"L'autore presenta un'ampia rassegna delle monografie psicoanalitiche
più significative prodotte dall'ultima generazione di autori;
da ciò sembra emergere che le attuali differenze teoriche all'interno
del campo si basano su un disaccordo fondamentale circa l'individuazione
della metodologia più appropriata ai fini del raggiungimento della
conoscenza. La più rigida di queste dispute epistemiche è
quella che contrappone coloro che indicano come centrale il bisogno di
empirismo a coloro che invece seguono un percorso prevalentemente razionale. Il primo gruppo concepisce la
psicoanalisi come una branca delle scienze
naturali; gli autori del secondo, viceversa, ripudiano in modo esplicito
tale appartenenza, oppure si limitano a riconoscerla in modo superficiale,
dando comunque priorità all'approfondimento di qualche dottrina
filosofica. A differenza delle scienze naturali, le discipline che impiegano
un'epistemologia razionalista mancano di una griglia di standard condivisi
che confermino la validità della disciplina stessa; di conseguenza,
le scuole psicoanalitiche che aderiscono al razionalismo possono mantenere
i loro punti di vista in modo aprioristico, prescindendo da qualunque tipo
di prova empirica che possa nel frattempo venire alla luce" (Gedo,
1999). Il lavoro di Gedo (che comparirà come capitolo conclusivo del
volume Psychoanalysis 1973-1988, in corso di pubblicazione presso
la casa editrice newyorkese The Other Press) è un interessante tentativo
di riassumere gli ultimi 25 anni di psicoanalisi, richiamando la
necessità di confrontarsi, come sta facendo l'avanguardia intellettuale
di questa disciplina, con la più centrale delle questioni epistemiche,
tuttora irrisolta, quella riguardante la natura stessa della psicoanalisi
in quanto disciplina intellettuale, in rapporto con le ricerche e con le
scoperte delle attuali scienze empiriche.
Con ciò, ci ritroviamo nel cuore della dibattuta questione mente/corpo.
Gli studi sul cervello, qui si dice, sono "in grado di invalidare
molti degli assunti biologici che Freud aveva posto alla base della
costruzione della sua metapsicologia" (Gedo, 1999, p. 8). In particolare,
il "principio di costanza" si è rivelato insostenibile, tanto
che si è affermato da parte di alcuni (B.B. Rubinstein,1997) che
non è più possibile considerare valido il concetto di "energia
psichica", privando in tal modo la teoria pulsionale della sua base logica
e svuotando del tutto anche la teoria strutturale freudiana del 1923
(ibid., p. 9).
In contrapposizione a questa opinione, va qui ricordato che alcuni autori (Pribram e
Gill, 1978) hanno recentemente riletto il
Progetto
di una Psicologia di Freud, dimostrando che il suo concetto di energia
è vicinissimo all'attuale neurofisiologia (per uno studio critico
approfondito sull'intera questione, personalmente ritengo illuminante una
lettura di Mancia, 1998, pp. 157-168) Appare quindi quanto meno imprudente
concludere sbrigativamente, come in questo saggio fa Gedo, che "l'abbandono
del costrutto teorico dell'energia priva la teoria pulsionale della sua
base logica e dunque svuota del tutto anche la teoria strutturale freudiana
del 1923" (ibid, p. 9).
Inoltre, questa lapidaria conclusione, a mio modo di vedere, non scorre
così pianamente come potrebbe sembrare. Intanto Freud, in base ai
principi della chimica e della fisica del suo tempo, meno della neurologia,
in crisi per le nuove acquisizioni di psichiatria e pediatria riguardo
le più gravi patologie psichiche infantili, ha inteso nel tempo
il principio di costanza in maniera non univoca, andando dall'invarianza
quantitativa dell'energia psichica, nonostante i diversi spostamenti e trasformazioni,
alla tendenza all'equilibrio delle differenze di livello energetico all'interno
di un sistema chiuso, all'ipotesi di una autoregolazione degli scambi con
l'ambiente esterno, onde mantenere costante la differenza di livello energetico.
Sappiamo inoltre che la formazione neurologica di Freud non si poteva nutrire
di certezze incrollabili, essendo a cavallo tra due corpus di conoscenze,
quello pediatrico e quello psichiatrico, in quegli anni in rapida crescita
(per un approfondimento di questo aspetto importante della vita di Freud, vedi
Bonomi, 1998).
Sulla base di sfide alla metapsicologia freudiana, avanzate da Rubinstein
e Holt, Gedo qui caldeggia "il ripudio di tali antichi assunti così
screditati" (ibid., p. 9). Personalmente ritengo che, prima di buttare con
tanta facilità a mare gli "antichi assunti", bisognerebbe
pensarci due volte, come si suol dire, anche perché non si capisce
bene perché si debba buttar via "il vecchio", per smania del "nuovo",
come se improvvisamente esso non servisse più, e "tutta la verità"
stesse solo ed unicamente nel "nuovo". Secondariamente, mi pare che si
sottovaluti il fatto che il valore della metapsicologia freudiana, al di
là dell'attuale validità specifica o meno dei suoi assunti
di base, sta proprio nel fatto di mostrarci, attraverso le successive vicissitudini
di pensiero sulle quali si è nel tempo costituita, come la scienza
non sia fondata su certezze, ma si strutturi su un continuo divenire, le
cui radici affondano sempre nella clinica, humus fecondo che segue e accompagna
il processo nel suo divenire, aprendo nuove e spesso inaspettate prospettive.
E la clinica della psicoanalisi ha una sua specificità, che non
è quella delle neuroscienze, ad esempio.
Dunque, che senso avrebbe distruggere la specificità della psicoanalisi,
il suo originale ed unico progetto, facendone un discorso a fondazione
neuroscientifica, ad esempio? Sarebbe davvero un arricchimento, o non piuttosto
un appiattimento, per la smania (rassicurante, deresponsabilizzante) di
convergere in una voce univoca, priva di salutari incertezze?
Nell'attuale momento storico di grandi revisioni, non sempre tuttavia
così sostanziali come sembrerebbe, in cui dagli stessi scienziati
si sottolinea la continuità metodologica tra diversi settori della
conoscenza umana, e si assiste a un grande sforzo di superare il vecchio
dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa, appare sempre
più imprescindibile, sia da parte di chi fa ricerca, sia da parte
di chi ne usufruisce, il ricorso ad una pacata e razionale attitudine critica,
che vagli attentamente i nuovi apporti di conoscenza.
Torniamo quindi con più calma alla questione di partenza,
il dualismo o il monismo riguardo la vexata quaestio mente/cervello,
per "distinguere il grano dal loglio", come dice Gedo. Così troviamo
che, accanto a un Edelman che ha in tempi recenti parlato del
cervello come di un "sistema aperto", altri continuano a sostenere che
si tratta di un sistema chiuso, il che validerebbe la teoria della conservazione
dell'energia. Dunque, disparità di vedute, anche se è presumibile
che nessuno possa oggi negare che il modello della mente vada comunque
inscritto nell'area relazionale e interattiva: persino le neuroscienze
si stanno molto interessando alla realtà emotivo-affettiva.
Ma fermiamoci un momento a riflettere su alcune di queste nuove acquisizioni,
che renderebbero vetusto gran parte del nostro attuale patrimonio di conoscenze
su base psicodinamica. Non è certo una novità che l'apprendimento,
a cominciare da quello inconscio, generato dal rapporto con la realtà,
sia di natura affettiva e cognitiva insieme. Quando, parlando di Schore
(1994), nel saggio di Gedo si sottolinea che "le ricerche più recenti
sul cervello hanno dimostrato il ruolo delle esperienze infantili nell'influenzamento
della strutturazione del sistema nervoso centrale" (ibid, p. 11), non si
allude a nulla di nuovo, a meno che non si intenda il "dimostrare" come
una misurazione, una "visualizzazione", un de-monstrare, un addurre quindi
delle nuove prove perché qualcosa che già si sapeva risulti
chiara attraverso nuovi strumenti tecnologici che permettono nuove informazioni
espresse in modo diverso (penso ad esempio allo studio dei codici elettrici
dell'informazione evidenziabili nell'attività cerebrale) su fenomeni
clinicamente già da tempo noti e verificati. Ma tali strumentazioni,
ad esempio nell'area computazionale, non mi pare rispondano alla domanda
su come si forma una rappresentazione, nel senso di esperienza interna;
questo, senza nulla togliere al tentativo forte di Gedo di legare psicoanalisi
e neurobiologia.
Voglio qui ricordare che in una conferenza del 1995, "Working through
come metafora e come modalità terapeutica", Gedo, per autodefinizione
"eterodosso teorico", chiarisce il suo pensiero, a mio parere, con maggior
chiarezza di quanto non avvenga in questo capitolo conclusivo del suo più
recente libro (probabilmente la lettura integrale del libro consentirebbe
di mettere più precisamente a fuoco il pensiero dell'autore). Dopo aver
ricordato che nel 1926 "Freud attribuì la necessità dell'elaborazione
a fattori biologici che trascendano i contenuti mentali" (ibid.,
p. 5) ,
egli osserva che "gli psicoanalisti contemporanei non si accontentano più
di formulazioni teoriche totalmente incorniciate nei termini di supposte
pulsioni o loro vicissitudini, cosicché ogni risorsa o spiegazione
su base costituzionale deve essere supportata da dati presi in prestito
più direttamente dalle neuroscienze" (ibid., p. 6). Agli
psicoanalisti resta il compito di identificare aree di funzionamento mentale
primitivo, onde promuoverne, tramite una riorganizzazione delle reti neurali,
la maturazione delle funzioni: ma, sottolinea Gedo, per essere duratura,
tale riorganizzazione può aver luogo solo come risultato di processi
intrapsichici.
Sembra qui che la clinica, estromessa dalla porta come vecchia e fuori
moda, rientri con un peso non indifferente dalla finestra.
In un successivo importante lavoro del 1997, Gedo ribadisce la necessità
da parte dell'analista di occuparsi di fattori che vanno al di là
dei semplici contenuti mentali per arrivare a cambiamenti strutturali,
dato che lo stesso Freud aveva riconosciuto il superamento
della patologia come "collegato alla possibilità di alterare la
maniera in cui i contenuti mentali vengono processati." (Gedo, 1997, p. 15),
presumendo l'Io e l'Es "dotati di organizzazioni energetiche diverse, tali
per cui il fatto di trasformare lo stile di processazione dei contenuti
dalla modalità tipica dell'Es a quella tipica dell'Io significava,
ai suoi occhi, produrre quell'alterazione biologica che in seguito sarebbe
stata definita "neutralizzazione" (Hartmann, 1964)" (ibid., p. 15). A detta
di Gedo, il vecchio artista deve imparare nuovi trucchi; la nuova istruzione
"corrisponde alla messa in opera di una nuova organizzazione funzionale
nel cervello" (ibid., p. 16).
Condivisibile o meno, la posizione di Gedo appare chiara, a mio parere
più che in questo capitolo conclusivo del suo ultimo libro, forse,
come ho già detto, gravato da troppi rapidi riferimenti di materiale
probabilmente trattato più diffusamente nel corso dell'opera.
Avanzo tuttavia seri dubbi sul fatto che sia possibile una utopica
ricerca di un oggetto unico del sapere, come da molti autori oggi viene propugnato.
D'altronde, è altrettanto vero che ogni contrapposizione fra principi
non può che condurre lontano dalla conoscenza, precostituendo giudizi
ed opinioni, soprattutto se veicolate da confusive lotte e scelte
di campo.
Il fermarsi ad osservare l'hic et nunc, senza preconcetti, senza aspettative,
né riguardo all'altro da sé, né riguardo a se stessi,
continuando a formulare ipotesi, può permetterci di guardare
veramente le cose, e di avvicinarci il più possibile ad esse. Ancora
una volta, la clinica sembra costituire terreno privilegiato per
un avvicinamento meno approssimativo e più diretto alla più
profonda realtà dell'uomo e, in generale, alle tematiche epistemiche.
Neuroscienze, cognitivismo, etologia e biologia evoluzionistica, con il
loro ricco apparato sperimentale restano in tutto il loro valore di sperimentazione
e verifica, senza contrapposizioni o giudizi di valore, ma come coordinate
che, da diverse angolazioni, mirano ad allargare e ad approfondire il campo
della conoscenza.
In questo senso, il lavoro di Gedo, al di là di pesantezze e
ambiguità espositive, appare teoricamente come un tentativo
forte di agganciare psicoanalisi e neuroscienze, partendo dalle posizioni
freudiane.
Bibliografia
Bonomi, C. (1998). Sigmund Freud: un neurologo tra sapere pediatrico
e sapere psichiatrico del XIX secolo. Psicoterapia e Scienze Umane, 1:
51-91.
Gedo, J.E. (1995 ). La elaborazione ( working through) come
metafora e come modalità terapeutica. Il ruolo terapeutico, 67:
4-11.
Gedo, J.E. (1997). Riflessioni su ermeneutica e biologia. Psicoterapia
e Scienze Umane, 4: 5-20.
Gedo, J.E. (1999). La storia intellettuale della
psicoanalisi, 1973-1998.
Psicoterapia e Scienze Umane, 1: 5-29
Mancia, M. (1998). Il modello mente-cervello di Sigmund Freud: il Progetto
di una Psicologia del 1895. Appendice a: Coscienza Sogno Memoria.
Borla: Roma, pp. 157-168.
John E.Gedo
680 North Lake Shore Drive, apt.1201
Chicago IL 60611
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