In questo articolo si assume la relazione d’amore tra i sessi "come
luogo di intreccio tra amore e potere nel conflitto che si crea nella dipendenza
della relazione amorosa tra l’affermazione di Sé e del proprio desiderio
e il riconoscimento dell’altro/a e del desiderio dell’altro/a" (Zanardi
1999, p. 63). Essa viene proposta come topos previlegiato per l’approfondimento
del momento specifico in cui le dinamiche di potere si sostituiscono a
quelle di amore.
Secondo l’A, malgrado i profondi cambiamenti del ruolo femminile nella
società occidentale negli ultimi decenni, con crescita di autonomia,
conseguente anche alla maggior presenza della donna nel mondo del lavoro,
sembrano tuttavia permanere invariati stereotipi di vita modellati su
dominio maschile e sottomissione femminile .
Nel saggio ci si interroga appunto sulle dinamiche relazionali di potere
o sottomissione, presentandone alcune definizioni, che ne individuano
le radici nella relazione primitiva del bambino con la madre, più
precisamente in un rapporto di privazione, con vicende diverse in maschio
e femmina. La sottomissione della donna viene ricondotta ad un rapporto
della bambina con una madre a sua volta deprivata e deprivante, senza possibilità
di affermare la propria differenza. Allo scopo di mantenere la propria
identità, la donna sarebbe quindi costretta a vivere rapporti di
sottomissione nella relazione, per non perderla, e non perdersi. Diverso
per l’uomo, quantunque la radice della dinamica di potere stia anche per
lui nella privazione, necessitata dal doversi staccare dal corpo della
madre, disidentificandosene, per raggiungere ed affermare la propria mascolinità
(problema vissuto diversamente dalla femmina, data la sua identificazione
corporea col corpo della madre ): "Il bimbo, nel suo sviluppo psichico,
reagisce con il potere e l’onnipotenza all’impotenza di fronte ad una necessità
di separazione corporea dalla madre...per raggiungere una sua individuazione
anche corporea, potrà affermare la sua differenza e la sua identità
soltanto con il potere, e spesso con il potere sessuale" (ibid., p.
70) Anche il rapporto d’amore con la donna ("la madre"), pertanto,
viene sottoposto al suo controllo.
Per esemplificare le dinamiche di potere esercitato e subito nella
relazione d’amore tra uomo e donna, l’A sceglie una novella di Dostoevskij,
La Mite (1876).
La storia viene narrata dall’uomo dominatore, "che capisce tutto".
Davanti alla bara della moglie appena suicidatasi, egli proclama con onnipotenza
nutrita di onniscienza che, se fosse arrivato cinque minuti prima, tutto
questo non sarebbe mai avvenuto. Racconta poi la propria vita, a partire
dall’accusa, quando era ufficiale, di non aver difeso l’onore del reggimento,
col rifiutarsi a un duello con un superiore ubriaco, con conseguente espulsione
ed ignominia, conferma del vissuto di non essere mai stato amato. Horney
(1932) sottolinea come tipico dell’uomo il terrore di essere rifiutato
e deriso, connesso con angoscia di inadeguatezza sessuale, emotiva, economica.
Gratificazione e indipendenza sarebbero ottenute dall’uomo tramite il controllo
della donna.
Un’inaspettata eredità permette al protagonista, perseguitato
dalla reputazione rovinata, di crearsi un piccolo spazio, aprendo un banco
dei pegni, che subito trasforma in strumento di potere: il controllo onnipotente
può costituire una fonte di rassicurazione (Rivière, 1964).
E’ a questo punto che egli incontra la Mite. Orfana a 13 anni di padre
e madre, vissuta per tre anni in un rapporto di schiavitù presso
zie cattive, sottomessa, umiliata, oggettivizzata come "una bocca inutile",
la giovane aveva preso a frequentare il banco dei pegni al fine di procurarsi
denaro per cercare lavoro tramite annunci sul giornale. Impegnava perciò
piccoli oggetti dei genitori. Centrale il pegno finale di un’icona lasciatale
dalla madre, cui era attaccatissima, simbolo del vitale legame con una
figura materna persa e idealizzata, quasi una consegna di Sé, della
sua stessa identità.
Da parte sua, l’uomo, notata nella ragazza una mitezza, che gli permette
di ferirla con facilità, prefigurando rivincita e riscatto alle
umiliazioni nell’esercizio di un potere, si affretta a chiederla in sposa:
"il dominatore ha bisogno di qualcuno capace di riconoscerlo, di riconoscere
il suo potere, la sua esistenza. Tuttavia esercitando il potere nell’umiliazione
dell’altra, distrugge la possibilità di essere riconosciuto, di
esistere." (Zanardi, 1999, p. 75). La giovane viene pertanto frustrata nella
ricerca di soggettività attraverso la relazione, perché il
marito, temendo di entrare in un rapporto di dipendenza, la tratta con
distacco, risponde al totale aprirsi di lei col silenzio. L’uomo infatti (Dinnerstein, 1976) cerca di evitare il bisogno di "vorace dipendenza",
per accedere a competenza, autonomia, dignità; quindi deve ripudiare
i suoi bisogni verso la madre, per potersene separare, proiettando rabbia
e terrore originariamente dirette verso di lei sulle altre donne.
Il racconto entra nel vivo della vicenda: rea di essersi ribellata
al potere dell’uomo (col rendere "un ricordo " a una vecchietta, in cambio
di un oggetto di minor valore), venuta casualmente a conoscenza da un ufficiale
delle antiche disavventure del marito nel reggimento, viene spiata in quest’occasione
da lui, in tal modo involontario testimone della nobiltà d’animo
di lei. L’amore e l’ammirazione riportano l’uomo a contatto con la dipendenza,
col rischio di frammentazione del Sé. Solo un ristabilimento della
posizione di potere potrà salvarlo. Pertanto, al suo rientro a casa,
la umilia, lasciandole supporre un suo disegno di ucciderla, col porre
in silenzio sul tavolo quella stessa rivoltella che, nei primi tempi della
loro relazione, le aveva mostrato, simbolo del suo potere. Ancora silenzio
quando, svegliandosi al mattino, la vede in piedi accanto al letto, con
la rivoltella puntata contro la sua tempia. Ulteriormente umiliata , la
donna fugge, e l’uomo si sente di nuovo il più forte.. Ma allorché, comprato un letto e un paravento, fa ritorno a casa per sancire da vincitore
la separazione, lei torna e si ammala di una febbre violentissima per sei
settimane, atto mancato mediante il quale, col rispondere sullo stesso
piano, si sottrae al potere del marito, nullificandolo, ed assumendolo
in proprio, assieme alla propria punizione. Miller (1991) ha sottolineato
che l’uso del potere da parte della donna porta alla distruzione dei suoi
rapporti. In questo caso, il corpo si ammala, e la relazione è rotta.Quando
la donna si riprende, la sua mitezza e umiliazione raggiungono l’apice,
con gran soddisfazione del marito Il dramma è in agguato: un giorno,
mentre lavora, la donna si mette a cantare, e questo per l’uomo è
intollerabile: "che mi abbia dunque dimenticato?". Improvvisamente, il
dominatore cessa di esistere; cerca allora di recuperare il potere attraverso
l’amore, come tentativo di controllo onnipotente. Dopo aver ceduto alle
richieste del marito, la donna , in preda a violenti sensi di colpa , gli
promette rispetto e fedeltà: ancora una volta, sull’amore ha vinto
il potere, il riconoscimento di Sé passa attraverso il riconoscimento
del potere dell’altro.
La situazione precipita rapidamente: mentre lui non c’è, lei
si butta dalla finestra, abbracciata alla sua icona: "la soluzione della
morte è per lei l’identificazione con la madre, con la relazione
materna e forse paradossalmente una scelta di soggettività nel sottrarsi
al potere affermando se stessa nella morte" (Zanardi, 1999, p. 80).
Privato della sottomessa, per ritrovare il proprio Sé, l’uomo
torna al banco dei pegni, dove vi saranno altri sottomessi su cui esercitare
il potere: "Per poter esistere per se stessi si deve poter esistere per
un altro/a. Se si distrugge l’altro/a, non c’è nessuno che possa
riconoscere il proprio Sé. Nella mancanza di soggettività
la relazione dominio-sottomissione è l’unico contenitore di due
Sé frammentati che solo nel legame con l’altro/a, trovano una soluzione
alla loro non-esistenza". (ibid., pp. 80-81).
Fin qui il saggio della Zanardi.
Il lavoro, assai accurato e ben documentato, per certi versi, ricorda
il filone di ricerca della sexual asimmetry, enfatizzando la diversità
tra potere e valore attribuito a ciascun sesso (Blok, 1987). Merita vedere
più da vicino questo punto.
L’"assunto di base" dell’A, e cioè le dinamiche di potere nel
rapporto uomo/donna, con sottomissione della femmina e dominio del maschio,
ripropone una vecchia storia, insita fin dalle origini nel dibattito interno
alla psicoanalisi stessa: quella del "primato del fallo". Di diretta derivazione
freudiana (per Freud, pur nella bisessualità sia maschile che femminile,
l’invidia del pene rimane per la donna universale e determinante), addirittura
rinforzato, soprattutto intorno agli anni ‘30, da posizioni (di psicoanaliste
donne!) che sanciscono la disposizione passivo-masochista della donna (Deutsch,
1930; Lampl-de-Groot, 1927, 1933), il principio fallocentrico trova un
robusto tentativo di contrastarlo nella teorizazzione kleiniana dei rapporti
del bambino con la figura materna e della sua conoscenza innata degli organi
sessuali e delle funzioni maschili e femminili (Klein, 1932).
Non va neanche dimenticato che la costellazione di potere appare rovesciata
già nella visione junghiana del patriarcato, in cui l’Anima, figura
simbolica femminile nell’uomo, respinta dall’uomo e proiettata nella donna,
rende quest’ultima più "potente" sotto forma di "Grande Madre",
lasciando l’uomo in veste di bimbo, quindi con un capovolgimento di potere
e dipendenza; senza tuttavia escludere che l’uomo possa comunque accentuare
il suo potere, svalutando sadicamente la donna.
Certo, a tutt’oggi, nessuno può negare che il rapporto tra amore
e potere continui ad esistere. Ma non è più concepibile il
ricollegarlo a stereotipate definizioni dei ruoli sessuali, come avveniva,
ad esempio, nell’Ottocento (cui il testo di Dostoevskij si riferisce).
Non perdiamo di vista che Freud stesso si muoveva in un contesto ottocentesco,
in cui la scienza medica metteva in primo piano l’enorme preoccupazione
per la masturbazione, rea di infettare il sistema nervoso, propagandosi
perniciosamente per l’intero organismo, donde le prescrizioni frequenti
di circoncisione e clitoridectomia quale cura radicale (Esquirol, 1805).
In quegli anni, parallelamente, si diffondeva la castrazione delle donne
per guarirle da disturbi nervosi, particolarmente dalle paralisi isteriche.
Le donne stesse, a legioni, richiedevano l’intervento. Chiaramente, l’intervento
aveva un significato simbolico, prima ancora che fisico, tanto che si verificarono
guarigioni dopo interventi puramente "placebo". In ogni caso, guarigione
dall’isteria e castrazione o mutilazione della clitoride o dell’utero venivano
strettamente legate, tanto che, a poco a poco, si cominciò a vedere
l’aspetto puramente psicologico di questi collegamenti, soprattutto l’aspetto
psichico curativo di simili operazioni. Questa violenza esercitata dal
medico (uomo) sulla donna, che masochisticamente si assoggettava, era però
possibile in quella cultura: non per questo il discorso rapporto uomo/donna
e potere può essere generalizzato.
Pertanto, ferma restando l’importanza dei condizionamenti culturali
in cui lo sviluppo del singolo individuo ha luogo, dobbiamo tener presente
che più accurate revisioni psicoanalitiche dei concetti di sessuale
e sessualità (Morgenthaler, 1984), chiarendo le vicende della pulsionalità
dell’Es, hanno mostrato come esse siano diverse per ogni individuo, sia
esso uomo o donna.
Impossibile quindi ricondurre il rapporto uomo/donna allo stereotipo
"donna dominata e uomo dominatore". Anche recenti ricostruzioni storiche
ad opera degli studi sul genere evidenziano che la donna non può
che essere vista come uno dei due interlocutori-attori di una storia di
relazioni, in una prospettiva assolutamente egalitaria. La differenza tra
i sessi viene piuttosto a costituire uno spazio comune in cui dinamicamente
avvengono le relazioni tra uomo e donna, con continua costruzione e ricostruzione
dei ruoli sessuali in una parità di diritti e di opportunità
che lascia spazio alle differenze di identità. Ne risulta una storia
fatta di uomini e di donne, diversa nei vari periodi perché chiama
in causa culture, valori e ruoli sempre diversi. Per cui una risposta (
dinamicamente aperta) alla domanda di Freud: "Che cosa vuole una donna?"
si può forse collocare in una frammentazione di essa: "che cosa
hanno desiderato i vari tipi psicologici, gruppi sociali, epoche storiche
delle donne, e possiamo distinguere quali sono state le loro volontà
da ciò che è stato voluto per loro?" (Young-Bruehl, 1990,
p. 62).
Bibliografia
Blok, J., Mason, P. (1987). Sexual asymmetry. Amsterdam:
Gleben.
Deutsch, H. (1930). The significance of Masochism in the mental life of
the woman. International Journal of Psycho-Analysis, 11:48-60.
Esquirol, J.E.D. (1805). Des passions, considérées comme
causes, symptomes et moyens curatifs de l’aliénation méntale.
Tr.it., Venezia: Marsilio, 1982.
Freud, S. (1914). Introduzione al narcisismo. Opere, vol.7. Torino:
Boringhieri, 1975.
Klein, M. (1932). The Psychoanalysis of Children. Tr. it., Milano:
Feltrinelli, 1969.
Lampl-de-Groot, J. (1927). The evolution of the Oedipus Complex in women.
International Journal of Psycho-Analysis, 9: 332-345.
Lampl-de-Groot, J. (1933). Contribution to the problem of femininity. Psychoanalytic
Quarterly, 2: 489-518.
Morgenthaler, F. (1984). Sessualità e psicoanalisi. Psicoterapia
e Scienze Umane, 2:3-28.
Young-Bruehl, E. (1990). Freud sul femminile. Torino: Boringhieri,
1993.
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