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PSYCHOMEDIA
ARTE E RAPPRESENTAZIONE
Cinema



"Stalker" di Andrej Tarkovskij:
una metafora della condizione di artista

di Alessandro Riva



Questa relazione è stata letta a Venezia il 3 aprile del 1996, dopo la proiezione del film, nell'ambito di una serie di incontri su "Psicoanalisi e Cinema" organizzati dal Comune e dalla Scuola Europea di Psicoanalisi. Pur astratta dal contesto originario per il quale era stata pensata mi auguro che con la pubblicazione su Psychomedia possa essere spunto per ulteriori riflessioni e approfondimenti - sia sulla rivista che sulle mailing-list ad essa collegate - sul tema della creatività e dell'arte dal punto di vista della condizione dell'artista, o dell'individuo creativo, in rapporto al gruppo di appartenenza alle istituzioni e al contesto sociale.



In varie occasioni Tarkovskij intervenendo ad alcuni dibattiti dopo la proiezione delle sue opere rimase perplesso di fronte alle richieste di svelare i significati simbolici di certi elementi visivi come la pioggia, il vento, l'acqua, il fuoco, spesso presenti nella sua poetica filmica: Cos'è la Zona? - gli fu chiesto (nel film "Stalker" la Zona è il territorio pericoloso in cui si recano, superando sbarramenti e posti di blocco, i tre protagonisti) - "La Zona come ogni altra cosa nei miei film non simboleggia nulla: la Zona è la Zona, la zona è la vita: attraversandola l'uomo o si spezza o resiste..." (Nota 1). Afferma in 'Scolpire il tempo' libro che raccoglie una quasi ventennale riflessione sul suo fare cinema. Il cinema per Tarkovskij - il suo cinema - è, per definizione, realista, in quanto forma artistica che tende ad avvicinarsi alla verità: la verità su se stessi, la verità della vita di un singolo, di un volto, di un gesto... che tanto più è particolare e soggettiva - unica e irripetibile - tanto più è universale, vicina all'Assoluto, all'Infinito. Un cinema di poesia nel senso di Poiesis: creazione, produzione di conoscenza.

Tale dichiarazione di intenti è parte stessa dello stile di Tarkovskij, unico irripetibile e universale come quello degli autori a lui cari: Bunuel, Bergman, Antonioni, Fellini, Kurosawa, Bresson... Stile basato sulle immagini, il ritmo, la presenza fisica degli attori come strumenti di narrazione più che sullo sviluppo narrativo della vicenda: la cosiddetta "trama" si riduce a ben poca cosa nei film di Tarkovskij. Anche in "Stalker" gli spunti narrativi tratti dal racconto di fantascienza "Picnic al ciglio della strada" dei fratelli Strugatski divengono giusto un pretesto per consentire al percorso cinematografico di prendere l'avvio. Un percorso basato su una visione soggettiva e quindi "emozionata" dello spazio catturato dalla macchina da presa, mai distaccata e oggettiva: prati, rottami, case o fabbriche abbandonate, elementi piuttosto semplici e quotidiani come la pioggia e il fuoco inseriti nel mondo dell'autore divengono come "visti per la prima volta" assumendo una forte carica emotiva e di mistero che non fa da sfondo all'azione ma amplifica lo stato d'animo dei personaggi.
Cosa pensano Lo stalker, lo scienziato e lo scrittore accucciati in silenzio sul carrello ferroviario che con ritmico rimbombare metallico li conduce verso la Zona? Cosa li ha spinti a superare il posto di blocco per affrontare l'ignoto?

Tarkovskij sembra rappresentare in questa straordinaria parabola cinematografica la sua stessa condizione di artista, e di uomo; il processo della creazione artistica, così come qualsiasi processo creativo e conoscitivo non è esente da difficoltà e pericoli: affrontare l'ignoto e accogliere dentro di sè un idea nuova comporta il tollerare un insieme di forti sentimenti di rischio e di imprevedibilità: Wilfred Bion paragona tale vissuto al timore di un crollo psicotico, alla paura della pazzia. "Il vero progetto artistico è sempre una cosa tormentosa per l'artista ed è quasi pericoloso per la sua vita" afferma ancora Tarkovskij nel suo libro, e riferendosi alla realizzazione de "Lo Specchio" dichiarava: "Non mi abbandonava mai un ansioso interrogativo: E se poi non ne venisse fuori nulla?"
Entrare nella Zona e sopravvivervi non è facile così come non è facile accedere agli strati profondi di se stessi e riemergervi traendone la fonte per le proprie creazioni; occorre la capacità intuitiva e la cautela dello Stalker: "colui che si avvicina di soppiatto" e sa che nessuna via diretta è valida nella Zona, nessuna via già percorsa: così come Perseo può osservare la medusa senza esserne pietrificato attraverso il riflesso del suo scudo, per sopravvivere nella Zona bisogna percorrerla "indirettamente". Potremmo anche dire che l'accesso diretto all'inconscio fa impazzire.
Ma a che scopo percorrere la Zona? I tre protagonisti sanno che esiste in essa una stanza il cui accedervi consente la realizzazione dei desideri, la meta del loro rischioso viaggio è questa stanza, ma poi una volta giuntivi si fermeranno sulla soglia. Nessuno dei tre osa entrarvi: lo Scrittore cerca l'ispirazione perduta, ma in realtà non sa cosa vuole; lo Scienziato invece vuole distruggere la stanza dei desideri in nome della Scienza esatta per la quale il desiderio soggettivo è una fonte incontrollabile di disturbo, si è portato appresso una bomba per lo scopo ma non la userà.
Tarkovskij pone come scopo dell' arte la ricerca della Verità, ma nel suo film i protagonisti non varcano il limite della stanza nè per ottenere qualcosa né per distruggerla... L'autore sembra in questo modo descrivere il paradosso della scienza moderna che abbandonata la positivistica ricerca dell' assoluto postula l'inconoscibilità della realtà ultima, e allo stesso tempo l'esistenza di essa come presupposto alla base della ricerca scientifica... "Quest'ansia senza fine di conoscere (..) è accompagnata da un eterna inquietudine, da privazioni, da dolore e da delusioni: la verità ultima infatti è irraggiungibile." Dice il regista (op. cit. pag. 177).

Ma c'è dell'altro: lo Stalker sapeva che non sarebbe entrato: la sua è una missione, una vocazione: "Uno Stalker non può chiedere nulla per se stesso" - dice - "Quello che ho, è qui nella zona. La mia felicità, la mia libertà, la mia dignità, tutto qui... Io porto qui solo quelli come me, infelici, disperati... E io posso aiutarli...". Solo un altro Stalker è entrato nella stanza, il suo maestro, per chiedere di riportare in vita il fratello morto per sua colpa, ma la stanza invece lo ha fatto ricco cosicché egli si è impiccato... Ma allora perché lo Stalker si arrabbia con lo scrittore e lo scienziato? Perché non hanno tenuto fede la loro patto? Non sono entrati, non hanno creduto fino in fondo? Non hanno affrontato l'ultima prova?
Si può tornare all' onnipotenza perduta? Il processo creativo\conoscitivo ha a che fare con l'illusione di onnipotenza, con l' utilizzo di aspetti arcaici della personalità, che possono immergersi in quest' illusione, contenuti da aspetti più integrati, più adattati alla realtà esterna: il rapporto tra gli uni è gli altri se non è troppo inquinato da conflitti distruttivi è fonte di crescita. Lo Stalker sembra invece sentirsi depauperato, ingannato e derubato dal rapporto con lo scrittore e lo scienziato quanto invece questi sembrano, nonostante tutto, spiritualmente arricchiti dall'esperienza vissuta. Egli non può vivere senza la Zona ma con chi vi andrà ancora se i pensieri degli uomini - dice - sono imprigionati in una Ragione che sottopone tutto ad una logica immutabile, scompone tutto negli elementi costitutivi pretendendo di calcolarli? La rabbia dello Stalker rappresenta un dissidio profondo; la sua descrizione, la descrizione di Tarkovskij, della Logica che avvelena gli uomini è notevolmente simile alla descrizione data da Freud all'impulso di morte che scompone, disgiunge, riporta all'elementare inanimato... è contro l'impulso di morte che alberga nell'umanità che si scaglia lo Stalker trovandosi impotente di fronte ad esso.

Didier Anzieu (1976) nel suo libro 'L'autoanalisi di Freud e la scoperta della Psicoanalisi' descrive in maniera molto efficace le difficoltà di un processo creativo- conoscitivo:
"Per effettuare una scoperta, per comporre un opera innovatrice, bisogna superare due resistenze. La prima è una resistenza epistemologica (...): ciò che già si sa costituisce una forza di inerzia che paralizza la presa di possesso del nuovo che si potrebbe trovare. Inventare significa contraddire, dimenticare un sapere di più tarda acquisizione e condiviso da molti per tuffarsi da soli in un qualche vecchissimo strato di se stessi, ricordarsi di un immagine personale che vi si trova depositata e da questa fare germogliare la scoperta, l'opera. Sopravviene poi la seconda resistenza, (...) consistente in un dubbio corrosivo, demoralizzante, sul valore di quanto si sta trovando e sulla propria capacità di condurre a buon fine la dimostrazione, la redazione, la composizione. Negazione dell'opera che si sta per produrre all'esterno di se stessi, negazione di se stessi come possibilità di essere padre-madre di quest'opera di cui si è gravidi (...) qui opera chiaramente la pulsione di morte pronta a recarsi in ogni luogo di creatività nascente per distruggerla in embrione e compiervi la parola del poeta: ( Paul Valery 'Il cimitero Marino') "la luce che non prendo suppone d'ombra una tetra metà". Se la prima resistenza trova soluzione nella solitudine, in quel ripiegarsi su se stessi in cui ci si stacca dal pensiero comune e, ritrovando se stessi, si finisce con lo scoprire quanto si cercava, per la seconda non è così: il soccorso può soltanto venire dagli altri."
Anzieu prosegue indicando come il rapporto privilegiato con un amico\a, e si riferisce in particolare al rapporto di Freud con Fliess, permette al creatore in potenza di avere qualcuno con cui condividere il "proprio segreto" una condivisione basata sulla comprensione immediata del partner di fronte alle rappresentazioni mentali che il creatore in potenza estrae dal profondo di se stesso e cerca di comunicargli, così che l'opera tra il creatore e l'amico nasce come uno spazio transizionale, uno spazio esente dal giudizio critico della realtà, nel quale l'opera stessa trova una via per raggiungerla, per venire alla luce.

Il rapporto di Tarkovskij, come quello di molti altri artisti, con la realtà sociale e culturale in cui si è trovato a vivere è stato piuttosto sofferto. Tarkovskij chiede molto al pubblico non è disposto a concedergli le normali scorciatoie del cinema commerciale occidentale o della cinematografia russa ufficiale: chiede di vivere il film in prima persona soffrendo ed emozionandosi in un coinvolgimento per nulla superficiale offrendo come moneta di scambio immediata una notevole - e non convenzionale - esperienza estetica\conoscitiva; ma non tutto il pubblico è disposto alla fatica necessaria per la conquista di tale esperienza. L'ambivalenza del pubblico in rapporto ai suoi film è per il regista fonte di gioia e dolore ed è di estrema importanza: nell'introduzione al suo libro citato riporta infatti alcune lettere inviategli dopo l'uscita - in Unione Sovietica - de "Lo specchio": alcune di esse sono insultanti altre piene di gratitudine. Tale ambivalenza rispecchia anche l'atteggiamento della burocrazia cinematografica russa e degli stessi suoi colleghi che però non gli ha impedito di realizzare quasi tutti i suoi film in patria. Un ambivalenza che pare essere connaturata al suo stesso modo di essere artista se anche nel suo esilio occidentale nonostante i notevoli apprezzamenti della critica e dei maggiori cineasti sembra continuare a sentirsi non sufficientemente capito, in effetti fin dall'uscita del suo primo film "L'infanzia di Ivan", a Venezia nel 1962, si accesero notevoli polemiche sul suo cinema anche nel resto dell' Europa. Eppure negli anni ottanta quando aveva raggiunto una indiscusso status di poeta del cinema lo ricordo prestarsi - nell'unica occasione che ho avuto di incontrarlo - a un dibattito con studenti universitari dopo la proiezione di "Solaris", per infuriarsi subito e andarsene quando le domande fortemente ideologizzate limitarono il suo film e il suo fare artistico al dissidio fra le visioni del mondo cattolica e comunista.

Straniero in patria e straniero all' estero, sofferente per questa sua alienazione che però è anche la fonte stessa della sua ispirazione artistica, della sua concezione dell'arte come missione, come sacrificio... Tanto che il profondo dissidio con la realtà sociale sembra essergli necessario.
Lo Stalker non può essere compreso dallo Scrittore e lo Scienziato, ma può contare sull'amore incondizionato della moglie: è lei l'amica fedele disposta a comprendere e accettare il carattere perturbante dell' opera prodotta nel loro rapporto: la figlia mutante e paralitica... frutto della Zona e ancora in contatto con essa, come mostra il suo silenzio unito allo straordinario potere di muovere gli oggetti col pensiero. La moglie, inoltre, è disposta, grazie al suo amore, a lasciarsi condurre nella Zona, per rimanerci forse per sempre.

Tarkovskij sembra suggerirci che l'unica "arma" che l'umanità possiede per tenere a bada la propria distruttività è l'amore, dice infatti (op.cit.): "Tutto si riduce a questa semplice particella elementare, l'unica su cui l'uomo può basare la sua esistenza: la capacità di amare." Capacità che a suo avviso l'umanità rischia di perdere: occorre farla crescere nell'anima di ciascuno, anche a costo di sacrificare la propria stessa vita, è questa la sua missione, una missione impossibile: "Una situazione senza speranza!" - dice ( op. cit. pag. 166)- perchè "è da quell'ottanta per cento degli spettatori che, non si sa perchè, si sono messi in testa che noi siamo tenuti a divertirli che dipendono i soldi per il nostro prossimo film"; nonostante ciò - continua - "l'artista è condannato a comprendere di essere il prodotto del tempo e delle persone tra le quali egli vive. Come ha scritto Pasternak: Non dormire, non dormire, artista, / Non abbandonarti al sonno... / Tu sei l'ostaggio dell'eternità, / Il prigioniero del tempo...' (...) se all'artista riesce di fare qualche cosa ciò avviene soltanto per il fatto che gli uomini hanno bisogno di questo, anche se in quel momento non ne sono coscienti. Perciò è sempre lo spettatore che vince e riceve, mentre l'artista perde e dà."

Eppure Tarkovskij poteva contare sull'amore del suo pubblico - di quella minoranza di spettatori che "nonostante tutto, è in attesa di autentiche emozioni estetiche"- dei suoi collaboratori, della moglie, i figli...
Anatolij Solonicyn l'attore che è lo Scrittore in Stalker protagonista di tutti i film precedenti dell'autore, alter ego del regista, muore di tumore prima di poter essere il protagonista di Nostalghia e di Sacrificio. "Egli è morto della malattia dalla quale guarisce Aleksàndr" - nella prima versione di "Sacrificio", scritta anni prima, il protagonista guarisce dal cancro dopo aver fatto all'amore con una strega - "e dalla quale qualche anno dopo io stesso sarei stato colpito" - dice Tarkovskij (Op. cit; pag. 204) - "che cosa significa tutto ciò? " - prosegue - "Non lo so. So però che è spaventoso. Ma non dubito che il quadro poetico diverrà più concreto, che la verità che ho attinto si materializzerà, diverrà comprensibile - che io lo voglia o no - il film influirà sulla mia vita. E' davvero così? sarà proprio il film ad influenzare la mia vita?"
Tarkovskij è morto di tumore il 29 dicembre del 1986 - a cinquantaquattro anni - dopo aver realizzato sette lungometraggi nella sua rapida carriera di regista... i suoi film hanno davvero influenzato la sua vita donandogli quell'immortalità virtuale propria delle opere artistiche destinate a rimanere nella storia della cultura.

Nota 1

La critica ha parlato spesso di linguaggio onirico riferendosi ai film di Tarkovskij; dice Ingmar Bergman (1987): "Quando un film non è un documento è un sogno, per questo Tarkovskij è il più grande di tutti. Lui si muove con assoluta sicurezza nello spazio dei sogni, lui non spiega e, del resto, cosa dovrebbe spiegare?". Forse Tarkowskij nel suo fastidio per la ricerca dei significati reconditi nascosti in alcune sequenze dei suoi film, si allontanava intuitivamente, da artista, da una concezione "classica" riduttivamente mutuata da Freud del linguaggio onirico come linguaggio "deformato" che occulta, camuffa, un significato latente. Concezioni più attuali (Fossaghe 1997) ridanno al linguaggio onirico, al processo primario, e quindi al contenuto manifesto del sogno "che usa immagini visive ed altre immagini sensoriali con un intensa colorazione affettiva" la piena dignità di un funzionamento cognitivo sofisticato ("funzione di integrazione e di sintesi") alla pari del processo secondario che utilizza invece simboli linguistici. Dice Fossaghe a proposito della deformazioine onirica: "...non ritengo che le immagini siano scelte allo scopo di camuffare e che vengano quindi trasformate in altre immagini. Al contrario credo che il sognatore selezioni le immagini in base al loro potere evocativo ed alla loro reale utilità nel pensiero immaginistico, con una modalità simile a quella con cui una persona nello stato di veglia seleziona le parole per promuovere il processo del pensare e del comunicare."

Bibliografia:

Anzieu D. - "L' AUTOANALISI DI FREUD" ( 1975) Astrolabio 1976

Bion W.R. - "ATTENZIONE E INTERPRETAZIONE" (1970) Armando 1973

Calvino I. - "LEZIONI AMERICANE" Garzanti 1988

Chiozza L. A. - "PSICOANALISI E CANCRO" (1978) Borla 1981

Freud S. - "AL DI LÀ DEL PRINCIPIO DI PIACERE" (1920) Boringhieri 1976

Fossaghe J.L. - "LE FUNZIONI ORGANIZZATRICI DELL' ATTIVITA' MENTALE DEL SOGNO" in 'Contemporary Psychoanalysis' 33, 3 - 1997

Tarkovskij A. - "SCOLPIRE IL TEMPO" (1970-1986) Ubulibri 1988


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