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Psicoterapia e Scienze Umane, 2000, XXXIII, 2

Che cos'è la psicoterapia come scienza?

Manfred Pohlen

 
"Se la psicoterapia, come sostiene Watzlawick, deve istruire nel modo di vedere il mondo, dobbiamo chiederci da quali occhi e con quale sguardo si veda il mondo. Nel momento in cui la psicoterapia si mostra quale interazione professionale, si delineano automaticamente - anche quando ciò non accade - le seguenti domande: in virtù di quale concezione, di quale convinzione e di quale ideale del rapporto psicoterapeutico e della natura dell'uomo, il terapeuta perviene a determinati traguardi, nel suo dialogo con l'altro? Si impone non solo l'interrogativo: che cos'è la psicoterapia, o che cos'è la psicoterapia come scienza, ma, in primo luogo, che cos'è la scientificità della scienza." (ibid., p. 43 ).
Con questa problematicità  sulle forme di conoscenza della realtà Pohlen apre il suo importante saggio.
Primo quesito: la scientificità della scienza. Questo ci riporta dritti dritti al ruolo della psicoterapia.
Se si va al fondo delle cose, essa può essere ricondotta ai Greci. Socrate divise la psiche in una parte razionale, la mente, e in una irrazionale, sede di passioni, piacere e desiderio, indicando la possibilità per l'uomo di reprimere la sensualità  Così, lo sguardo si volge al mondo interiore, alla strutturazione razionale e al dominio dell'essente. 
Qui il pensiero si scinde in storico ciclico e discorsivo-lineare. Vico ha in seguito fondato su corsi e ricorsi una nuova filosofia della storia , la Scienza Nuova, ma poi l'avanzata della deduzione cartesiana della scissione dell'anima zone di luce e d'ombra si è imposta, e la natura è divenuta un oggetto per l'uomo, portatore dello spirito.
Le due principali correnti della psicoterapia, psicoanalisi e terapia comportamentale, rispecchiano la scissione moraleggiante in discorso razionale e dei sensi. Procedimento razionale, dimostrativo e intuizione metaforica si sono contrapposti. 
La metafora, che è un trasferimento di significato, permette di cogliere le cose simili, collegando anche cose lontane tramite similitudini, e in tal modo è possibile rendersi conto di nuove connessioni.
Sull'uso di essa si fonda il transfert, come è stato concepito da Freud, mediante il quale nella relazione si ripete, tramite l'analogia, il prima nell'hic et nunc, e l'hic et nunc nel prima.
Quindi, all'origine del pensiero sta la metafora , che si origina dal giudizio intuitivo, in cui l'intuire stesso- come sostiene Goethe - è un pensare. Anche Vico pone l'immaginazione, sempre material-sensoriale. come fonte di tutte le metafore: il mondo stesso viene concepito con gli attributi del proprio corpo .Ancora: il rapporto tra discorso analogico e  razionale, nella scienza, può essere visto ricordando come Kekulé pervenne alla scoperta della formula dei benzolo: dopo tanto avervi riflettuto, ebbe una sorta di visione, fumo a forma di anello emesso da gas di combustione: come un serpente che si morde la coda, l'immagine dell'Uroboros, che simboleggia appunto un sistema chiuso in se stesso. Similmente, il linguaggio archetipico sta alla base della scienza, per quanto le sia completamente opposto. Gli archetipi sono principi operatori e plasmatori, ponti tra le percezioni sensoriali e le idee, sono il  presupposto per la nascita di una teoria scientifica. Senza archetipi, non possono esservi poesia, filosofia o pensiero scientifico.  
Heisenberg ricorda che l'albero della scienza ha due tronchi, uno analogico-eidetico e l'altro deduttivo. Così, Keplero ha tratto la convinzione della giustezza del sistema copernicano dalla corrispondenza dell'immagine copernicana con un archetipo, il simbolo della Trinità. Ovviamente, è poi indispensabile che la teoria scientifica regga all'esame empirico e all'analisi razionale; tuttavia, la scientificità della scienza risiede nel pensiero intuitivo e immaginativo del ricercatore. La pura empiria, secondo Heisenberg, è invece sterile, perché soffoca il pensiero in una serie di dati, quantitativamente imponenti, ma privi di significato. Così pure, la scienza applicata, puro accumulo di fatti, rappresenta il disgregarsi della realtà del mondo nella dispersione del dato, una vera derealizzazione
L'affermazione secondo cui la scienza naturale ha un accesso privilegiato alla realtà è solo un mito. In realtà, vi sono molteplici forme di conoscenza. Invece, la trasposizione del principio democratico di eguaglianza alla scienza ha portato ad una strada a senso unico e generalizzata delle forme di conoscenza, con regole e convinzioni standard e uniformi che hanno represso le altre forme di conoscenza e scienza. Tramite il riconoscere il rango di scientificità a tale aspetto superficiale della scienza si riesce a tenere in piedi un'attività scientifica con proprie risorse finanziarie , grazie ad una scontata legittimazione sociale, per cui la scientificità è misurata in maniera puramente quantitativa, attraverso il numero delle pubblicazioni e l'accaparramento di finanziamenti da parte dell'industria. Unico presupposto per la rivolta contro la progressiva disumanizzazione del mondo, il pensiero psicodinamico , garante delle possibilità, ancora da esperire, dell'uomo.
Pohlen passa poi a chiedersi cosa sia la psicoterapia come scienza, premettendo che lo sviluppo della psicoanalisi e della scienza psicoterapeutica va inteso nel contesto di tale valutazione della scienza e mostrando come l'analisi freudiana si ponga al posto di una filosofia di vita. Si è visto che il processo terapeutico non dipende tanto dalla competenza tecnica del terapeuta, quanto dalla qualità dell'impostazione del rapporto terapeutico stesso. "La personalità del terapeuta è il fattore più efficace, la sua comprensione dell'uomo e del mondo, e soprattutto del sistema di valori implicati, è di importanza determinante. Il successo o fallimento del processo dipende perciò dai valori che determinano i fenomeni d'interazione.La qualità del terapeuta e dell'impostazione del suo rapporto col paziente è nella sua capacità anticipatoria di adattarsi al sistema del paziente e di reperire ciò che gli è congeniale." (ibid., pp. 48-49).  Come indicato con estrema chiarezza da Morgenthaler, compito della capacità fantastica del terapeuta è percepire e mettere a fuoco potenzialità del paziente in grado di innescare uno sviluppo come transfert che faccia affiorare possibilità mai esperite, e non una ripetizione della desolazione infantile; per raggiungere col paziente un cambiamento nella sua valutazione della vita e della sofferenza, e nel progetto di un futuro affrancato dell'ipoteca del passato; inoltre, il terapeuta deve lavorare nel rispetto e nell'apprezzamento  delle strategie difensive dei sintomi,  sviluppati dal paziente, e nel riconoscimento della persona, presupposto per la reciprocità, e infine nella sicurezza emozionale di un rapporto scevro da ambivalenze , presupposto indispensabile dell'esperienza del nuovo e dunque del cambiamento. Come già suggerito da Mitscherlich, il lavoro psicoterapeutico non è tanto nella lotta per il ricordo , quanto nell'arte del corrispondere da parte del terapeuta che, con la propria intuizione, deve comprendere il paziente nella sua peculiarità strutturale,  conducendo un lavoro di trasposizione, apprestando condizioni e strumenti atti sia all'avvio di un processo conoscitivo che ad un allargamento del margine di azione del paziente.
Qui ci dobbiamo chiedere quale posto occupa la psicoterapia nell'ambito della scienza, nel sistema di valori della società e nella medicina. I valori della società, dai tempi di Freud, sono cambiati: è subentrata una visione agonale della vita, ci si chiede se la teoria analitica è in accordo con questa visione, come, all'epoca, l'originaria teoria freudiana del conflitto. Allora, scopo della terapia dovrebbe essere guidare l'uomo a riconoscere nel principio agonale il movente della vita, quindi un conflitto, e di conseguenza l'autodeterminazione, potendo scegliere liberamente le proprie possibilità presenti, ancorché nascoste. Dunque, il principio agonale è strettamente intrecciato al desiderio di libertà, che è tutta la nostra tradizione filosofica e culturale: mettersi in gioco nel tentativo di affermare la propria libertà. Nello stesso tempo, però, lo stesso principio agonale è alla base del successo o fallimento dell'autodeterminazione .Ci interroghiamo pertanto sull'idea di uomo della psicoterapia.
E' evidente che nessuna psicoterapia può eludere la questione filosofica riguardante la natura dell'uomo.
Con la nascita della psicologia comportamentale cognitiva il problema della libertà è ineluttabile terapia comportamentale , essendosi la terapia comportamentale allontanata da un determinismo radicale, nella necessità di considerare la riflessione come motivo di cambiamento, nel momento in cui si è dovuta occupare dei progetti di vita, scopi e valori dei pazienti , passando dal trattamento dei disturbi monosintomatici alla terapia dei disturbi della personalità, anch'essa ha dovuto riconoscere l'uomo e il suo desiderio di divenire soggetto della propria storia, scoprendo che dalla riflessione può scaturire il nuovo, il quale, a sua volta, non si può desumere in maniera deterministica da presupposti situazionali .Questa ricerca introspettiva ha sconvolto l'immagine di sé che la teoria dell'apprendimento aveva fornito, non riuscendo a dare una spiegazione del perché, tramite la riflessione sul comportamento, si sviluppino nel paziente orientamenti nuovi, che lo modificano , pur permanendo le condizioni situazionali. La terapia comportamentale ha dovuto fare i conti con un terapeuta non più solo costruttore , bensì accompagnatore del paziente nella ristrutturazione della situazione biografica , e passando dal modello stimolo-reazione a quello della riflessione. Proprio come la psicoanalisi, la terapia comportamentale si è ritrovata a dover trovare una risposta ai problemi di significato dell'uomo. Dovendo considerare il progetto di vita e dell'orizzonte di significato dell'uomo, è evidente che la psicoterapia non può essere una scienza medica, bensì "psicologica", dunque  in antagonismo con la medicina, pena la sua trasformazione in una tecnologia superficiale di adattamento, che non potrebbe certo ridare all'uomo malato una possibilità di ricerca riguardo al problema del senso della vita, consentendogli di divenire soggetto della propria storia.
Dice Pohlen: "Al di là della polarizzazione tra le varie scuole terapeutiche, che si va attenuando, è necessario stabilire un'euristica in grado di corrispondere ai meccanismi di interazione. E a parte ciò, deve mutare l'immagine dominante della scienza, per poter accettare i principi della teoria della ricerca rappresentati dall'euristica." (ibid., p. 51). La scienza euristica è soprattutto la scoperta delle vie immaginative della creatività, una scienza delle congetture. L'inconscio è un mistero da chiarire in maniera dialettica, la sua soluzione spetta al dialogo, inteso dal punto di vista euristico , filosofico o terapeutico-interazionale. Nella capacità di immaginare di volta in volta in maniera anticipatoria  il rovescio sta l'intuito del ricercatore. La logica inventiva e il principio dialettico del rovesciamento come metodo sono peculiari della scienza euristica. Quindi, niente a che vedere con l'empatia nella psicoterapia, bensì una conoscenza, che è capacità di rendere visibile ciò che era nascosto, ritrovando il senso contrario: un atto di conoscenza di assoluta rilevanza clinica che si connota come prestazione anticipata del terapeuta nel processo di comunicazione. Dunque, la modalità di interazione in psicoterapia va strutturata secondo principi euristici che permettano di percorrere di nuovo i percorsi di conoscenza. 
Una volta poi scoperta l'importanza dell'influenza dell'osservatore nella situazione osservata, il rapporto tra il soggetto osservante e l'oggetto osservato è diventato il problema chiave della scienza, il nuovo paradigma. L'osservazione dell'osservatore è divenuto il momento cruciale della scienza comportamentale (Devereux), che si è accorta che  non esistono dati incontaminati, né è possibile isolare le dimensioni dell'influenza , al contrario, l'isolamento comporterebbe l'annullamento dell'efficacia del dialogo. Ne consegue che la scienza psicoterapeutica dovrà focalizzare la propria ricerca scientifica all'analisi del terapeuta come osservatore, con particolare riferimento alle sue modalità conoscitive e percettive, al modo di inquadrare la situazione oggetto di analisi, e al dialogo terapeutico. Nel contempo, va sviluppata una teoria dell'influenza, per definire i presupposti e i criteri per esercitare un'influenza utile. La competenza tecnica del terapeuta passa quindi in second'ordine, mentre è esaltata la capacità immaginativa anticipatrice del non-ancora-visibile, presupposto per trovare la verità : siamo di nuovo alla rappresentazione platonica : natura come opera d'arte.
Di fronte all'attuale desolante povertà di idee, è necessario che la scienza euristica affermi la necessità del pensiero immaginativo e della riflessione. " Una teoria dell'uomo di tipo psicoanalitico necessita della riflessione filosofica per giungere alle sue intuizioni profonde e per rivendicare, in nome del desiderio dell'uomo di divenire il soggetto della propria storia, il diritto di essere scienza e pratica di vita." (ibid., p. 54)

Alcune note aggiuntive, in particolare sull'importante questione del ruolo dell'immaginazione e della metafora per la sopravvivenza stessa della ricerca scientifica e culturale in genere.
L'importanza dell'immaginazione nella riflessione teorica è da qualche tempo oggetto di approfondimento teorico da parte della scienza : in particolare, la rilevanza della metafora, quale enorme serbatoio di creatività, è stata sottolineata  concordemente da scienziati e artisti.
Ernesto Grassi (Milano1902 - Monaco di Baviera 1991), citato da Pohlen, è, com'è noto,  tra i maggiori filosofi europei contemporanei .Vanno rammentate, tra l'altro, le sue originali interpretazioni di Heidegger - la nozione di "differenza ontologica" del filosofo tedesco ha influenzato la sua filosofia della metafora -, il porre il Mito come fondamento del Logos, per articolare un'ermeneutica del Logos e un'antropologia della mente, prendendo però le distanze sia da Heidegger che dal Vico della Scienza Nuova), ma soprattutto  (cosa a mio parere assai interessante in rapporto al discorso di Pohlen) la scoperta (cfr. E. Grassi, La filosofia dell'Umanesimo), attraverso un minuzioso studio della bibliografia umanistica, che l'Umanesimo non si interrogava sulla relazione logica tra cosa e pensiero , intendendo il linguaggio filosofico come razionale. Il linguaggio, sottolinea Grassi, va inteso come un mezzo nel quale e attraverso il quale si produce un chiarimento. Non si tratta più di trovare una verità logica nel senso di un adeguamento, ma di fare nuove scoperte , trovando relazioni di somiglianza tra le cose, e in questo va sottolineato il ruolo fondamentale della metafora, per giungere a quella realtà nuova che non può essere dedotta razionalmente. E' chiaro come questa interpretazione apra una preziosa via metodologica di studio, quale è quella indicata con chiarezza nell'articolo di Pohlen.
Il ricorso all'immaginazione, destrutturante delle immagini offerte seduttivammente dalla realtà, è foriero di nuove ipotesi scientifiche, e può salvarci dalla "confusione proveniente da un'idea parziale, quindi inadeguata", per usare un'immagine di Spinoza . Dall'immaginazione creatrice e liberatoria da una troppo stretta e vincolante adesione al mondo, che non permette allo spirito umano di liberarsi dalle ideologie e alla coscienza di essere libera, alla sintesi nuova, che lega elementi che sembrano lontanissimi tra di loro, proprio come fa la metafora, il passo è breve. E' l'unica strada che rende viva la ricerca scientifica, altrimenti massificata e morta.
Nella sua ultima opera, "Lo scambio impossibile", il filosofo francese Jean Baudrillard avverte che la nostra epoca è connotata da "fragilità creativa", il che, secondo lui, è legato a tre teoremi: l'incomprensibilità del mondo, delirante; la necessità di osservarlo da un vertice delirante; la convinzione che il giocatore non può comunque essere più grande dello stesso gioco. In un'interessante conversazione col pittore Enrico Baj, alla domanda dell'artista milanese se l'incertezza che domina la nostra aleatoria società sia in ultima analisi creativa, ergo positiva, Baudrilliard risponde che "l'incertezza, può essere angosciante, ma può anche essere esaltante, a condizione di farne un gioco e di fare quindi del principio di incertezza... la regola del gioco... un principio di gioco arbitrario, pur tuttavia disciplinato da una regola, quindi arbitrario, ma non aleatorio... Una regola dico, non una legge". (Baj, op. cit).
Chiarisce poi che, all'interno della regola, è possibile far saltare i limiti del reale con le sue leggi e collocarsi al di là delle cose, ma avverte che si tratta non di un principio individuale, bensì duale."Quindi la regola resta superiore. Si gioca perché c'è una regola, dunque secondo una regola. Il giocatore non può distruggerla, perché in questo caso non vi sarebbe più gioco possibile". 
Baudrillard cita poi Roger Caillois, che attribuisce al gioco quattro categorie: Mimesis, la rappresentazione e il gioco di teatro; Agon, la competizione; Alea, i giochi aleatori; Ilinx, i giochi di vertigine, rilevando l'utilità di questa distinzione, poiché in tutte le opere creative troviamo sempre sia una parte di rappresentazione, ossia di competizione, sia l'azzardo che un senso di vertigine. Il "gioco" cui allude il filosofo francese  è quello del mondo, che è contemporaneamente "in gioco". Si può cambiare senza divenire, come avviene nell'attuale virtuale, cambiare cioè formalmente , il che è morfismo, non metamorfosi. Così  "le immagini, osservandoci, diventano autonome, acquistano una potenza autonoma e ci prendono in ostaggio... diventiamo noi stessi un'immagine, senza identità.... nel concatenamento delle immagini, non siamo che un anello. Non c'è più il soggetto che guarda con un principio di giudizio, di piacere e altro. Al posto di tutto ciò subentra un passaggio di immagini su una banda magnetica. " (Baj,  cit). Infatti, conclude il filosofo, l'individualità , quasi  modello di rappresentazione, esiste solo in virtù di una sorta di consenso, e la ricerca da parte dell'uomo di macchine geniali origina dal non credere più nella propria originalità, quindi dal desiderio di liberarsi della propria capacità di riflettere.
L'importanza della creatività nel ricercatore per il progredire della scienza, e soprattutto una sua espressione singolarmente privilegiata, la metafora, è stata messa negli ultimi tempi particolarmente in luce da rappresentanti di tutte le discipline, sia scientifiche che umanistiche, come ha dimostrato un recente convegno di Spoleto (Atti Spoleto Scienza, cit.). 
Certo, è importante non scambiare questo tipo di immaginazione creativa con l'illusione delirante. L'immaginario della diversità può infatti condurci a un vertiginoso punto di rottura, per usare l'immagine del  filosofo francese, che ci conduca alle soglie del non ancora conosciuto, del diverso, al di là delle facili certezze. Questo forse è un buon modo di esistere al mondo, specie in questo attuale nostro mondo, in cui i confini etnici e culturali si dilatano, fin quasi a scomparire, e occorre inventare nuove soluzioni.
Comunque, è indubbio che la creatività  comincia dalla possibilità di conoscenza di noi stessi, di comprendere, rileggere e riscrivere la nostra storia, e di entrare in contatto con l'altro in modo nuovo e originale: in una parola, cambiare, cambiandosi, tollerando le angosce di distacco che questo può comportare. Compito cui, come uomini e come terapeuti, siamo fin dalle origini primariamente chiamati.

Bibliografia aggiuntiva
ATTI DI SPOLETO SCIENZA (1992), Immagini e metafore della Scienza, Laterza, Roma-Bari 
BAJ E. (2000), Baudrillard. Il gioco dell'incertezza, Il Corriere della Sera, 20 agosto 2000
GRASSI E. (1991),  Einfuhrung in die Humanistische Philosophie,  Wissensch, BG. Dst.

 

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