Questo studio si propone come un rapporto di ricerca sulla psicopatologia
e la psicoterapia in ambiente mafioso.
La mafia da un punto di vista antropo-psichico è in trasformazione,
avverte Girolamo Lo Verso, per nuovi problemi anche di tipo relazionale
ed affettivo conseguenti a realtà recenti, quali la diffusione dei
collaboranti di giustizia, conflitti interni nelle famiglie e nell'organizzazione
mafiosa, arresti con confische dei beni, fine dell'immunità e dei
legami istituzionali tradizionali
Ne sono conseguite richieste di aiuto da parte membri di famiglie mafiose,
sfociate anche in domanda di psicoterapia.
Questo lavoro si fonda su incontri di studio , in cui sono stati analizzati
dei casi riguardanti membri di famiglie mafiose in psicoterapia .
L'autore sottolinea il carattere di dirompente novità per il mondo
mafioso costituito dall'avere un rapporto con la psicoterapia, in quanto
violazione di ogni tradizionale legge interna dell'organizzazione «Cosa
nostra» , conflitto con i rigidi codici comportamentali della mafia:
comunicazione libera e ricerca della verità soggettiva, riflessione
su di sé e sul proprio ambiente, parlare delle proprie cose ; ma
soprattutto esperienza di
una relazionalità autentica, che consente una trasformazione dell'intrapsichico , quindi volta ad una autonomie e soggettività
della persona, con riconoscimento dell'autonomia e del valore dell'altro,
diverso da noi.
Tutto questo, evidentemente, mette in forse codici istituiti,
segreti di famiglia, dogmi, pensiero ad una sola direzione, tutti aspetti
di base deI modo di essere mafioso e della sua psicopatologia .
Il campione qui preso in esame consta di membri di famiglie inserite
pienamente nell'organizzazione mafiosa, alcune decine di casi , seguiti
in terapie individuali, in strutture non private, anche se coloro che recentemente
si sono rivolti a psicoterapeuti sono nell'ordine delle centinaia.
Sono prevalentemente persone giovani, talora tardo adolescenti o bambini,
mogli di persone arrestate, latitanti, uccise; c'è qualche persona
adulta; generalmente vengono inviati da madri; più raramente si
tratta di auto-invii. E' dunque la donna che decide di «salvare la
famiglia», anche se fenomeno contrario altrettanto evidente è,
talora, il suo emergere come capo potente della famiglia (specie dove per
qualche motivo manca l'uomo)
La patologia di questi casi appare legata a problemi di identità,
vissuti all'interno di una famiglia monolitica, che sta crollando e quindi
non offre più sicurezze ; spesso la madre non proviene più
dal mondo della mafia , si presenta qualche «mito» familiare
«trasgressivo» ; si rileva la presenza di nonne conservatrici
, ed un sociale che propone modelli diversi , con messa in crisi dell'onnipotente
e irragiungibile figura paterna, e quindi dell''deale di copertura.Si è
creato un conflitto fra codici e culture materni e paterni, non più
funzionali.
Aspettative deluse hanno messo in crisi le identificazioni dei figli.
Incombe la presenza della morte, di una cultura stessa della morte che
domina i vissuti dei componenti della famiglia mafiosa. Problema religioso
e sessualità appaiono argomenti di difficile approccio o addirittura
di scarso interesse.
Il setting è molto particolare e assai poco definito, e il controtransfert
talora assume carattere fiabesco e mitologico, dato che terapeuta
e paziente hanno il vissuto di essere «osservati» dalle famiglie
mafiose, temendone le possibili reazioni: sintomatico che i pazienti
in terapia e i terapeuti in supervisione parlino di cose mafiose abbassando
la voce, dato che la segretezza riguarda non solo il mondo intrapsichico,
ma la stessa realtà sociale, specie nel contesto della Sicilia occidentale.
Inoltre la mafia è una presenza reale e condizionante con cui bisogna
fare i conti e nei cui meccanismi si rischia di restare invischiati.
Quanto ai modelli di riferimento, la psicopatologia va pensata come
direttamente collegata «al rapporto circolare fra mondo interno-famiglia-cultura
e fra tutto questo e I'organizzazione/istituzione "Cosa nostra" (ivi,
p. 94), per cui non appaiono funzionali modelli rigidamente individualistici,
interattivi o sociologici . Si è fatto riferimento alla più
adeguata Gruppoanalisi Soggettuale (Lo Verso, 1994) e Familiare (Pontati,
1998) , che pone come centrale la relazione intesa come multipersonale
e come fatto inconscio, evitando di connotare banalmente «la mafia»,
interpretandola, come è stato fatto, come seno cattivo, o archetipo
della "Grande madre".
Si è invece cercato un dialogo fra i dati e modelli di ricerca
e di lettura, valendosi di orientamenti psicodinamici della terapia familiare
e comunque interessata alla relazione e dell'etnopsicoanalisi . Alquanto
diverso l'approccio, nel caso di «mandanti» diversi dal privato,
quali ad esempio Prefettura o servizi sociali, o nell'ambito di contesti
istituzionali, quali carceri o comunità.
In conclusione l'A si pone due interrogativi. Il primo riguarda l'uso
del termine controtransfert, in questo caso più insufficiente del
solito, per la forte presenza di «elementi di co-transfert
o di campo co-transferale (Lo Verso, 1989, 1994)» ( ivi p.95), dato
che nel processo entrano in gioco, oltre alle proiezioni del paziente sul
terapeuta, anche cose personali del terapeuta, nato e cresciuto in Sicilia,
da sempre al corrente dell'esistenza della mafia, con tutto il portato
affettivo e fantasmatico che questo può comportare.
Il secondo interrogativo riguarda la misura, sembrerebbe notevole,
in cui, da questo tipo di lavoro, vengono mobilitate nel terapeuta, anche all'interno della relazione terapeutica,
problematiche legate a paura e
coraggio ( anche se finora la mafia non è mai intervenuta direttamente
nella terapia); questo per l'indifferenza o l'attiva emarginazione dei
terapeuti nelle istituzioni, per il fatto che il lavoro terapeutico si
sottrae alle logiche clientelari
L'A conclude osservando come , grazie all'etnopsicoanalisi e all'epistemoIogia
della compIessità e del «costruzionismo relazionale»,
si stia consolidando la coscienza del rischio teorico-clinico dell'importazione
passiva di modelli psicoterapeutici da una cultura a un'altra, dato il
loro prescindere dall'habitat dei sistemi culturali e il loro forte impatto
sulla costruzione di identità, valori, modalità di
gestire le famiglie , soprattutto nella cultura mafiosa. Viene segnalata l'opportunità di un approfondimento specifico, da parte di terapeuti
ed educatori, dell' antropo-psichismo mafioso, come già indicato
da Giovanni Falcone, quando, dal punto di vista metodologico, sosteneva l'importanza del cogliere il fenomeno mafia anche attraverso ricerche disciplinari
ad hoc.
L'autore si chiede poi in che modo l'antropo-psichismo mafioso si stia modificando:
la mafia cambia, scardinata dal fenomeno dei collaboratori di giustizia,
sicché «sbirro» e «pentito» non sono più
insulti; e dalle crisi familiari, che distruggono l'illusione di onnipotenza. L'obiettivo storico, il denaro, è in via di integrazione
con realtà finanziarie locali; «Cosa Nostra» si
vale anche di piccoli delinquenti comuni, e non più esclusivamente
di affiliati col giuramento di sangue che fa trascolorare l'Io individuale
nel «noi» della «famiglia» , in un lento processo
di omologazione , anche se permane alto il controllo della mafia sulla
società , e quindi sulla vita mentale, soprattutto in Sicilia.
Un passaggio importante di questo studio, riguardante più strettamente
la psicopatologia, può essere individuato nella messa a fuoco di
due violazoni fondamentali che mettono in crisi il chiuso sistema di comunicazione
mafioso, ambedue incentrate sull'introduzione di un terzo interlocutore
-esterno- nel sistema comunicativo mafioso-famiglia mafiosa: quello
relativo ai collaboratori di giustizia e quello riguardante l'apertura
di un dialogo col terapeuta. Si introduce cioè un tentativo di relazionalità
autentica e conseguentemente la possibilità di una trasformazione
intrapsichica, in contrapposizione ad un pensiero unidirezionale.
In siffatta analisi, i contributi della Daseinanalyse sono da questo
punto di vista assolutamente imprescindibili, e ad essi si rimanda per un
approfondimento.
Altro problema interessante che il lavoro di Lo Verso apre, stavolta
sul versante della psicoterapia, è quello del controtransfert, con
la possibile notevole mobilitazione sia nel terapeuta , che nella stessa
relazione terapeutica con un soggetto mafioso, di problematiche legate
alla palpabile presenza della mafia, di cui è tuttora permeata la
cultura siciliana in cui anche i terapeuti sono cresciuti e vivono. Che
hanno anche fare , dice Lo Verso, con paura e coraggio. Quale antidoto
o almeno quale correttivo a questa imprescindibile realtà?
Nel cercare una possibile risposta al quesito, ci viene in aiuto un
costante avvertimento di Pier Francesco Galli , riguardo al «mantenere
sempre aperto il canale conoscitivo», poiché « la nostra
curiosità conoscitiva ci permette di non essere sopraffatti dalla
patologia»(Galli,p 77): il fare ipotesi su qualcuno, mantiene le
funzioni dell'Io fuori dal conflitto, come - ricorda sempre Galli-
già nel 1955 osservato da Racamier, quando affermava che la motivazione
del conoscere permette al terapeuta di psicotici di non rimanere egli stesso
invischiato nel delirio.
Traccia d'altronde da seguire non solo da parte di terapeuti alle prese
con questa particolare situazione, ma di chiunque di noi entri in relazione
terapeutica con un paziente, in modo da poter mantenere il più possibile
integro l'Io osservante, permettendo, nel mantenimento di una relazione
quanto più possibile distesa, l'attualizzazione del conflitto di
traslazione e l'elaborazione delle resistenze, quindi il lavoro terapeutico
stesso.
Girolamo Lo Verso, Università di Palermo, Largo Primavera 9, 90143 Palermo.
* Rielaborazione della relazione tenuta al convegno "Lo psichismo
mafioso fra tradizione e trasformazione: i servizi e la psicopatologia".
Ottobre 1998, Salemi (TP).
Bibliografia aggiuntiva del recensore:
Binswanger L. (1963) Being in the World, Basic Books, New York
Galli P.F., (1996), La persona e la tecnica, Il Ruolo Terapeutico,
Milano (2a edizione: Franco Angeli)
Nacht S. (1956), La Psychanalyse d'aujourd'hui, PUF, Paris
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