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PSYCHOMEDIA
ARTE E RAPPRESENTAZIONE
Cinema



Conversazione con Giuseppe Piccioni

di Ignazio Senatore – Falsopiano Editore – 2013


Ho incontrato la prima volta Giuseppe a luglio del 2009 per la proiezione a Napoli del suo Giulia non esce di casa, nell’ambito della Rassegna “Accordi e Disaccordi”, ideata da Pietro Pizzimento, alla quale collaboro da alcuni anni. Dopo averlo presentato al pubblico, demmo loro appuntamento al termine della proiezione per il consueto dibattito sul film. Per ingannare l’attesa, invitai Giuseppe a mangiare una pizza in un locale vicino al Parco del Poggio, il magnifico spazio all’aperto che ospita ogni anno la rassegna napoletana.

Sono sempre stato un suo ammiratore e, come uno scolaretto che voleva fare bella figura, per rompere il ghiaccio, mi affrettai a dire che ero rimasto abbagliato da Giulia non esce di casa e che lo avevo ricoperto di elogi nella mia recensione su “Segno Cinema”. Giuseppe non l’aveva letta e gli promisi che gliel’avrei spedita tramite e-mail. Tra un sorso di birra ed un trancio di pizza, iniziammo a chiacchierare del più e del meno ed ebbi la netta impressione di conoscerlo da sempre.

Pacato, riflessivo, misurato, Giuseppe rispose con estrema disponibilità alle domande sul suo cinema, sulla scelta degli attori e quando, per stuzzicarlo, lo presi in giro per la pasticciata rappresentazione della psicoanalista di Condannato a nozze, dopo essersi inizialmente difeso, concordò, divertito, con le mie critiche e mi raccontò qualche simpatico aneddoto relativo al film.

Gli accennai poi alla proiezione che avevo organizzato nel dicembre 2001 in Aula Magna dell’Università “Federico II” di Napoli di “Fuori dal mondo”, con Silvio Orlando in veste di ospite d’onore ed, incuriosito, mi fece alcune domande sulla mia capacità di conciliare la mia passione per il cinema e la mia attività professionale.

Ritornammo al Poggio e l’incontro tra Giuseppe ed il pubblico fu frizzante e schioppettante. Fioccarono, come prevedibili, domande sulla scelta della napoletana Valeria Golino come attrice protagonista, sull’ambientazione in una piscina, sui riferimenti al premio letterario… Giuseppe era in gran forma e, giocando anche un po’ gigionescamente con il pubblico, confidò che era un po’ geloso di quegli autori che scrivono canzonette e che, acquistata una repentina notorietà, entravano facilmente nel cuore delle persone. Senza enfasi ed eccessive sottolineature ricordò al pubblico quanto il mestiere del regista fosse più complesso di quello del cantautore e sottolineò la fatica per metter in moto la macchina –cinema; dai contatti con i produttori, alla scelta delle location, degli attori...

Giuseppe salutò il pubblico e lo accompagnai in albergo. Mentre continuavamo a chiacchierare, mi accennò alla “Libreria del Cinema” che aveva aperto a Trastevere ed io, dopo avergli promesso che alla prima occasione avrei fatto un salto, gli proposi di presiedere la giuria del secondo concorso di cortometraggi “I corti sul lettino – Cinema e psicoanalisi” che si sarebbe tenuta a Napoli due mesi dopo al Parco del Poggio. Con mia grande gioia, Giuseppe non me lo fece ripetere due volte ed accettò immediatamente l’invito.

Come presidente della giuria fu impeccabile e piuttosto di far valere il suo “peso”professionale, ascoltò i giudizi degli altri giurati e “pilotò”, con garbo, una votazione che non scontentò nessuno.

Dopo qualche mese, trovandomi a Roma, feci un salto alla “Libreria del Cinema”. Non appena entrai in quel piccolo ma delizioso spazio, mi venne la pelle d’oca; aggirarsi tra gli scaffali di una libreria che esponeva solo volumi dedicati al cinema fu per me un’emozione sovrapponibile solo a quella che ebbi quando visitai il Museo del Cinema di Torino.

Al di là dei classici del settore, di alcune “chicche” dedicate ad autori più disparati ed allo spazio riservato alle cinematografie straniere, scorsi una serie di DVD e mi colpì che tra questi non erano presenti tutti i film di Giuseppe; non mi meravigliai però più di tanto, perché da una persona schiva e riservata come lui, c’era da aspettarselo.

Nel locale si respirava un’atmosfera intima e familiare e, con mia grande sorpresa, scoprii che, la sera si poteva anche gustare un bicchiere di vino e qualche prelibatezza. Entrambi avevamo degli impegni e, dopo una breve chiacchierata, ci salutammo.

Continuammo a cercarci ed un po’ per scherzo, gli lanciai l’idea del libro. Lo prendevo in giro. “Ma come è possibile, un regista che ha messo in piedi una libreria del cinema non ha un libro a lui dedicato?” Di rimando Giuseppe si scherniva e rilanciava: “Il libri di cinema non si vendono. Che lo facciamo a fare?”. Questo gioco andò avanti per un po’, ma sapevo che dentro di lui l’idea di questa avventura stava scavando un solco. Superate le sue ultime resistenze, decidemmo di rivederci in libreria e, di primo acchito, gli chiesi come mai alle pareti non ci fosse nessun manifesto dei suoi film. Lui mi fece cenno di aspettare e, come un bambino divertito, dopo qualche secondo, da un angolo nascosto della libreria, tirò fuori un bellissimo manifesto della versione americana di Fuori dal mondo, dove campeggiava un’intensa ed inedita Margherita Buy. Per ragioni di comodità, ci trasferimmo a casa sua, in quella che definisce la sua “tana”. Alle pareti nessun manifesto dei suoi film, né un premio che testimoniasse la sua storia di regista. Nel soggiorno una libreria stipata di libri (non solo di cinema) e diversi DVD, sparsi tra il tavolo, posto al centro della stanza ed impilati alla rinfusa su dei ripiani. Il pezzo forte dell’appartamento? Un terrazzo che Giuseppe utilizzava nei mesi caldi per qualche cena con amici.

Abbiamo incominciato l’intervista quasi per gioco e, sin dalle prime battute, sono rimasto colpito dalla sua grande voglia di raccontarsi. Mentre riandava con i suoi ricordi a ritroso nel tempo, alle sue passioni cinefiliche dell’infanzia e dell’adolescenza, alle sue frequentazioni ai cineclub romani, dentro di me, mi chiedevo: “Perché amo il suo cinema?” Alcune risposte risalirono immediatamente a galla; perché si muove con passo felpato sullo schermo; le storie che racconta, intime e sospese, sono ammantate di spiazzante e dolorosa umanità; è il regista più “francese” del nostro cinema; con le sue storie “semplici” riesce a trapassare il cuore dello spettatore; il suo cinema non è definitivo, perché con genuinità e leggerezza mette in campo lo smarrimento di chi vorrebbe vivere senza scosse ed assapora, invece, il vuoto, l’inutilità e l’insensatezza della propria esistenza....

Chi è forse Razzo, l’irregolare ed impulsivo co-protagonista de Il grande Blek? E non sono forse dei “perdenti” la svampita Elena ed il metodico Marco di Chiedi la luna?; il nevrotico e“sdoppiato” Roberto, protagonista di Condannato a nozze, i teneri e “sfortunati” Lucia e Stefano di Cuori al verde, gli “infelici” Caterina ed Ernesto di Fuori dal mondo, i dispersi Antonio e Maria di Luce dei miei occhi, i tormentati Stefano e Laura de La vita che vorrei e gli irrisolti Giulia e Guido di Giulia non esce la sera?

Del resto lo stesso Giuseppe, nel descrivere il proprio cinema, in alcune pagine del suo sito, ha rilasciato questa poetica dichiarazione:“Nelle mie storie i protagonisti sono un po’ naufraghi, sempre sul punto di perdersi. Non sono dei vincenti, non riescono a far tesoro dei loro errori. Non sono soddisfatti di sé, hanno dei difetti di fabbricazione, si sentono inadeguati rispetto agli standard di efficienza e buon senso richiesti dalla vita normale. Insomma sono un po’ “fuori dal mondo”.(…) La loro quindi non è un’infelicità media in cui tutti si riconoscono. Non hanno certezze e cercano di aggrapparsi alla prima vera occasione di felicità che capita loro. Vogliono riempire quella distanza che li separa dalla possibilità di vivere una vita normale.”

Ma il cinema di Giuseppe non è solo fatto di storie. Che dire del suo sguardo leggero, ironico e disincantato dei suoi primi film, della sua cura, quasi maniacale, per i dialoghi, della sua impeccabile scelta delle colonne sonore, delle sue indiscusse capacità di dirigere attori del calibro di Silvio Orlando, Sergio Rubini, Valerio Mastandrea, Luigi Lo Cascio ed attrici come Margherita Buy, Valeria Golino, Francesca Neri, Valeria Bruni Tedeschi, Asia Argento, Sandra Ceccarelli, Piera Degli Esposti?

La mia vanità non arriva al punto da farmi desiderare che qualcuno scriva un libro su di me ad ogni costo. La verità è che personalmente mi sento in grande difficoltà quando qualcuno pubblica una mia intervista, un mio intervento, insomma qualcosa che ha a che fare con le mie parole. “ mi ha confidato, quasi sottovoce, mentre raccoglievo l’intervista.

Schivo, riservato, nel corso delle nostre amichevoli chiacchierate, Giuseppe si è dato con impeto, passione e disponibilità, rispolverando dai cassetti della memoria, nomi, eventi, passaggi, che non aveva (forse) mai raccontato prima.

Fedele al proprio cinema, nel corso dell’intervista, non hai mai cercato di impormi un proprio punto di vista ma, con garbo, mi ha spinto, invece, a percorrere dei sentieri inesplorati, invitandomi, assieme al lettore/spettatore, ad abbandonare quella sorta di sguardo “pigro” ed a rileggere i suoi film con la curiosità di chi, abbandonate le “solite” certezze, di fronte al flusso delle immagini, desidera solo perdersi e smarrirsi.

Bisogna che prima l’occhio dello spettatore abbandoni le sue abitudini, e che l’immaginazione e l’intelligenza accettino di seguire altre vie.” ricordava il grande Krzysztof Kieslowski. Ed è proprio questo il suggerimento più accorato che Giuseppe Piccioni sembra suggerire al lettore/spettatore.

Non perdete tempo a dire male dei film che detestate, parlate invece dei film che amate e dividete con gli altri il vostro piacere”. Fedele a quest’affermazione di Jean Renoir proverò in questo volume a spingere il lettore a conoscere più a fondo Giuseppe Piccioni, autore di film che mi hanno rapito, commosso ed ipnotizzato, regista, a mio parere, ancora troppo misconosciuto presso il grande pubblico.


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