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Simboli, riti e miti nella storia familiare
attraverso la dmt gestalt

Mafalda Traveni Massella*



Vorrei iniziare questa relazione parlandovi di come la
Gestalt (P.d.G.) si prende cura della famiglia integrando la DMT nel suo modo di operare.


Essendo la terapia familiare un ampio terreno di intervento in cui si possono utilizzare metodologie diverse fra di loro, cercherò di offrirvi dei flash sui concetti di simbolo, mito e rito all'interno del sistema famiglia.


Prima di entrare in merito a quanto detto sopra, vorrei fare una premessa invitandovi a far ri-emergere nella vostra mente alcuni concetti che ho presentato nelle relazioni a Milano: "L'osservazione nella DMT Gestalt" e a Villasimius: "La DMT Gestalt come sostegno nel ciclo vitale".


In quelle due occasioni vi ho illustrato le modalità di contatto che l'individuo attua con se stesso, con l'altro e con l'ambiente e le loro disfunzioni, riferendomi in maniera specifica alla Curva di Contatto e Ritiro dal contatto, al Ciclo Vitale Personale (CVP) e al Ciclo Vitale Familiare (CVF).


Sono anni, ormai, che l'APID offre occasioni di riflessione e di confronto in cui si attua una feconda circolarità di pensiero sulla DMT e le sue specificità.


Credo, di conseguenza, che sia possibile, soprattutto a chi essendo "parte" fin dall'inizio di questa "famiglia" e sentendosene contemporaneamente "a parte", possa fare delle connessioni fra i contenuti via via presentati e, inoltre, se contemporaneamente ognuno si lascerà "attraversare" dagli stessi, potrà verificarsi la "crescita" dell'intera "famiglia" oltre che dei singoli membri.


E' la prima volta che, a livello di Convegno, nell'ambito dell'APID viene dato tempo e spazio a quel luogo di interazioni e transazioni del tutto particolare che è la famiglia e spero che questo tempo e questo spazio possano diventare terreno sempre più fertile per riflessioni e interrogativi.


Anche noi, seguendo l'ottica gestaltica, e cioè diventando sempre più consapevoli del punto in cui ci troviamo, potremmo avviarci verso nuove consapevolezze, quindi, orientare al meglio la nostra progettualità, il nostro passo successivo ("next").


Fatta questa premessa augurale inizio parlandovi del modello gestaltico familiare, sottolineando che ci occuperemo di una prospettiva sistemica ".... La quale indica che ogni realtà non è mai isolata e che vive e cresce grazie anche ad elementi conflittuali presenti sia tra le parti al suo interno sia nell'interrelazione con altre realtà..... (James I. Kepner "Body Process" -1993)


I quadri di riferimento sono principalmente i modelli della Satir che lavora sugli stili comunicativi (1972), di Minuchin che lavora sulle strutture e sui confini familiari (1974), di Withaker per l'uso che fa nel suo lavoro con le famiglie, del paradosso, della metafora, dell'ironia e del suo particolare coinvolgimento personale nell'interazione con ciascun membro della famiglia e della famiglia intera come sistema.


Inoltre ricordo qui i tre aspetti indicati da M. Pandolfi ("La Terapia con la famiglia: un approccio relazionale" - 1974) delle teorie sistemiche applicate alla famiglia:

a) la famiglia come sistema in costante cambiamento
b) la famiglia come sistema che si autogoverna
c) la famiglia come sistema aperto in relazione con altri
sistemi.


La P.d.G., ovviamente, si serve degli aspetti di cui sopra integrandoli negli elementi processuali relativi all'interazione organismo/ambiente focalizzando l'attenzione su ciò che accade ai "confini di contatto".


Afferma Margherita Spagnolo Lobb (Quaderni di Gestalt - n. 4 - 1987) che "... l'apporto specifico che la P.d.G. può dare al processo terapeutico nel sistema familiare, partendo da una prospettiva di analisi basata sul contatto, è il "ripristino" del ciclo naturale del contatto stesso .....".


COME?


".....favorendo la consapevolezza relativa alle modalità disfunzionali del contatto che i vari membri stabiliscono tra di loro e che la famiglia stessa in quanto sistema stabilisce con l'ambiente...." (Margherita Spagnolo Lobb, o.c.)


Quando una persona comincia a diventare più consapevole delle proprie esperienze, significa che si sta spostando da una posizione di confusione e di impotenza ad una in cui riconosce le proprie capacità di scelta e la responsabilità del proprio comportamento.


Questo permette all'individuo di ri-assumere il controllo e quindi di ri-sperimentare e re-integrare aspetti del proprio sé che erano stati messi da parte o allontanati dalla coscienza.


In un sistema interattivo, la responsabilità del comportamento non appartiene né esclusivamente all'individuo né al sistema: è piuttosto "l'individuo-nel-sistema" che agisce in modo interdipendente e autoperpetuandosi.


Ogni membro della famiglia è sia "una parte" sia "a parte" della famiglia stessa. Gestire questa tensione tra le parti e l'intero costituisce il compito essenziale di ogni famiglia ed è proprio quando questa gestione si rivela più o meno difficile o fallimentare che il sistema famiglia ricorre alla terapia.


E' in questo momento che il terapeuta avrà a che fare con l'interfaccia individuo-gruppo e dovrà fornire una struttura in cui ogni membro della famiglia possa sentire di esserne
"una parte" così come "a parte", ovvero "separato" da essa.


Immagino che mentre ascoltate possiate già intravedere le varie possibilità che la DMT in generale offre per affrontare la situazione di difficoltà in cui il sistema familiare può venirsi a trovare; tenendo conto che si tratta di far dialogare fra loro parecchie parti e quindi che non si tratta di un dialogo di "opposti polari" lungo un continuum, quanto piuttosto di un dialogo di e fra "multi-larity".


Per esempio si può far prendere consapevolezza ad alcuni membri della famiglia sia delle sensazioni sia dei sentimenti proiettati su altri membri e contemporaneamente fornire un ambiente adatto per la loro espressione, tenendo conto che è necessario lavorare "attraverso" la "riluttanza" (come i Polster definiscono la resistenza al contatto) piuttosto che combatterla; e, inoltre, aiutare la famiglia e l'individuo/individui nella famiglia ad esplorare in dettaglio "dove si trova" - "cosa sta facendo nel punto in cui si trova" - "come lo sta facendo", ecc. rendendo esplicito l'ovvio.


Anche qui la nostra mente può andare velocemente ad esperienze di DMT in cui gli elementi di cui sopra possono essere esplorati, vissuti e svilupparsi in modalità espressive positive per se stessi con se stessi, per se stessi in relazione con l'altro e l'ambiente.


Il pensiero che sottende quanto esposto finora e che ci proviene dalla Psicologia Evolutiva è che "... ogni organismo ha in sé la tendenza e le energie necessarie per svilupparsi sino alla pienezza che gli è propria e quindi chiudere il suo ciclo evolutivo "; inoltre dalla Psicologia Umanistica sappiamo che ".... Il fine dell'organismo non è tanto l'omeostasi quanto piuttosto il raggiungimento della propria autorealizzazione....." (Giovanni Salonia - "Il lavoro gestaltico con le coppie e le famiglie: il Ciclo Vitale e l'integrazione delle polarità" - Quaderni di Gestalt - n. 4 - 1987).


Possiamo a questo punto affermare che lo scopo primario dell'intervento terapeutico gestaltico a livello familiare non è la "risoluzione" del problema quanto piuttosto la "crescita "dei singoli membri e contemporaneamente della famiglia come sistema, il che potrebbe consentire a ciascuno di risolvere da solo o come gruppo i problemi che bloccavano lo sviluppo naturale del Ciclo Vitale sia personale sia familiare.


Il ruolo del terapeuta gestaltico possiamo affermare di conseguenza che è più vicino a colui che "facilita" piuttosto che a quello di uno "stratega" e che anche quando utilizza delle tecniche tiene conto dei livelli di consapevolezza che affiorano man mano per modulare il proprio intervento terapeutico al fine di facilitare un fluire naturale verso il cambiamento piuttosto che un forzare in modo direttivo il processo.


La richiesta di aiuto proveniente dalla famiglia va sempre riportata al contesto di riferimento nel ciclo vitale familiare: essa si inserisce in una fase "storica" della famiglia ed è lì che va ricercato il "significato" della domanda, ossia individuato il bisogno che preme per essere risolto.


Nell'ambito della vita familiare i compiti di crescita dei figli interagiscono costantemente con i compiti dei genitori. Si tratta di partecipare ad un processo di "individuazione" reciproco che necessita di una regolazione della "distanza" con un aumento della flessibilità e permeabilità dei confini familiari (Maurizio Andolfi - 1987).


Le difficoltà sono legate alla dialettica: distanza/autonomia - appartenenza/separazione - identificazione/differenziazione che, durante il passaggio da una fase del ciclo vitale all'altra, comporta la ri-negoziazione dei ruoli familiari, la quale, a sua volta, genera cambiamenti personali e modificazioni strutturali del sistema.


A questo punto riuscire a tollerare la disorganizzazione all'interno di sé è una qualità per le successive strutturazioni della personalità individuale e una capacità per la famiglia per compiere graduali aggiustamenti nell'integrare il nuovo evento.


La famiglia deve accomodare, come già detto, la "distanza", psico-socio-affettiva tra i suoi membri nel corso delle sue fasi evolutive, quando si sviluppa la sessualità o si perdono dei componenti.


Possiamo anche pensare a questo movimento di aggiustamento come ad ".... Una danza con un ritmo insolito, quello dell'avvicinamento e dell'allontamento e del totale smarrimento e stravolgimento di ogni significato dinanzi all'ignoto che l'altro incarna, incantandoci e disorientandoci...." . da i "Riti e miti della seduzione" di Aldo Carotenuto; testo in cui l'autore usa questo pensiero per illustrare i riti e i miti della seduzione, che, secondo me, rende bene l'idea del movimento di "andata-ritorno" che si instaura fra i due poli del "trattenere e del lasciare la presa.


Il CVF è scandito da "eventi nodali" e il passaggio da uno stadio all'altro è caratterizzato dal cambiamento dei temi emozionali legati a tali eventi e, come già detto, molto spesso è in prossimità di questi eventi che la famiglia entra in crisi e si rivolge alla terapia; a volte la richiesta da parte della famiglia è conseguente anche a vissuti familiari più genericamente presenti nella stessa.


Fra questi vissuti va posta particolare attenzione ai miti, ai segreti familiari, alle fedeltà invisibili che hanno speciale "risonanza" nelle dinamiche familiari e che spesso si esprimono attraverso il "non detto" o adirittura il "negato"
("Invisibile loyalties" - I. Boszormeny - I. Nagy - G.M.Spark - 1973) "Secrets in the family" - L. Pincus 1978).


Le pietre miliari nel ciclo vitale sono i misteri universali della nascita, dell'accopiamento e della morte. Essi sono stati sempre avvolti da miti e tabù sociali e i sentimenti ad essi connessi sono rimasti segreti e pieni di potere in ogni momento della storia umana.


E' soprattutto con la comprensione psicodinamica che si è capito quanto questi sentimenti sconosciuti possano essere dannosi e inibenti .

Renderci, quindi, consapevoli delle nostre risposte a questi eventi e delle esperienze e sentimenti ad essi connessi ci renderà capaci di non esserne dominati.


Dice J. Campbell - "Il racconto del mito" 1995 - che i miti insegnano che se guardi dentro di te puoi iniziare a recepire il messaggio dei simboli.


Secondo Ferreira si trovano miti praticamente in tutte le famiglie e sembra, aggiunge, che una certa quantità di mitologia familiare possa risultare necessaria per un buon funzionamento perfino delle più sane relazioni familiari (A.J. Ferriera "Family miths, the covert rules of the relationship" -1965; "Family mith and homeostasis" - 1963)


L'importanza dell'influenza nella famiglia, specie relativamente a quel tipo di segreti che i suoi componenti conoscono, ma che suppongono di non conoscere completamente, è molto bene nota a chi si occupa di clinica.


L'idea che certi processi familiari siano analoghi a quelli che hanno dato origine ai miti nella società ha fornito importanti contributi allo studio delle famiglie (J. Bingh Hall "Family miths and drums" - 1976)


La psichiatria inglese e non solo quella ha usato il concetto di miti familiari per comprendere degli aspetti di certi casi di scompenso schizofrenico (R.D.Scott "The shadow of the ancestor: a historical factor in the transmission of schizofrenia" - 1969).


Sempre J. Campbell (o.c.) afferma che il mito è il materiale della nostra vita, del nostro corpo e del nostro ambiente e avvicina mito e sogno affermando che entrambi vengono dallo stesso luogo, ovvero, vengono da determinate percezioni che devono poi trovare espressione in forma simbolica.


Il concetto di mito non è di facile definizione: si può usare per descrivere una falsificazione di una situazione o si può usare per intendere storie o leggende che svelano piuttosto che nascondere essenziali verità sottostanti.


E' importante, comunque, non confondere il mito con il racconto: questo ultimo ha scopo di intrattenimento, il mito educa lo spirito e contemporaneamente ti fa vedere la vita come una poesia, una poesia di cui fai parte: ha, quindi, in sé una componente di "fascinazione".


I miti riguardano fondamentalmente la forza, la dipendenza, l'amore, l'odio, il desiderio di prendersi cura di qualcuno, di ferire , quindi sentimenti collegati al sesso, alla nascita, alla morte che ogni membro di una famiglia (e non solo) può
provare..

Essi non restano proprietà dell'individuo, le risposte degli altri membri della famiglia mettono in moto processi di interazione che rafforzano o indeboliscono i suoi effetti.


Molto spesso questi segreti condivisi inconsciamente da genitori o fratelli passano in maniera silenziosa, quasi scivolano da una generazione all'altra finchè diventano un mito.


Anche un evento negativo tenuto segreto o le fantasie ad esso collegate, non sono più distinguibili dal mito e determinano il comportamento della famiglia o di un membro della stessa: i segreti o i miti più frequenti e meglio nascosti sono quelli che derivano da sentimenti o fantasie incestuose.


Ogni qualvolta un membro della famiglia è in grado di sfidare un segreto, un mito familiare anche l'atteggiamento degli altri membri nei confronti del segreto/mito sembra cambiare, viene infranto il sistema di collusione ed emergono fatti o nuove fantasie.


Che un segreto o un mito siano basati su un evento reale o su fantasie derivanti da tale evento, non sembra avere importanza nei confronti della sua influenza; inoltre spesso l'origine di un mito familiare è perduta, ma sembra che anche questo non ne indebolisca la forza e l'efficacia.


Potremmo dire che si tratti di qualcosa di sotterraneo che, come già detto, scivola di generazione in generazione rimanendo silenzioso per poi ri-emergere o esplodere nel comportamento di uno dei membri della famiglia.


Devo anche aggiungere, proprio per l'esperienza di terapie svolte con famiglie, che di tanto in tanto i miti costituiscono una distorsione clamorosa dei fatti vissuti attraverso di essi.


Sembra che i riti almeno quelli che segnavano i passaggi da uno stato ad un altro siano scomparsi - anche se personalmente ritengo che vi siano forme rituali che sottolineano avvenimenti diversi da quelli che i riti celebravano una volta - qualcosa del genere può accadere anche ai miti? Dovremmo cambiare anche per i miti i parametri di riferimento e di comprensione?


A J. Campbell è stata posta la domanda "quale sarà secondo lei il mito del futuro?"; la risposta è stata : ".... Parlerà.... del rapporto dell'individuo con la società e quello della società con il cosmo .... Parlerà di una società planetaria...."


France Schott-Billmann sostiene che la "... mitologia traspone e rende in forma simbolica l'esperienza umana e consente all'insieme del gruppo di comprendere la condizione umana.


E' questa modalità velata e contenuta nel simbolico a rapresentare una via verso l'inconscio più facilmente percorribile proprio perché libera da proibizioni superegoiche un tempo provenienti dall'esterno e da tempo ormai interiorizzate.


Fantasmi, ricordi, rappresentazioni, introietti possono essere espressi proprio perché sufficientemente travestiti, coperti dal velo del simulacro, del "come se" e quindi tollerati dalla censura.


Ritualizzare la trasgressione delle regole sociali, degli introietti, facendo sostenere tutto ciò da un ritmo oltre che da un linguaggio simbolico è ciò che nella DMT Gestalt intrisa di Expression Primitive ne determina l'efficacia.


Secondo France Schott-Billmann l'efficacia simbolica è delicata e si sostiene con il velo della poesia, del ritmo, della danza, della musica sotto cui opera.


L'autrice, inoltre, parla di un "gioire simbolico" dicendo che "... esiste una trasposizione dello psichismo nel linguaggio simbolico e che offrire simboli, attinti dalle rappresentazioni collettive, può consentire, attraverso la narrazione mitica, il risveglio, la canalizzazione e l'espressione dei propri affetti


Il mito allora può diventare un campo ricco di simboli e suggerimenti che ci permettono di andare alle origini delle cose e di riuscire a cogliere l'intimo legame che le mette in relazione fra di loro.


Sempre France Schott-Billmann riferendosi a quanto Levi-Strauss scrive nel suo testo "Antropologia strutturale" aggiunge:
"... l'efficacia terapeutica del simbolo va vista nella sua capacità di dare senso al non-senso della sofferenza, traducendo un particolare stato patologico nel linguaggio del mito e dando in tal modo un nome al disordine..."


A proposito del disordine afferma Desoille ("Sogno da svegli guidato") "... il disordine psicopatologico è accessibile solo al linguaggio simbolico...."...."


Sul mito vorrei aggiungere solo alcune osservazioni che nelle mie letture mi hanno colpita e cioè:

- ".... i miti rivelano l'essenza dell'anima"

- " il mito è da ascoltare non da interpretare perché in esso la psiche si racconta e si narra"


Ho detto inizialmente che vi avrei fornito dei flash su rito, mito e simbolo, senza peraltro con ciò essere esaustiva del vasto campo che questi concetti occupano.


Vi ho parlato finora del mito e per chiudere la relazione aggiungerò qualcosa su simbolo e rito.


Vi ricordo un concetto che certamente vi è noto ovvero che il simbolo offre alle pulsioni una via di uscita in un linguaggio che le articola a nuove rappresentazioni il che consente una positiva ri-organizzazione dello psichismo.


Detto questo vi riporto alcune definizioni di simbolo incontrate, sempre, nelle mie letture:

- per Corbin (1954) il simbolo ".... Non è un segno artificialmente costruito, ma è ciò che nell'anima spontaneamente si schiude per annunciare qualcosa che non può essere espresso altrimenti....... "..... è l'unica espressione attraverso una realtà che si fa trasparente all'anima, mentre in sé stessa rimane al di là di ogni possibile espressione...."


- per Creuzer il simbolo"... è una epifania del divino.... " è....come un raggio che giunge dalla profondità dell'essere e del pensiero...." (1810-12)

Una lettura affascinante e per certi versi e tratti quasi poetica, con ricchi riferimenti bibliografici, è stato, per me, il pezzo monotematico in Riza Scienze "Curarsi danzando" del 1986 di Paola de Vera d'Aragona in cui viene trattata, tra altri contenuti, anche la simbologia della danza, del movimento che nella danza trova il suo luogo preferenziale, dello spazio, del tempo e anche del ritmo; è una lettura che, se per caso qualcuno non avesse già fatto, inviterei a fare.


Il termine simbolo deriva dal greco "simbolon" e indica in origine un segno di riconoscimento ottenuto spezzando un oggetto in due parti.

Sapete certamente che Platone - nella sua opera "Simposio" - narra di un mito secondo il quale Zeus per punire gli uomini li avrebbe tagliati in due parti senza mai ricomporle.; da allora ognuno è "simbolon" di un uomo : è la metà mancante di una totalità della quale va in cerca.

La caratteristica più evidente del simbolo è il RINVIO ad altro per cui l'oggetto è simbolico se lo si considera insufficiente di per sé, ma parte di qualcosa che sta altrove e che ad essa rimanda.


Un'altra caratteristica del simbolo è il suo carattere UNIFICANTE per cui esso concilia le differenze, mette in comunicazione, media realtà diverse eterogenee e anche contrastanti.

Se noi poi consideriamo il simbolo come rappresentazione "visibile dell'invisibile" ne possiamo riconoscere un valore rivelativo.


Se prendiamo in considerazione il pensiero di Creuzer sul simbolo per cui lo definisce come un mezzo tramite il quale "... l'uomo riconosce ed esprime in forma sociale o rituale le potenti forze che sente intorno a sé e in tal modo le domina e le conduce a un controllo sociale...." possiamo intravedere nel simbolo anche un ruolo sociale in quanto esso aggrega intorno a se gli uomini che in esso si riconoscono


Vediamo ora il simbolo da un punto di vista psicoanalitico:

- Freud considera simbolici tutti i meccanismi che modificano un contenuto nascosto (latente) rendendolo manifesto e afferma che i simboli si possono ritrovare anche nei miti, nel folklore, nella religione e che questi sono invariabili anche se appartenenti a culture diverse; Freud ipotizza che la loro origine vada ricercata nell'eredità filogenetica

- per C.G. Jung il simbolo è una manifestazione dell'archetipo prodotta dalla parte più profonda e collettiva della mente umana

- per J. Lacan, infine, non è tanto importante il simbolo in sé, quanto piuttosto il "simbolico" visto come "sistema dei simboli". Egli dice praticamente che i simboli non sono importanti per i contenuti ai quali rinviano, ma per la rete di rapporti che intrattengono fra di loro e aggiunge: l'inconscio è il luogo di questo sistema che ha la struttura del linguaggio nel quale ogni termine riinvia ad un altro e ha un senso solo in relazione all'insieme"

"La natura è un tempio dove pilastri vivi
lasciano talvolta uscire parole confuse
l'uomo vi passa attraverso foreste di simboli
che lo osservano con sguardi familiari"

I fiori del male (C. Baudelaire")



Passiamo, per ultimo, al rito.

Afferma V. Caprioglio che il rito significa "percorso" e che nelle Tradizioni veniva utilizzato per indicare il processo di "individuazione" cui l'uomo è soggetto e a cui il corpo sembra essere tutt'altro che estraneo. L'autore dice che rito, mito e malattia sembrano essere elementi tra loro totalmente sovrapponibili e, aggiunge, che la malattia come espressione di crisi ma anche di profondo e positivo cambiamento si inserisce in quel percorso evolutivo raccontandone le tappe con un linguaggio assimilabile a quello del ritologema e del mitologema.


Del rito vorrei elencare alcuni tratti-funzioni e caratteristiche tipici


- il coinvolgimento profondo che esso implica
- il clima di crisi personale nel quale talvolta si inscrive
- il senso di rinnovamento che ispira

- una funzione regolatrice che tende a sottrarre il mondo dal caos per regolarlo: e costituisce il principio morale e religioso della società (D. Sabbatucci - 1991)

- una funzione di memoria descritta efficacemente nel testo di C.Severi "La memoria rituale" in cui l'autore si chiede

".. cosa trattiene e cosa cancella la memoria di una
società? .... Come si preserva nel tempo quel sapere
condiviso che chiamiamo tradizione...."

Se torniamo alle sue caratteristiche possiamo parlare della ripetitività per cui ogni rito è costituito da azioni che si ripetono con ritmo giornaliero, settimanale, annuale, oppure senza scansione temporale fissa quando le circostanze lo richiedono.

Tale ripetitività implica aderenza a un canone che a sua volta deriva da un evento fondatore o da una tradizione che l'ha definito per cui non vi è solo ripetizione di gesti ma anche di un modello originario; in questo senso attraverso la ripetitività si crea anzi si rinnova un legame fra attualità e "quel" tempo delle origini....

Il rito ha una qualità di efficacia che non si intende in senso assoluto, ma relativo alla cultura che lo pratica: l'uomo che lo pratica è convinto che esso produca degli effetti, si tratta di una efficacia in senso simbolico; è proprio attraverso
il rito che l'uomo accede ad un ordine simbolico che è altro rispetto a quello quotidiano e contemporaneamente non meno reale di quest'ultimo.

Durkeim per esempio riconosce nel rito un rapporto dello stesso con la dimensione del sacro per cui. attraverso il rito, si mantiene e nello stesso tempo si supera il limite che separa il sacro dal profano.

Il rito infine è collettivo nel senso che è riconosciuto a livello sociale per cui compiere un rito significa accettare coscientemente di porsi all'interno di una tradizione nella quale si trovano altri uomini, va quindi visto come fattore di coesione di un sistema sociale, garantendo la permanenza e contemporaneamente il rinnovamento dei valori su cui si fonda; possiamo parlare perciò di una valenza psicologica e di un ruolo sociale del rito.

Il discorso su rito, mito, simbolo e ritmo certamente potrebbe proseguire e quanto detto ha messo in luce solo alcuni aspetti di questi elementi che quasi sempre si compenetrano, si sostengono e si sottolineano nel loro
verificarsi.


Termino qui il mio parlare e vi ringrazio per l'ascolto.



*Mafalda Traveni Massella
Psicologa, formatore, supervisore
DMT-APID; membro Com. Registro APID
Responsabile didattico

Centro metafora gestalt
Scuola Formazione Professionale DMT Gestalt
acreditata "momentaneamente" APID
Via Trento, 20/10
16145 Genova
tel. 010/364955 - cellulare 328/4225755
fax 010/3107147
e-mail danzaterapia@metaforagestalt.it
sito web www.metaforagestalt.it



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