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Psicoterapia e Scienze Umane, 2000, XXXIII, 2

Una valutazione critica delle attuali concettualizzazioni su transfert e controtransfert

Morris N. Eagle

 
(Questo articolo è successivamente comparso, col titolo "A critical evaluation of current concepts of transference and countertransference", sulla rivista Psychoanalytic Psychology, 2000, 17, 1: 24-37)

Eagle osserva come perduri, nelle diverse teorie psicoanalitiche, una attenzione sistematica per transfert e controtransfert, nella convinzione della loro centralità per acquisire informazioni sul paziente, pur nella pletora di ridefinizioni e riconcettualizzazioni dei due termini.
A partire da Gill, nei primi anni 1980, il significato del concetto di transfert è cambiato: non definisce più proiezioni e distorsioni del paziente sull'analista "schermo bianco", ma postula che le reazioni transferali del paziente si basano su indizi che l'analista lascia trapelare, in base all'assunto secondo cui nessun analista può funzionare come uno schermo bianco. Ne consegue che l'interazione transfert-controtransfert equivale all'interazione paziente-terapeuta, e che il controtransfert diventa strumento indispensabile di lavoro. Ciò significa che l'analista reagisce al paziente con una modalità personale. Pertanto, l'analista non può funzionare come uno schermo bianco, indipendentemente dal fatto che un tale modo di funzionare sia utile o no.
Eagle si propone una valutazione critica di questo modo di considerare transfert e controtransfert, partendo dall'affermare il suo totale accordo con le critiche al modello dello schermo bianco, il che però non gli fa sottovalutare i rischi e gli abusi conseguenti possibili.
La revisione critica parte da Racker (1968), il quale sostiene che un analista ben identificato col paziente e con un grado di rimozione minore di quello del paziente, potrà sperimentare pensieri e sentimenti propri del paziente. Questa la definizione "forte" del controtransfert; quella più debole considera il controtransfert come una risposta emozionale al transfert, che quindi può indicare quanto sta avvenendo nel paziente in rapporto all'analista, punto di vista che costituisce una variante alla concezione dell'analista quale schermo bianco .
Già la Klein esprimeva simili perplessità, prendendo spunto dal concetto di controtransfert di Paula Heimann (1950) e Spillius (1992) e Sandler (1987 e 1993) mettono in guardia l'analista dalla possibilità di confusione tra i propri sentimenti e stati mentali e quelli del paziente.
Viene presa in considerazione la posizione di Racker, anche se risalente al 1968, in quanto ha fortemente influenzato gli attuali punti di vista sul controtransfert .
Secondo Eagle, attualmente si tende a ritenere che le reazioni controtransferali siano quasi infallibilmente rivelatorie dei contenuti mentali del paziente, guidando l'analista verso di essi. Levine (1997) ha scritto in proposito che, anche quando apparentemente vissuti personali dell'analista intrudono massicciamente nella relazione, deve comunque esservi almeno una componente collegata al paziente.
Ma, ironia della sorte, "nella loro reazione contro il modello dello schermo bianco... e presumibilmente nella loro concettualizzazione della relazione terapeutica come un processo interattivo bipersonale, molti teorici psicoanalitici contemporanei...hanno finito essenzialmente per produrre una versione nuova e più sottile dell'analista come schermo bianco e una versione nuova di una psicologia unipersonale, con l'analista, anziché il paziente, che adesso viene visto come l'oggetto principale di attenzione." (ibid., p. 28).
Qui Eagle apre un'istruttiva discussione critica sul concetto di identificazione complementarre di Racker, secondo cui l'analista, facendo della sua mente uno schermo bianco, per venire a contatto con i contenuti mentali inconsci del paziente, deve identificarsi con lui permettendo che pensieri e sentimenti emergano alla coscienza attraverso l'uso di attenzione liberamente fluttuante. Questi sono proprio i pensieri e i sentimenti inconsci del paziente. Quindi l'analista non deve interferire in questa percezione con pensieri e sentimenti personali, trasformandosi, se non in uno schermo bianco, almeno in uno specchio riflettente, che non contiene immagini precedenti. Questo, sottolinea Eagle, non va inteso come una critica della versione più debole ( associazioni, pensieri e sentimenti del terapeuta come, talora, importanti indizi di ciò che avviene nel paziente, o nell'interazione analista- paziente) , bensì come critica a quanti sostengono che associazioni, pensieri e sentimenti dell'analista rivelano infallibilmente i contenuti mentali inconsci del paziente, messi nell'analista (identificazione proiettiva), senza considerare che possano essere frutto di controtransfert.
Attualmente, nella letteratura controtransfert ed empatia risultano poco distinguibili, dimenticando che quest'ultima è ubiquitaria nella comunicazione umana, oltre ad essere solo parziale. sempre e soltanto parziale, e "come se" rispetto al vissuto dell'altro.
Per fugare la confusione generata dall'idea che pensieri e sentimenti suscitati in noi dal paziente possano guidarci nella comprensione dei suoi contenuti mentali inconsci, Racker distingue fra identificazione concordante e complementare, per cui l'analista si identifica con l'Io e con l'Es del paziente, diversamente dall'identificazione complementare l'analista si identifica con gli oggetti interni del paziente. Il concetto di identificazione concordante sembra sovrapporsi a quello di empatia, mentre quello di identificazione complementare si riferisce al ruolo che l'analista prende, sollecitato dal paziente, situazione assai rischiosa, in quanto porta quasi inevitabilmente a entrare in una situazione senza via d'uscita, in cui la risposta del terapeuta è reciproca o complementare rispetto ai sentimenti provati dal paziente. La consapevolezza di quanto avviene può tuttavia servire al terapeuta come indizio per la comprensione di ciò che avviene e per poter interpretare..
Eagle ritiene che esistano solo le identificazioni concordanti. Quando queste non riescono a costituirsi, e si ha invece una reazione, avviene una disgregazione sia dell’identificazione che della comprensione empatica.
L'A prende poi in esame il concetto di identificazione proiettiva, mostrando con esempi concreti che certi fenomeni possono verificarsi nell'analista anche in assenza di qualsivoglia proiezione, e senza ricorrere a "meccanismi magici" . Così precisa: "Ciò che ... desidero sottolineare è la natura piuttosto confusa e abborracciata della maggior parte della discussione e delle consi-derazioni offerte a proposito dei concetti di identificazione proiettiva e di controtransfert nella psicoanalisi contemporanea." (ibid., p. 38). Osserva poi che,per quanto nella concezione classica e in quella totalistica contemporanea del controtransfert (Kernberg, 1965) sia data grande rilevanza all'indagine puntuale delle reazioni di controtransfert, tuttavia le basi logiche a fondamento di questa indagine sono molto diverse tra loro. Il punto di vista classico punta alla rimozione delle macchie cieche e delle barriere conseguenti a conflitti, angosce e difese non risolte dell'analista, che gli impediscono la comprensione.Il punto di vista contemporaneo postula la necessità di indagare sul proprio controtransfert , in quanto la lettura di queste reazioni può fungere da indicatore di ciò che sta avvenendo nell'inconscio del paziente, dato che vengono sollecitate proprio dal transfert del paziente. In ambedue le concezioni, almeno parzialmente, si riconduce il controtransfert ad una reazione sollecitata dal transfert del paziente, anche se nella prima c'è consapevolezza maggiore della responsabilità dell'analista in ciò che viene sperimentato su sollecitazione.
"Ancor più importante, il rapporto tra le reazioni controtransferali di un terapeuta, per quanto esse possano essere intese come reazioni sollecitate dal transfert del paziente, e ciò che di fatto sta avvenendo nel paziente, viene ritenuto molto complesso e incerto. La quantità di cose che si ritiene il controtransfert possa rivelare rispetto a ciò che sta avvenendo nel paziente, può variare da una quota minima a una massima" ( ivi pp. 38-39). Non infallibilmente controtransfert o analisi di esso portano alla comprensione del paziente anzi spesso sono valutate a scapito degli altri mezzi importanti di comprensione, come l'esame delle produzioni del paziente , le inferenze cognitive, la conoscenza esplicita e diretta, quella teorica, il ragionamento clinico. Eagle ricorda che le recenti riconcettualizzazioni realative a transfert e controtransfert hanno significativamente aggiustato il tiro rispetto al classico punto di vista dello schermo bianco, ma ancora si sente l'esigenza di un punto di vista più equilibrato riguardante la complessità della interazione paziente-terapeuta, dato che una acritica concettualizzazione dei concetti di controtransfert e identificazione proiettiva si traduce poi, corsi e ricorsi, in un nuovo modello altrettanto rigido di schermo bianco, in maniera rischiosa acriticamente considerato dai suoi fautori come la panacea che elimina gli errori del precedente modello di schermo bianco. Dunque, Eagle propone un correttivo:"cerchiamo di non dare mai per scontato che tutti i sentimenti e i pensieri che emergono nella nostra esperienza siano sempre e soltanto un riflesso lineare di ciò che sta accadendo nel mondo interno del paziente. Il mantenimento di una piccola quota del vecchio punto di vista sul controtransfert, secondo il quale esso può anche essere visto come una barriera alla comprensione, credo che continui a rimanere auspicabile." (ibid., p. 40).

L'articolo di Eagle è pregevole per la chiarificante discussione critica del concetto di identificazione complementare di Racker e di quello sempre più diffuso di identificazione proiettiva, ma, a mio parere, è estremamente importante per la demistificazione dell'attuale sovraestimazione del controtransfert come guida infallibile ai contenuti mentali del paziente.
La storia del concetto di controtransfert è nota. Ricordiamo qui succintamente che il termine "controtransfert" apparve per la prima volta, ad opera di Freud, al Congresso di Norimberga del 1910.
Già allora Freud era ben conscio della difficoltà di gestire il controtransfert e dell'importanza dell'elaborazione.
Dovevano tuttavia passare circa quarant'anni prima che la psicoanalisi dedicasse la giusta attenzione a questo concetto, ad opera di Racker e della Heimann, che sottolinearono la sua grande importanza nella tecnica psicoanalitica.
Racker, con il concetto di "nevrosi di transfert" ha mostrato come il lavoro analitico possa venir disturbato dalla parte nevrotica dell'analista nella percezione del proprio controtransfert. Questo è quindi un primo avvertimento riguardo al fidarsi ciecamente del controtransfert, credendo in tal modo di venire senza possibilità di errore a contatto coi contenuti mentali del paziente.
In realtà, come Racker avvertiva, e come Eagle oggi sottolinea, è essenziale che l'analista elabori il proprio controtransfert, in modo da poter eventualmente dare un'interpretazione, che può talvolta avere il valore di un'esperienza emozionale correttiva. Questo onde evitare che , sull'onda del proprio controtransfert, l'analista risponda proprio come il paziente (che sta agendo la sua coazione a ripetere ) vorrebbe, allo scopo di trascinarlo in meccanismi nevrotici ripetitivi , e quindi all'insabbiamento dell'analisi stessa.
Certo, è importante, per usare un'immagine della Heimann, che l'analista "si sintonizzi" col paziente per meglio comprenderlo, ma questo movimento emotivo, come sottolinea Eagle, non significa una identificazione. Non è "obbligatorio" che ogni reazione emozionale dell'analista debba essere considerata come uno specchio riflettente il mondo interno del paziente, come oggi si tende a teorizzare, spostando il fuoco dell'attenzione sull'analista stesso.
Guardando la questione da un altro "vertice", ci pare invece, per esperienza e per insegnamenti ricevuti, che , nella situazione analitica, sia importante mettere da parte i presupposti teorici, se si vuol capire, il che equivale sempre a "scoprire qualcosa di nuovo", e magari di inaspettato. Indubbiamente, questo è per l'analista molto meno rassicurante, e più faticoso.
Bion raccomandava di lavorare senza memoria e senza desiderio, anche perché la memoria subisce distorsioni dall'inconscio, e il desiderio ostacola il giudizio, con l'operare una selezione.
La teorizzazione dei concetti, e il rigido attenersi ad essi, va in definitiva visto come un grosso rischio, perché ci porta lontano da quell'hic et nunc della relazione analitica, di quel processo in fieri, in cui l'importante risiede soprattutto in quanto accade tra le due persone, anche se talora può anche avvenire di non sapere bene cos'è.

Morris N. Eagle, Derner Institute, Adelphi University, Garden City, NY 11530, USA

 

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