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Psicoterapia e Scienze Umane, 2001, XXXIV, 2

Il collegamento tra realtà interna ed esterna nell'impostazione del setting terapeutico per adolescenti con disturbi gravi del comportamento

Philippe Jeammet

 
Data l'attenzione particolare alle problematiche a livello narcisistico, la patologia relazionale appare oggi in posizione prominente rispetto a quella del conflitto, anche se è innegabile che il conflitto rimane il fattore di attivazione da elaborare elettivamente in un'ottica di prevenzione e di intervento che renda possibile intervenire senza rischio per il paziente.
Vanno quindi salvaguardate l’alleanza terapeutica, e un setting atto al processo di elaborazione.
In particolare, con gli adolescenti, occorre alleviare i sintomi psichiatrici debilitanti che implicano ripetitività con una perdita della libertà di scelta , e contemporaneamente incrementare la capacità dell’apparato psichico di affrontare il conflitto senza tornare ai sintomi. Questi sono, secondo l'A, i due punti da tenere sempre presenti. Fondamentale è trasmettere all'adolescente la nostra fiducia nella sua capacità di farsi carico di se stesso, dandosi una possibilità di successo, malgrado le inevitabili recidive.
L'apparato psichico, strumento che ci rende capaci di affrontare piacere ed ansia e di raggiungere i personali traguardi, è localizzato, con funzioni di cuscinetto, tra il mondo interno delle pulsioni a dei bisogni e quello della realtà esterna e prosegue l’opera di allevamento dei genitori, specie riguardo al fronteggiare le avversità.
I disordini di comportamento costituiscono un mezzo di espressione adolescenziale, e risposte terapeutiche adeguate sono d'ausilio alla nostra relazione con i giovani pazienti. L'A porta come esempi gli acting-out nel corso di ricovero o di day-hospital. Si tratta sempre di un attacco al setting terapeutico e a chi cura, trattato senza riguardo come un oggetto .
Si nota che gli acting avvengono proprio quando le cose iniziano ad andare meglio, quando si riscontra un’apertura verso gli altri in senso psicoanalitico, come se questa apertura destabilizzasse l’equilibrio del Sé, minacciando l'autonomia dell'adolescente tramite intrusione. In tutti i disordini comportamentali adolescenziali. si riscontrano caratteristiche condivise all’interno degli acting-out, come i disordini alimentari, la tossicodipendenza, i tentati suicidi, l’apatia e il rifiuto scolastico, con prevalenza della dimensione comportamentale e motoria su quella intrapsichica
L'A nota alcuni fatti: questi disordini spesso si trovano in concomitanza o in successione nella stessa persona; in occidente e nei paesi in via di occidentalizzazione si sono incrementati nel corso degli ultimi trent’anni e hanno una prevalenza sempre maggiore nel mondo occidentale; spesso è impossibile classificare questi comportamenti in un’unica categoria psichiatrica specifica. I quadri clinici di riferimento possono essere vari e vasti, e questo, oltre alla presenza di acting, complica la situazione. Particolari sono pure le modalità con cui dagli adolescenti vengono trattate le relazioni, caratterizzate da: alternanza di vicinanza e lontananza nelle relazioni; ipersensibilità all'opinione esterna; difficoltà a regolare vicinanza-lontananza nelle relazioni; aspettative esagerate o rifiuto verso persone significative; estrema sensibilità al fatto che si dimostri interesse; frequenti autosabotaggi.
La domanda riguarda lo scoprire la modalità specifica con cui vengono messi in atto questi comportamenti. Per una risposta, si può ricorrere al concetto di dipendenza affettiva riguardo agli oggetti esterni, percepiti come minaccia alla propria identità, con difese date dall'interporre comportamento o oggetti sostitutivi, controllati, tra sé e i propri attaccamenti, insomma controllando, col distanziarle, le relazioni. Il prezzo è altissimo: una scissione dell’Io. Conseguentemente, il rapporto con le persone comincia ad assumere un carattere artificiale e predeterminato.; si nega qualsivoglia legame emozionale; l'acting delibidizzato diviene puramente meccanico; ogni esperienza di piacere è sostituita dal bisogno di sensazioni violente, atte a far sentire che si esiste. L'imperativo è evitare le emozioni in quanto rendono evidente l'esistenza di un legame oggettuale.
Gli psicoanalisti, riguardo a questo quadro, hanno usato molto il concetto di dipendenza. "Dal punto di vista del funzionamento mentale, la dipendenza può essere descritta come l’uso difensivo della realtà percettivo-motoria, quale controinvestimento rispetto ad una realtà psichica interna in collasso o pericolosa. Da questo punto di vista la dipendenza diviene un tratto potenziale o costante del funzionamento mentale, ... c’è sempre un gioco dialettico costante di investimetenti e controinvestimenti" (ibid., p. 10)
Dare peso eccessivo agli oggetti e al loro grado di attrazione può turbare l’equilibrio di investimento e controinvestimento. La sessualizzazione, poi, ha un ruolo estremamente importante, specie nello stimolare timori di dipendenza, sia in relazioni che evocano l'incesto che nelle fantasie di recettività passiva, sia per il risveglio di fantasie omosessuali.
Pertanto l’adolescenza, mettendo insieme tutti questi fattori, pone in luce difficoltà di interiorizzazione risalenti alla prima infanzia e problemi di dipendenza fino ad allora latenti, mettendo assieme e potenziando. con mutuo rinforzo reciproco, specialmente nel momento della pubertà, col rinnovarsi del complesso edipico, effetti di potenziale dipendenza, e sessualizzazione del corpo e delle relazioni. Da cui la pseudo-realtà di fantasie incestuose e parricide, e la percezione del bisogno come minaccia. Di conseguenza, i bisogni vengono rifiutati e si aggrava la dipendenza, fermando il processo di interiorizzazione necessario per compiere quello di identificazione, in un continuum autoperpetuantesi che forma un circolo vizioso.
Le reazioni di difesa assumono la forma di acting-out e di disturbi del comportamento, che sembrano avere il compito di regolatori della distanza nelle relazioni con gli altri.
A sua volta, la violenza permette al Sé di rimanere coeso nel momento della minaccia di una perdita di identità o di confini. essa sembra essenziale per proteggere il Sé, rinforzando i confini tra Sé e oggetto.
L'adolescente crea contatto e in pari tempo nega il bisogno di contatto; anche un atto di autolesionismo masochista può dare un senso di Sé. Mentre il piacere sessuale può provocare una perdita del proprio senso di confini, il dolore può ripristinarlo. L'adolescente è costretto a difendersi da desideri e impulsi.Questi comportamenti di autosabotaggio hanno svariate funzioni economiche, tendono ad autorinforzarsi, e fanno ritrovare l'adolescente in quello stesso tipo di dipendenza verso i propri oggetti contro cui si era difeso: nessun supporto al narcisismo e beneficio da controllo che essi determinano soltanto fin quando il comportamento continua, mentre intanto bisogno reale di oggetti e vuoto interno aumentano.
In terapia, anche se la terapia funziona, si possono avere aumenti di acting sintomatici (anoressia, bulimia, tentativi di suicidio), per controllare l'investimento trasferenziale troppo soffocante. I comportamenti negativi aumentano, ed hanno, nell'economia interna, la stessa valenza di una droga, costituendo difese contro angosce di castrazione e di separazione, nonché depressione, ma nello stesso tempo peggiorando lo svuotamento narcisistico.
A questo punto, è necessario stimolare una ricerca dell’oggetto sopportabile senza ricorrere ad acting-out, organizzando nella realtà esterna un setting capace di sostenere le funzioni di differenziazione .
Lo psicodramma appare estremamente adatto a ciò.
In esso, il terapeuta ha il compito di interpretare un ruolo potenzialmente traumatico: offrendo se stesso quale oggetto di investimento, evoca una minaccia di seduzione, vissuta come pericolosamente intrusiva per il narcisismo dell’adolescente" e che finisce col determinare antagonismo tra il bisogno dell’oggetto e la minaccia che questo comporta per il narcisismo e l’autonomia. Riteniamo pertanto che la riattivazione del sentimento omosessuale, connessa con la controparte del complesso edipico, possa essere il punto attorno al quale questo antagonismo tende a cristallizzarsi. Ciò di fatto connette sia problemi di referente narcisistico che di relazioni oggettuali col processo identificatorio." (ibid., p. 18)
Questi fattori sono attivi nell’azione reciproca tra mondo reppresentativo interno e mondo percettivo esterno , quale ricettacolo dei controinvestimenti di rappresentazioni inconsce angosciose, da cui il ruolo importante giocato dalla realtà percettiva del terapeuta : sesso, età e aspetto, che influiscono spesso sullo stabilirsi e sulla tollerabilità del transfert, considerato che il terapeuta viene posto subito in una posizione seduttiva., in cui aspettative e traumi infantili sono sessualizzati e il rapporto tende a configurarsi come totalizzante .Ne conseguono difficoltà nel momento dell'interpretazione, anche perché interpretazione e transfert implicano un riferimento a questioni infantili, e inoltre l'interpretazione collega paziente, terapeuta e imago infantile, il che abbisogna di un approccio particolare, per la natura dei legami tra l'adolescente e i suoi oggetti infantili, la sua infanzia, i genitori reali, e il terapeuta attraverso il transfert.
L' interpretazione si riferisce a qualcosa di assente, l’oggetto infantile, molto presente nella mente del paziente ma non presente nelle figure genitoriali, sue sorgenti di supporto esterne e percettive, la cui evocazione porterebbe a problemi di separazione, distruzione e perdita, rinnovando bruscamente problemi relativi all’assenza, e di ritorno all’infanzia, la cui evocazione potrebbe provocare angoscia riattivando i legami con essa, movimento contrario ai tentativi attuali dell'adolescente " Questi due parametri - vale a dire il riferimento a qualcuno assente dalla realtà percettiva e il ritorno all’esperienza infantile - coincidono nella perdita di controllo. La perdita del controllo percettivo raddoppia l’effetto della passività connesso col ritorno all’infanzia nelle interpretazioni e può essere una minaccia per l’equilibrio narcisistico dell’adolescente.
Il ritorno all’infanzia solleva anche la questione della regressione e della sua tolleranza, specialmente da parte degli adolescenti" (ibid., p. 19). Il dilemma riguarda la capacità di passare attraverso la regressione senza andare incontro ad un rischio eccessivo.
Quasi mai è necessario per un adolescente sottoporsi ad analisi classica, in quanto i disturbi del comportamento e l’acting-out costituiscono già forme di regressione che hanno fatto irruzione nella capacità di contenimento dell’Io, ripetendo situazioni infantili, ma senza ricordo (Freud, 1914). Di conseguenza, va piuttosto rinforzata la capacità di creare legami e di ricordare.
Questo può essere fatto in varie maniere:
- riattivando un autoerotismo positivo e il piacere a lavorare bene (specie in terapia), il che rinforza le fondamenta narcisistiche;
- col rinforzo dei mezzi di differenziazione essenziali dell’Io, tramite il supporto rappresentativo offerto dalla realtà percettiva esterna, come ad esempio quella del terapeuta;
- tramite l'alleggerimento del peso della fantasia distruttiva con la chiarificazione, dando un nome ai sentimenti e alle aspettative connesse all'attuale relazione affettivamente investita col terapeuta.
In questa ottica, non bisogna interpretare troppo rapidamente il transfert laterale, spesso attuato per rendere tollerabile il transfert verso il terapeuta , rendendo possibile il parlare dei sentimenti, altrimenti inesprimibili per l’intensità e crudezza.
Tramite l' investimento di diversi supporti esterni, l’Io si protegge dal rischio di sopraffazione, dando luogo ad una libertà di espressione dei sentimenti, con funzione integrativa dell'Io.
Nello psicodramrna psicoanalitico gli attori terapeutici recitano come Io ausiliari, con proiezione dell' interiorità nel mondo esterno, a partenza dal quale avviene il tentativo di riorganizzazione del "teatro interno", dopo la presa di coscienza e il lavoro fatto tramite la recitazione, con l'ausilio di tecniche quali scene ripetute, commento fuori campo, sosia, e possibilità di assumere il ruolo di spettatore.
In tal modo l’Io può salvaguardare il proprio funzionamento trovando un supporto esterno .
La rappresentazione si svolge su livelli diversi. Le rappresentazioni esteriorizzate delle fantasie offrono, insieme allo psicodramma, una alternativa metodologica importante, che va in direzione opposta a quella di un trattamento classico, pur giungendo al risultato del riconoscimento da parte del paziente di essere l’autore delle fantasie, il che è imprescindibile affinché le interpretazioni abbiano senso e assumano un valore mutativo.
Il cambiamento sta nel modo con cui gli strumenti base del metodo psicoanalitico vengono adoperati. Nello psicodramma sono adoperati per rinforzare il sostegno ai processi mentali tramite il setting, con aiuto attraverso processi figurativi e con collegamenti; e con rafforzamento di fattori, come ad esempio la decondensazione e il supporto immediato del mondo percettivo-motorio, nonché il dar voce ai vissuti del paziente tramite i coterapeuti, o, nei casi gravi di blocco, agire al posto del paziente, ruoli che favoriscono la differenziazione. Il ricorso alla realtà esterna angosce con funzione di salvagiardia, mentre lo spazio della recita dello psicodramma supporta lo spazio intrapsichico virtuale. "Ne consegue che la recita psicodrammatica è una rappresentazione analogica dello spazio intrapsichico e dei suoi contenuti immaginari: imago paterna e materna, Super-io, Es, Io e le loro varie componenti, ricevono un sostegno concreto da contributi diversi. Ogni cosa, anche i sentimenti ambivalenti, può essere materializzata dall’uno o dall’altro attore nella recita, mentre il paziente...viene potenzialmente protetto dall’enormità del transfert tramite la diluizione su numerosi partecipanti e la mediazione delle "terze parti" presenti." (ibid., p. 23).
Questo, seguendo il punto di vista di Kestemberg e Jeammet (1987), per i quali lo psicodramma è un aiuto al funzionamento mentale complessivo, grazie alla possibilità di esteriorizzazione delle funzioni psichiche e al sostegno che offre per raffigurazione e differenziazione.
L'A espone a questo punto un caso di anoressia di un'adolescente quattordicenne, da lui personalmente seguito e condotto tramite psicodramma, caso che materializza la sfida rappresentata dall’approccio psicoanalitico in situazioni simili, soprattutto per le ambiguità riguardo alla fortissima e intollerabile (per il narcisismo) aspettativa riguardo agli oggetti investiti di libido incestuosa, o per minacce aggressive e distruttive verso i legami. Gli affetti collegati con oggetti sono trattati come oggetti esterni minacciosi per l’Io, da cui il ricorso a diniego, proiezione e rovesciamento nell’opposto , e al rivolgimento contro il Sé, che può condurre nell’area del masochismo, per salvaguardare un legame d’oggetto. Allora, l’approccio terapeutico si vale degli stessi canali difensivi dell’Io, ma in senso opposto, offrendo all'Io le rappresentazioni rifiutate, ma per via percettiva, con la rassicurazione dovuta al controllo visivo .
Inoltre, il fatto che sulla scena psicodrammatica siano presenti vari terapeuti permette una ripresa del processo preliminare di differenziazione. "l'organizzazione delle scene e la presenza costante dei coterapeuti assicura la permanenza di una terza parte spettatrice in interscambi evidentemente simmetrici" (ibid., p. 32), cioè si approda alla triangolazione edipica, che ha la funzione di distinguere tra il soggetto che pensa e il soggetto che vede se stesso pensare, ponendo le basi per il processo di riflessione. "Il modello psicoanalitico del funzionamento mentale e l’apparato psichico ci permettono perciò di adoperare lo spazio esterno, e quindi il setting terapeutico, per ristabilire un lavorio ordinato nello spazio psichico interno." (ibidem).
La validità di questa metodologia sembra giustificata dal fatto che, soprattutto con gli adolescenti, tende a muovere le cose, valendosi, nell' organizzazione della realtà esterna, dell'importante funzione della terza parte , in quanto regolatrice della distanza dall’oggetto e dell’equilibrio tra relazioni narcisistiche e oggettuali, e possibile differenziatrice di ristabiliti confini dell’Io e rafforzatrice di identità.
Secondo l'A, quindi, le terapie bi e multifocali sono il mezzo migliore per la salvaguardia del lavoro psicoterapeutico con gli adolescenti difficili, "in quanto fanno esprimere concretamente nella realtà esterna la separazione tra l’assetto della realtà esterna rappresentato dal referente e il riconoscimento progressivo della realtà interna che si materializza nello spazio privato e protetto della relazione psicoterapeutica (Jeammet, 1992)." (ibid., pp. 32-33).

Una piccola nota aggiuntiva di carattere storico riguardante lo psicodramma in Francia, fertile terra di elezione di questa tecnica terapeutica.
L'uso dello psicodramma in Francia è una pratica terapeutica di vecchia data e assai consolidata.
Molti ricercatori se ne sono occupati da più di mezzo secolo, dopo la sua creazione da parte del fondatore della sociometria, J.-L. Moreno (1921), nato da famiglia spagnola a Bucarest, in Romania, ma cresciuto a Vienna, dove venne a contatto con Freud nel 1912, in occasione di una conferenza sul sogno telepatico, mentre frequentava la facoltà di medicina come studente.
L'esordio ufficiale di questa tecnica si può fissare al Congresso di Montpellier del 1942.
Nel 1946/47 si comincia ad usare lo psicodramma con i bambini; tra i collaboratori del Centro di Parigi, F. Dolto e S. Lebovici.
Ben presto si apre una divisione tra lo psicodramma di derivazione da Moreno ( cui si imputava la mancanza di transfert), e quello di tipo psicoanalitico, quale è quello praticato dal 1948 da Anzieu, Widloecher, Diatkine, Lebovici e Kestemberg, specie con bambini e adolescenti. E' cambiata la tecnica, in quanto i terapeuti non modificano quanto viene rappresentato sulla scena psicodrammatica, ma fanno degli interventi in favore del principio di realtà, e osservano regressione e meccanismi di difesa, fornendo in pari tempo al paziente degli strumenti per vedere e opporsi ai meccanismi nevrotici.
Anche il bisogno di migliorare le condizioni di cura ha fatto sì che lo psicodramma si diffondesse come pratica terapeutica negli ospedali francesi, allargandosi agli adulti, anche non ricoverati negli ospedali.
Nello stesso periodo, anche Losanna (Svizzera) chiede di essere aggiornata sulla nuova tecnica.
Al I Congresso Internazionale di psichiatria (Parigi, 1950) si pongono le basi del Comitato Internazionale di psicoterapia di gruppo (Parigi, 1951, sotto l'egida dell'Istituto Moreno, New York).
Nel 1957, il direttore del St. Elizabeth's Hospital di Washington (lo stesso in cui, dopo il processo italiano, fu per qualche tempo internato il poeta americano Ezra Pound), partecipa al S. Anna di Parigi alla sperimentazione dello psicodramma nella terapia degli schizofrenici. Si moltiplicano i gruppi di formazione e ricerca
Intanto, si vanno differenziando diversi orientamenti, più o meno uniformi alla psicoanalisi individuale, e così è tuttora, forse per la stessa forma fluida e duttile di tale tecnica.
In un certo senso, ogni terapeuta le conferisce l'impronta della sua personalità e della sua formazione, in maniera non dissimile da quanto avviene con l'esercizio della psicologia clinica ed in particolare della psicoterapia, un lavoro per tanti unico e artigianale, in quanto, dopo l'imprescindibile formazione personale, teorica e clinica, ogni psicologo porta nel suo lavoro quel quid che è proprio della sua personalità e della somma delle sue esperienze, quella capacità assolutamente individuale di valutazione e decisione che nessuna teoria, nessuna scuola, nessun supervisore potranno mai insegnare.

BIBLIOGRAFIA AGGIUNTIVA
ASPI: http://www.psychomedia.it/aspi/aspi-pag/presenta.htm
S.I.Ps.A.: http://www.psychomedia.it/sipsa/index.html
PSICODRAMMA: http://www.psychomedia.it/pm/grpther/psdrmdx1.htm

Philippe Jeammet, 42 Blv. Jourdan, 75014 Paris.

Relazione svolta a Bologna il 20 Gennaio 2001 al Ciclo di seminari internazionali di Psicoterapia e scienze umane. Traduzione dall’inglese di Irene Galli.

 

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