PM--> HOME PAGE --> NOVITÁ --> EDITORIA --> RIVISTE --> RECENSIONI

--> Psicoter. Sci. Um. --> 2001

Psicoterapia e Scienze Umane, 2001, XXXIV, 1

L’ipnosi cent’anni dopo Freud. Considerazioni teoriche sulla moderna psicoterapia ipnotica e sulle sue implicazioni dei processi di guarigione

Fabio Efficace

 
Lo scritto inizia con una breve nota storica: viene citato Leonardo Ancona, che rammenta come la rottura tra ipnosi e psicoanalisi avvenne con l'osservazione freudiana che la psicoanalisi consiste nel levare impedimenti interni, mentre l'ipnosi mette dall'esterno una energia. Eppure è noto che la psicoanalisi (anche nella storia personale di Freud) sorge sulle ceneri dell' ipnosi.
Efficace vuole considerare due aspetti importanti dal punto di vista storico, per poi analizzare i moderni contributi dell'ipnosi rispetto ai suoi inizi. Sembra evidente che l'abbandono del metodo ipnotico da parte di Freud, come egli stesso testimonia in Studi sull'isteria (1885), fu la difficoltà ad applicare il metodo di Breuer a tutti i pazienti, poiché molti lo rifiutavano; il giovane Freud tentò dunque di raggiungere i medesimi risultati, soprattutto il ricordo, in altro modo.

All'epoca, egli non possedeva gli strumenti per una valutazione obiettiva dell'ipnosi, come tutti gli scienziati del tempo, per cui l'ipnosi rimase a lungo avvolta in un nimbo "miracolistico", che certo non giovò alla sua conoscenza, per cui fu messa al bando sia dagli psicoanalisti che dagli psicologi.
Oggi, le ricerche psicobiologiche hanno chiarito meglio i meccanismi dell'ipnosi e il suo ruolo nei processi di guarigione, collocandola tra i fenomeni dissociativi della coscienza, al di là della suggestione. Si è constatato che l'ipnosi non è indotta solo dall'esterno dal terapeuta, collocandosi tra i meccanismi dissociativi che caratterizzano tutti i processi della coscienza.
Già l'essenza dell'approccio naturalistico di Milton Erickson stava nello sfruttare i varchi dissociativi che si aprono fisiologicamente nella coscienza, per provocare una trance terapeutica. Quindi, il terapeuta non fa che valersi di una predisposizione naturale. Dato che mente e corpo sono due facce della stessa medaglia e che è importante facilitare il loro dialogo, il ricercatore Ernest Rossi ha richiamato l'attenzione su come la mente, tramite il Sistema Nervoso Autonomo, moduli le funzioni biochimiche nelle cellule dei sistemi e tessuti del corpo .

Fin dal 1846 è segnalato (Melvin Gravitz) il primo caso di remissione spontanea di un cancro associato all'uso dell'ipnosi, e oggi sempre più si sottolinea il ruolo giocato dai fattori psicologici nell'eziologia e nel decorso delle malattie neoplastiche, per cui nella terapia oncologica c'è larga applicazione dell'ipnosi basata su tecniche d'immaginazione mentale. Gravitz riporta un caso clinico di una donna con tumore polmonare, trattato nel 1846 con l'ipnosi da La Roy Sunderland, che portò alla guarigione probabilmente, senza saperlo, per la riduzione dello stress e conseguentemente favorendo la produzione di anticorpi.
Oggi la biologia ci ha svelato molti misteri, e studiosi come Hall (1983) hanno trovato che persone giovani altamente ipnotizzabili accrescevano sotto ipnosi la propria immunità cellulare, confermando che le risorse per i processi di guarigione sono rintracciabili esclusivamente nel nostro corpo. Si è individuata nell'emozione la fondamentale radice psicologica dei mutamenti nella personalità che stanno alla base delle guarigioni. "In un'ottica junghiana, si potrebbe affermare che, in tutti questi casi, i pazienti avessero imparato a riconoscere e ad amare la propria Ombra e a convivere con essa" (p. 108 dell'articolo di Efficace).

David Spiegel, nel suo libro Living Beyond Limits (1994), sottolinea l'importanza, per l'andamento della patologia, di un reale confronto con il concetto di morte, con rielaborazione anche a livello filosofico, quale avviene dopo la diagnosi di malattie considerate incurabili, il che rimetterebbe in moto risorse dell'inconscio creativo. Similmente opererebbe l'ipnosi, inducendo stati modificati di coscienza volti ad un utilizzo creativo delle potenzialità dell'inconscio. Naturalmente, l'approccio ipno-terapeutico deve essere estremamente eclettico, in base alla storia personale del paziente.
Similmente, nella terapia del dolore, si insegna al paziente a gestire i sintomi, valendosi dell'autoipnosi.
Si è scoperto di recente che le cosiddette remissioni spontanee sono strettamente correlate al vissuto emotivo, che produce specifici effetti su tessuti e disturbi patologici. A livello neurofisiologico, la correlazione si esplica nelle connessioni del sistema limbico con l'ipofisi, sicché gli stati emotivi alterano positivamente i livelli ormonali in tutto il corpo, e questa è una riprova del fatto che la mente può modulare le molecole a livello cellulare e genetico.

Già Jung nel 1903 aveva osservato che le emozioni hanno effetto dissociativo e oggi sappiamo che esse hanno anche effetto integrativo.
Per evidenziare il ruolo dell'emozione nella psicoterapia ipnotica , l'autore accenna alla tecnica dell'"affetto ponte" (Watkin, 1971), una procedura per attraversare più rapidamente le linee temporali dei sistemi mnestici dal presente al passato, utilizzando elementi comuni, "ponti", associazioni fra esperienze affettive presenti e passate.
Dunque, l'emozione appare la chiave di volta di ogni approccio psicoterapeutico.
John Kihlstrom (1994) ha osservato la possibilità di avere accesso a ricordi elaborati in stati di forte emotività solo ripristinando lo stesso stato al momento del recupero.
Anche nella psicoterapia ipnotica, la connessione tra passato e presente è realizzata tramite il collegamento dei sentimenti, anziché delle idee o dei ricordi, allo scopo di riconoscere l'origine emotiva del disturbo, usando l'emozione come un ponte verso il passato .
L'autore conclude dicendo che "alla luce di tali considerazioni appaiono quantomeno sterili e infondate le critiche di non scientificità spesso rivolte alla psicoterapia ipnotica, poiché la stessa ricerca psicologica, in ambito psicoterapeutico, sembra ancora lontana dall'aver individuato e isolato i fattori specifici (e quelli non specifici) che determinano con certezza il successo terapeutico." (p. 113  dell'articolo di Efficace).

L'articolo è strutturato in maniera estremamente semplice e chiara, e il suo pregio consiste nel fare una carrellata sulle ultime scoperte riguardanti un uso scientifico dell'ipnosi come terapia, specie riguardo le neoplasie e la terapia del dolore, alla luce delle recenti acquisizioni in neurofisiologia.
L'autore fa in chiusura un cenno sbrigativo alla questione dei fattori terapeutici, il che invece, secondo me, è questione di fondo, anche, e forse soprattutto, con riferimento alla rimessa in moto dell'affettività. Il discorso relativo ai fattori terapeutici è lungo e complesso, e percorre l'intera storia della psicoanalisi, e non è così nebuloso come l'accenno dell'autore sembra voler dire.

Ora una brevissima sintesi storica (per una review del dibattito sui fattori curativi in psicoanalisi, vedi anche un lavoro di Migone del 1989, ripreso nel cap. 6 del suo libro del 1995 Terapia psicoanalitica):

Nel 1933 Strachey individua nell'interpretazione "mutativa" un importante fattore terapeutico, volto a staccare il transfert dal rapporto reale, aprendo una breccia nel circolo vizioso nevrotico.
Nei 1935 Binswanger parla della relazione di fiducia tra terapeuta e paziente.
L'anno dopo, Glover (1936) sottolinea l'azione umana nel transfert, in particolare l'atteggiamento inconscio dell'analista. 
Lo stesso anno, al Congresso di Marienbad, Sterba (1936) parla di introiezione dell'Io del terapeuta da parte del paziente. 
L'anno dopo, Strachey (1937) indica il punto focale dell'analisi: l'interpretazione di traslazione.
Nel 1946, Alexander parla di "esperienza emozionale correttiva". 
Nello stesso anno, Loewenstein (1946) esprime i suoi dubbi sul fatto che qualcuno abbia potuto concludere con successo l'analisi senza aver offerto qualcosa di più delle semplici interpretazioni. 
Loewald nel 1960 parla dell'importanza della relazione, in particolare dell'atteggiamento reale e profondo del terapeuta, catalizzatore di tutti i fattori terapeutici. 
Gitelson, nel 1962, al Congresso di Edimburgo, sottolinea la situazione "diatrofica" delle condizioni del trattamento. 
Nel 1965, Nacht afferma che il fattore decisivo è l'atteggiamento profondo dell'analista.
Nel 1984, Kohut pone come fattore terapeutico l'empatia. In questo articolo, sembra che si tratti di rimettere in moto un'affettività specifica, recuperando, come dice Fred Frankel, "i ricordi, specialmente quelli di natura traumatica, [che] possono essere recuperati più accuratamente quando l'affetto che caratterizza lo stato in cui il ricordo viene richiamato è congruente (simile) a quello dello stato nel quale il materiale era stato appreso" (p. 113 dell'articolo di Efficace).

Personalmente, non ritengo che questo sia il punto di demarcazione, che va invece individuato, a mio parere, nella continuità relazionale tra terapeuta e paziente, alla luce di un costante processo interpretativo.
Questo è stato il grande passo di Freud: non si è trattato solo di raggiungere il ricordo e gli stessi risultati dell'ipnosi in un altro modo, si tratta di un discorso totalmente diverso, come si è potuto vedere anche dalla rapidissima sintesi riguardante i fattori terapeutici, anche se dall'ipnosi e dai suoi effetti catartici e curativi prende le mosse. Il problema non è quindi quello di applicare una tecnica, come nel caso dell'ipnoterapia, bensì di avviare e mantenere un rapporto, nel quale, e proprio per il fatto che sussiste, avvengono delle cose e si attuano dei cambiamenti, ma proprio ed elettivamente attraverso il rapporto e tramite lo strumento specifico dell'interpretazione.

Indirizzo dell'autore dell'articolo: Fabio Efficace, Via Quirino Roscioni 63, 00128 Roma

 

PM--> HOME PAGE --> NOVITÁ --> EDITORIA --> RIVISTE --> RECENSIONI

--> Psicoter. Sci. Um. --> 2001