo studio presso la facoltà medica
dell’Università di Kioto; e fu contemporaneamente anche osservatore
delle reazioni proprie e delle altre persone al disastro. Egli ha annotato
tutte le conseguenze fisiche e psicologiche a breve e lungo termine, insieme
al ruolo di medici e psichiatri nel prestare assistenza immediata e di
lungo periodo. Conclude il lavoro auspicando che i programmi per le vittime
di un terremoto vengano co-gestiti da esperti della salute mentale, architetti,
urbanisti ed economisti con progetti per nuove abitazioni, edilizia scolastica,
possibilità occupazionali e formazione di gruppi e comunità
di auto-aiuto assistite. E questo fa riflettere soprattutto noi italiani
con i nostri prefabbricati in cui abitano ancora dopo anni le vittime del
terremoto in Umbria del 1997.
Dr. Gerald M. Devins
Culture, Community, and Health Studies
Centre for Addiction and Mental Health (Clarke Division)
250 College Street
Toronto, Ontario
CANADA M5T 1R8
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