(Conferenza tenuta durante il congresso dell'Istituto di psicoanalisi
e psicoterapia di Heidelberg, Mannheim, 7-8 novembre 1997) L'A. illustra l'evoluzione nella psicoanalisi in Germania a dopo il 1945,
caratterizzata dalla personalità di Alexander Mitscherlich. Mitscherlich
fu fautore di un superamento del passato per uno sviluppo democratico,
al riparo da possibili ricadute, con integrazione degli analisti freudiani
non emigrati , anche se si erano mostrati sensibili al nazionalsocialismo.
I seguaci di Schultz-Henke e di Jung, invece, uniformatisi al nazismo,
dovettero sostenere da soli l'ipoteca del proprio orientamento politico,
col risultato di uno scisma connotato da ipocrisia , condanna da parte
dei freudiani dell'altro gruppo e negazione di ogni complicità col
totalitarismo.
La psicoanalisi freudiana, dunque, si presentava come democratica
e anche a Pohlen è sempre apparsa come vera sede della conservazione
del pensiero di opposizione e della rivolta politica, e questo fin da studente
lo ha attirato nella duplice connotazione di pensiero rivoluzionario, tra
conformismo autoritario ed esigenza di autochiarificazione, nonché
di possibilità di pensiero critico verso la mentalità comune.
Il giovane Pohlen si rese ben presto conto che l'elemento sovversivo
era negli strumenti conoscitivi della psicoanalisi. Tali aspettative (
allora non si sapeva quanto fondate, ne' si poteva prevedere un successivo
conformismo sociale ) rispondevano a esigenze di orientamento ideologico
e scientifico, volte a un rinnovamento della vita collettiva dell'epoca.
Considerando ora il rapporto tra la generazione dei fondatori dopo
il 1945 e la successiva, sembra esservi stato piuttosto un fallimento del
sistema psicoanalitico nelle istituzioni, associazioni di categoria e funzionari.
Purtroppo, nella generazione che segue a quella di Mitscherlich, Nielsen,
Cremerius, Richter ed altri, manca ogni consapevolezza della storia
della mentalità psicoanalitica, in quanto non viene insegnata nelle
istituzioni dell'apparato, e quindi non viene fornito alcun orientamento
per un reale confronto Anzi, senza che le persone piu' consapevoli si opponessero,
si e' verificata una medicalizzazione della psicoanalisi, con l' istituzione
dello specialista in medicina psicosomatica, la creazione dello specialista
in medicina psicoterapeutica, e l'adesione a uno schema unitario sulla
normativa per la standardizzazione terapeutica e diagnostica, da
tempo obsoleto dal punto di vista scientifico. Non sono stati forniti orientamenti
per il confronto con la tradizione intellettuale della psicoanalisi, e
gli antagonismi sociali, nelle analisi individuali, vengono difensivamente
individualizzati.
Dopo il 1945, vi erano molte aspettative, specie dei governi socialdemocratici
nei riguardi della psicoanalisi, per un rinnovamento morale e intellettuale
e un chiarimento dell'agire fascistico-autoritario e per fornire
uno strumento di opposizione e di epurazione dalla contaminazione nazista.
In tale clima avvenne la fondazione dell'Istituto Sigmund Freud di Francoforte,
diretto da Mitscherlich. Ma poi, la psicoanalisi e' stata esautorata, riconoscendola,
con un subdolo gioco politico, come conforme alla società , il che
forse, se gli analisti avessero veramente compreso la teoria della natura
pulsionale e riflettuto su di essa, avrebbe potuto essere previsto e probabilmente
evitato. Invece , "lasciandosi coinvolgere a livello sociale e politico,
quasi fosse un metodo per la formazione di una coscienza democratica, la
psicoanalisi si è trasformata... in un metodo puramente terapeutico,
il che ha portato, a livello del singolo individuo, allo sviluppo della
propria individualità a spese della cassa mutua ...e a livello delle
esigenze collettive, al soddisfacimento delle aspettative generali di liberazione"
(ibid, p. 64). Nella rivolta studentesca del ë68 tutto ciò ha raggiunto il
suo apice, in quanto la liberazione individuale dalle repressioni
sessuali è stata interpretata, sul modello di Reich, come
modo per liberarsi dalle coercizioni sociali.
Pohlen ammonisce che, "se si vuol comprendere perché la psicoanalisi
sia divenuta quel che è oggi, è necessario seguire le varie
forme di decadenza determinate dal conformarsi della psicoanalisi alle
aspettative sociali.' (ibid., p. 64). Ciò, a detta dell'A. e' avvenuto
per la mancanza di una messa in moto di un processo di autochiarificazione
sulla propria scienza, con una più cosciente definizione di status
che si opponesse al conformismo.
L'A indica alcuni punti da approfondire per orientarsi riguardo al
posto occupato attualmente in Germania dalla psicoanalisi: 1) l'impiego
della psicoanalisi nelle offerte conformistiche dell'ideologia dell'autoliberazione;
2) l'impiego della psicoanalisi come puro metodo terapeutico per la
autorealizzazione;
connesso a un insegnamento estremamente scolastico della psicoanalisi,
mediante lo sviluppo di un apparato burocratico; 3) la sospensione del
pensiero psicoanalitico per la sua integrazione nelle scienze positive." (ibid.,
p. 64)
Per quanto concerne il punto 1, la banalizzazione della psicoanalisi,
come avvenuto nell'uso dei media o del linguaggio quotidiano, come pure
l'incessante uso del metodo di interpretazione, hanno provocato una sua
perdita di sostanza , oltre che una sua biologizzazione, ostacolandola
nel confronto con i problemi scientifici del proprio
sistema. Questo è avvenuto a scapito dell'autointerrogarsi conformemente
al livello attuale di conoscenza della scienza psicoanalitica stessa: attraverso
quali percorsi l'analista giunge alle sue interpretazioni, valendosi di
quali chiavi di decifrazione perviene a determinate percezioni, con quale
criterio dobbiamo valutare le diverse chiavi di decifrazione delle varie
scuole?
Riguardo al punto 2, Pohlen individua nella semplificazione della psicoanalisi
a puro metodo applicativo, una delle cause principali della limitatezza
del pensiero dell'analista , con l'eliminazione del pensiero di opposizione,
inerente al pensiero euristico. Ciò è assai forte in Germania,
dove la psicoanalisi ha addirittura un ruolo riconosciuto nel sistema assistenziale.
"Ridurre la psicoanalisi a mero "rapporto di sostegno" ...non è
che l'espressione del pragmatismo livellatore che domina in quel paese." (ibid.,
p. 67). In Francia, invece, la psicoanalisi conserva la tradizione filosofica
, compenetrandosi con essa. In Italia, i rappresentanti più illuminati,
proseguono la discussione su base filosofica. Non va tuttavia dimenticato
che gli stessi fondatori della psicoanalisi erano assai interessati alle
questioni di potere ,come dimostra la ricerca del monopolio del proprio
certificato d'origine. In più, gli analisti della generazione successiva
hanno trasformato in testi canonizzati le asserzioni contraddittorie dei
fondatori, imponendole ai candidati, pena l'espulsione. Così, attraverso
identificazione ed idealizzazione, si è perpetuata la ritualizzazione
della dipendenza e della limitazione del pensiero ,determinando un atteggiamento
condiscendente verso semplificazione e limitazione del pensiero analitico
entro l'apparato formativo, per giungere ad una teoria psicoanalitica standardizzata
assistenziale. Come punto 3, l'inserimento della psicoanalisi tra le scienze
accademiche è stata funesta, portando alla sua completa medicalizzazione,
col conformarla ai criteri della medicina, dovendo essere legittimata come
metodo di trattamento. Parin intende il termine medicalizzazione nel senso
che la psicoanalisi si conforma agli standard della medicina, sospendendo
il pensiero analitico, suo potenziale di opposizione, e presentandosi
come puro metodo terapeutico tra i tanti della medicina, evenienza prevista
da Freud come archiviazione della psicoanalisi nel manuale di psichiatria.
Così ora la psicoanalisi si trova a dover soddisfare la pretesa
di validità delle scienze positive, per legittimare la scientificità
delle sue procedure metodiche, invece di occuparsi del proprio oggetto,
e cioè delle condizioni della comunicazione umana, in particolare
di quella analitica . In tal modo si è giunti all'assurdo di pensare
che il setting psicoanalitico necessiti solo del particolare esame metodico
di efficacia, e che "dimostrare all'esame empirico la qualificazione scientifica
della psicoanalisi non sia altro che un problema di modalità metodiche
di approccio, sempre più differenziate; dunque un procedimento metodico
che ha perduto il proprio oggetto, cioè l'esame dei presupposti
delle dimensioni d'influenza nel processo ermeneutico dell'influenza. Ma
la scienza si può definire solo attraverso il proprio oggetto e
non attraverso i metodi." (ibid., p. 68).
Non ci si interroga più, dunque, sul procedimento psicoanalitico
né sul sistema analitico con i propri strumenti conoscitivi. Ci
si chiede se qualcosa ha un effetto, e non i motivi per cui c'è
stato un cambiamento, in che modo è avvenuto, cioè, quali
meccanismi agiscono e sono coinvolti nel rapporto analitico. Sappiamo bene
che il processo di influenza, oggetto essenziale della scienza psicoanalitica,
si sottrae all'oggettivazione, perché nell'interazione paziente-analista
le dimensioni dell'influenza coincidono ed è ed è proprio
questo il motivo dell'efficacia del rapporto terapeutico. Le ricerche oggettivanti
possono riguardare soltanto il risultato e l'efficacia del processo, non
le variabili dell'interazione, nel loro divenire appunto terapeutiche.
Non dimentichiamo che l'uomo conosce il mondo attraverso la fantasia.
E la psicoanalisi, come scienza singola, è e deve rimanere una disciplina
euristica, che può contribuire allo sviluppo delle altre singole
discipline.
Tenendo d'occhio le prospettive, Pohlen infine si chiede cosa distingua l'essenza del pensiero psicoanalitico in cui avviene la ricerca della nostra
identità. È solo nel pensiero, afferma, che è possibile
parlare di un'identità, lungi da vincoli identificatori delle
diverse scuole. E' evidente che la psicoanalisi deve rimanere un pensiero
di disintegrazione produttiva, anche per una rifondazione di una scienza
psicoterapeutica generale, e per opporsi alla diffusa razionalizzazione
della vita e alla "ripetizione di ciò-che-è-sempre-stato",
esaltando l'immaginazione creativa che aggiunge ciò che manca al
dato di fatto, come è peculiare della scienza psicoanalitica dai
suoi inizi. Pohlen ricorda quanto soleva dire Mitscherlich, che, priva
di fantasia, la scienza dell'uomo si ridurrebbe a medicina veterinaria.
E aggiunge:" La prospettiva dell'analista è determinante: la sua
maniera di vedere il mondo deciderà se egli si proietterà
con il suo analizzando nell'"al di là retrospettivo", nell'archeologia
di ciò-che-è-stato, abbandonandosi al travaglio del fantasma dell'infanzia, oppure se si metterà dalla parte prospettica del
desiderio, il desiderio che anticipa la realtà, aggiungendo alla
storia, a ogni storia, l'ancora-mancante, il non-ancora-raggiunto." (ibid., p.
70). Nè l'analista deve cedere alla fascinazione della mistagogica
autoliberante, che ha già sedotto kleiniani e kohutiani, rammentando
che qualsiasi tipo di affermazione toglie alla psicoanalisi la sua peculiarità.
Una breve considerazione dopo questa lettura che ha il grande pregio
di indurci a riflettere.
Historia docet: in ogni branca del pensiero, in ogni scienza, l'autonomia
di pensiero è indispensabile per la sua stessa sopravvivenza; la
politica non può, non deve condizionare il pensiero scientifico.
I diritti della persona vengono prima di ogni altra considerazione.
L'influsso di un potere politico, specie di un potere politico dittatoriale,
ha effetti mortiferi sulla scienza. In questo senso, la storia terribile
del Nazismo e del suo influsso bloccante e confusivo sul pensiero psicoanalitico,
ivi compresa la sua organizzazione, formazione e naturalmente trattamento,
è paradigmatica riguardo a simili nefaste evenienze.
Fortunatamente, non è stato sufficiente bruciare i libri di Freud, o chiuderli in un recesso inaccessibile nell'Istituto Goering
(cfr. Cocks, op. cit.), per far morire la psicoanalisi nel suo specifico, e questo
Pohlen lo sottolinea, nel momento stesso in cui ne denuncia il rischio.
Da qui, il grande valore della sua testimonianza , specie per le generazioni
più giovani di analisti, che spesso poco o nulla conoscono della
storia passata che, in qualche modo, li riguarda da vicino. Giacché
anche il silenzio, talora, può essere complicità, e un grave
ostacolo sulla via della conoscenza.
Quanto ad Alexander Mitscherlich, sulla cui figura non si quietano
le controversie, è comunque una figura con cui bisogna confrontarsi:
negli anni '60 e '70 era il rappresentante per eccellenza della psicoanalisi
nella Germania Occidentale ed era indicato come il fondatore della psicoanalisi
post-bellica.
Alexander Mitscherlich nacque a Monaco di Baviera il 20 settembre 1908.E'
morto nel 1982. Ha seguito corsi di storia dell'arte e filosofia a Monaco,
poi studiato medicina a Friburgo e Zurigo, dove era stato costretto
ad andare, essendo contrario al regime nazista. In quegli anni in Germania
non era possibile un training psicoanalitico, così egli fu un autodidatta.
.Docente dal 1941, ottenne l'incarico di neurologia all'università
di Heidelberg. Nel 1946 ebbe la cattedra di Psicologia Sociale all'università
di Francoforte e nel 1949 divenne Presidente della Società tedesca
di Psicoterapia e Psicologia del profondo (DGPT), unione di quattro
centri di formazione, Berlino, Heidelberg, Stoccarda, Monaco. Insieme a
Hans Kunz in Basilea e a Felix Schottländer a Stoccarda,
fondò la rivista Psiche, per la psicologia del profondo e l'antropologia.
. Nel 1949 fondò ad Heidelberg la Clinica psicosomatica e
più tardi il Sigmund Freud-Institute. Fu anche membro della società
psicosomatica americana, grazie a Franz Alexander, a Spitz e ad Erikson.
intanto in Germania la sua posizione veniva messa in discussione. Nel 1956,
per commemorare i 100 anni della nascita di. Freud, organizzo' una serie
di letture a Francoforte e ad Heidelberg, con la partecipazione di analisti
del calibro di Spitz, Erikson, Zulliger, Alexander, Balint, Binswanger,
Marcuse ed altri. In seguito organizzò altre letture pubbliche con
la partecipazione di importanti di figure della psicoanalisi. Una cattedra
di psicoanalisi gli fu offerta all'università di Francoforte. Nel
1958 iniziò un'analisi con Paula Heimann. Nel 1969 gli venne conferito
in Germania il premio della pace. Autore di moltissimi libri e articoli,
ha avuto sempre, come obiettivo principale, quello di stimolare la
riflessione. Ha spesso sottolineato come la lotta contro le malattie e
la loro prevenzione faccia parte integrante dello stesso processo culturale.
Con grande preveggenza, ha osservato come il rapido moltiplicarsi della
popolazione mondiale, con il crescere della mutua interdipendenza, esiga
un perfezionamento della tecnica oltre che una capacità di adattamento
a nuove e diverse condizioni sociali, dato che l'uomo è costretto
a vivere in condizioni di vita assolutamente nuove e modificate. Ma soprattutto,
nei suoi scritti egli ci rammenta che la battaglia del ricordare è
anche e soprattutto terreno specifico della psicoanalisi, mettendoci in
guardia contro la mortifera coazione a ripetere, specie se nutrita di idealizzazioni,
che potrebbe, nel caso degli analisti tedeschi post-bellici, perpetuare,
in maniera tutt'affatto inconscia, e per via transgenerazionale, un ideale
nazista. Die Unfähigkeit zu Trauern. München (Pieper,
1967), rimane il testo di Mitscherlich con cui prioritariamente gli analisti
tedeschi hanno avuto bisogno di confrontarsi, soprattutto per demistificare
le identificazioni inconsce. Questo significa per questi colleghi, ma anche
per tutti noi, intraprendere un processo di ricostruzione, tramite un
ricontestualizzazione e alla possibilità di arrivare a nuovi assunti
e a nuovi significati simbolici. Bibliografia aggiuntiva del recensore
COCKS G. (1988), Psicoterapia nel Terzo Reich, Boringhieri, Torino
MITSCHERLICH A. (1967), Die Unfähigkeit zu Trauern, Pieper,
München
Manfred Pohlen, Klinik fur Psychotherapie,
Rudolph Bultmann Str. 8,
35039 Marburg,
Repubblica federale tedesca
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