Si tratta di un intervento di Lawrence Friedman al Convegno dell'APA
di Filadelfia del 1994.
Per indagare i fatti della natura umana - sostiene l'A - bisogna osservare
come cozzano e si mescolano gli atteggiamenti dell'analista durante il
farsi del trattamento analitico.
La strada migliore è proprio l'osservazione delle controversie
collettive degli analisti nel corso stesso della storia della psicoanalisi,
al di là di mode o scuole (da notare che l'A prende in esame solo
l'analisi freudiana angloamericana), nell'intento di "ragionare sul modo
in cui gli atteggiamenti vengono delineati per metterli al servizio dei
bisogni di un trattamento che comincia" (p. 33).
Friedman suggerisce che Freud ha scoperto il trattamento seguendo suoi
interessi personali, che poi modificò per mettere a punto una mappa
comportamentale utile agli altri per trovarlo. Infatti, la fisionomia del
trattamento è costituita dai suoi aspetti genericamente osservabili.
La psicoanalisi era partita nel 1895 (Studi sull'isteria), col tentativo
di recuperare i ricordi. La curiosità, oltre all'orgoglio, era il
grande motore che animava Freud. Attento a non essere colto in fallo dai
suoi pazienti, aveva accolto con entusiasmo, al posto dell'ipnosi, il metodo
catartico di Breuer che seguiva le inclinazioni del paziente e soddisfaceva
la propria brama di sapere, e poi, sempre seguendo i desideri dei suoi
pazienti, aveva cominciato a mettere a fuoco la regola delle libere associazioni.
In tal modo soddisfaceva il paziente, assecondandone i desideri, ma anche
la propria curiosità ed amor proprio, non più alla mercé
del paziente, anzi a lui gradito, dato che la richiesta era di lasciarsi
andare completamente ad una relazione umana. Il medico veniva in tal modo
guidato e sorretto da un coinvolgimento umano di rispettosa simpatia, oltre
che da un personale desiderio di aiutare: a tutt'oggi, i più familiari
atteggiamenti del trattamento. Freud richiedeva dal paziente un'intimità
personale ed affettiva, contraccambiate da premura e paziente cordialità.
Fu così che si ritrovò tra le mani un grande potere, quello
di operare una seduzione psicologica unica nel suo genere,
modulata e responsabile nella sua prudenza, altruistica, non abusiva e
soprattutto terapeutica, con un'illusione d'attaccamento profondo e duraturo
dell'analista verso il paziente, incastrata deliberatamente dall'analista
per anni e anni proprio al centro del trattamento, dove illusione e seduzione
stanno per transfert e regressione.
Questi atteggiamenti, di potere straordinario, costituiscono il " marchio
di fabbrica" del trattamento psicoanalitico. Se l'ambiguità è
fonte di disagio, è anche vero che essa è un problema tattico:
Freud si avvide che doveva continuare a mercanteggiare, dato che a lui
interessavano i ricordi, Imparò, oltre a non chiedere, a non attendersi
nessuna informazione particolare, ma, dato che perseguiva qualcosa, trovò
un aiuto potente ragionando in termini di resistenza, qualcosa che poteva
perseguire attivamente con passione, pur mantenendo una condotta neutrale
rispetto al materiale portato dal paziente, perché conduceva il
paziente a combattere la propria ignoranza, il che era pure un suo desiderio.
Ambedue, paziente e analista, perseguivano un'unica meta, la verità
oggettiva, indipendentemente da cosa fosse reale o meno nel rapporto. Inoltre,
la realtà oggettiva alleggeriva l'aspetto della dipendenza affettiva
reciproca con un atteggiamento liberatorio, cioè socialmente oppositivo (Freud, 1912, "Dinamica della traslazione"), in quanto il paziente lottava
contro una figura di transfert e l'analista contro la resistenza alla verità
oggettiva "e di conseguenza "nessuno dei tentativi del paziente poteva riuscire
a trasformare questa ricerca della verità in una ripetizione di
qualche infelice e antica routine infantile. Il paziente scopre che la
forma più totale di intimità da lui mai sperimentata nella
vita, paradossalmente lo distrae dall'oggettività" (p. 42).
Così Freud poteva offrire al paziente la verità invece
del suo amore, e chiedere senza dare in cambio un pezzo di sé: una
struttura di richieste del trattamento estremamente liberatoria riguardo
alle proprie scelte.
L'oppositività dell'analista verso tutte le lusinghe del paziente
è un punto cardine del trattamento, è il vedere attraverso
qualsiasi cosa, sospettando di ogni collusione, liberando la propria immaginazione,
in un quadro di riferimento agonistico, la lotta contro la resistenza.
I due aspetti caratterizzanti il trattamento vengono quindi ad essere:
atteggiamento oppositivo e caccia alla verità, uniti a curiosità
senza fine, all'accompagnare l'onda emotiva del paziente, evocazione di
affetto, intimità, illusione rispetto a un attaccamento durevole,
richiesta al paziente di rinuncia ai desideri per muoversi verso una verità
oggettiva, oppositività, leggerezza sui drammi e serietà
sulla leggerezza, rinuncia a ruoli e giudizi: ecco il laboratorio segreto.
Rimanevano da fare i conti col fatto che il problema non era solo quello
di misurarsi con la verità oggettiva. Gli psicologi dell'Io si imbatterono
in una prospettiva maturativa individualizzata: allora, se lo scopo del
trattamento era quello, e non il raggiungimento della verità, l'analista
nella sua abituale richiesta non poteva più agire in modo impersonale,
e questo riportava al problema della seduzione manipolativa. La soluzione
sembrava quella di salvare a tutti i costi l'interpretazione (anni '50
e '60), in modo da comunicare quanto era nascosto e niente altro: compito
gravoso, cui la generazione degli analisti cui appartiene Friedman volse
le spalle, per rivolgersi al crogiolo in cui si svolge effettivamente il
trattamento ed osservare dal vivo gli atteggiamenti che possono confluire
nel trattamento e i risultati cui possono portare.
Un esperimento tra gli altri: se si toglie di mezzo la richiesta di
verità oggettive, si può pensare al paziente in termini di "linee biografiche", liberi di non farvi riferimento. Si potrà ad
esempio far riferimento ad una sola narrativa psicoanalitica nella storia
del paziente.
Ci si sforza pertanto verso una maggior oggettività, utilizzando
interventi con più segnalazioni neutrali e meno descrizioni prospettiche.
Alcuni enfatizzano l'oppositività; altri la riducono.
Viene alterato sperimentalmente l'atteggiamento di osservazione passiva.
In realtà, secondo Friedman, tutti stiamo tenendo ben saldi
gli aspetti principali del trattamento, pur continuando a sperimentare.
Infatti il trattamento è il prodotto di una serie di atteggiamenti,
ed è questo il crogiolo che ha bisogno di essere protetto.. Solo
la tradizione può farlo. "E se il trattamento è il crogiolo
della psicoanalisi"- conclude Friedman - "la sua conservazione è
allora un'operazione di portata fondamentale... Questa è dunque la
mia perorazione: oltre ai loro altri contributi, gli analisti devono fare
ricerca di base... sono le sottili alterazioni degli atteggiamenti di trattamento
a costituire gli esperimenti che hanno luogo in questo peculiare laboratorio
della mente... dedicato alla ricerca... su tutti quei paradossi così
peculiari della natura umana. (p. 50).
Fin qui l'intervento di Friedman a Filadelfia.
Lasciando la parola a questo Autore, e nell'intento di dare un ulteriore
piccolo contributo alla "conservazione del crogiolo", vorrei accennare
ad alcune altre indicazioni, riguardanti "gli atteggiamenti", che ci vengono
dalla storia della psicoanalisi, partendo dalle quali chi è interessato
potrà iniziare ad ampliare questa parte del discorso.
Nell'XI capitolo di Anatomia della psicoterapia (1988) , intitolato:
"I compiti della terapia: l'attribuzione di senso al terapeuta da parte
del paziente", Friedman indaga su come il paziente colga primariamente
nel suo contesto il pensiero dell'analista, e secondariamente i motivi
alla base delle sue azioni.
Ricorda poi che già Strachey aveva mostrato come soltanto
alla luce di certi atteggiamenti particolari dell'analista le opportunità
del paziente possano diventare tali; più compiutamente, l'A afferma
che "la possibilità che venga fatta una certa astrazione piuttosto
che un'altra dipenderà da ciò che è avvenuto fra le
due persone coinvolte nel processo" (p. 170).
Fin dal 1988, dunque, Friedman postulava la necessità
di separare ciò che il terapeuta fa da ciò che intende fare,
poiché quel che intende fare non è che una parte di quel
che avviene, andando messa in conto anche l'ambivalenza originaria di espressioni
e reazioni, e rammentava a tale proposito l'esortazione di Gill
a prestare costante attenzione alle sfumature dell'attività dell'analista,
anche al significato connesso col prestare attenzione ai possibili significati.
Interessante la domanda che si pone Gill, convinto dell'inevitabilità
di un coinvolgimento significativo nel corso del processo analitico: "può
il paziente attribuire all'analista qualcosa di completamente originario,
che non ha, cioè, nessuna base in ciò che l'analista ha detto
o fatto? " (Gill, 1982, p.19).
Il Friedman del 1988 sottolineava che sarebbe però un
peccato se, nel corso del processo, il terapeuta pensasse di poter identificare
azioni separate tra loro, col dividerle in azioni personali e tecniche:
ìNella pratica, pur potendo l'atteggiamento dell'analista venire più
o meno influenzato dalle sue intenzioni tecniche esso resta comunque il
suo atteggiamento. Nessun processo astratto parla attraverso l'analista
Ö nella pratica la ricostruzione è un'attività completa eseguita
da una persona completa, che incorpora tutti i significati e le motivazioni
che vanno a costituire un singolo atto" (Friedman, 1988, n.9, p. 559).
E in seguito concludeva : "L'atmosfera standard del trattamento è
l'equivalente di una tecnica per immagini della mente: gli aspetti generali
della mente vengono misurati man mano che l'analista prende nota degli
atteggiamenti che deve chiamare in causa per sostenere l'atmosfera analitica.
E' una specie di ecocardiografia dell'anima" (Friedman, 1997, p. 50).
Mi piace qui ricordare che già nel 1935 Binswanger sottolineava
che la psicoterapia agisce in quanto "essere-uomo - con un altro uomo"
ed "essere-medico" stanno tra loro in una relazione di reciprocità
ìdialettica", permettendo una comunicazione esistenziale frutto di fiducia
atta a liberare e indirizzare forze bilogico-psicologiche, indicando come
fattore decisivo un ininterrotto reciproco contatto comunicativo, un essere
insieme. Quella che lui denomina la "trovata" può in qualche modo
trovar luogo tra gli atteggiamenti di cui parla Friedman. Dice Binswanger:
ìLa "trovata" è la prima condizione di ogni psicoterapia e di
ogni arte medica, come del resto di ogni arte in generale una "trovata"
è "artistica" e non dilettantesca quando deriva da uno stile rigoroso,
artistico e scientifico ad un tempo, che è divenuto normativo per
la personalità del medico e, direi quasi, incarnato in essa" (Binswanger,
1989, p. 143).
A più di sessant'anni di distanza, risuona sulla stessa linea
di ricerca l'accorata perorazione di Friedman, che ci esorta a non interrompere
mai la ricerca di base.
Bibliografia aggiuntiva del recensore
BINSWANGER L., (1955), Per un'antropologia fenomenologica,
Feltrinelli, Milano, 1989
FRIEDMAN L., (1988), Anatomia della psicoterapia, Boringhieri,
Torino, 1993
GILL M.M., (1982), "Il paradigma interpersonale e la misura del coinvolgimento
del terapeuta", Psicoterapia e Scienze Umane, 1995, 3: 5-43 Indirizzo dell'autore:
129B East 71st Street, New York, NY 10021, USA.
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