(Questo articolo è successivamente comparso, col titolo "A critical evaluation
of current concepts of transference and countertransference", sulla rivista
Psychoanalytic Psychology, 2000, 17, 1: 24-37)
Eagle osserva come perduri, nelle diverse teorie psicoanalitiche, una
attenzione sistematica per transfert e controtransfert, nella convinzione
della loro centralità per acquisire informazioni sul paziente,
pur nella pletora di ridefinizioni e riconcettualizzazioni dei due termini.
A partire da Gill, nei primi anni 1980, il significato del concetto
di transfert è cambiato: non definisce più proiezioni e distorsioni
del paziente sull'analista "schermo bianco", ma postula che le reazioni
transferali del paziente si basano su indizi che l'analista lascia trapelare,
in base all'assunto secondo cui nessun analista può funzionare come
uno schermo bianco. Ne consegue che l'interazione transfert-controtransfert
equivale all'interazione paziente-terapeuta, e che il controtransfert
diventa strumento indispensabile di lavoro. Ciò significa che
l'analista reagisce al paziente con una modalità personale.
Pertanto, l'analista non può funzionare come uno schermo bianco,
indipendentemente dal fatto che un tale modo di funzionare sia utile o
no.
Eagle si propone una valutazione critica di questo modo di considerare
transfert e controtransfert, partendo dall'affermare il suo totale accordo
con le critiche al modello dello schermo bianco, il che però non
gli fa sottovalutare i rischi e gli abusi conseguenti possibili.
La revisione critica parte da Racker (1968), il quale sostiene che
un analista ben identificato col paziente e con un grado di rimozione minore
di quello del paziente, potrà sperimentare pensieri e sentimenti
propri del paziente. Questa la definizione "forte" del controtransfert;
quella più debole considera il controtransfert come una risposta
emozionale al transfert, che quindi può indicare quanto sta avvenendo
nel paziente in rapporto all'analista, punto di vista che costituisce una
variante alla concezione dell'analista quale schermo bianco .
Già la Klein esprimeva simili perplessità, prendendo
spunto dal concetto di controtransfert di Paula Heimann (1950) e Spillius
(1992) e Sandler (1987 e 1993) mettono in guardia l'analista dalla possibilità
di confusione tra i propri sentimenti e stati mentali e quelli del paziente.
Viene presa in considerazione la posizione di Racker, anche se risalente
al 1968, in quanto ha fortemente influenzato gli attuali punti di vista
sul controtransfert .
Secondo Eagle, attualmente si tende a ritenere che le reazioni controtransferali
siano quasi infallibilmente rivelatorie dei contenuti mentali del paziente,
guidando l'analista verso di essi. Levine (1997) ha scritto in proposito
che, anche quando apparentemente vissuti personali dell'analista intrudono
massicciamente nella relazione, deve comunque esservi almeno una componente
collegata al paziente.
Ma, ironia della sorte, "nella loro reazione contro il modello dello
schermo bianco... e presumibilmente nella loro concettualizzazione della
relazione terapeutica come un processo interattivo bipersonale,
molti teorici psicoanalitici contemporanei...hanno finito essenzialmente
per produrre una versione nuova e più sottile dell'analista come
schermo bianco e una versione nuova di una psicologia unipersonale, con
l'analista, anziché il paziente, che adesso viene visto come l'oggetto
principale di attenzione." (ibid., p. 28).
Qui Eagle apre un'istruttiva discussione critica sul concetto di identificazione
complementarre di Racker, secondo cui l'analista, facendo della sua mente
uno schermo bianco, per venire a contatto con i contenuti mentali inconsci
del paziente, deve identificarsi con lui permettendo che pensieri e sentimenti
emergano alla coscienza attraverso l'uso di attenzione liberamente fluttuante.
Questi sono proprio i pensieri e i sentimenti inconsci del paziente. Quindi
l'analista non deve interferire in questa percezione con pensieri e sentimenti
personali, trasformandosi, se non in uno schermo bianco, almeno in
uno specchio riflettente, che non contiene immagini precedenti. Questo,
sottolinea Eagle, non va inteso come una critica della versione più
debole ( associazioni, pensieri e sentimenti del terapeuta come, talora,
importanti indizi di ciò che avviene nel paziente, o nell'interazione
analista- paziente) , bensì come critica a quanti sostengono che
associazioni, pensieri e sentimenti dell'analista rivelano infallibilmente
i contenuti mentali inconsci del paziente, messi nell'analista (identificazione
proiettiva), senza considerare che possano essere frutto di controtransfert.
Attualmente, nella letteratura controtransfert ed empatia risultano
poco distinguibili, dimenticando che quest'ultima è ubiquitaria
nella comunicazione umana, oltre ad essere solo parziale. sempre e soltanto
parziale, e "come se" rispetto al vissuto dell'altro.
Per fugare la confusione generata dall'idea che pensieri e sentimenti
suscitati in noi dal paziente possano guidarci nella comprensione dei suoi
contenuti mentali inconsci, Racker distingue fra identificazione concordante
e complementare, per cui l'analista si identifica con l'Io e con l'Es del
paziente, diversamente dall'identificazione complementare l'analista si
identifica con gli oggetti interni del paziente. Il concetto di identificazione
concordante sembra sovrapporsi a quello di empatia, mentre quello di identificazione
complementare si riferisce al ruolo che l'analista prende, sollecitato
dal paziente, situazione assai rischiosa, in quanto porta quasi inevitabilmente
a entrare in una situazione senza via d'uscita, in cui la risposta del
terapeuta è reciproca o complementare rispetto ai sentimenti
provati dal paziente. La consapevolezza di quanto avviene può tuttavia
servire al terapeuta come indizio per la comprensione di ciò che
avviene e per poter interpretare..
Eagle ritiene che esistano solo le identificazioni concordanti. Quando
queste non riescono a costituirsi, e si ha invece una reazione, avviene
una disgregazione sia dell’identificazione che della comprensione empatica.
L'A prende poi in esame il concetto di identificazione proiettiva,
mostrando con esempi concreti che certi fenomeni possono verificarsi nell'analista
anche in assenza di qualsivoglia proiezione, e senza ricorrere a "meccanismi
magici" . Così precisa: "Ciò che ... desidero sottolineare
è la natura piuttosto confusa e abborracciata della maggior parte
della discussione e delle consi-derazioni offerte a proposito dei concetti
di identificazione proiettiva e di controtransfert nella psicoanalisi contemporanea."
(ibid.,
p. 38). Osserva poi che,per quanto nella concezione classica e in quella totalistica
contemporanea del controtransfert (Kernberg, 1965) sia data grande rilevanza
all'indagine puntuale delle reazioni di controtransfert, tuttavia
le basi logiche a fondamento di questa indagine sono molto diverse tra
loro. Il punto di vista classico punta alla rimozione delle macchie
cieche e delle barriere conseguenti a conflitti, angosce e difese non risolte
dell'analista, che gli impediscono la comprensione.Il punto di vista contemporaneo
postula la necessità di indagare sul proprio controtransfert , in
quanto la lettura di queste reazioni può fungere da indicatore di
ciò che sta avvenendo nell'inconscio del paziente, dato che vengono
sollecitate proprio dal transfert del paziente. In ambedue le concezioni,
almeno parzialmente, si riconduce il controtransfert ad una reazione sollecitata
dal transfert del paziente, anche se nella prima c'è consapevolezza
maggiore della responsabilità dell'analista in ciò che viene
sperimentato su sollecitazione.
"Ancor più importante, il rapporto tra le reazioni controtransferali
di un terapeuta, per quanto esse possano essere intese come reazioni sollecitate
dal transfert del paziente, e ciò che di fatto sta avvenendo nel
paziente, viene ritenuto molto complesso e incerto. La quantità
di cose che si ritiene il controtransfert possa rivelare rispetto a ciò
che sta avvenendo nel paziente, può variare da una quota minima
a una massima" ( ivi pp. 38-39). Non infallibilmente controtransfert o analisi
di esso portano alla comprensione del paziente anzi spesso sono valutate
a scapito degli altri mezzi importanti di comprensione, come l'esame delle
produzioni del paziente , le inferenze cognitive, la conoscenza esplicita
e diretta, quella teorica, il ragionamento clinico. Eagle
ricorda che le recenti riconcettualizzazioni realative a transfert e
controtransfert hanno significativamente aggiustato il tiro rispetto al
classico punto di vista dello schermo bianco, ma ancora si sente l'esigenza
di un punto di vista più equilibrato riguardante la complessità
della interazione paziente-terapeuta, dato che una acritica concettualizzazione
dei concetti di controtransfert e identificazione proiettiva si traduce
poi, corsi e ricorsi, in un nuovo modello altrettanto rigido di schermo
bianco, in maniera rischiosa acriticamente considerato dai suoi fautori
come la panacea che elimina gli errori del precedente modello di schermo
bianco. Dunque, Eagle propone un correttivo:"cerchiamo di non dare mai per
scontato che tutti i sentimenti e i pensieri che emergono nella nostra
esperienza siano sempre e soltanto un riflesso lineare di ciò che
sta accadendo nel mondo interno del paziente. Il mantenimento di una piccola
quota del vecchio punto di vista sul controtransfert, secondo il quale
esso può anche essere visto come una barriera alla comprensione,
credo che continui a rimanere auspicabile." (ibid., p. 40).
L'articolo di Eagle è pregevole per la chiarificante discussione
critica del concetto di identificazione complementare di Racker e di quello
sempre più diffuso di identificazione proiettiva, ma, a mio parere,
è estremamente importante per la demistificazione dell'attuale sovraestimazione
del controtransfert come guida infallibile ai contenuti mentali del paziente.
La storia del concetto di controtransfert è nota. Ricordiamo
qui succintamente che il termine "controtransfert" apparve per la prima
volta, ad opera di Freud, al Congresso di Norimberga del 1910.
Già allora Freud era ben conscio della difficoltà di
gestire il controtransfert e dell'importanza dell'elaborazione.
Dovevano tuttavia passare circa quarant'anni prima che la psicoanalisi
dedicasse la giusta attenzione a questo concetto, ad opera di Racker e
della Heimann, che sottolinearono la sua grande importanza nella tecnica psicoanalitica.
Racker, con il concetto di "nevrosi di transfert" ha mostrato come
il lavoro analitico possa venir disturbato dalla parte nevrotica dell'analista
nella percezione del proprio controtransfert. Questo è quindi un
primo avvertimento riguardo al fidarsi ciecamente del controtransfert,
credendo in tal modo di venire senza possibilità di errore a contatto
coi contenuti mentali del paziente.
In realtà, come Racker avvertiva, e come Eagle oggi sottolinea,
è essenziale che l'analista elabori il proprio controtransfert,
in modo da poter eventualmente dare un'interpretazione, che può
talvolta avere il valore di un'esperienza emozionale correttiva. Questo
onde evitare che , sull'onda del proprio controtransfert, l'analista risponda
proprio come il paziente (che sta agendo la sua coazione a ripetere ) vorrebbe, allo scopo di trascinarlo in meccanismi nevrotici ripetitivi ,
e quindi all'insabbiamento dell'analisi stessa.
Certo, è importante, per usare un'immagine della Heimann, che
l'analista "si sintonizzi" col paziente per meglio comprenderlo, ma questo
movimento emotivo, come sottolinea Eagle, non significa una identificazione. Non
è "obbligatorio" che ogni reazione emozionale dell'analista debba
essere considerata come uno specchio riflettente il mondo interno del paziente,
come oggi si tende a teorizzare, spostando il fuoco dell'attenzione sull'analista
stesso.
Guardando la questione da un altro "vertice", ci pare invece, per esperienza
e per insegnamenti ricevuti, che , nella situazione analitica, sia importante
mettere da parte i presupposti teorici, se si vuol capire, il che equivale
sempre a "scoprire qualcosa di nuovo", e magari di inaspettato. Indubbiamente,
questo è per l'analista molto meno rassicurante, e più faticoso.
Bion raccomandava di lavorare senza memoria e senza desiderio, anche perché
la memoria subisce distorsioni dall'inconscio, e il desiderio
ostacola il giudizio, con l'operare una selezione.
La teorizzazione dei concetti, e il rigido attenersi ad essi, va in
definitiva visto come un grosso rischio, perché ci porta lontano
da quell'hic et nunc della relazione analitica, di quel processo in fieri, in cui l'importante risiede soprattutto in quanto accade tra le due
persone, anche se talora può anche avvenire di non sapere bene cos'è.
Morris N. Eagle,
Derner Institute, Adelphi University, Garden City, NY 11530, USA
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