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PSYCHOMEDIA
RISPOSTA AL DISAGIO
Handicap Fisici e Ritardo Mentale


Dal Notiziario della Associazione Paraplegici di Roma e del Lazio

Para-tetraplegia: qualche riflessione psicodinamica

di Giuseppe Idone*

(* Psichiatra - Medico Direttore Ministero della Giustizia)



Quando venne abbandonato sull'isola di Lemno a causa di una ferita invalidante e maleodorante, Filottete era ancora un abilissimo arciere.
Come quella ferita, anche una lesione midollare - o più in generale una disabilità - è spesso oggetto di pregiudizio; basti pensare all'immagine del portatore di handicap spesso propostaci dai mass-media, dal cinema e dalla fiction ed a quella - forse archetipica ed ereditata dal nostro immaginario collettivo - del disabile quale figura cinica o docile, seduto sulla sua sedia a ruote con la coperta sulle gambe, intento a contemplare il mondo da una finestra.

Tutto ciò pare coesista perfettamente con il suo inverso, ovvero con l'immagine del disabile ritenuto più intelligente e più coraggioso della media ed al quale è negato il diritto di sbagliare. Ciò sembrerebbe trovi anche riscontro nelle avventure di quei personaggi con un difetto fisico che nell'infanzia e adolescenza di molti sono stati protagonisti o eroi di favole e fumetti:il coraggioso Soldatino di Piombo, gli operosi Sette Nani, l'incredibile Devil, il mitico Thor, il carismatico professor Xavier, il balordo-pacioccone Gambadilegno, il crudele-pentito Capitan Uncino e il telegenico Ironside.

La presenza di una persona diversamente abile può scatenare sul gruppo vissuti di ansia fino al rifiuto, il quale - se non può essere pensato o verbalizzato - può dar luogo alla formazione reattiva e a comunicazione del tipo doppio legame. L'handicap evoca quindi nel normodotato l'insostenibile consapevolezza della fragilità del corpo e fantasie riguardo all'imprevedibilità e all'impotenza nei confronti di determinati eventi spiacevoli; il tutto può assurgere ad un vissuto di disagio, difficile da riconoscere e pertanto proiettato sulla persona con handicap, motivo questo per il quale il disabile viene sovente definito paranoico.

Il tradimento e l'attentato compiuti dal trauma alla sfera libidica, le suddettedinamiche relazionali e l'inevitabile peggioramento di precedenti conflitti intrapsichici possono innescare fenomeni psicopatologici quali:

- l'alterazione dell'immagine del Sé e della body image,
- il vissuto di minaccia all'integrità dell'unità psiche-soma ed all'identità,
- il crollo dell'Ideale dell'Io e del livello di autostima,
- l'attivazione di meccanismi di difesa dell'Io.

La rilevante ferita narcisistica dovuta alla perdita dell'efficienza fisica, le barriere architettoniche e culturali, l'arduo inserimento nel mondo della scuola e del lavoro, la maggiore difficoltà del disabile nel manifestare le proprie emozioni e quella dei normodotati ad esplicitare sensazioni negative o positive nei confronti del disabile, sono tutti fattori che rinforzano negativamente il vissuto di frustrazione e di impotenza della persona svantaggiata. Il medulloleso pertanto è psicologicamente a rischio e ciò è per ovvi motivi maggiormente vero se erano presenti precedenti nuclei psicopatologici.

Il soggetto, così colpitonella sua erlebnis di "come io sono" e di "come io compaio", può quindi sviluppare atteggiamenti caratteristici nei confronti dell'handicap:

- iperinvestimento,
- passività,
- esclusione,
- sublime rassegnazione.

Per tali ragioni il counseling psicologico deve dispiegarsi durante tutto il periodo che va dal trauma fino e dopo il critico "ritorno acasa".
Una volta ottenuto un buon livello di collaborazione, l'intervento psicologico inizia con l'indagine psicometrica; è infatti necessario valutare prima di tutto il tipo di rappresentazione mentale che il soggetto ha del suo "nuovo" corpo ed il modo di sentirlo nella mutata situazione, quindi tutto ciò che concerne la body image intesa non solo come "immagine del corpo", ma anche come "concetto del corpo", cioè la maniera in cui il soggetto pensa il proprio corpo.

Una lesione midollare modifica il rapporto Io-Mondo, determinando una rilevante riduzione della funzione di interfaccia tra realtà interna e realtà esterna svolta dal soma: la parte plegica non è più percepita come "corpo vissuto" ma come "corpo fisico".
Questa nuova modalità è da mettere in relazione:

- al diverso dasein, e quindi alla differente modalità di realizzare la relazione e pertanto il controllo dell'Io sull'ambiente;
- alla frequente assenza della percezione sensitiva dell'emisoma plegico conseguente alla deafferentazione dei mielomeri situati al di sotto della lesione; sulla scorta della teoria sull'origine periferica delle emozioni alcuni autori hanno sostenuto che i mielolesi sono emotivamente meno "dotati".

Sappiamo che il corpo ed i vissuti ad esso legati occupano una parte essenziale nella vita psichica dell'essere umano; contributi fondamentali alla comprensione di questi eventi mentali sono venuti dalle varie scuole di pensiero psicologico e psichiatrico: dalla psicoanalisi alla fenomenologia, dalla psicologia sperimentale a quella relazionale. Tutte affermano che l'immagine mentale che possediamo del nostro corpo è in costante divenire, essendo il risultato di vissuti legati sia alle afferenze vestibolari e degli altri organi di senso, sia a quelle di relazione con l'ambiente ed a quelle interpersonali, sia alle sensazioni che provengono dal soma; tutte queste consentono di esperire istante dopo istante la posizione del corpo in relazione allo spazio.

Lo schema corporeo comincia a delinearsi già nei primi mesi di vita prenatale per proseguire con lo strutturarsi di una positiva immagine del Sé, la quale - secondo la psicologia del profondo - riconosce quale perno principale una sufficientemente buona relazione madre-bambino, pertanto la materna capacità empatica trans-formante. Per questo, se la disabilità insorge in un'epoca molto precoce possono scatenarsi meccanismi di rifiuto più o meno inconsci da parte della genitrice, innescando nella psiche del bambino conseguenze potenzialmente destrutturanti; durante questo periodo di sviluppo infatti, egli ha il vitale bisogno della mente della madre, non solo per imparare a pensare, ma anche per imparare a pensarsi, e di lei come specchio ove vedersi, e come contenitore dell'ansia.

Nell'adolescenza o nella tarda adolescenza, un life event importante come una lesione mielica determina un vissuto estremamente doloroso in quanto si tratta di una fase delicatissima della vita individuale nella quale le perdite sono esperite con forti risonanze interne. Questo periodo è inoltre caratterizzato anche dalla riedizione delle problematiche edipiche, per cui una lesione spinale può riattivare in maniera rilevante angoscee fantasie di castrazione; il trauma potrebbe perciò favorire la fissazione di queste fantasie, interferendo negativamente sullo sviluppo psicologico dell'individuo. Nel caso in cui la disabilità insorga in età più adulta si può invece verificare una regressione a fasi dello sviluppo mentale dominate da tali dinamiche.

Bisogna anche ricordare l'impatto psichico che hanno a livello simbolico il midollo spinale e la colonna vertebrale; non a caso i termini smidollato o invertebrato sono utilizzati come dispregiativi dato che questi organi sono fondamentali per la stazione eretta la quale è a sua volta metafora della massima espressione dell'evoluzione del regno animale.

Di spiacevole e frequente riscontro nel medulloleso - e anch'essi strettamente correlati alle alterazioni dello schema corporeo - sono il fenomeno dell'arto fantasma ed i dolori da deafferentazione; essi, oltre ad essere legati ad una flògosi cronica delle strutture nervose limitrofe alla lesione, possono originare dal persistere dell'immagine degli arti paralizzati a livello corticale. Questo sintomo testimonia quindi la rivendicata sovranità della mente nei confronti del corpo: la mente umana, quale suprema creazione della natura, non può accettare che una parte fondamentale della sua soggettualità - come il controllo sensitivo e motorio di un arto - non esista più; come se la mente ritenesse se stessa l'unica depositaria del potere di dare immagine al corpo e di decidere se e quando modificarla.

Per la cura dei disturbi funzionali connessi al dolore, le strategie psicoterapeutiche più utilizzate sono quelle ad indirizzo cognitivo-comportamentale e le psicoterapie espressive.
Per quanto riguarda la terapia farmacologica delle disestesie, essa può avvalersi - purtroppo senza grossi risultati - di vari tipi di antidepressivi e anticomiziali; in letteratura vengono principalmente menzionati questi princìpi attivi:

- amitriptilina,
- carbamazepina,
- clonazepam,
- lamotrigina.

L'esperienza clinica insegna che dopo le dimissioni si presentano spesso sintomi depressivi e/o ansiosi; pertanto, qualora si ravvisasse il rationale per una terapia psicofarmacologica bisogna prestare particolare attenzione agli effetti collaterali ed indesiderati di tali molecole, come l'ipotensione ortostatica e la ritenzione urinaria. Quest'ultima può essere provocata dall'effetto anticolinergico degli antidepressivi triciclici e di alcuni neurolettici e potrebbe determinare un pericoloso episodio di disreflessia autonoma nelle lesioni localizzate al di sopra di D6.

Per quanto riguarda la terapia ansiolitica: l'effetto agonista svolto dalle benzodiazepine sul sistema GABAergico può diminuire eccessivamente il tono muscolare; ciò può essere positivo se è già presente un marcato ipertono, ma può costituire un effetto indesiderato per chi utilizza la spasticità al finedi migliorare il livello di autonomia o per chi già presenta una marcata ipotonia.

Gli obiettivi del laboratoriopsicoterapeutico sulla persona mielolesa potrebbero cosìriassumersi:

- favorire la presa di coscienza dei meccanismi didifesa dell'Io - soprattutto negazione e regressione - sviluppati dal soggetto in seguito al trauma;
- individuare dalle risorse interne del soggetto e nel rispetto della sua natura unica ed irripetibile, nuovi percorsi di sublimazione con il fine di agire sull'Ideale dell'Io;
- stimolare la formazione di una nuova Persona, ovvero l'istanza che nella terminologia Junghiana è quella che media il rapporto tra l'Io ed il Sociale;
- scoraggiare l'eccessivo identificarsi con la disabilità e la nascita di un falso Sé;
- chiarire i dubbi sulla sessualità dovuti soprattutto al diffuso luogo comune dell'antitesi sessualità-disabilità;
- migliorare il livello di autostima, il rapporto con il proprio corpo e quindi evitare il peggioramento o l'irrigidimento diprecedenti conflitti;
- sapere riconoscere se e quando intervenire farmacologicamente, pertanto saper gestire l'eventuale comparsa o ricomparsa di importanti sintomi nevrotici o di poussée psicotiche;
- sostenere il personale sanitario dell'unità spinale;
- sostenere i familiari, in particolare gli eventuali figli del soggetto, se bambini o adolescenti, potrebbero sentirsi privati di una figura di riferimento fisicamente efficiente, condizionando negativamente il fisiologico ed importante processo di identificazione con il genitore.
In conclusione, la relazione terapeuta-paziente deve essere il catalizzatore di quel meccanismo di compensazione, costante testimone che il corpo è sì organismo ma anche risposta al mondo.

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