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PSYCHOMEDIA
RISPOSTA AL DISAGIO
Disturbi della Comunicazione

DISLESSIA E ALTRI DISTURBI DELLA PAROLA
Laura Augello, Claudio Vio
Neuropsichiatria Infantile USL 10 San Donà Di Piave, Venezia

La natura del linguaggio

Dominio generale o dominio specifico?

Tutti i bambini hanno la capacità di acquisire la lingua dell'ambiente in cui vivono. Si tratta di un processo comune a tutte le culture, che avviene in modo naturale e in tempi relativamente brevi. Questa osservazione ha indotto molti ricercatori a ritenere che le strutture mentali responsabili dell'acquisizione del linguaggio rivestano un ruolo biologicamente programmato e costituiscano un dominio specifico, innato, indipendente da altri sistemi cognitivi e discontinuo nei propri sub-sistemi (le competenze fonetiche, per esempio sarebbero indipendenti da competenze lessicali).
Nello stesso tempo, valutazioni sulla complessità del fenomeno piuttosto che sulla sua universalità hanno suggerito ad altri ricercatori di considerare lo sviluppo del linguaggio come una delle espressioni di strutture e processi più generali, inscindibili dalla funzione comunicativa e pertanto influenzabili dalle reciproche interazioni tra il bambino e l'ambiente sociale.
La prima posizione, rifacendosi alla tradizione di Chomky e ad un approccio modulare-innatista (Fodor, 1983; Pinker e Bloom, 1990), attribuisce al linguaggio una completa autonomia funzionale, documentata dalle dissociazioni sintomatologiche osservate nei deficit acquisiti. La posizione posta a confronto, di tipo funzionalista (Slobin, 1973, 1985; Bates e McWhinney, 1989), risulta più vicina al determinismo cognitivo di Piaget, che colloca il linguaggio all'interno del dominio generale dei suoi antecedenti cognitivi: un esempio che vede un predominio dei fattori cognitivi su quelli linguistici è la classica ricerca di Sinclair de Zwart (1967) in cui, pur riuscendo a indurre in bambini piccoli forme di linguaggio espressivo più evolute rispetto alla media dei coetanei, non si riscontrava una corrispondente anticipazione nella maturazione delle loro strutture di pensiero.
Posto in questi termini, il dibattito sulla natura del linguaggio richiama il problema più generale dell'applicabilità della neuropsicologia cognitiva dell'adulto ai disordini evolutivi: ci si chiede innanzitutto come l'enfasi posta da un approccio modulare sulle dissociazioni tra deficit possa rendere ragione dei complessi pattern di sintomi associati che frequentemente si osservano in età evolutiva e della loro modificazione nelle manifestazioni dei sintomi rispetto alla variabile temporale. Può risultare difficile descrivere il deficit primario attualmente sottostante i diversi disturbi osservati; infatti spesso un danno selettivo ai primi stadi di elaborazione dell'informazione può avere ripercussioni su tutti quelli successivi, anche in considerazione della loro interdipendenza durante lo sviluppo: per esempio una difficoltà di processamento dell'informazione uditiva sembra possa causare un disturbo linguistico (di comprensione) che persiste nel tempo, anche dopo che la percezione uditiva sia tornata a svolgere normalmente la funzione di identificare e riconoscere i suoni della lingua (Bishop, 1997). Accanto a modelli rigorosamente bottom-up, previsti dalle teorie modulari-innatiste, si fanno strada, dunque, modelli top-down, violando l'assunto che le strutture cognitive siano informazionalmente incapsulate (Fodor, 1985). Modelli neuropsicologici statici e modelli evolutivi si pongono allora in antitesi, gli uni enfatizzando l'indipendenza dei diversi domini di funzionamento psicologico, gli altri enfatizzando l'interdipendenza tra i diversi stadi di sviluppo e i potenziali effetti a cascata dei sintomi nel tempo.
Sulla scorta di queste posizioni contrapposte, per molti anni le ricerche in ambito evolutivo hanno perseguito l'obiettivo di comprendere se il linguaggio emerga in modo discontinuo e indipendente da altre abilità comunicative, o se sia possibile evidenziare elementi di continuità nello sviluppo, in particolare considerando i rapporti tra modalità gestuale e verbale nella prima infanzia.

Dominio generale e dominio specifico

Una terza ipotesi si è fatta strada recentemente, suggerendo la possibilità che le funzioni linguistiche, pur non essendo modulari alla nascita, nel corso del tempo si modularizzino parzialmente, a partire da una serie di precursori generali, legati alla comunicazione intenzionale e ad altri aspetti dello sviluppo percettivo-motorio, cognitivo e affettivo (Khul, 1991) Sabb p.177
Una volta superata una sorta di plateau evolutivo, il linguaggio si affinerebbe in modo indipendente, talvolta perfino in presenza di deficit cognitivi (Volterra e Bates, 1995): Dall'Oglio e collaboratori (1994), per esempio, descrivono due pattern evolutivi in qualche modo opposti, riferendosi al caso di due bambini con lesioni focali insorte entro il primo anno di vita, l'uno con uno sviluppo cognitivo apparentemente nella norma e un rilevante ritardo linguistico, l'altro con uno sviluppo cognitivo ritardato e nessuna difficoltà a livello linguistico; le prove cognitive, tuttavia, rivelavano che entrambi i bambini avevano raggiunto l'uso di strumenti e la capacità di applicare schemi dâazione differenziati secondo gli oggetti.
Diversi studi (per una rassegna Volterra e Ertine, 1994; Abrahmsen, 2000) hanno messo in luce che fin dai primi mesi di vita il repertorio comunicativo del bambino non si limita agli elementi vocali del parlato, ma comprende anche molti elementi gestuali; tali movimenti sembrano precedere la comparsa delle prime parole, e in seguito, attraverso un graduale processo di simbolizzazione, arricchire l'intenzione comunicativa di informazioni equivalenti (per esempio la parola ciao e il gesto di saluto con la mano), complementari (se il gesto disambigua il referente della parola) o supplementari (se parola e gesto hanno significati diversi, per esempio indicare il piccione e dire nanna) (Caselli e Volterra, 2002).
Solo in seguito, alcune abilità più prettamente linguistiche, legate alla capacità di combinare simboli e all'utilizzo di elementi morfologici e sintattici, verrebbero a costituirsi come domini separati e specifici (moduli), mentre una simile specificità non sembra pienamente ravvisabile in altre componenti del linguaggio, quali la semantica o la pragmatica (Khul, 1991; Volterra e Bates, 1995; Karmiloff-Smith, 1992)

I disturbi specifici del linguaggio

I disturbi specifici del linguaggio rappresentano un insieme di quadri sindromici caratterizzati da un ritardo o un disordine in uno o più ambiti dello sviluppo linguistico, in assenza di deficit cognitivi, sensoriali, motori, ed escludendo disturbi affettivi e importanti carenze socio-ambientali. I bambini con questo disturbo presentano difficoltà di vario grado nella comprensione, nella produzione e nell'uso del linguaggio, in una o più delle sue componenti (fonologica, semantica, sintattica, pragmatica).

Classificazioni

L'identificazione di sottotipi clinici fondata su criteri linguistici risulta piuttosto complessa, e la distinzione più spesso utilizzata si basa su un criterio retrospettivo, che considera il carattere temporaneo o stabile del problema, in riferimento al terzo anno di età, dove le evidenze cliniche hanno fissato il limite dei ritardi transitori (Chilosi et al., 1998; rimane ancora molto dibattuta la possibilità di individuare indici predittivi attendibili per tale diagnosi differenziale, al di là dell'evidenza a posteriori. Disturbi apparentemente simili ad una certa età possono, infatti, evolvere in quadri diversi per tipologia e prognosi (Chilosi, Cipriani, Fapore, 2002).
Data la difficoltà a raggiungere un consenso su criteri di tipo neurolinguistico o psicolinguistico, gli standard diagnostici internazionali hanno adottato un criterio di classificazione psicometrico, individuando tre categorie fondamentali, riconducibili a rispettivamente a un disordine fonologico, espressivo, oppure espressivo-ricettivo. La classificazione di seguito riportata (ICD-10), proposta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, include i disturbi specifici del linguaggio tra le sindromi e i disturbi da alterato sviluppo psicologico:
- Disturbo specifico dell'articolazione e dell'eloquio:
é una condizione in cui l'uso dei suoni verbali è inappropriato rispetto all'età cronologica e all'età mentale, ma in cui vi è un normale sviluppo delle abilità lessicali e grammaticali.
- Disturbo del linguaggio espressivo:
Si tratta di un disturbo evolutivo specifico in cui la capacità del bambino di esprimersi tramite il linguaggio è marcatamente al di sotto del livello atteso per la sua età mentale, ma in cui la comprensione del linguaggio è nei limiti di norma. Vi possono essere o meno anomalie nell'articolazione.
- Disturbo del linguaggio recettivo:
Si tratta di un disturbo evolutivo specifico caratterizzato da un deficit più o meno grave della comprensione verbale. In tutti i casi anche l'espressione del linguaggio è marcatamente disturbata e sono frequenti anormalità nella produzione dei suoniverbali.
- Afasia acquisita con epilessia o sindrome di Landau-Kleffner:
Viene così definita una condizione in cui un bambino con un iniziale sviluppo linguistico nella norma, perde la capacità di comprensione e di espressione del linguaggio. L'esordio è tipicamente tra i tre e i sei anni; la perdita del linguaggio si associa a caratteristiche anomalie elettroencefalografiche, evidenti soprattutto nel sonno e, in molti casi, a crisi epilettiche.

Componenti responsabili del disturbo

Interrogandosi sulla natura del disturbo, alcuni autori rimandano ad un deficit primario di processamento che interviene nella discriminazione rapida di stimoli uditivi (Tallal et al., 1989) o nella memoria fonologica a breve termine (Gathercole e Baddeley, 1990b); altri autori ritengono che sia significativo un deficit di rappresentazione fonologica (Joenisse e Seidenberg, 1998) o grammaticale (Crago e Gopnik, 1994).
Indagini epidemiologiche recenti hanno rivelato che, quasi senza eccezione, i bambini con problemi nello sviluppo del linguaggio presentano difficoltà di ordine fonologico. A prescindere dalla diversa enfasi accordata agli aspetti di rappresentazione e processamento dell'informazione, appare evidente il ruolo delle abilità fonologiche nel vincolare lo sviluppo delle altre componenti linguistiche: omissioni, sostituzioni e distorsioni fonologiche limitano, infatti, il repertorio di parole che il bambino può discriminare, utilizzare e combinare secondo regole. Anche dal punto di vista clinico, quindi, la valutazione fonologica viene considerata uno dei livelli di analisi linguistica più rilevanti nella diagnosi (Bortolini e De Gasperi, 2002).

Indici predittivi

Data la grande eterogeneità delle storie evolutive dei bambini con disturbo specifico del linguaggio, il problema dell'identificazione di indici predittivi per la diagnosi rimane molto dibattuto in letteratura, nonostante i numerosi contributi pubblicati.
Come per altre difficoltà evolutive, tra i fattori che possono influenzare l'evoluzione del disturbo appaiono significativi la gravità della patologia iniziale, l'età del bambino al momento della prima consultazione, la persistenza delle difficoltà riscontrate, la possibilità di usufruire di una terapia logopedia precoce e appropriata (Chilosi, Cipriani, Fapore, 2002).
La dimensione temporale è considerata da alcuni autori (Whitehurst e Fischel' 1994) una variabile critica non solo in riferimento alla precocità con cui il disturbo si presenta o viene riconosciuto e preso in carico, ma anche da un punto di vista epidemiologico, in quanto l'incidenza si riduce nel tempo, da un valore massimo intorno al 15% a 24 mesi, a un valore del 3% circa a 2 anni. La fase evolutiva risulta rilevante, inoltre, perché nelle diverse età il peso degli indici predittivi sembra cambiare: se, ad esempio, entro i 2 anni e mezzo di età il livello di comprensione e la ricchezza lessicale si sono rivelati segnali importanti di rischio per una evoluzione in disturbo specifico del linguaggio, dopo i 3 anni di età è più significativo, in rapporto all'outcome, valutare il repertorio grammaticale.
Per quanto riguarda la diagnosi differenziale, Caselli e Volterra (2002) sottolineano le notevoli implicazioni diagnostiche che possono derivare da una valutazione bimodale del linguaggio (nelle sue componenti gestuali e verbali), per la possibilità di riconoscere asincronie tra comprensione e produzione verbale, e differenziare quadri di ritardo transitorio, compensati da una ricca produzione gestuale, e quadri più severamente compromessi, dove l'uso dei gesti è meno ricco e meno frequente.

Continuità tra disturbi specifici del linguaggio ai disturbi specifici di apprendimento

é stata osservata una stretta relazione tra disordini fonologici e successive abilità di lettura, scrittura, spelling e capacità matematiche (Bird e Bishop, 1992).
Considerando il problema della dislessia evolutiva, la memoria di lavoro fonologica sembra rivestire un ruolo specifico nella continuità tra disturbo del linguaggio e difficoltà di apprendimento, rappresentando un fattore discriminante tra bambini con disturbo della lettura isolato e bambini con disturbo della lettura che abbiano presentato o presentino difficoltà di linguaggio. Per questi ultimi un deficit mnestico sarebbe significativamente correlato a difficoltà di ordine lessicale e morfosintattico, riconducibili a un carente funzionamento del loop articolatorio, invocato come meccanismo di acquisizione del lessico (Brizzolara et al., 1993; 1999) particolarmente critico nel periodo tra i 4 e i 5 anni di età (Gathercole, 1993).

La dislessia evolutiva

Definizione e origine del disturbo

Esiste un discreto consenso nel definire la dislessia evolutiva come un disturbo di automatizzazione delle procedure di transcodifica dei segni scritti (grafemi) in corrispondenti fonologici (fonemi). Tale disturbo si evidenzia all'inizio del processo di scolarizzazione in bambini che non abbiano subito patologie o traumi a cui riferire il deficit, a differenza di quanto accade nella dislessia acquisita.
Le difficoltà di decodifica incontrate dai bambini dislessici riguarderebbero primariamente i processi di codifica e recupero dell'informazione di natura fonologica, l'utilizzo dei codici fonologici per mantenere l'informazione verbale nella memoria di lavoro, la consapevolezza della struttura fonologica delle parole (Stella, Cerruti Biondino, 2002). Non stupisce, quindi, che in molti casi di dislessia sia presente un pregresso o residuo disturbo di linguaggio.
I disordini di natura fonologica, tuttavia, non esauriscono la gamma di fattori a cui si possono ricondurre le difficoltà di lettura: esistono alcune ipotesi di danno alla via magnocellulare del sistema visivo (Tassinari, 2002) o a carico dei meccanismi di attenzione spaziale (Facoetti 2002).

Dal modello teorico alla diagnosi

Più controversi appaiono i criteri per una classificazione della dislessia evolutiva in sottotipi, per la diversa interpretazione del disturbo che deriva dai numerosi modelli proposti; similmente a quanto avviene nel campo degli studi sul disturbo specifico del linguaggio, la maggior parte dei modelli sui processi di lettura (e di scrittura) è riconducibile all'ambito evolutivo (Marsh et al., 1981; Frith, 1985) o a quello della neuropsicologia cognitiva (Coltheart, 1985).

Modelli evolutivi stadiali
I modelli evolutivi o stadiali consentono di prevedere il percorso di apprendimento del bambino secondo un ordine definito dall'esecuzione di specifiche prestazioni: ad esempio, Frith (1985) prevede almeno tre fasi di apprendimento, corrispondenti rispettivamente all'uso di strategie logografiche, alfabetiche e ortografiche. Nella prima fase, che ha inizio verso i 4/5 anni di età, le parole verrebbero riconosciute per la loro configurazione visiva. Nella seconda fase, con l'inizio dell'alfabetizzazione, verrebbero apprese le regole di corrispondenza grafema-fonema. Nella fase ortografica verrebbero apprese le eccezioni a tali regole. Altri autori (Lucca e Vio, 1988) descrivono unâulteriore fase lessicale di lettura diretta, senza una conversione fonologica delle singole lettere.
Dal punto di vista della patologia, un disordine ad uno stadio comprometterebbe l'acquisizione delle competenze previste dagli stadi successivi. Sarebbe possibile, pertanto, diagnosticare un disturbo all'interno delle prime tre fasi, individuando un disordine logografico, nei casi più gravi, e uno alfabetico oppure ortografico nei casi via via meno gravi. Questi modelli tuttavia in ambito clinico non spiegano le possibili dissociazioni descritte in letteratura, anche se poco frequenti, tra le prestazioni in lettura vs. la scrittura, tra la presenza di un disordine fonologico della lettura in assenza di difficoltà di natura semantico - lessicale.

Modelli neuropsicologici
I modelli neuropsicologici hanno il vantaggio di isolare le singole funzioni cognitive compromesse e di prevedere le modalità attraverso le quali il processo di lettura viene svolto. Tra i modelli esplicativi più utilizzati in ambito clinico, quello denominato a due vie distingue una strategia di codifica ad accesso diretto (via semantico - lessicale), e una ad accesso indiretto (via sub-lessicale o fonologica). Nella dislessia acquisita, una selettiva difficoltà nella lettura di parole irregolari, che devono essere riconosciute come unità lessicali, viene attribuita alla compromissione della via semantico-lessicale (dislessia superficiale); una selettiva difficoltà nella lettura di parole nuove o senza senso, che richiedono una decodifica lettera per lettera, viene attribuita alla compromissione della via fonologica (dislessia fonologica). L'estensione di tale modello dall'ambito della dislessia acquisita a quello della dislessia evolutiva risulta, tuttavia, problematica: sono pochi, infatti, i bambini che presentano profili chiaramente riconducibili ad un deficit selettivo alla via fonologica o alla via lessicale; alcuni autori (Castles e Coltheart, 1983; Sartori e Job, 1983) hanno documentato casi isolati di dislessia fonologica e superficiale in età evolutiva, ma senza una netta dissociazione fra i sintomi connessi alle due vie.
Più plausibile, secondo Manis e Seidenberg (1996), l'ipotesi che la via lessicale rappresenti unâevoluzione della via fonologica, almeno nei sistemi ortografici più regolari, come nella lingua tedesca e nella lingua italiana: secondo tale posizione, una progressiva automatizzazione dei processi di decodifica consentirebbe, nel corso dello sviluppo, una lettura sempre più fluente, e quindi di tipo lessicale.
Vanno citati, infine, alcuni quadri non frequenti nella pratica clinica, che possono essere compresi alla luce del modello neuropsicologico: si tratta dell'iperlessia (lettura di parole con significato senza la loro comprensione, in seguito a danno delle competenze fonologiche e di quelle di accesso al sistema semantico) e della dislessia semantica (danno al sistema lessicale-semantico) (Cossu e Marshall' 1986; Sartori, 1984).
Nonostante la varietà delle ipotesi esplicative e degli ambiti di applicazione privilegiati dal modello evolutivo e da quello neuropsicologico, i due ambiti teorici descritti presentano numerosi punti di contatto tra: entrambi consentono di ricondurre le diverse tipologie del disturbo a procedure di tipo fonologico (assegnazione fonetica, fusione) e a procedure di tipo visivo-ortografico (riconoscimento della parola, recupero del significato, conoscenza delle parole irregolari nella corrispondenza grafema-fonema) (Vio, Tressoldi, 1998).

La dislessia lungo l'arco della scolarità obbligatoria

Ci si chiede se la dislessia possa essere considerata l'espressione di un deficit oppure di un ritardo di sviluppo: molti dati a disposizione relativi all'ambito delle lingue non anglofone sosterrebbero l'ipotesi di un deficit di automatizzazione, in quanto i bambini con dislessia manterrebbero nel tempo un costante svantaggio nella velocità di lettura rispetto ai coetanei di pari scolarità (Klicpera e Schabmann, 1993; Stella e Cerruti Biondino, 2002)
La possibilità di delineare l'andamento delle difficoltà di lettura nel corso del tempo rappresenta, inoltre, una questione cruciale per la prognosi e per le scelte riabilitative: recenti ricerche sottolineano come la velocità di lettura sia la variabile critica per monitorare l'espressività del disturbo nei diversi momenti evolutivi, mentre l'accuratezza non sembra rivestire un ruolo significativo, in quanto variabile meno pervasiva, che tende a ridursi nel corso del tempo (Tressoldi, 2002). La terza elementare risulta il momento in cui la velocità di lettura consente di effettuare relativamente stabili previsioni sull'evoluzione del disturbo, discriminando tra livelli medio-lievi e severi (Stella e Cerruti Biondino, 2002).

La parola scritta: dal controllo prassico a quello compositivo

L'apprendimento della lingua scritta comporta una serie di acquisizioni complesse, lungo un continuum che si estende dalla padronanza delle competenze strumentali all'utilizzo del testo come mezzo per creare e trasformare conoscenza. I prerequisiti per utilizzare appieno le potenzialità della lingua scritta implicano innanzitutto alcuni aspetti periferici, non strettamente linguistici, quali una buona coordinazione visuo-motoria e canali percettivi intatti, indispensabili nella realizzazione del gesto grafico, su copia o su dettato. Processi cognitivi prettamente linguistici interessano invece le abilità ortografiche, che riguardano l'utilizzo delle relazioni tra la struttura del linguaggio e i simboli atti a rappresentarlo. Oltre agli aspetti prassici e ortografici, infine, lo sviluppo delle abilità di scrittura si riferisce alla costruzione del testo intesa come attività di problem-solving che si articola nei processi di progettazione, trascrizione e revisione, all'interno del contesto di un definito compito, e attingendo alle conoscenze dalla memoria a lungo termine. Scrittori inesperti possono incontrare difficoltà che derivano dall'assenza di interlocutori, nel passaggio dalla condizione dialogica del parlato a quella monologica dello scritto; altre ostacoli possono essere legati al recupero di informazione dalla memoria a lungo termine, al loro mantenimento nella memoria di lavoro o, ancora, ella formulazione di piani in relazione a obiettivi, ai processi di revisione, e così via (Bereiter e Scardamalia, 1995).
La categoria diagnostica disturbo dell'apprendimento della scrittura, tuttavia, fa comunemente riferimento alla disortografia, una difficoltà di codifica che riguarda la trasformazione di stringhe fonemiche in stringhe grafemiche, secondo determinate regole di corrispondenza (Denes e Pizzamiglio, 1991). Come per gli altri disturbi specifici, la diagnosi di disortografia implica che le abilità di scrittura siano marcatamente inferiori al livello atteso rispetto all'età e alla scolarizzazione, a fronte di adeguate risorse intellettive, e interferiscano significativamente con l'apprendimento scolastico e con le attività della vita quotidiana.
I modelli esplicativi delle difficoltà di scrittura corrispondono a quelli precedentemente descritti per le difficoltà di lettura: in ambito neuropsicologico, il modello a due vie (Coltheart et al., 1983; Seymour, 1983) descrive una disortografia superficiale (per la compromissione della via semantico-lessicale), una fonologica (per la compromissione della via fonologica) e una mista (per la presenza di difficoltà tipiche della due categorie. Nell'ambito dei modelli evolutivi Frith (1985) descrive le attività di lettura e scrittura come due processi che si integrano reciprocamente e che si evolvono attraverso le tappe precedentemente descritte, dalla fase logografica, in cui le parole sono riconosciute per la loro configurazione visiva, alla fase alfabetica di apprendimento delle regole di conversione fonema-grafema, alla fase ortografica di apprendimento delle eccezioni a tale regola, fino alla fase lessicale di scrittura diretta, senza la conversione fonologica delle singole lettere che compongono la parola.

Disturbo specifico del linguaggio: analisi dell'organizzazione cognitiva e prassica in relazione all'evoluzione del disturbo

Come si è detto, non è ancora risolto il dibattito presente in letteratura sulle origini del linguaggio e sulla plausibilità dell'esistenza di un dominio generale di antecedenti cognitivi comuni agli aspetti verbali e gestuali del primo sviluppo: numerose ricerche evidenziano unâelevata correlazione tra disturbo specifico del linguaggio in età evolutiva e ritardo o distorsione nello sviluppo prassico, sia nell'uso di oggetti sia nella produzione di gesti rappresentativi (Sechi et al., 2000); tuttavia non vi è ancora unanime consenso sull'interpretazione di tali osservazioni in funzione della diagnosi e della prognosi del disturbo (Caselli e Volterra, 2002).
In una prospettiva modulare verrebbe mantenuta una distinzione tra le due categorie diagnostiche, mentre in una prospettiva piagetiana/costruttivista sarebbe possibile ipotizzare una comorbidità tra i disturbi, a partire dall'assunto di un unico sistema simbolico condiviso e ipotizzando per entrambi i disturbi una alterazione funzionale comune, verosimilmente mediata dall'emisfero sinistro (Sechi et al., 2000).
é qui opportuno richiamare una definizione della disprassia evolutiva come disordine della realizzazione del gesto le cui diverse manifestazioni sono chiaramente distinte da altre patologie dello sviluppo della funzione e del controllo motorio legate a disfunzioni piramidali, extrapiramidali o cerebellari (Cermak, 1985): i disordini prassici evolutivi possono riguardare la pianificazione e/o l'esecuzione di gesti rappresentativi (come un segno di saluto), di gesti non rappresentativi (come l'imitazione di posture), e di sequenze di gesti, in bambini che non abbiano subito lesioni e in cui le connessioni motorie siano intatte (Denckla et Roeltgen, 1992).
Secondo Jeannerod (1990) la realizzazione dei gesti investe tre livelli gerarchici, dalla progettazione dell'azione volontaria, alla programmazione visuo-motoria, all'esecuzione finale, in cui si concretizzano le istruzioni ricevute. Il primo livello di progettazione riguarderebbe il concepimento del movimento nei suoi fini reali e contestuali, in presenza o in assenza di un oggetto che possa fungere da innesco del movimento stesso. Tale progettazione si attuerebbe a partire da unâimmagine del gesto da compiere, e avrebbe legami con funzioni rappresentative (in senso figurale e operativo) e con funzioni linguistiche articolate in una sorta di linguaggio interno di programmazione (Camerini et al., 1999). Ci si dovrebbe quindi attendere una correlazione tra disturbi prassici e linguistici tanto maggiore quanto più le manifestazioni della disprassia rispecchino un deficit al primo livello gerarchico, senza escludere la possibilità che altri meccanismi percettivo-motori e motori (Cermak, 1985; Denckla e Roeltgen, 1992), attentivi (Denckla et al., 1985), o di integrazione sensoriale (Ayres 1972b, 1985) possano rendere ragione di altri livelli del disturbo.
In effetti, non tutte le difficoltà prassiche sono ugualmente correlate al disturbo specifico del linguaggio. La presenza di una globale goffaggine motoria, per esempio, sembra avere relazioni meno pervasive con tale disturbo rispetto alla presenza di difficoltà di controllo manuale (Sechi, 2000).
Nella stessa direzione vanno le osservazioni di Hill (1998), il quale ha osservato che sia bambini con disturbo specifico del linguaggio sia bambini con disturbo della coordinazione, se sottoposti ad una batteria di gesti transitivi e intransitivi, con e senza significato, presentano problemi solo nell'esecuzione di gesti a significato.
L'evidenziarsi di un deficit di simbolizzazione sottostante sia alle prassie, sia al linguaggio potrebbe offrire indicazioni utili in chiave riabilitativa (Mazzucchi, 1987). L'uso di sistemi di comunicazione bimodali, per esempio, potrebbero fornire un input più ricco e in parte ridondante in grado di sollecitare nuovi e più rapidi apprendimenti sia sul piano cognitivo, sia sul piano linguistico (Castelli e Vicari, 2002).

Contributo clinico

Alla luce delle linee interpretative sopra indicate, la presente indagine si propone di raccogliere delle osservazioni cliniche sulle caratteristiche cognitive, linguistiche e prassiche di un campione di bambini giunti in consulenza per ritardo dello sviluppo del linguaggio.

Soggetti
Prendono parte alla ricerca 36 bambini selezionati tra gli utenti del Servizio di Neuropsichiatria Infantile dell'U.S.S.L. di San Donà di Piave, accomunati da una diagnosi di Disturbo Fonetico-Fonologico.
Il campione, di sesso maschile e di età media 55 mesi è suddiviso in due fasce di età:
- Età ? 48 mesi
- Età > 48 mesi

Strumenti
- Leiter Scale, PMA, Wisc-R (Performance):
Tali strumenti, utilizzati dagli operatori del Servizio per una corretta diagnosi differenziale, consentono di escludere dalla ricerca soggetti con ritardo mentale, evidenziando nello stesso tempo la relazione tra le abilità linguistiche e prassiche oggetto di esame e il livello cognitivo. Ognuno dei test utilizzati fornisce infatti una misura di QI.
- Developmental Test of Visual Motor Integration di Beery
Si tratta di una prova che valuta la coordinazione visuo-grafo-motoria in un compito di copia di disegni geometrici bidimensionali in cui è richiesto di rispettare le coerenze reciproche e gli elementi costruttivi dei modelli. Le variabili considerate sono il punteggio grezzo e il corrispondente punteggio standard.
- Prova di valutazione della comprensione linguistica Rustioni
Per evidenziare l'eventuale presenza di una componente ricettiva del disturbo, infine, la comprensione linguistica da ascolto viene valutata attraverso un test figurato a scelta multipla. Le variabili considerate sono il punteggio conseguito nei singoli protocolli previsti per età e la percentuale di errori commessi sul totale delle alternative di scelta.
- Prova di ripetizione di parole senza senso, tratta dalla batteria PRCR-2
La prova impegna la capacità di discriminazione fonemica e la memoria immediata di fonemi e parole prive di senso. Viene utilizzata come indice del permanere di difficoltà fonologiche nei bambini del campione, dopo la seconda valutazione.

La ricerca
Si indaga, nel campione considerato, l'andamento maturativo delle abilità cognitive, linguistiche e prassiche, nelle loro reciproche relazioni. Tutti i bambini sono esaminati una volta in tutte le componenti oggetto di indagine (età cronologica 1); a distanza di circa 6 mesi (età cronologica 2), 19 bambini vengono sottoposti una seconda volta alla prova prassica, a quella linguistica, o a entrambe (tabella 1).
Non viene formulata una esplicita ipotesi sperimentale, data l'esiguità del campione e la mancanza di un gruppo di controllo; tuttavia le analisi sono guidate dall'idea che il riscontro di una concomitanza di difficoltà prassiche e fonologiche possa aggiungere plausibilità all'ipotesi della comorbidità: le difficoltà prassiche vengono individuate da punteggi inferiori alla norma nella prova VMI (standard score < 7); se la presenza di un deficit visuo-costruttivo è un indice prognostico sfavorevole, ci si può attendere che l'evoluzione del disturbo fonologico sia più lenta nei bambini con tale deficit rispetto ai bambini con la sola diagnosi di disturbo del linguaggio. Punteggi inferiori alla norma nella prova fonologica di ripetizione di non parole vengono utilizzati come una misura del permanere di tali difficoltà.
Inoltre, la presenza di una componente ricettiva del disturbo linguistico può essere giudicata rilevante o meno rispetto all'andamento maturativo delle abilità considerate, a seconda dell'entità della correlazione tra i punteggi delle prove di comprensione e di quelle prassiche.
Le correlazioni delle diverse prove con il QI danno invece la misura di quanto le abilità considerate siano dipendenti o indipendenti da variabili cognitive generali.

Risultati
La percentuale complessiva di bambini che alla prima valutazione nella prova prassica presentano un punteggio inferiore alla soglia di 7 punti standard corrisponde al 33%, e non si discosta, quindi, dalla norma, a prescindere dalla presenza di disturbo del linguaggio.
Considerando separatamente i dati relativi ai due gruppi di soggetti, si rileva invece una prestazione meno adeguata da parte dei bambini più piccoli rispetto ai più grandi: il 55.6% dei bambini di età inferiore o uguale a 48 mesi, infatti ottiene al VMI un punteggio standard inferiore a 7, mentre solo il 25.9% dei bambini di età superiore ai 49 mesi ottiene un punteggio al di sotto di tale soglia.
Inoltre, esaminando i punteggi dei 16 bambini che sono stati sottoposti due volte alla prova prassica, si osserva una differenza significativa tra la media delle prestazioni al VMI alla prima e alla seconda valutazione, in entrambi i campioni e anche nel campione complessivo: i confronti per campioni appaiati danno una differenza significativa sia al test t che confronta le medie (tabelle 2, 3, 4), sia al test di Wilcoxon, che confronta i ranghi percentili (tabelle 5, 6, 7). Sia nei bambini rivisti entro i 4 anni di età, sia nei bambini rivisti in seguito, sembra dunque che una iniziale co-occorrenza di difficoltà fonologiche e prassiche possa in alcuni casi evolvere positivamente, con un miglioramento nelle abilità prassiche, nonostante per alcuni bambini permangano difficoltà in entrambe le aree.
Un primo dato rilevante, quindi, sembra essere legato all'età: sotto i 4 anni, prestazioni inferiori alla norma in una prova visuo-costruttiva non costituiscono un attendibile indice di disturbo prassico, identificando spesso dei falsi positivi che possono modificarsi nel tempo, con punteggi migliori ai retest, entro il quarto anno e nei mesi successivi. Anche la co-occorrenza di difficoltà prassiche e fonologiche, di conseguenza, appare un fenomeno da considerare transitorio, fino a quando, nelle età successive, nuove misure intervengano a convalidare la diagnosi.
Analizzando le prestazioni dei bambini che alla seconda valutazione nella prova prassica mantengono un punteggio inferiore ai 7 punti standard, si riscontra una grande variabilità interindividuale: si tratta di 5 bambini di età superiore a 49 mesi, dei quali 2 mantengono una prestazione paragonabile alla precedente, 2 hanno una evoluzione positiva, mentre un quarto manifesta un peggioramento a partire da una prestazione nella norma. Anche se non viene evidenziata una particolare direzione nell'andamento evolutivo delle abilità prassiche, i punteggi sono tutti sotto la soglia di 7 punti standard, e ci consentono quindi di parlare di difficoltà prassiche concomitanti a difficoltà linguistiche.
Dato il numero limitato dei soggetti in questione, queste osservazioni necessitano di ulteriori approfondimenti.
Per quanto riguarda le variabili non direttamente oggetto di analisi (tabelle 8, 9, 10), nel campione dei bambini più grandi emerge una correlazione tra il QI e la prestazione alla prova di comprensione (punteggio assoluto e numero di errori), suggerendo che questa abilità con il crescere dell'età non può considerarsi indipendente dal livello cognitivo generale.
Non si evidenziano correlazioni significative tra le prove di comprensione e quelle prassiche nel campione complessivo e in quello dei bambini più grandi, a sostegno dell'idea che unâeventuale comorbidità vada cercata tra il solo disordine fonologico e il disordine prassico, a prescindere da carenze negli aspetti di ricezione del linguaggio.
Nel campione dei bambini più piccoli, invece, si evidenzia una correlazione significativa tra i punteggi al VMI e al Rustioni, confermando unâampia interdipendenza fra diversi processi cognitivi al di sotto dei quattro anni di età, e la necessità di criteri di prudenza nella formulazione di diagnosi differenziali.

Concludendo, nonostante l'incidenza dei bambini con bassi punteggi al VMI sotto i 4 anni di età sia piuttosto elevata, le osservazioni cliniche sul campione in esame suggeriscono innanzitutto una dovuta cautela nell'utilizzare le prove visuo-costruttive come indici predittivi di disturbo prassico, data l'estrema variabilità nell'evoluzione delle prestazioni.
Ancora maggiore cautela sembra necessaria, di conseguenza, nell'utilizzo delle stesse prove come indice predittivo di disordine fonologico.
Superata questa età critica, sembra che le prestazioni si stabilizzino e consentano di individuare una co-occorrenza di disturbo prassico e linguistico.
All'interno del campione considerato, 3 dei bambini con un residuo disordine prassico vengono rivisti dopo l'età di 6 anni, dimostrando di mantenere il disordine fonologico, valutato attraverso una prova di ripetizione di parole senso (punteggio medio: 46.2/60). Per poter parlare di disturbi concomitanti, tuttavia, sarebbe utile da un lato verificare il permanere del disordine fonologico in tutti i bambini con residuo disordine prassico, dall'altro seguire l'andamento delle abilità fonologiche nei bambini con evoluzione positiva del disordine prassico, per verificare se, specularmente, questi ultimi hanno una positiva evoluzione linguistica.


DESCRITTIVE CAMPIONE COMPLESSIVO (tabella 1)

N

MINIMO

MASSIMO

MEDIA

DEVIAZ.ST.

QI

36

76

127

103.53

13.31

EC1

36

36

80

55.78

10.91

RUST1

33

23.40

100.00

58.74

19.82

ERR1

33

0

11

4.58

2.54

%1

33

0

85

37.36

18.17

VMI1

36

1.00

13.00

5.78

3.28

SS1

36

3

12

8.55

2.13

EC2

19

43

86

61.10

10.04

RUST2

9

39.90

89.50

59.38

19.17

ERR2

9

1

10

4.67

2.83

%2

9

11

56

37.78

18.90

VMI2

16

4

13

7.62

2.89

SS2

16

5

12

8.87

2.12

QI: quoziente intellettivo

EC1-EC2: età cronologica 1 (prima somministrazione) ed età cronologica 2 (seconda somministrazione)

RUST1 - RUST2: punteggio al Rustioni corrispondente all'età cronologica 1 e 2

ERR1-ERR2: numero di errori al RUST1 e al RUST2

%1 - %2: percentuale di errori rispetto al totale delle alternative di risposta al RUST1 e al RUST2Ê

VMI1-VMI2: punteggio al VMI corrispondente all'età cronologica 1 e 2

SS1-SS2: puntegio standard al VMI1 e al VMI2

Test t per campioni appaiati (tabelle 2, 3, 4)

Campione complessivo

t

df

Sig. a due code

VMI1-VMI2

-7.668

15

0.000

Campione >48 mesi

t

df

Sig. a due code

VMI1-VMI2

-6.184

10

0.000

Campione £48 mesi

t

df

Sig. a due code

VMI1-VMI2

-4.146

4

0.014

(tabelle 5, 6, 7)

Test di Wilcoxon

Campione complessivo

VMI1-VMI2

Z

Sig. Asint. a due code

-3.532a

0.000

a. Basato su ranghi negativi b. Basato su ranghi positivi

Campione £48 mesi

VMI1-VMI2

Z

Sig. Asint. a due code

-3.532*

0.000

*Basato su ranghi negativi style='line-height:150%'>Campione > 49 mesi

VMI1-VMI2

Z

Sig. Asint. a due code

-2.941*

0.003

*Basato su ranghi negativi

(tabelle 8, 9, 10)

CORRELAZIONI CAMPIONE COMPLESSIVO

QI

RUST1

%1

VMI1

RUST2

%2

VMI2

QI

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

RUST1

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

0.422*

0.014

33

%1

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

-0.452**

0.008

33

-0.875**

0.000

33

VMI1

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

0.240

0.158

36

0.315

0.074

33

-0.194

0.278

33

RUST2

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

-0.301

0.431

9

0.640

0.171

6

-0.308

.0553

6

0.241

0.532

9

%2

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

-0.503

0.309

6

0.137

0.796

6

-0.217

0.575

9

-0.988**

0.000

9

VMI2

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

0.315

0.234

16

0.043

0.890

13

-0.151

0.623

13

0.776**

0.000

16

-0.247

0.594

7

0.162

0.728

7

CORRELAZIONI CAMPIONE ETÀ >48 MESI

QI

RUST1

%1

VMI1

RUST2

%2

VMI2

QI

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

RUST1

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

0.530**

Ê 0.008

24

%1

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

-0.587**

0.003

24

-0.867**

0.000

24

VMI1

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

0.402*

0.037

27

0.168

0.431

24

-0.132

0.540

24

RUST2

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

-0.561

0.190

7

0.873

0.127

4

-0.731

0.269

4

0.312

0.496

7

%2

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

0.584

0.169

7

-0.874

0.126

4

0.717

0.283

4

-0.300

0.514

7

-0.999**

0.000

7

VMI2

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

0.325

0.329

11

-0.302

0.468

8

0.111

0.794

8

0.864**

Ê 0.001

11

-0.355

0.490

6

0.331

0.522

6

CORRELAZIONI CAMPIONE ETÀ £48 MESI

QI

RUST1

%1

VMI1

RUST2

%2

VMI2

QI

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

RUST1

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

0.249

0.518

9

%1

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

-0.080

0.839

9

-0.951**

0.000

9

VMI1

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

0.079

0.839

9

0.864**

Ê 0.003

9

-0.861**

Ê 0.003

9

RUST2

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

2

2

2

2

%2

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

2

2

2

2

2

VMI2

Correlazione di Pearson

Sig. a due code

N

0.275

0.654

5

0.542

0.346

5

-0.587

0.298

5

0.753

0.142

5

1

1

**Ê correlazione significativa a livello di 0.01

*Ê correlazione significativa a livello di 0.05

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