Genji monogatari di Dama Murasaki Shikibu (973 circa-1023 circa)
è un romanzo psicologico , il massimo capolavoro della letteratura
classica giapponese. E' imperniato sulle forme dell’amore (il "mondo",
come le Dame di Corte chiamavano le relazioni sentimentali), della colpa,
e della punizione: "mini-saghe" si intrecciano, in un contesto di sfarzi
raffinati, con la narrazione della vita del principe e dei suoi cari.
Il contesto culturale giapponese, così lontano da quello mitteleuropeo
che è la culla della psicoanalisi, non permette grossi azzardi nella
lettura psicoanalitica dell'opera.
Considerato che ogni linguaggio racchiude in sé l'intero spirito
di una cultura e di una antropologia, appare tuttavia possibile l'uso comparato
dei concetti psicoanalitici per lo studio della psicologia dell'individuo
giapponese. Questa la scommessa del lavoro di Meneguz, "con la consapevolezza
delle inevitabili influenze "eurocentriche" (Parin, 1983), di una lettura
psicoanalitica del capolavoro mediante l'uso del materiale disponibile
al lettore italiano non "yamatologo": la traduzione di una traduzione"
(ibid., p. 72).
Lo scenario: la Corte di Kyoto del 1000, formalmente splendida ma estremamente
corrotta, mentre la condizione dei contadini peggiorava drammaticamente
e le leggi imperiali ponevano le basi per il prossimo feudalesimo e la
nascita della classe dei samurai. La donna a Corte assumeva una posizione
sociale di grande rilievo Il successore era scelto dall'imperatore tra
i numerosi principi nati da differenti madri. e tutto questo dava luogo
a intrighi e lotte tra le famiglie, per l'assunzione del potere.
Il successo del romanzo fra le Dame di Corte del periodo Heian forse
sta nei processi di identificazione (anche omosessuale, come quello del
padre di Murasakj con Genji) con il protagonista, che tratta le donne come
ogni dama dell'epoca sembrava voler essere trattata, o meglio si comporta
da alter ego maschile della donna.
Genji è un nobile elegante e raffinato, un miyabi: nello stesso
tempo è aware, cioè consapevole della caducità delle cose.
Ancor oggi il romanzo ha misteriosamente un enorme successo in Giappone,
anche se si tratta di due epoche e civiltà fenomenologicamente molto diverse.
La narrazione inizia col neonato principino, Genji, figlio dell'imperatore
del Giappone e della concubina Kiritsubo, dama di camera e guardaroba al
Palazzo imperiale.
Come negli antichi poemi occidentali classici, l'eroe si allontana
dal luogo natale (Genji lascia il palazzo del padre), vive avventure sentimentali,
intraprende un viaggio d'esilio (trascorre qualche anno a Suma); al ritorno
«realizza» le aspirazioni di potere che si era da sempre proposto
(ritorna a Kyoto, edifica il suo Palazzo reale e inizia una specie di impero).
Per l'amore e le attenzioni privilegiate che riceve dall'imperatore,
Kiritsubo vive tra invidia e malvagità, fino a morirne, essendo
piombata nella depressione. Genji va a vivere presso la nonna materna,
inconsolabile e depressa, interessata solo alla ricerca del luogo dove
dimora lo spirito della figlia . Alla sua morte Genji che ha sei anni,
viene condotto al Palazzo, dove incontra una ragazza meravigliosa, somigliante
a sua madre, Fujitsubo, che diviene la moglie favorita dell'imperatore,
con grande ira della matrigna di Genji, prima moglie dell'imperatore, che
già non tollera la perfezione del figliastro, che mette in ombra
i suoi figli.
La stessa Murasaki, l'autrice del romanzo, ebbe a paventare le invidie
di corte, tanto da decidere di nascondere i suoi molti talenti, allora
inoltre rari in una donna: una inibizione edipica relativa all'esibizione
delle capacità?
"Inibizione presumibilmente accompagnata (lo si potrebbe dedurre dal
contenuto della prosa che indica come distruttive le straordinarie capacità
di Genji) da colpevolizzanti fantasie matricide e di superegoiche rappresaglie,
anche esternalizzate (le altre donne non devono sapere che Murasaki è
brava a fare qualcosa d’altro che scrivere)." (ibid., p. 76).
A dodici anni il primo matrimonio (combinato) di Genji si sposa, anche
se egli ama Fujitsubo la giovane moglie del padre, un’ossessione che diviene
struggente malinconia e infelicità. Seguono molte storie d'amore,
dato che egli è un abile seduttore, con delle caratteristiche singolari
rispetto alla psicologia maschile giapponese. "Sappiamo oggi del carattere
nazionale giapponese che un rigoroso controllo esteriore protegge l'eccessiva
emotività e che l'intimità psicoaffettiva rivelata è
ciò che più imbarazza" (ibid., p. 76). Infatti Genji reagisce
con aperta emotività e grande sensibilità a quanto gli avviene,
ma cela il volto dietro un velo anche quando è con la donna amata,
seguendo antiche regole di cortesia e, pur essendo così sensibile,
segue minuziosamente il protocollo. Ma non è cinico con le donne,
quindi siamo ben distanti dall'occidentale figura del Don Giovanni. Invece,
da un punto di vista psicoanalitico "in Genji sarebbero rilevanti tratti
fallico-uretrali, particolarmente evidenti nell’intreccio fra elementi
narrativi quali "lacrime facili-ambizione" e "vergogna/colpa-castrazione
simbolica": "edipicamente, Genji non può trovare la donna giusta
né diventare imperatore come suo padre, pur diventando padre di
imperatori" (ibid., p. 77).
Se la fedeltà di Don Giovanni alla madre passa attraverso rimozione
e spostamento nelle innumerevoli relazioni amorose (cfr. Otto Rank, 1922),
con disprezzo per le donne, anche la distruttiva e complessa dimensione
psicoaffettiva di Genji, legata al tema dell'incesto, dovrebbe sottostare
a tali meccanismi difensivi. Ma, avverte l'A.,
"la nostra lettura deve tenere conto...di un elemento fondamentale,
...se l'eroe di un poema non è in sostanza altri che l'autore stesso,
come indica Freud (1921, p. 323), o meglio: "Sua Maestà l'Io" (Freud,
1907, p. 380), ci troviamo qui con differenti dinamiche di camuffamento della
fantasia inconscia realizzata nell'opera d'arte" (ibid., p. 77) .
L'A sottolinea poi l'importanza della scelta, da parte dell'Autrice,
di un protagonista uomo, considerato il fatto che Murasaki rivela nel suo
diario che il padre rimpiangeva che lei non fosse uomo, da cui l'ipotesi
che la realtà vissuta dalla donna nel rapporto col padre fu improntata
ad un profondo senso di frustrazione, esplicitate esplicite nel diario
e implicite nel Genji, per aver deluso il padre, da cui la sua insanabile
insoddisfazione, con componenti preedipiche masochistiche. Forse bloccata
a fasi anteriori la risoluzione edipica (se tale concetto è applicabile
al codice morale sessuale del periodo Heian ), negata la fallicità
libidica, con carente investimento narcisistico, Murasaki si
compensa tramite l'identificazione con un personaggio maschile (Genji)
che al suo posto ne realizza i desideri fallico-libidici, in una idealizzazione
non priva di sofferenze d'amore che gratificano il senso di colpa: per
meglio comprendere il senso del magistrale intreccio di idealizzazione
e ambivalenza
Il personaggio di Murasaki ha pertanto il ruolo femminile preminente
nella storia, ospitando ciò una "frazione di Io" dell'autrice, per
usare una terminologia freudiana, in particolare a parte depressiva.
Scrivendo, Murasaki elabora la sua depressione attraverso la funzione
simbolica nella creatività , conformemente all'ipotesi di Freud
(1907): "Una forte impressione attuale risveglia nel poeta il ricordo di
un'espe-rienza anteriore per lo più risalente all'infanzia, e da questo
deriva ora il suo desiderio, che crea il proprio appagamento nell'opera
poetica; nella stessa opera poetica si rivelano elementi tanto del fatto
recente che ha fornito lo spunto quanto dell'antico ricordo" (ibid., p.
78)
E infatti, è evidente uno stretto parallelismo tra l'opera dell'A.
e la sua vita, ivi compresa la fantasia edipica di tornare alla madre materialmente
e precocemente persa e irraggiungibile. Non a caso infatti, osserva l'A.,
la narrazione ha inizio con la descrizione dei preparativi per il parto
della regina Akiko. La madre di Murasaki era morta di complicazioni di
parto quando la bimba aveva tre anni. A vent'anni era morta la sorella
maggiore che aveva rivestito per lei un ruolo materno.
Murasaki era poi cresciuta sviluppando abilità culturali allora
appannaggio dei maschi. Rimasta vedova, con una bimba, iniziò a
scrivere il Genji, nel 1001 o nel 1002, vivendo, in virtù della
sua cultuira, alla corte dalla seconda regina Akiko, nel padiglione Fujitsubo,
con la grande poetessa Izumi Shikibu. Unico sollievo alla sua depressione,
la luce riflessa allo splendore della regina "madre" , ma sempre inquinata
da un profondissimo senso di inferiorità, anche nei confronti delle
Dame di Corte, frivole e disinibite, e in perenne conflitto, conforme all'ideologia
religiosa buddista, fra la severità superegoica della legge del
taglione e i desideri dell'Io, immersa nella solitudine, in conflitto coi
desideri mondani, sempre aspirante ad una vita di santità proprio
come Genji, che chiuderà la sua esistenza in un convento nudo e
squallido, in montagna. Osserva l'A: "L'Autrice riesce dunque a far avverare
nel romanzo, tramite il protagonista, la sua aspirazione più intensa,
così indiscutibilmente frustrata dalla realtà della vita
di Corte" (ivi, p. 82).
Si tratta di un interessante e coraggioso tentativo di districare un
poco la matassa di una cultura così diversa dalla nostra occidentale,
e particolarmente mitteleuropea, da cui nasce la psicoanalisi , qui applicata
per tentare un abbozzo di lettura psicoanalitica di questo ponderoso romanzo
giapponese che, oltre tutto, riflette la cultura dell'anno mille.
Riguardo all'applicazione del modello psicoanalitico alla letteratura,
attualmente, al di fuori dell'ambito specialistico della psicoanalisi,
si possono distinguere tre correnti principali di pensiero: la prima è
costituita da critici che ne riconoscono la validità: la seconda,
totalmente opposta, rappresentata da alcuni artisti, quali Ezra Pound o Nabokov; infine una terza, intermedia, che riconosce una qualche validità
all'interpretazione psicologica, ma mette in guardia dal ridurre troppo
simplicisticamnte tutto il significato e valore dell'opera a questo.
C'è da dire che i sentimenti che percorrono questa narrazione,
tra l'altro forse incompiuta, sono universali: amore e ambizione, in primis,
e poi invidie, ostilità, orgoglio, ma come erano percepiti e vissuti
nel periodo Heian, e in un paese molto distante da noi per vicende
social-religiose.
Quella civiltà era profondamente estetica, pervasa da un senso di
fugacità delle cose mutuato certamente dal pensiero filosofico-religioso.
Arduo, ripeto, applicare i parametri della nostra visione del mondo
e dell'individuo, nonché quelli del modello psicoanalitico
mitteleuropeo di un secolo fa alla cultura giapponese, di oggi come di
allora. Tanto più di allora, come si è detto: il divario
temporale/culturale pesa enormemente, e fa la differenza: differenza non
da poco, quando si tratta di applicare parametri così radicalmente
estranei.
Lascio la parola ad un'antropologa americana, Gail R. Benjamin (1997),
che ha vissuto per qualche tempo in Giappone: "Le concezioni giapponesi
della personalità ... tendono a focalizzare sull'esperienza come
fonte sia delle caratteristiche uniche dell'individuo che sulle qualità
che tutti hanno in comune. Gli individui non sono poi così diversi ne
consegue che, avendo esperienze comuni, apprendono le stesse cose e sviluppano
le stesse caratteristiche. Se avessero avuto le stesse esperienze, avrebbero
dato luogo a un diverso tipo di popolo".
Benjamin prosegue osservando come, nel Giappone premoderno, questo
punto di vista riguardante l'eredità e l'educazione serviva da base
ad un sistema sociale imperniato su occupazioni ereditarie, il che renderebbe
ragione delle occasioni di apprendimento diverse per maschio e femmina
di cui la stessa Autrice del Genji testimoniò con la propria vita.
Tuttavia, se le osservazioni di prima mano dell'antropologa americana
corrispondono alla situazione "interna" dell'individuo giapponese, di oggi
come di allora, il che dovrebbe essere chiarito anche da uno storico, oltre
che da un antropologo o da uno psicologo, appare arduo applicare i concetti
cardini della metapsicologia freudiana al romanzo di Murasaki, il che non
ci impedisce tuttavia di gustarne la complessa, affascinante trama. Bibliografia aggiuntiva
BENJAMIN G.R. (1997), Japanese Lessons: a year in a Japanese School
through the Eyes of an American Anthropologist and Her Children, New York
University Press, New York.
Giorgio Meneguz,
Via Crocetta 12, Casale Corte Certo (Verbania)
|