"Se la psicoterapia, come sostiene Watzlawick, deve istruire nel modo
di vedere il mondo, dobbiamo chiederci da quali occhi e con quale sguardo
si veda il mondo. Nel momento in cui la psicoterapia si mostra quale interazione
professionale, si delineano automaticamente - anche quando ciò non
accade - le seguenti domande: in virtù di quale concezione, di quale
convinzione e di quale ideale del rapporto psicoterapeutico e della natura dell'uomo, il terapeuta perviene a determinati traguardi, nel suo dialogo
con l'altro? Si impone non solo l'interrogativo: che cos'è la psicoterapia,
o che cos'è la psicoterapia come scienza, ma, in primo luogo, che cos'è la scientificità della
scienza." (ibid., p. 43 ).
Con questa problematicità sulle forme di conoscenza della
realtà Pohlen apre il suo importante saggio.
Primo quesito: la scientificità della scienza. Questo ci riporta
dritti dritti al ruolo della psicoterapia.
Se si va al fondo delle cose, essa può essere ricondotta ai
Greci. Socrate divise la psiche in una parte razionale, la mente, e in
una irrazionale, sede di passioni, piacere e desiderio, indicando la possibilità
per l'uomo di reprimere la sensualità Così, lo sguardo
si volge al mondo interiore, alla strutturazione razionale e al dominio dell'essente.
Qui il pensiero si scinde in storico ciclico e discorsivo-lineare.
Vico ha in seguito fondato su corsi e ricorsi una nuova filosofia della
storia , la Scienza Nuova, ma poi l'avanzata della deduzione cartesiana
della scissione dell'anima zone di luce e d'ombra si è imposta,
e la natura è divenuta un oggetto per l'uomo, portatore dello spirito.
Le due principali correnti della psicoterapia, psicoanalisi e terapia
comportamentale, rispecchiano la scissione moraleggiante in discorso razionale
e dei sensi. Procedimento razionale, dimostrativo e intuizione metaforica
si sono contrapposti.
La metafora, che è un trasferimento di significato, permette
di cogliere le cose simili, collegando anche cose lontane tramite similitudini,
e in tal modo è possibile rendersi conto di nuove connessioni.
Sull'uso di essa si fonda il transfert, come è stato concepito
da Freud, mediante il quale nella relazione si ripete, tramite l'analogia,
il prima nell'hic et nunc, e l'hic et nunc nel prima.
Quindi, all'origine del pensiero sta la metafora , che si origina dal
giudizio intuitivo, in cui l'intuire stesso- come sostiene Goethe - è
un pensare. Anche Vico pone l'immaginazione, sempre material-sensoriale.
come fonte di tutte le metafore: il mondo stesso viene concepito con gli
attributi del proprio corpo .Ancora: il rapporto tra discorso analogico
e razionale, nella scienza, può essere visto ricordando come
Kekulé pervenne alla scoperta della formula dei benzolo: dopo tanto
avervi riflettuto, ebbe una sorta di visione, fumo a forma di anello emesso
da gas di combustione: come un serpente che si morde la coda, l'immagine dell'Uroboros, che simboleggia appunto un sistema chiuso in se stesso.
Similmente, il linguaggio archetipico sta alla base della scienza, per
quanto le sia completamente opposto. Gli archetipi sono principi operatori
e plasmatori, ponti tra le percezioni sensoriali e le idee, sono il
presupposto per la nascita di una teoria scientifica. Senza archetipi,
non possono esservi poesia, filosofia o pensiero scientifico.
Heisenberg ricorda che l'albero della scienza ha due tronchi, uno analogico-eidetico
e l'altro deduttivo. Così, Keplero ha tratto la convinzione della
giustezza del sistema copernicano dalla corrispondenza dell'immagine copernicana
con un archetipo, il simbolo della Trinità. Ovviamente, è
poi indispensabile che la teoria scientifica regga all'esame empirico e all'analisi razionale; tuttavia, la scientificità della scienza
risiede nel pensiero intuitivo e immaginativo del ricercatore. La pura empiria, secondo
Heisenberg, è invece sterile, perché soffoca
il pensiero in una serie di dati, quantitativamente imponenti, ma privi
di significato. Così pure, la scienza applicata, puro accumulo di
fatti, rappresenta il disgregarsi della realtà del mondo nella dispersione
del dato, una vera derealizzazione
L'affermazione secondo cui la scienza naturale ha un accesso privilegiato
alla realtà è solo un mito. In realtà, vi sono molteplici
forme di conoscenza. Invece, la trasposizione del principio democratico
di eguaglianza alla scienza ha portato ad una strada a senso unico e generalizzata
delle forme di conoscenza, con regole e convinzioni standard e uniformi
che hanno represso le altre forme di conoscenza e scienza. Tramite il riconoscere
il rango di scientificità a tale aspetto superficiale della scienza
si riesce a tenere in piedi un'attività scientifica con proprie
risorse finanziarie , grazie ad una scontata legittimazione sociale, per
cui la scientificità è misurata in maniera puramente quantitativa,
attraverso il numero delle pubblicazioni e l'accaparramento di finanziamenti
da parte dell'industria. Unico presupposto per la rivolta contro la progressiva
disumanizzazione del mondo, il pensiero psicodinamico , garante delle possibilità,
ancora da esperire, dell'uomo.
Pohlen passa poi a chiedersi cosa sia la psicoterapia come scienza,
premettendo che lo sviluppo della psicoanalisi e della scienza psicoterapeutica
va inteso nel contesto di tale valutazione della scienza e mostrando come l'analisi freudiana si ponga al posto di una filosofia di vita. Si è
visto che il processo terapeutico non dipende tanto dalla competenza tecnica
del terapeuta, quanto dalla qualità dell'impostazione del rapporto
terapeutico stesso. "La personalità del terapeuta è il fattore
più efficace, la sua comprensione dell'uomo e del mondo, e soprattutto
del sistema di valori implicati, è di importanza determinante. Il
successo o fallimento del processo dipende perciò dai valori che
determinano i fenomeni d'interazione.La qualità del terapeuta e dell'impostazione del suo rapporto col paziente è nella sua capacità
anticipatoria di adattarsi al sistema del paziente e di reperire ciò
che gli è congeniale." (ibid., pp. 48-49). Come indicato con estrema
chiarezza da Morgenthaler, compito della capacità fantastica del
terapeuta è percepire e mettere a fuoco potenzialità del
paziente in grado di innescare uno sviluppo come transfert che faccia affiorare
possibilità mai esperite, e non una ripetizione della desolazione
infantile; per raggiungere col paziente un cambiamento nella sua valutazione
della vita e della sofferenza, e nel progetto di un futuro affrancato dell'ipoteca
del passato; inoltre, il terapeuta deve lavorare nel rispetto e nell'apprezzamento
delle strategie difensive dei sintomi, sviluppati dal paziente, e
nel riconoscimento della persona, presupposto per la reciprocità,
e infine nella sicurezza emozionale di un rapporto scevro da ambivalenze
, presupposto indispensabile dell'esperienza del nuovo e dunque del cambiamento.
Come già suggerito da Mitscherlich, il lavoro psicoterapeutico non
è tanto nella lotta per il ricordo , quanto nell'arte del corrispondere
da parte del terapeuta che, con la propria intuizione, deve comprendere
il paziente nella sua peculiarità strutturale, conducendo
un lavoro di trasposizione, apprestando condizioni e strumenti atti sia
all'avvio di un processo conoscitivo che ad un allargamento del margine
di azione del paziente.
Qui ci dobbiamo chiedere quale posto occupa la psicoterapia nell'ambito
della scienza, nel sistema di valori della società e nella medicina.
I valori della società, dai tempi di Freud, sono cambiati: è
subentrata una visione agonale della vita, ci si chiede se la teoria analitica
è in accordo con questa visione, come, all'epoca, l'originaria teoria
freudiana del conflitto. Allora, scopo della terapia dovrebbe essere guidare l'uomo a riconoscere nel principio agonale il movente della vita, quindi
un conflitto, e di conseguenza l'autodeterminazione, potendo scegliere
liberamente le proprie possibilità presenti, ancorché nascoste.
Dunque, il principio agonale è strettamente intrecciato al desiderio
di libertà, che è tutta la nostra tradizione filosofica e
culturale: mettersi in gioco nel tentativo di affermare la propria libertà.
Nello stesso tempo, però, lo stesso principio agonale è alla
base del successo o fallimento dell'autodeterminazione .Ci interroghiamo
pertanto sull'idea di uomo della psicoterapia.
E' evidente che nessuna psicoterapia può eludere la questione
filosofica riguardante la natura dell'uomo.
Con la nascita della psicologia comportamentale cognitiva il problema
della libertà è ineluttabile terapia comportamentale , essendosi
la terapia comportamentale allontanata da un determinismo radicale, nella
necessità di considerare la riflessione come motivo di cambiamento,
nel momento in cui si è dovuta occupare dei progetti di vita, scopi
e valori dei pazienti , passando dal trattamento dei disturbi monosintomatici
alla terapia dei disturbi della personalità, anch'essa ha dovuto
riconoscere l'uomo e il suo desiderio di divenire soggetto della propria
storia, scoprendo che dalla riflessione può scaturire il nuovo,
il quale, a sua volta, non si può desumere in maniera deterministica
da presupposti situazionali .Questa ricerca introspettiva ha sconvolto l'immagine di sé che la teoria
dell'apprendimento aveva fornito,
non riuscendo a dare una spiegazione del perché, tramite la riflessione
sul comportamento, si sviluppino nel paziente orientamenti nuovi, che lo
modificano , pur permanendo le condizioni situazionali. La terapia comportamentale
ha dovuto fare i conti con un terapeuta non più solo costruttore
, bensì accompagnatore del paziente nella ristrutturazione della
situazione biografica , e passando dal modello stimolo-reazione a quello
della riflessione. Proprio come la psicoanalisi, la terapia comportamentale
si è ritrovata a dover trovare una risposta ai problemi di significato
dell'uomo. Dovendo considerare il progetto di vita e dell'orizzonte di
significato dell'uomo, è evidente che la psicoterapia non può
essere una scienza medica, bensì "psicologica", dunque in
antagonismo con la medicina, pena la sua trasformazione in una tecnologia
superficiale di adattamento, che non potrebbe certo ridare all'uomo malato
una possibilità di ricerca riguardo al problema del senso della
vita, consentendogli di divenire soggetto della propria storia.
Dice Pohlen: "Al di là della polarizzazione tra le varie scuole
terapeutiche, che si va attenuando, è necessario stabilire un'euristica
in grado di corrispondere ai meccanismi di interazione. E a parte ciò,
deve mutare l'immagine dominante della scienza, per poter accettare i principi
della teoria della ricerca rappresentati dall'euristica." (ibid., p. 51).
La scienza euristica è soprattutto la scoperta delle vie immaginative
della creatività, una scienza delle congetture. L'inconscio è
un mistero da chiarire in maniera dialettica, la sua soluzione spetta al
dialogo, inteso dal punto di vista euristico , filosofico o
terapeutico-interazionale.
Nella capacità di immaginare di volta in volta in maniera anticipatoria
il rovescio sta l'intuito del ricercatore. La logica inventiva e il principio
dialettico del rovesciamento come metodo sono peculiari della scienza euristica.
Quindi, niente a che vedere con l'empatia nella psicoterapia, bensì
una conoscenza, che è capacità di rendere visibile ciò
che era nascosto, ritrovando il senso contrario: un atto di conoscenza
di assoluta rilevanza clinica che si connota come prestazione anticipata
del terapeuta nel processo di comunicazione. Dunque, la modalità
di interazione in psicoterapia va strutturata secondo principi euristici
che permettano di percorrere di nuovo i percorsi di conoscenza.
Una volta poi scoperta l'importanza dell'influenza dell'osservatore
nella situazione osservata, il rapporto tra il soggetto osservante e l'oggetto
osservato è diventato il problema chiave della scienza, il nuovo
paradigma. L'osservazione dell'osservatore è divenuto il momento
cruciale della scienza comportamentale (Devereux), che si è accorta
che non esistono dati incontaminati, né è possibile
isolare le dimensioni dell'influenza , al contrario, l'isolamento comporterebbe
l'annullamento dell'efficacia del dialogo. Ne consegue che la scienza psicoterapeutica
dovrà focalizzare la propria ricerca scientifica all'analisi del
terapeuta come osservatore, con particolare riferimento alle sue modalità
conoscitive e percettive, al modo di inquadrare la situazione oggetto di
analisi, e al dialogo terapeutico. Nel contempo, va sviluppata una teoria dell'influenza, per definire i presupposti e i criteri per esercitare
un'influenza
utile. La competenza tecnica del terapeuta passa quindi in second'ordine,
mentre è esaltata la capacità immaginativa anticipatrice
del non-ancora-visibile, presupposto per trovare la verità : siamo
di nuovo alla rappresentazione platonica : natura come opera d'arte.
Di fronte all'attuale desolante povertà di idee, è necessario
che la scienza euristica affermi la necessità del pensiero immaginativo
e della riflessione. " Una teoria dell'uomo di tipo psicoanalitico necessita
della riflessione filosofica per giungere alle sue intuizioni profonde
e per rivendicare, in nome del desiderio dell'uomo di divenire il soggetto
della propria storia, il diritto di essere scienza e pratica di vita." (ibid., p.
54)Alcune note aggiuntive, in particolare sull'importante questione del
ruolo dell'immaginazione e della metafora per la sopravvivenza stessa della
ricerca scientifica e culturale in genere.
L'importanza dell'immaginazione nella riflessione teorica è da qualche
tempo oggetto di approfondimento teorico da parte della scienza : in particolare,
la rilevanza della metafora, quale enorme serbatoio di creatività, è stata sottolineata concordemente da scienziati e artisti.
Ernesto Grassi (Milano1902 - Monaco di Baviera 1991), citato da Pohlen, è, com'è noto, tra i maggiori filosofi europei contemporanei
.Vanno rammentate, tra l'altro, le sue originali interpretazioni di Heidegger
- la nozione di "differenza ontologica" del filosofo tedesco ha influenzato
la sua filosofia della metafora -, il porre il Mito come fondamento del
Logos, per articolare un'ermeneutica del Logos e un'antropologia della
mente, prendendo però le distanze sia da Heidegger che dal Vico della
Scienza Nuova), ma soprattutto (cosa a mio parere assai interessante
in rapporto al discorso di Pohlen) la scoperta (cfr. E. Grassi, La filosofia
dell'Umanesimo), attraverso un minuzioso studio della bibliografia umanistica,
che l'Umanesimo non si interrogava sulla relazione logica tra cosa e pensiero
, intendendo il linguaggio filosofico come razionale. Il linguaggio, sottolinea
Grassi, va inteso come un mezzo nel quale e attraverso il quale si produce
un chiarimento. Non si tratta più di trovare una verità logica
nel senso di un adeguamento, ma di fare nuove scoperte , trovando relazioni
di somiglianza tra le cose, e in questo va sottolineato il ruolo fondamentale
della metafora, per giungere a quella realtà nuova che non può
essere dedotta razionalmente. E' chiaro come questa interpretazione apra
una preziosa via metodologica di studio, quale è quella indicata con chiarezza
nell'articolo di Pohlen.
Il ricorso all'immaginazione, destrutturante delle immagini offerte
seduttivammente dalla realtà, è foriero di nuove ipotesi
scientifiche, e può salvarci dalla "confusione proveniente da un'idea
parziale, quindi inadeguata", per usare un'immagine di Spinoza . Dall'immaginazione
creatrice e liberatoria da una troppo stretta e vincolante adesione al
mondo, che non permette allo spirito umano di liberarsi dalle ideologie
e alla coscienza di essere libera, alla sintesi nuova, che lega elementi
che sembrano lontanissimi tra di loro, proprio come fa la metafora, il
passo è breve. E' l'unica strada che rende viva la ricerca scientifica,
altrimenti massificata e morta.
Nella sua ultima opera, "Lo scambio impossibile", il filosofo francese
Jean Baudrillard avverte che la nostra epoca è connotata da "fragilità
creativa", il che, secondo lui, è legato a tre teoremi: l'incomprensibilità
del mondo, delirante; la necessità di osservarlo da un vertice delirante;
la convinzione che il giocatore non può comunque essere più grande dello
stesso gioco. In un'interessante conversazione col pittore Enrico Baj,
alla domanda dell'artista milanese se l'incertezza che domina la nostra
aleatoria società sia in ultima analisi creativa, ergo positiva, Baudrilliard
risponde che "l'incertezza, può essere angosciante, ma può
anche essere esaltante, a condizione di farne un gioco e di fare quindi
del principio di incertezza... la regola del gioco... un principio di
gioco arbitrario, pur tuttavia disciplinato da una regola, quindi arbitrario,
ma non aleatorio... Una regola dico, non una legge". (Baj, op. cit).
Chiarisce poi che, all'interno della regola, è possibile far saltare
i limiti del reale con le sue leggi e collocarsi al di là delle cose,
ma avverte che si tratta non di un principio individuale, bensì duale."Quindi
la regola resta superiore. Si gioca perché c'è una regola,
dunque secondo una regola. Il giocatore non può distruggerla, perché
in questo caso non vi sarebbe più gioco possibile".
Baudrillard cita poi Roger Caillois, che attribuisce al gioco quattro
categorie: Mimesis, la rappresentazione e il gioco di teatro; Agon, la
competizione; Alea, i giochi aleatori; Ilinx, i giochi di vertigine,
rilevando l'utilità di questa distinzione, poiché in tutte le opere creative
troviamo sempre sia una parte di rappresentazione, ossia di competizione,
sia l'azzardo che un senso di vertigine. Il "gioco" cui allude il filosofo
francese è quello del mondo, che è contemporaneamente "in gioco".
Si può cambiare senza divenire, come avviene nell'attuale virtuale, cambiare
cioè formalmente , il che è morfismo, non metamorfosi. Così
"le immagini, osservandoci, diventano autonome, acquistano una potenza
autonoma e ci prendono in ostaggio... diventiamo noi stessi un'immagine,
senza identità.... nel concatenamento delle immagini, non siamo
che un anello. Non c'è più il soggetto che guarda con un
principio di giudizio, di piacere e altro. Al posto di tutto ciò
subentra un passaggio di immagini su una banda magnetica. " (Baj, cit). Infatti, conclude il filosofo, l'individualità , quasi
modello di rappresentazione, esiste solo in virtù di una sorta di consenso,
e la ricerca da parte dell'uomo di macchine geniali origina dal non credere più nella propria originalità, quindi dal desiderio di liberarsi della
propria capacità di riflettere.
L'importanza della creatività nel ricercatore per il progredire della
scienza, e soprattutto una sua espressione singolarmente privilegiata,
la metafora, è stata messa negli ultimi tempi particolarmente in luce
da rappresentanti di tutte le discipline, sia scientifiche che umanistiche,
come ha dimostrato un recente convegno di Spoleto (Atti Spoleto
Scienza, cit.).
Certo, è importante non scambiare questo tipo di immaginazione
creativa con l'illusione delirante. L'immaginario della diversità può
infatti condurci a un vertiginoso punto di rottura, per usare l'immagine
del filosofo francese, che ci conduca alle soglie del non ancora
conosciuto, del diverso, al di là delle facili certezze. Questo forse è un buon modo di esistere al mondo, specie in questo attuale nostro mondo,
in cui i confini etnici e culturali si dilatano, fin quasi a scomparire,
e occorre inventare nuove soluzioni.
Comunque, è indubbio che la creatività comincia
dalla possibilità di conoscenza di noi stessi, di comprendere, rileggere
e riscrivere la nostra storia, e di entrare in contatto con l'altro in
modo nuovo e originale: in una parola, cambiare, cambiandosi, tollerando
le angosce di distacco che questo può comportare. Compito cui, come uomini
e come terapeuti, siamo fin dalle origini primariamente chiamati. Bibliografia aggiuntiva
ATTI DI SPOLETO SCIENZA (1992), Immagini e metafore della Scienza,
Laterza, Roma-Bari
BAJ E. (2000), Baudrillard. Il gioco dell'incertezza, Il Corriere della
Sera, 20 agosto 2000
GRASSI E. (1991), Einfuhrung in die Humanistische Philosophie,
Wissensch, BG. Dst.
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