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PSYCHOMEDIA
ARTE E RAPPRESENTAZIONE
Cinema



Cinema, un viaggio nel tempo
tra esplorazioni psicologico-psichiatriche e mutamenti
tecnologico-comunicativi: dal cinematografo al cinema interattivo

di Loredana Fanelli, Pierluigi Orlando e Tiziana Vallati


Introduzione

La grande molteplicità dei temi trattati e trattabili cinematograficamente consente, da un lato una grande fruibilità del mezzo da parte di un target profondamente diversificato, dall'altro rende difficile una concezione unitaria del cinema inteso come strumento di crescita e riflessione collettiva su argomenti di interesse generale, essendo di volta in volta considerato esclusivamente o come strumento di svago o come prodotto industriale della società dei consumi, o ancora come strumento di autorappresentazione sociale. Per ottenere un'immagine globale è necessario che tutte queste visioni siano unificate e collegate al nucleo centrale della cinematografia: il suo essere uno strumento di comunicazione, da un lato unidirezionale, dall'autore al pubblico, dall'altro circolare considerando gli effetti che le pressioni sociali esercitano sulla scelta degli argomenti da trattare.

Tenendo presente la vasta portata del fenomeno cinema, e quindi l'impossibilità di una trattazione esaustiva, nella presente relazione verranno brevemente affrontate le seguenti aree:

1) cenni storici: evoluzione della tecnica cinematografica,
2) il cinema come strumento di esplorazione psicologico-psichiatrico,
3) cinema d'arte: un'esperienza nel piccolo gruppo di psicotici,
4) cinema, Internet e nuove tecnologie.

Cenni storici: evoluzione della tecnica cinematografica

Tecnicamente la cinematografia è basata sul fisiologico processo visivo della permanenza delle immagini retiniche, per cui la percezione del movimento è una illusione determinata dalla presentazione in rapida successione di immagini fisse. La formulazione di questa teoria avvenne nel 1829 ad opera di G. A. Plateau che nel 1832 creò il primo strumento per la "visione di immagini in movimento": il fenachistoscopio; nello stesso periodo S.R. von Stampfer realizzò lo stroboscopio (simile al precedente). Nel 1833 W.G. Horner perfezionò questi due strumenti producendo lo zootropio. La proiezione delle immagini in movimento fu possibile nel 1866 con la nascita del coreutoscopio ad opera di Beale e Molteni. Il prassinoscopio di E. Reynaud del 1877 gettò le basi del "théatre optique" utilizzato con successo fino al 1900.

Contemporaneamente si sviluppò la cronofotografia, nella quale alcuni degli apparecchi precedenti furono utilizzati per riprodurre il movimento con fotografie invece che con disegni. Il limite di questa tecnica è costituito però dalla possibilità di analizzare solo azioni brevi. Nel 1887 E. J. Marey utilizzò "strisce di carta sensibile", sostituite poi con la "pellicola trasparente di nitrato di cellulosa" ideata nel 1889 da G. Eastman, che permise anche la realizzazione del cinetografo, nel 1891, da parte di T. h. A. Edison, "con il quale [ ... era possibile riprendere ... ] film che venivano proiettati mediante il cinetoscopio". Ed è proprio partendo dall'idea di Edison che i fratelli Lumière, nel 1895, perfezionarono il cinematografo di L. Boully, presentato a pagamento il 28 Dicembre 1895 al Grand Café di Parigi, proiettando "scene di vita quotidiana", "l'arrivo di un treno", "l'uscita degli operai". La nascita della cinematografia commerciale risale al 1896, anno in cui fu presentato il proiettore vitascope di Armat. Da questo momento in poi si ebbero continui miglioramenti senza altre grandi innovazioni fino all'introduzione del cinema sonoro e del colore.

Il cinema come strumento di esplorazione psicologico-psichiatrico

"Come la musica, il cinema racchiude in sé la percezione immediata dell'anima. Come la poesia, esso si sviluppa nel campo dell'immaginario. Ma, più della poesia, più della pittura e della scultura, esso opera mediante ed attraverso un mondo di oggetti dotati della determinazione pratica, ed espone narrativamente una serie di eventi ... Il concetto gli manca, ma esso lo produce e con tal mezzo, se non esprime ancora tutte le possibilità dello spirito umano (per lo meno non ancora), pur tuttavia esso appare fermentato da tutte quelle potenzialità". (E. Morin, "Il cinema e dell'immaginario". 1962)

Il cinema è da sempre riconosciuto come scandaglio psicosociologico: si pone infatti come valido strumento per l'esplorazione attraverso le immagini della psiche umana, del comportamento, nonché di fenomeni sociali più ampi; basta infatti pensare all'acutezza puntigliosa delle analisi di Ingmar Bergman, F. Truffaut, M. Antonioni e altri ancora. Michael Fleming e Roger Manvell nel loro libro (Images of madeness: the portrayal of Insanity in the Feature Film) sostengono che, attraverso l'esame cronologico dei principali film in cui è stato trattato il tema della follia umana, sia possibile rintracciare una correlazione tra le immagini della follia e le "fluttuazioni nella teoria e nella pratica psicologica e psichiatrica".

Sostanzialmente due concezioni si sono alternate, sovrapposte, ripetute:
la prima che considera la follia come una profonda alterazione del funzionamento psichico derivante da cause molteplici (sono infatti imputate di volta in volta nelle varie teorie la vulnerabilità individuale, le esperienze estreme come guerre, catastrofi ...);
la seconda che considera la follia come esplosione creativa e dunque espressione di sanità mentale rispetto all'insanità di un mondo violento, tecnologizzato e non rispettoso della sensibilità umana (tra i sostenitori di questa teoria R. D. Laing ed altri).

Secondo gli autori quattro aree sono frequentemente analizzate: "società e follia", "guerra e follia", "paranoia e follia", infine "follia come salute". Questi quattro fondamentali temi compaiono nel corso del tempo, consentendo di rintracciare mutamenti ed elementi di stabilità nelle concezioni della malattia mentale. Gli autori propongono molti film esemplificativi delle diverse concezioni psichiatriche tra cui: "La fossa dei serpenti" (1948), "Tutti pazzi meno io"(1966), "Qualcuno volò sul nido del cuculo"(1975), "Taxi driver"(1979) e molti altri, sui quali per ragioni di spazio non ci soffermeremo; quello che appare più utile sottolineare è infatti che: "l'espressione di queste idee nel mezzo più tipico dei nostri tempi, il cinema, illustra come le spiegazioni attuali della follia e del suo trattamento facciano capo ad una lunga storia di idee su quello che non è normale e su come rimetterlo in ordine. Per capire davvero la follia si deve forse guardare a questa storia, che in un movimento a spirale continua a riproporre vecchi concetti integrandoli con i più recenti".

Cinema d'arte: un'esperienza nel piccolo gruppo di psicotici

In "Cinema d'arte, alienazione e psicoterapia" Max Beluffi descrive un'indagine, svolta in un reparto psichiatrico di un ospedale, con dei pazienti psicotici riuniti per una psicoterapia di gruppo ad orientamento esistenziale, i quali, dopo aver assistito alla proiezione di alcuni film, venivano invitati a discutere in gruppo i contenuti di ciò che avevano visto. Il cinema è qui considerato un'arte del tutto particolare, che possiede dimensioni speciali, in grado di sollecitare la ricostruzione del tempo interiore, che nel soggetto psicotico, in quanto alienato, viene a mancare.

Come arte collettiva e dinamica, per Beluffi il cinema è in grado di stimolare le giuste "sollecitazioni stilistico-orizzontiche" in un gruppo di psicotici. Esso dunque oltre a dare un buon esempio della dimensione creativa partecipazionale collettiva, offre anche quei "contenuti stilistico formali della catarsi rappresentativa" utilizzabili in una situazione in cui esiste una psicopatologia dell'espressione; ciò è possibile attraverso l'interpretazione da parte dei componenti del gruppo del film visto, con una discussione nel gruppo di psicotici, la cui caratteristica principale è l'alienità.

L'alienità rappresenta uno degli ostacoli principali della dinamica di gruppi psicotici, intendendo per alienità: "quella condizione umana peculiare per cui il soggetto psicotico si rivela incapace di sviluppare un autentico processo esperienziale nella cognizione degli eventi. Questo modo di esistere comporta estraneità rispetto a se stessi ed a gli altri". Quindi il lasciar parlare il gruppo "con le sue parole" per descrivere un film consente di sperimentare nuove possibilità rivelatrici del linguaggio, che permettono al messaggio comunicativo di esistere e di essere condiviso.

Ma perché il cinema rappresenta un evento comunicazionale collettivo tematicamente unitario? Il cinema d'arte, discostandosi dal film didattico che per molti aspetti risulta un cinema artificiale, è per Beluffi un cinema autentico: esso permette di raggiungere un "rilassamento paraonirico", nei soggetti psicotici e non, che rappresenta una condizione privilegiata per assimilare determinati messaggi che in altre situazioni rimarrebbero in superficie. Inoltre esiste una vera e propria "presa emotivo-partecipazionale della situazione cinematografica nel suo complesso" che Morin individua legata ad un insieme di fattori eccitatori della partecipazione affettiva, quali ad esempio quelli legati alle risorse tecniche del cinema: come la mobilità della camera, la successione dei piani, l'accelerazione, il rallentamento e la rottura del tempo, l'illuminazione ecc.

Infine è possibile individuare un potenziale magico nella fluidità dello scorrere delle immagini, in cui "tempo e spazio vengono evocati, suggeriti, trasferiti nuovamente attraverso la sfera del sensibile e percettiva" per cui, grazie al rilassamento paraonirico, le normali difese psicotiche, comunque legate ad una dimensione spazio-temporale tipica della normale esperienza umana, vengono abbassate in virtù della "evocazione" di una nuova dimensione spazio-temporale.

Cinema, Internet e nuove tecnologie

In epoca antecedente l'invenzione della televisione, il cinema è stato il primo strumento di diffusione culturale di massa in grado di riprodurre le immagini. La "visione" di immagini in movimento si inserisce in un contesto narrativo che fa degli espedienti tecnologici e dell'uso del mezzo cinematografico un vero e proprio linguaggio, una forma d'arte. Il film proiettato su un vasto schermo bianco rappresenta infatti qualcosa di più della semplice traduzione di una sceneggiatura o di un racconto scritto in un contesto visivo, allo stesso modo con il quale la rappresentazione teatrale, vera e propria antesignana del cinema, non riproduce in maniera cieca e automatica il testo dell'autore. Questa identità creativa ed artistica, oltre che comunicativa, ha fatto in modo che il cinema potesse sopravvivere anche all'invasione della televisione, seppur con alti e bassi, creandosi uno spazio autonomo ed alternativo nell'utilizzo del tempo libero.

I nuovi mezzi di comunicazione, compresa la televisione, non hanno mai sostituito completamente i precedenti; ne hanno forse limitato l'utilizzo esclusivo, ma non per questo la radio, i giornali, il teatro, il cinema sembrano destinati a scomparire nel limbo di uno spazio mediatico-artistico, dove invece riposano in pace il tam tam, il telegrafo e i fuochi frasici. E persino la televisione oggi rischia di perdere la sua centralità come mezzo di diffusione di cultura di massa: Internet e le reti telematiche aprono nuovi orizzonti per la comunicazione tra le persone. L'interattività è ormai l'imperativo categorico da rispettare per chiunque desideri parlare di comunicazione del futuro.

Anche per il cinema, quindi, si sono poste delle domande su come sviluppare o adattare il linguaggio cinematografico con le nuove tecnologie telematiche. In passato si ha una testimonianza di come il cinema si sia adattato alla televisione, producendo film che mantenessero degli "spazi morti" per l'eventuale spot pubblicitario, il tutto chiaramente anche a discapito della qualità. Anche oggi è possibile assistere ad un fenomeno del genere. Il cinema ha iniziato un lento processo di integrazione con i nuovi mezzi di comunicazione, con Internet in particolare, che si snoda su due versanti.

Il primo concerne il sostentamento informativo-pubblicitario reciproco tra cinema e nuovi mezzi di comunicazione: da un lato sono attualmente sempre più frequenti le produzioni cinematografiche, tra il fantascientifico e il surreale, che affrontano il tema della rivoluzione mediatica, mettendo in risalto come l'innovazione tecnologica delle comunicazioni telematiche possa mutare la struttura della "società" nel prossimo futuro; dall'altro la "grande rete" Internet ospita numerosi siti che si interessano di argomenti di cinema: dai festival ai film usciti nel corso dell'ultimo anno; e gli appassionati di cinema fanno sentire la loro voce anche nel ciberspazio (tra questi i più numerosi sono gli appassionati di film di fantascienza). Tra questi siti uno in particolare, Indipendent Filmaker's Forum (IFF), si pone come vero e proprio servizio per registi, produttori, sceneggiatori, che non dispongono di strumentazioni e capitali hollywoodiani per produrre i loro film. La "grande rete" quindi facilitando gli incontri tra gli specialisti del settore, fornendo informazioni tecniche ed altro, può assumere il ruolo di un grande strumento di ricerca al servizio dell'arte cinematografica, andando oltre la semplice diffusione pubblicitaria.

Il secondo versante riguarda proprio l'evoluzione del linguaggio cinematografico alla luce delle innovazioni tecnologiche nella comunicazione di massa. La televisione era un contenitore che, con qualche piccolo aggiustamento, poteva inserire il linguaggio cinematografico all'interno di un medium non troppo distante da quello cinematografico. La trasmissione di immagini e suoni nelle reti telematiche è ora uno degli argomenti più trattati dagli esperti di telecomunicazione. A livello tecnico questo già avviene (un esempio ci proviene da uno di quei siti a carattere fantascientifico che trasmette alcuni fotogrammi di film come Blade Runner e Star Trek), ma è ancora troppo costoso per creare un sistema di diffusione di massa. Fra qualche anno i costi probabilmente si abbasseranno consentendo la diffusione di televisione e forse di film interi in Internet.

Esiste però un'altra alternativa per il cinema nel suo dialogo con la modernità della comunicazione: l'interfilm. Definito come un "gioco cinematico" (Mc-microcomputer n. 128-Aprile 1993), l'interfilm altro non è che un film interattivo, in cui gli spettatori sono parzialmente in grado di modificare l'evoluzione della vicenda. Negli Stati Uniti è stato fatto un esperimento di film interattivo intitolato "I'm the man", nel quale gli spettatori ogni 90 secondi erano direttamente coinvolti nella vicenda di Jack Beamer, con la possibilità di 'decidere' sulle sue sorti; il tutto servendosi di una sorta di joystick, posto vicino ad ogni spettatore, con tre tasti colorati, corrispondenti a tre diverse alternative che venivano fornite per la continuazione della storia (tipo: vai a destra, dritto, torna indietro, ecc.); ogni spettatore poteva fare la sua scelta, mentre un computer analizzava statisticamente in tempo reale le risposte, comandando poi un sistema di videodischi ... Il tutto in una dimensione di grande attivazione emozionale collettiva, anche se ogni spettatore in fondo è anche 'solo' attaccato al suo 'telecomando' .

Questo 'gioco interattivo', che forse è una situazione limite nella sperimentazione sul cinema e sui mezzi di comunicazione in generale, dimostra come si stia tentando di rendere sempre più partecipi gli spettatori-utenti, diffondendo quell'ideale dell'interattività in ogni ambito della comunicazione di massa. La massa, appunto: e il cinema più della radio e della televisione mantiene ancora quella dimensione dello stare insieme reale e materiale. Al di là della suggestione del grande schermo la sala cinematografica è un luogo di incontro con gli altri, la coreografia dello spettacolo comprende anche il pubblico. In un film di Federico Fellini "La città delle donne" il regista immagina e rappresenta un grande lenzuolo che copre gli spettatori di un film, come se si trovassero tutti insieme in un grande letto; insieme e soli nello stesso tempo, rappresentati mentre 'godono insieme', ma ognuno masturbandosi solitariamente, della visione collettiva del film.

Il supporto e il materasso di questo letto sono le esperienze comuni che contemporaneamente vengono percepite e vissute dagli spettatori. La duplice proiezione, quella visibile del film e quella invisibile dello spettatore sul film, mettono in evidenza nello stesso tempo ciò che distingue e ciò che mette in comune questi ipotetici spettatori. Essere insieme oggi forse non basta più, occorre partecipare insieme. Le nuove tecnologie, come abbiamo già visto, hanno reso possibile la creazione di sistemi di comunicazione multimediali che arrivino addirittura a riprodurre oltre ai suoni e le immagini, anche gli odori e le sensazioni tattili. Il cinema sarà il mezzo più utilizzato per sperimentare e verificare direttamente la reazione delle persone a questo tentativo di scomposizione e ricomposizione-riproduzione della realtà. Il rischio è quello di perdere quella dimensione creativa e immaginativa che ha reso possibile oggi, a cento anni dalla sua nascita, di parlare ancora di cinema, come espressione della realtà e non riproduzione della realtà.

Bibliografia

Beluffi M.
"Cinema d'arte, Alienazione, Psicoterapia" Ed. Il Mulino Bologna 1969

Fleming M e Manvell R.
"Un obiettivo sulle tenebre" in Psicologia contemporanea n. 92 1989

Greco G.
"Film interattivi, un salto nel futuro" in Mc-microcomputer n. 128 1993

Salsa G.
"La verità 24 volte al secondo" in . Net Settembre 1995

Voce "cinema", enciclopedia De Agostini Novara


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