Centrale e specifica del pensiero di Bion la questione del mito, non
oggetto, ma mezzo di interpretazione, anche in relazione alla ricerca e
al metodo in psicoanalisi: quindi mitologia applicata alla psicoanalisi.
Tre le dimensioni fondamentali in cui l'interpretazione coglie gli
elementi psicoanalitici e i suoi oggetti: senso, passione ed estensione
nel campo del mito; riguardo a questo ultimo punto, è essenziale,
da parte dello psicoanalista, che l'esperienza dell'oggetto psicoanalitico
sia interiormente accompagnata da coscienza e conoscenza di una dimensione
"mitologica" o "come se", da cui ricavare un indispensabile equipaggiamento
di paradigmi e formulazioni sintetiche .
L'analogia tra mito e sogno ha profonde radici nel mondo psicoanalitico.
A partenza da Freud, l'attività mitopoietica è riconosciuta
come una modalità inconscia di pensiero tuttora persistente, che
trasforma pulsioni infantili rimosse in "miti endopsichici". Freud
riteneva che i racconti mitologici corrispondessero ai "residui deformati
di fantasie di desiderio di intere nazioni", ai sogni ad occhi aperti
.
Abraham vedeva nel mito un brano della superata vita infantile dei
popoli, tradotto dalla psiche in un linguaggio simbolico.
Jung scorgeva nel mito analogie col pensiero onirico e riteneva che
i racconti mitologici fossero fatti della stessa sostanza dei sogni, frutto
di una "attività fantastica inconscia", con una funzione immaginativa
transpersonale, accessibile in virtù di un abbassamento del livello
mentale, luogo di rappresentazione di figure archetipiche emergenti da
uno "strato-base psichico-collettivo". Con una differenza: nel sogno, le
rappresentazioni si impongono autonomamente, invece nei miti la loro configurazione
viene da una stratificazione culturale; in ambedue, vengono organizzati
gli archetipi.
La necessità di decifrazione origina dal fatto che abbiamo a
che fare col prodotto di una interpretazione, dato che interpretiamo un
dato ignoto, portatore di un senso trasformato. Come afferma Green (1980),
interpretare un sogno o un mito significa interpretare qualcosa di
già interpretato .
Freud era certo dell'esistenza di una precisa corrispondenza tra significante
(onirico/mitologico) e significato (inconscio), per cui considerava
possibile una chiara lettura del sogno e del mito, che riconducesse
alla realtà e ai significati psichici originari , mascherati dall'inconscio.
Orgoglio illuministico, commenta Pacifico.
Dato che per Jung, invece, i miti e i sogni non stanno al posto
di qualcosa che è stato cosciente, ma evocano ciò che è
essenzialmente inconscio. Perciò il simbolo junghiano non
svolge, come in Freud, una funzione equilibratrice, bensì
dinamica e trasformativa .
Nella teorizzazione di Bion, sogno e mito non possono più
essere definiti prodotti o formazioni inconsce , in quanto primo risultato
di un lavoro-del-sogno. Tramite tale lavoro, secondo Bion, la funzione
alfa trova la possibilità stessa di pensare, contenendo l'esperienza
per renderla disponibile ad ogni ulteriore processo di pensiero,
precedendo e stabilendo, attraverso la barriera di contatto, una
differenziazione, non rigida, tra conscio e inconscio.
Mito e sogno, nella Griglia di Bion, sono situati alla riga C, in cui
si trovano gli elementi di pensiero visivo, le pittografie, trasformate
a partire dalle emozioni dalla funzione alfa.
Bion distingue i miti in particolari e generali : i primi sono contigui
alla dimensione del sogno, cioè formulazioni-alfa di campi emotivi,
rappresentazioni soggettive di eventi contingenti , quindi privi di valore
e circolazione sociale; tuttavia, in alcuni casi, la loro forza espressiva
si trasmette al gruppo che sogna, come propri, sogni privati. La preconcezione,
sorta di mito privato, incontrandosi con la realizzazione , dà
origine alla concezione .
Invece i miti generali, che fanno parte di un patrimonio culturale
allargato e collettivo, sono quelli che anche nel linguaggio popolare sono
considerati miti, quali i racconti biblici dell'Eden e della Torre
di Babele, la cui elaborazione registra, in una simbologia figurativa e
sempre rievocabile, una serie di fatti che la collettività vuol
ricordare come particolarmente rappresentativi, significativi e validi
nel tempo .
La differenza tra i due tipi di miti, spiega Bion, sta nel fatto che
nel mito generale i metaboliti-alfa si presentano in una congiunzione
narrativa stabilizzata dalla tradizione costituendo le versioni gruppali
e individuali di una stessa vicenda , quindi , un sogno valido per tutti
i membri del gruppo.
Le storie mitologiche trasmesse dalle diverse tradizioni sono quindi,
secondo Bion, sistemi organizzati di pensieri onirici , aventi funzioni
di raccordo e fissazione; in esse, nessuna delle componenti può
essere compresa , se non in rapporto con le altre, né tantomeno
isolata, senza distorcere del senso globale, proprio come in un sistema
scientifico - deduttivo i vari elementi vengono fissati tramite la loro
inclusione nel sistema, o come in una forma narrativa, metodo elettivo
per esprimere l'emozione da immagazzinare e imporre, senza ricorrere alle
spiegazioni, coesione e integrazione, agli elementi alfa del lavoro del
sogno.
"Ordine, connessione e amalgama tra le parti, concrezione e trasmissione
del senso: a ben vedere, l'essenza del mito, per Bion, è il mythos
della Poetica aristotelica: synthesis o systasis, "composizione" degli
elementi in esso combinati, la costruzione e al tempo stesso il principio
strutturale di una trama: "un tutto compiuto" le cui parti "devono essere
coordinate in modo che, spostandone o sopprimendone una, ne resti come
dislogato e rotto tutto l'insieme" (ivi, p 110).
Seguendo le vicissitudini del mito lungo l'asse genetico-evolutivo
orizzontale della Griglia, si osserva che Bion postula diversi usi o trattamenti
categorizzati , in modo particolare quelli indicati nelle colonne 3, 4
e 5, notazione, attenzione e indagine. Così, nella prima, punto
3, l'emergere nella mente di un tema mitologico consente ad analista e
paziente la memorizzazione immaginale del campo emotivo ricostituitosi
durante la seduta,"nel senso che l'esemplarità narrativa di un mito
pubblico, la sua tipicità socialmente condivisa si adattano in modo
oltremodo conveniente - e comunque con maggiore pregnanza e significatività
di quanto possa fare la formula occasionale e idiomatica di un mito personale
- alla immediata e fotografica registrazione e ritenzione di un'esperienza
che ha luogo o viene verbalizzata in analisi." (ibidem).
E' però indispensabile che il mito venga sottoposto a
più complessa elaborazione , onde evitare, nello spazio mentale,
regressive strumentalzzazioni da parte dalla funzione "psi" (colonna 2)
, ostacolanti il pensiero.
Invece , sottoposto ad una attenzione più liberamente ricettiva
(colonna 4), il mito, anziché costituire una resistenza alla
conoscenza, può costituire una sorta di modello per l'esplorazione
analitica (C4), proprio come per uno scienziato una formula matematica
già esistente, da applicare al problema cui sta lavorando.
Quindi, per la sua densità e presa narrativa, esso si connota
come uno strumento correlato al contesto dell'esperienza, ma anche utile
come fattore generativo dell'emergere di nuovi rapporti, sia decrittivi
che esplicativi, tra concetti ed eventi analitici.
Dunque, i miti possono essere utilizzati sia come opportunità
o condizioni di figurabilità delle emozioni, sia come forme esemplari
dell'esperienza analitica, modelli di problemi teorici e clinici . Ne consegue,
come ha osservato L. Grinberg, che i repertori mitologici mettono
a disposizione del lavoro analitico una ricca "galleria di quadri verbali",
espressione sintetica delle teorie psicoanalitiche usate dall'analista
sia per percepire lo sviluppo del paziente sia per dare interpretazioni
chiarificanti su aspetti dei problemi del suo sviluppo. Racconti e miti
rappresentano variabili valide per ogni periodo della vita, in cui possono
svilupparsi le libere associazioni di analista e paziente, dando significato
a dettagli altrimenti impercettibili. "Attraverso lo scandaglio associativo,
i miti vengono così ad assolvere, relativamente al lavoro interpretativo
dell'analista e alla rielaborazione dell'analizzato, quella che, forzando
la stretta ortodossia del lessico bioniano, si potrebbe definire una funzione
alfa di secondo grado, costituendosi come i transiti mentali di una "percorribilità
trasformativa" (Preta, 1993, p. 195), dalla realtà interna alla
realtà esterna" (ibid., p. 112), che dà accesso ad una configurazione
comunicabile, tramite una forma discorsiva e narrativa. Siamo agli antipodi
di una tradizionale pratica analitica, poiché si tratta di usare
un materiale inconscio (la catena delle libere associazioni, appunto) per
interpretare uno stato mentale conscio. Qualora poi il mito non si imponga
da sé, l'analista deve scoprire a quale mito si debba utilmente
far ricorso, come più congeniale al momento analitico in corso,
e al problema che in esso si presenta, naturalmente scegliendolo tra quelli
congrui e familiari alla cultura del gruppo di cui il paziente fa parte
.
I materiali mitologici annotati e oggetto di attenzione, poi, sono
sottoposti ad indagine (colonna 5), attivamente diretta e concentrata,
e assunti come modelli cognitivi per illuminare un materiale altrimenti
sconosciuto . Preliminarmente, sono però necessari uno scavo e un
metodo investigativo che Corrao (1992 ) sintetizza e descrive come una
procedura in quattro fasi, e cioè: la decostruzione della
trama mitologica; l'isolamento delle sue componenti; la decodificazione
degli elementi; la loro risignificazione e ricombinazione alla luce di
nuove connessioni che diano ordine.
Osserva Pacifico: " Viene provocata in questo modo una messa in risonanza
del campo mitologico indagato, in cui però l'evidenziamento e l'espansione
dei singoli elementi che lo costituiscono non sono diretti, come nel metodo
amplificativo di Jung, a dipanarne i collegamenti e le affinità
- i filoni archetipici comuni - con altri reperti mitologici (anche i più
diversi e distanti per epoca e geografia), ma piuttosto ad intensificare
il significato, l'evocazione cognitiva di cui quelle stesse componenti,
all'interno del mythos di appartenenza, sono autonomamente portatrici."
(ibid., p. 114).
Il secondo momento della indagine mitologica è, al contrario,
di ricomposizione e sintesi. L'emergere nella mente di un fatto selezionato,
punto prospettico riordinatore e catalizzatore della riaggregazione,
in base a una congiuntura tematica alternativa, che ristabilisce un ordine
logico restauratore, e quindi ad una trasformazione , in cui si risolve
la tensione conoscitiva, relativa a un'esperienza emotiva, o all'apprendere
qualcosa a suo riguardo. Ciò costituisce un'emozione, per cui si
può affermare che i miti sono utilizzati da Bion "come modelli per
il "legame K" e le sue vicissitudini, così che le loro trame, e
i singoli elementi emblematici che se ne possono estrarre, possono essere
adattati e correlati ad uno o più degli usi del pensiero rappresentati
sull'asse orizzontale della Griglia" (ibid., p. 115), distribuendosi dai processi
difensivi di "psi" (colonna 2), all'indagine (colonna 5)" .
Centrale, a questo punto, il tema della curiosità,
stato della mente che ricerca la verità, tuttavia sotto la guida
di una volontà di conoscenza ambivalente, che può generare
conoscenza/vita o morte
In questa tensione verso il cambiamento (trasformazione catastrofica
in O) , sempre la paura accompagna la fatica della conoscenza e della comprensione,
oltre al ben conosciuto fatto che, ad ogni sintesi interpretativa frutto
dell'analisi, il paziente sperimenta una depressione per la scoperta che
la devastazione della personalità è più profonda
e grave di quanto supposto.
Di questo Bion parla appunto usando dei miti introdotti da lui, ancorché "storici": quello dei ladri-archeologi di Ur e quello della tragica vicenda
di Palinuro, come la si legge nell'Eneide. Nella stanza di analisi, dice Bion, ci sono due persone egualmente spaventate, impegnate nella
sofferenza del pensare, col compito di perseverare nelle incertezze, tollerare
cioè la frustrazione e il negativo connessi alla kenosis terapeutica.
Ma il sapere deve essere commutato nel linguaggio dell'Effettività,
in azione (colonna 6), per aprirsi un varco, proprio come i profanatori
della tomba di Ur, tra i fantasmi-sentinelle dei morti e i loro custodi-sacerdoti
, riportando alla luce le parti più primitive della mente , e cioè
le identificazioni proiettive patologiche, gli attacchi al legame e la
psicosi.L'analisi di Pacifico, accuratamente condotta, si muove con agilità
nel non facile, per quanto intensamente approfondito, terreno del paradigma
bioniano, mostrando, con puntuale ricostruzione, la centralità,
nell'opera di Bion, del mito come attività di conoscenza (legame
K) rispetto a quegli elementi di cui lo psicoanalista va in cerca.
Nell'Introduzione al pensiero di Bion, di Grinberg, Sor e Tabak
de Bianchedi, si legge: "I miti offrono una versione narrativa dei problemi,
in cui i diversi personaggi nella loro interazione sviluppano il dramma
dell'uomo e del gruppo alla ricerca della verità, specialmente quando
ricerca e curiosità si riferiscono alla conoscenza di se stessi" (Grinberg, Sor, de
Bianchedi, 1993, p. 85).
Collegandoci ad un altro punto dell'articolo di Pacifico, val qui la
pena di ricordare un altro bel saggio, ad opera di Sergio Molinari, "W.R.Bion
di fronte al mito di Edipo", in cui l'A esplora il ruolo che la situazione
edipica ha svolto nel processo di costruzione della stessa Griglia. L'ipotesi
interessante è che "la situazione edipica, sia come pre-concezione
emotiva ...sia come idea che Bion si stava formando sulla centralità
della pre-concezione edipica, abbia costituito il fatto scelto che,
dando coesione e collegamento ... ha determinato il "precipitare" della
griglia" (Molinari, 1981, p. 696). Iniziando a parlare della griglia,
dice Molinari, Bion spiegava che essa serviva a compattare fenomeni dispersi,
dalla definizione di ciò che intendeva parlare ai concetti freudiani
di memoria, attenzione ed esplorazione, a problematiche riguardanti gli
agiti, il che si ricollega ad una sua descrizione della struttura peculiare del mito di Edipo, i cui elementi sembrano corrispondere all'asse coi numeri
della Griglia (ipotesi definitorie; elementi psi, cioè falsi; notazione;attenzione;
indagine; azione.
Ci si potrebbe chiedere se invece non sia avvenuto che Bion abbia costretto
il mito di Edipo a combaciare con le sue preconcezioni.Questo comunque
sarebbe in accordo con la visione bifocale di Bion. Scrive ancora Molinari
"Il mito di Edipo può essere considerato uno strumento che servì
a Bion per "scoprire " la griglia, o meglio l'asse orizzontale della griglia,
e quest'ultimo asse può essere considerato uno strumento che permise
a Bion, già consapevole di alcuni difetti della classica teoria
edipica freudiana, di completare la costruzione della griglia" (ibid., p.
698).
A completamento della lettura, segnalo infine, ad opera di un gruppo
di psicoanalisti , una interessante esemplificazione dell'uso del mito
come spunto alle libere associazioni, in relazione al mito scelto, senza
alterarne gli elementi base, il cui risultato è stato la scoperta
non del mito, ma della psicoanalisi (Camargo et al., 1997).
Bibliografia aggiuntiva
CAMARGO C.A.V., SANDLER E.H., BOTELHO E.Z.F., SEREBRENIC F.T.,
CESAR G.L.M.S., MATTOS L.T.L., RIVERA M.L.L., SANDLER P.C., WETZEL
S.G.W.B. (1997), Nine psycho-analysts in search of a myth, INTERNATIONAL
CENTENNIAL CONFERENCE ON THE WORK OF W. R. BION : W. R. BION: PAST AND
FUTURE
GRINBERG L., SOR D., TABAK DE BIANCHEDI E., Introduzione al penseiro
di Bion, Cortina, Milano, 1993.
THE "W.R.BION.
PAST AND FUTURE" PROJECT, Torino, 1997, a cura di Silvio A. Merciai
(un sito ricchissimo ed imprescindibile, collegato ad una importante mailing-list,
per chi vuole approfondire il pensiero di Bion)
MOLINARI S. (1981), W.R. Bion di fronte al mito di Edipo, Rivista di
Psicoanalisi, 3/4, 695-704.
Riccardo Pacifico, Via Jerapoli 1, 00146 Roma.
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