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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: ARTE E PSICOTERAPIA
Area: Psicologia e fotografia


Sull'insaturo

Carlo Riggi


Il pensiero è mosso dall’assenza. Di un messaggio del tutto esplicito il fruitore non può che “prendere atto”, saturando la propria mente di contenuti già masticati e digeriti da altri. Una comunicazione così concepita comprime la possibilità di operare in termini simbolici e toglie vitalità al pensiero, che di simbolismo si nutre. La pornografia è tale non quando mostra cose “proibite”, ma quando blocca il pensiero. È una risposta che si è separata dalla sua domanda.
In fotografia, l’ansia di definizione ci porta alla ricerca di ottiche sempre più nitide, “taglienti”, prive di aberrazioni, capaci di riprodurre il reale senza approssimazioni, senza sfrangiature, in una bidimensionalità perfetta, priva di anfratti ove possano annidarsi contenuti imprevisti. Così, la fruizione dell’opera fotografica scivola verso un mero assorbimento tautologico (“vedo quel che c’è”) privo di quello sguardo trasognante e immaginativo che ogni fotografia degna di questo nome dovrebbe sollecitare.
Il nostro apparato percettivo organizza ogni volta che può, come può, le immagini in unità fenomeniche coerenti. Le leggi che regolano la configurazione del campo visivo sono state individuate dai teorici della Gestalt, esse sono: vicinanza, somiglianza, destino comune, continuità di direzione, chiusura, pregnanza e esperienza passata. Mentre le prime hanno un carattere prettamente grafico e oggettivo, le ultime due impegnano direttamente la psiche: attraverso la memoria e la discriminazione semantica. La cultura dell’osservatore consente di individuare nelle strutture visive gestalt sempre più complesse, efficaci, esteticamente significative e originali. La nostra mente individua grafemi a partire dai più semplici (rette, cerchi, triangoli, quadrati...) e in quelli riconosce delle "buone forme", oppure individua facili legami associativi, e altrettanto ne risulta appagata. Le leggi della percezione valgono per il fruitore più ingenuo come per l'artista più smaliziato. Compito dell'arte è trovare nuove configurazioni, sovvertire stilemi, inventare inedite dinamiche visuali.
I tradizionali parametri “ortografici” utilizzati per la lettura delle fotografie non tengono sempre conto di tutte le forze in gioco. Vettori e direttrici rappresentano dinamiche percettive interne agli elementi che ci sono, ma non dicono nulla di ciò che non c'è e che pure grava in modo significativo sulla fruizione dell'immagine.
Propongo una esemplificazione non strettamente fotografica. Supponiamo di voler fare un esame fonetico, metrico, volumetrico e semantico del seguente pittogramma:

O Z Z O

Sul piano orto-grafico possiamo scomporre il testo in blocchi, individuare un unico volume, due volumi sillabici speculari o le quattro singole lettere, tracciare un vettore rettilineo orizzontale sinistra->destra, invertirlo evidenziando la natura palindroma della parola, definire forze gravitazionali centrifughe e centripete, a chiudere verso le zeta o ad aprire verso le vocali periferiche.
Ma su tutto questo prevarrà sempre e comunque la "parte mancante", quella prima lettera che la nostra esperienza collocherà automaticamente a configurare una qualche gestalt nota. Questa lettera mancante definirà l'intero contesto, mutando radicalmente il significato dell’intero blocco a seconda che sia una P, una T, una R... Non solo. Modificherà pure il valore delle singole parti. La R, per esempio, farà sì che le zeta diventino dolci, mentre altre consonanti le renderanno dure.
Se questa prima lettera fosse già presente, la parola si configurerebbe nella propria interezza e costituirebbe uno stimolo saturo, del quale solo sarebbe dato di prendere atto come dato comunicativo definito e chiuso. Ma poiché non è presente, siamo spinti ad operare processi inferenziali sulla base degli stimoli disponibili. In ogni raffigurazione (verbale o visiva) è tanto importante quel che c'è quanto quel che non c'è, o è appena fuori campo.
Proviamo a ridurre le informazioni del nostro pittogramma:

Z Z O

Le potenzialità di significazione si ampliano enormemente. Mentre prima, OZZO, spingeva verso la costituzione di alcune gestalt date dalle iniziali P, T, R, M, S. Adesso lo stimolo si apre a tutta una serie di nuovi significati possibili. La nuova forma può determinarsi come: mezzo, pezzo, pazzo, lazzo, razzo, pizzo... oltre a quelle già disponibili in precedenza. L’insaturità amplia la gamma interpretativa riducendo proporzionalmente l’efficacia definitoria dello stimolo iniziale. Più lo stimolo (testo o immagine) diventa insaturo, più amplia le proprie potenzialità interpretative.
Fino a un certo punto, però. C’è una soglia oltre la quale l’insaturo produce confusione e la mente non è più sollecitata al pensiero ma resta intrappolata nella indeterminatezza e nell’impotenza.
Sottraiamo ancora informazioni al nostro pittogramma:

Z O

Il testo, adesso espandibile in ogni senso, perde fatalmente ogni capacità evocativa. L’eccesso di libertà interpretativa soffoca l’attivazione del pensiero, tanto quanto farebbe un testo ipersaturo. Nell’uno e nell’altro caso il testo (l’immagine) perde la propria valenza creativa, promotrice di pensiero, e rende la fruizione frustrante e immobilizzante.
L’autore d’arte, sia esso uno scrittore o un fotografo, deve imparare a muoversi in quest’area di mezzo, “transizionale” e creativa, variamente distante fra il troppo saturo e il troppo insaturo.
Questo vale pure per le interazioni tra lo psicoterapeuta e il proprio paziente. Penso che i nostri messaggi terapeutici, in primis l’interpretazione psicoanalitica, debbano sempre contenere una quota di insaturo, un sottile “fuori campo”, uno sfuocato, un elemento di indeterminatezza o di mistero. Il desiderio di essere esaustivi rischia di condurci a interpretazioni “pornografiche”, fortemente limitanti della capacità di espandere significati, di avviare nuove derive di senso, di pensare.

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