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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: ARTE E PSICOTERAPIA
Area: Psicologia e fotografia


La bellezza oscena di Jan Saudek

Barbara Collevecchio


Tutta l’opera di Jan Saudek è sotterranea, inquietante, evidente, oscena eppur leggiadra . Perché Saudek ci espone il corpo in modo inquieto, carnale, ma con una crudezza ridipinta dai colori dell’anima.

Nani, ballerine, personaggi lievi ed eterei o crudi e pastosi si inseguono e siderano in uno spazio “non luogo”. In una cantina/ sotterraneo psichico in cui la luce ed il mondo fuori, filtrano da una finestra simbolo.

Tutto il male del nazismo, tutta la persecuzione fuoriosa del corpo si estetizza nei soggetti di Saudek che mostrano brutture sublimate e un disperato bisogno di esser-ci pur nel loro essere negati.

Ed ecco allora le donne felliniane, adipose, straripare bellezza ed offrirsi ironiche al nostro sguardo.

Ed ecco le kore, le donne anima: delicate, soffuse, farsi materia nell’immateriale e nel superfluo, pure e sporche nello stesso tempo.

Ed ecco i seni e le natiche che si mischiano, i corpi che si attorcigliano sotto una finestra per dire al mondo “ ci siamo ”. In questo palcoscenico dell’umano nell’umano la finestra da cui filtra il mondo è l’opportunità della non emarginazione. Perché l’arte di Saudek non ci lascia trafitti ed esclusi, l’intonaco scrostato di una psiche costretta a difendersi nel sottuosuolo ha un’opportunità: dal cielo di Saudek filtrano le stelle e illuminano l’emarginazione.

Forse questa è una parabola umana, oltre che artistica, un tentativo di fare bellezza e anima , tingendo la materia cruda. Un tentativo di dire sì anche quando il nostro spazio vitale è ristretto.

Infatti durante la seconda guerra mondiale la famiglia dell’artista fu deportata e tornato a Prag a egli stesso fu costretto a lavorare in uno scantinato.

Ci sono sempre un “vedere” ed un “esporsi” profondi nell’arte di questo artista: dall’occhio di un mondo che entra nella stanza sotto forma di cielo, all’esporsi dei corpi nel ridicolo, nella leggerezza pesante del loro dasein.

Il concetto di tempo , quel tempo che in un campo di concentramento si sidera, così come il pensiero, è sempre presente nelle sue opere che giocano con un’ estetica decadente fatta di tube, calze di seta colorate , cappelli e velette.

L’ironia, il principio di vita , il dio Eros in tutta la sua accezione vitale e gioisa, trionfa sul tempo lineare creando una surrealtà colorata, luna pennellata vitale che può fermare tutto quello che ci blocca, tutto quello che ammuffirebbe in cantina se questa cantina ( metafora psichica), non si colorasse di speranza.

Arte oscena perché, come diceva Carmelo Bene, OSCENO significa “fuori dalla scena”, ovvero “o-skenè”.

La scena principale del mondo che ci circonda e soprattutto del mondo nazista che Saudek ha vissuto, è un palcoscenico di finta perfezione, di bellezza legata all’assoluto della forma dove non c’è una piega, non c’è uno strappo. L’imperfezione, le brutture, il piastriccio vanno rimossi e gettati altrove. Ed è dalla sua cantina luogo mentale/ atelier che Sauked oscenizza il suo mondo, la vita vera e tutta l’umanità di un piccolo meraviglioso esercito di essersi umani imperfettamente erotici, vibranti e bellissimi nel loro eroismo.

Nel loro coraggio di esporsi imprecisi, perturbanti e fastidiosi.

Tutto ciò che è nel sottosuolo, tutto ciò che è ctonio e riprovevole emerge nel colore vivace che questo grande artista ci regala come un atto di amore, come un atto di fede , come il gesto erotico/eroico di chi sa guardare con una prospettiva diversa e lo fa “ in direzione ostinata e contraria”, creando bellezza.

JAN SAUDEK (Praga, 13 maggio 1935) è un fotografo ceco.

Figlio di un direttore di banca, di origine ebraica, Jan Saudek nasce a Praga, la sua famiglia viene deportata nel Campo di concentramento di Terezín, dove moriranno alcuni dei suoi fratelli.

Dopo la guerra comincia a dipingere e disegnare. Nel 1950 viene assunto presso una tipografia e dal 1954 al 1956 viene chiamato ad assolvere gli obblighi di leva. Nel 1958 sposa Marie, dalla quale avrà due figli: Samuel e David. Nel 1959 Marie gli regala la prima vera macchina fotografica, una Flexaret 6 x 6.

Nel 1963, ispirato dai lavori di Edward Steichen e dal catalogo della sua famosa esposizione a New York intitolata The Family of Man, decide di diventare un fotografo professionista.

Nel 1969 si reca per la prima volta negli USA, dove il curatore Hugh Edwards lo incoraggia a continuare nella sua professione di fotografo e all'università di Bloomington nell'Indiana inaugura la sua prima mostra personale.

Tornato a Praga, è costretto a lavorare in uno scantinato per evitare il controllo della polizia. Le sue prime fotografie erano stampate in bianco e nero o virate seppia. Verso la metà degli anni settanta, su pressione dei suoi clienti, prende la decisione di colorare ad acquerello le sue stampe in bianco e nero, dando vita ad uno stile particolare e riconoscibile.

I suoi temi principali sono l'erotismo e il corpo femminile, che Saudek carica di simboli religiosi e politici di corruzione e innocenza. Spesso raffigura scene oniriche, dipinte a mano, in cui figure nude o seminude vengono ritratte sullo sfondo di una parete dall'intonaco scrostato, che altro non è che la parete del suo scantinato. Altro tema ricorrente della fotografia di Saudek è l'evocazione dell'infanzia. Spesso Saudek ritrae lo stesso soggetto, nella stessa posa, a distanza di anni per descrivere il trascorrere del tempo.

Nel 1970 Saudek si separa dalla moglie Marie. La sua reputazione internazionale cresce sempre di più e molte sono le collaborazioni di prestigio e le esposizioni dei suoi lavori, ad Anversa, Bruxelles, Bonn, Losanna, Parigi, Chicago. Nel 1983 viene pubblicata la prima monografia su Saudek, Il mondo di Jan Saudek, in lingua inglese, tedesca e francese.

Nel 1984, dopo anni di lavoro in una fabbrica, il governo comunista gli concede un permesso così che, libero dal vincolo del salario settimanale, dedica tutte le sue capacità e il suo tempo alla fotografia artistica.

Saudek vive e lavora tuttora a Praga.

barbara.collevecchio@yahoo.it

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