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PSYCHOMEDIA
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"L'artista ed il mondo esterno" di Joyce McDougall

Traduzione italiana di Cinzia Tellarini


Se l’anima interiore è più reale
del mondo esterno, come tu,
filosofo, sostieni
perché allora è il mondo esterno
ad essermi offerto come modello
di realtà?


Fernando Pessoa


Per molti anni ho cercato di gettare intravedere le origini misteriose dell’espressione creativa, sia esplorando l’impatto su di me di indubbie opere d’arte, sia studiando il processo creativo e le sue inibizioni nei miei analizzandi. Che il tramite sia la scrittura, la pittura, la scultura, la musica, le arti sceniche, la creatività scientifica e intellettuale o l’innovazione nel mondo della politica, degli affari e l’invenzione industriale, c’è una dimensione enigmatica nell’attività creativa che sfugge alla nostra comprensione.
Lo stesso Freud cercò costantemente di esplorare i segreti della creatività. In un saggio su “Il poeta e la fantasia” (1908) egli si domanda: “da quali fonti che ispirino un vissuto nuovo [lo scrittore creativo] trae il suo materiale?” Egli replica che uno scrittore creativo si comporta come un bambino che giocando crea un proprio mondo. Afferma che “[il bambino] crea un mondo di fantasia che prende molto sul serio … [e] inventa con grande emozione.” Freud prosegue dicendo: “quando le persone crescono, cessano di giocare [ed inoltre l’adulto] sa che non ci si aspetta che prosegua a giocare o a fantasticare a lungo.” Oltre, nello stesso saggio, egli dichiara: “Possiamo postulare che una persona felice non fantastichi mai, solo una insoddisfatta.” Questa attitudine, per certi versi critica, alla vita fantastica in età adulta sembra attraversare gli scritti di Freud, come se le fantasie (e perfino il piacere della contemplazione delle opere d’arte) rappresentassero una distrazione colpevole.
Il mondo analitico dovette attendere Winnicott per offrire una visione più ottimistica della fantasia, del gioco e della creatività. La definizione di Winnicott (1951/1971) dell’ “area intermedia di esperienza”, a cui partecipano sia il mondo interno che quello esterno, è un concetto fecondo per cercare di esplorare le incognite del processo creativo, così come per spiegare la questione delle inibizioni creative ed intellettuali. Come Winnicott lo definisce “[lo spazio transizionale] si estende a quello del gioco, della creazione e della fruizione artistica, del sentimento religioso e del sogno …” Sebbene sia Freud che Winnicott propongano il concetto che la creatività è gioco, non bisogna credere che ciò significhi che l’attività creativa sia priva di preoccupazioni. Al contrario, l’attività creativa ed innovativa è legata ad una considerevole violenza, e spesso suscita intensi vissuti di angoscia e di colpa. La resistenza nel concedersi di lavorare è un’esperienza comune nell’artista ed i miei analizzandi mi hanno mostrato che ciò è sperimentato in maniera più acuta quando sono particolarmente ispirati da una visione, un’invenzione o un’idea originale che urge di essere espressa.
Fu solo con Melanie Klein (1919) che si cominciò a considerare l’arte come un riflesso delle prime relazioni tra madre e bambino e che una nuova luce fu proiettata sul mondo interno della persona creativa. Lei enfatizzò, forse più chiaramente di ogni altro autore psicanalitico, la dimensione di emozione violenta presente nel substrato primitivo della psiche umana. Questo concetto mi ha interessata perché anni di osservazione e riflessione mi avevano portata a percepire che la violenza è un elemento essenziale nella produzione creativa. Oltre che per la forza e l’intensità della spinta creativa in sé, l’innovatore è una persona violenta per la forza che deve esercitare nell’imporre al mondo esterno il proprio pensiero, la propria immagine, il proprio sogno, il proprio incubo.
È comprensibile che una certa quota di ansia e di conflitto psichico accompagni molto spesso l’atto creativo, ma dobbiamo anche ricordarci che le persone creative sono portate a cercare un aiuto psicoanalitico quando la loro produzione è compromessa o addirittura totalmente paralizzata. Perciò noi abbiamo un punto di vista privilegiato, non solo per quanto riguarda i fattori che contribuiscono all’atto creativo, ma anche per quelli che sottostanno al suo improvviso fallimento.
Comunque, prima di addentrarci nel considerare i sintomi e le inibizioni che possono sorgere quando i conflitti dell’universo interno delle persone creative sono proiettati nel mondo esterno, vorrei commentare il mito popolare che considera la persona creativa come un artista o uno scrittore che si strugge, con una fama di instabilità emotiva e potenzialità perverse o psicotiche. Di fatto le esistenze di molti personaggi creativi famosi presentano una varietà nella loro storia e nella loro struttura psicologica pari a quella del comune bancario, del macellaio, dell’idraulico o del politico. Molti di loro hanno condotto esistenze borghesi piuttosto comuni. Alcuni hanno avuto dei genitori devoti. Altri hanno portato avanti il loro lavoro creativo insieme ad attività di successo in campi doversi. Rubens fu nominato ambasciatore; Matisse iniziò a la sua vita professionale in qualità di avvocato; Chekhov era un medico; Claudel un diplomatico; Moussorsky era un militare che arrivò ad essere luogotenente … per menzionarne solo alcuni.
È anche degno di nota che la maggior parte degli artisti, in qualunque campo, è straordinariamente produttiva. Ci vollero anni per catalogare le composizioni di Mozart. Rubens dipinse migliaia di quadri. All’età di sedici anni, Toulouse-Lautrec aveva già ultimato 50 quadri e 300 disegni. La produzione di Van Gogh, anche durante il periodo in cui fu più seriamente malato psicologicamente, riempirebbe un piccolo museo. Euripide scrisse 92 commedie. Donizetti compose 63 opere. Thomas Edison brevettò più di mille invenzioni.
A parte le persone creative che hanno manifestato un comportamento psicotico, perverso o psicopatico, si potrebbe dire che quella parte della personalità che consente di essere creativi, e di proseguire a creare, deve essere considerata come la parte sana! Possiamo immaginare l’universo interiore dell’individuo creativo come qualcosa di simile ad un vulcano. Il vulcano attivo nasconde nelle sue profondità un calore incessante ed un’energia esplosiva ed erutterà scintille, rocce e fiamme al momento giusto; ma se si è verificato un blocco prolungato, ciò provocherà un’esplosione.
Una delle mie analizzande, che divenne una rinomata pittrice, mi scrisse le seguenti righe in una lunga lettera dopo la fine della sua analisi, riassumendo ciò che aveva appreso:
“Le profonde spinte primordiali che si agitano in me possono diventare talmente potenti da causare sconforto, l’accumularsi costante di tensione deve essere messa fuori, nel mondo esterno per ristabilire un sentimento di armonia interiore. Questa è la creazione, ma essa è suscitata da sentimenti distruttivi. Quando non posso dipingere, io divento l’obiettivo della mia stessa violenta aggressività. Capisco così bene la frustrazione del mio caro amico A. che dice di odiare i suoi dipinti perché “essi non esprimono mai il quadro che ho in mente.” Poi c’è B. che di quando in quando distrugge ogni quadro che ha ancora nello studio. È questo ciò che Freud chiamò “istinto di morte”?”
E’ possibile che l’impulso all’auto-distruzione sia sempre in atto durante ogni processo creativo e, una volta che il lavoro è avviato, diventa parte dell’azione che porta contemporaneamente a frammentazione ed a strutturazione. (Questo richiama il concetto di Modell dei due sé [1990].)
Si verificano spesso sentimenti di depressione, odio per se stessi, rabbia e frustrazione, che conducono al desiderio di distruggere il lavoro che si sta svolgendo. (Da questo punto di vista tali pazienti possono assomigliare a coloro che presentano i disturbi di personalità descritti da Shapiro [1994]). In questi casi il mondo esterno può giocare un ruolo benefico o, al contrario, restituire alla persona creativa tutto ciò che lui o lei teme di più. Le personalità creative in psicoterapia o in analisi presentano raramente una struttura psichica stabile “una struttura interna, per così dire”, come quella che Shapiro suggerisce abbiano i pazienti nevrotici, mentre gli artisti (in tutti i campi) è più probabile che vadano in pezzi di fronte ai limiti, come Shapiro evidenzia. Essi allora tendono verso l’estrinsecazione, da lui descritta, in cui il pubblico diventa il terzo potere, quello che riceve tutta la violenza dell’identificazione proiettiva in atto. Qui io trovo illuminante l’idea di Shapiro di utilizzare la “strutturazione esterna” (che in un certo senso il pubblico rappresenta per l’innovatore e per l’individuo creativo) per interpretare quel rifiuto degli spettatori o di altre realtà difficili che evidenzia come questo “terzo potere” sia una ripetizione inconscia dei consueti modelli familiari del passato.

Aspetti dell’atto creativo

Prima di occuparmi di alcuni aspetti fondamentali del processo creativo osservati nel lavoro clinico, vorrei mettere in evidenza che la psicanalisi non rivendica di avere la chiave di lettura della creatività artistica; al contrario, noi speriamo che gli artisti ed i lavori da loro creati ci avvicinino a scoprire la chiave della natura umana.
Alcune considerazioni cliniche mi hanno condotta all’impressione generale che, mentre la specificità dell’atto creativo ci sfuggirà sempre, esso nasce originariamente dal corpo erogeno e dal modo in cui le figure accudenti dell’infanzia ne rappresentano le pulsioni e ne strutturano le funzioni somatiche. Nel tentativo di seguire i complessi legami tra l’individuo creativo, il suo lavoro ed il pubblico, mi è sembrato che ci siano quattro aspetti fondamentali che costituiscono il retroscena di ogni pensiero ed atto creativo.
Due di questi riguardano la relazione della persona creativa con il mondo esterno, vale a dire: la lotta con la tecnica espressiva e la natura della relazione dell’individuo con il pubblico immaginario a cui è rivolta la creazione. Gli altri due fattori riguardano il mondo interiore, vale a dire: il ruolo della sessualità pregenitale (comprendente le pulsioni orale, anale e fallica) e l’importanza dei desideri bisessuali inconsci dell’infanzia unitamente alla natura della loro integrazione nella struttura psichica.
I miei analizzandi mi hanno raccontato che ciascuno di questi quattro fattori può essere sperimentato come una forma di trasgressione e, perciò, suscettibile di provocare il conflitto psichico e di inibire la produttività. Il lavoro creativo può proseguire, ma a costi enormi in termini di ansia panica, profonda depressione o altre forme di sofferenza psichica. Sono stata affascinata dalla descrizione di Roy Schafer (1994) del “trasgressore segreto” che è terrorizzato al pensiero di essere scoperto. Spesso le personalità artistiche si occupano in svariati modi anche di “sé ed oggetti frammentati” e sono alla ricerca di un senso di individualità e coesione attraverso invenzioni e lavori creati da loro. Allo stesso tempo, essi mostrano di essere “evidenti individualisti” nel senso di Schafer.
Osserviamo innanzitutto l’artista in relazione al mondo esterno prima di considerarne i processi psichici interni.


Il mondo esterno

L’individuo creativo ed il mezzo espressivo

Osservando la lotta di ogni persona creativa con la tecnica espressiva prescelta, troviamo sempre una fantasia di fusione, o confusione, con la tecnica stessa. Ciò suscita sentimenti contrastanti; l’individuo creativo vorrebbe, allo stesso tempo, blandire il suo mezzo espressivo ed aggredirlo nello sforzo di dominarlo. Tali conflitti sono chiaramente osservabili nel campo della pittura e della scultura, in cui l’artista spesso arriva a distruggere l’opera che lui o lei sta cercando di creare.
I musicisti spesso si lamentano che amano la propria musica, ma odiano, tanto quanto amano, i loro strumenti. Le persone creative in campo industriale mostrano a loro volta una notevole ambivalenza nel loro settore.
Mi sono ricordata, in quest’ultimo contesto, di un industriale di talento che raggiunse una fama mondiale per la sua innovazione solo per arrivare a distruggere, quindici anni dopo, l’impero che egli aveva creato attraverso una serie di errori inconsapevoli. Era a questo punto quando venne in analisi, e fu poi capace di scoprire che il fallimento era avvenuto quando il suo successo finanziario aveva superato quello di qualsiasi altro membro della sua famiglia per generazioni.
Il mezzo espressivo, pittura, marmo, parole, voce, corpo, strumento musicale o istituzione sociale o politica che sia, si potrò rivelare come un alleato così come un nemico. La tecnica espressiva deve essere dominata affinché l’individuo creativo possa imporre su di essa il proprio volere. Questa imposizione può anche obbedire a due necessità: deve tradurre la visione interiore dell’artista ma, allo stesso tempo, deve implicare la convinzione che la tecnica scelta abbia il potere di trasmettere al mondo esterno il messaggio, la visione, o il nuovo concetto in questione.

L’innovatore ed il pubblico

La relazione tra la personalità creativa ed il pubblico anonimo è un “affare di cuore”, un gioco d’azzardo. Originariamente, il pubblico a cui è diretto il messaggio è interno, costituito da oggetti significativi del passato che possono essere vissuti sia come ostili che come supportivi. Spesso deve essere sostenuta una battaglia inconscia con tale mondo interno prima che il lavoro possa essere compiuto. Ma esso può anche non essere considerato degno di essere mostrato. Gli artisti non cercano soltanto di imporre al pubblico la loro immagine interiore, devono anche essere convinti che il loro lavoro ha un valore e che è desiderato e apprezzato dal pubblico a cui è rivolto. Le persone creative e gli innovatori spesso sentono di dover lottare contro il mondo esterno per affermare il proprio diritto a mostrare le espressioni più intime del loro universo interno. Io ho trovato la riflessione di Modell (1990) sul “paradosso del sé privato e del sé sociale” evocativa rispetto al mio lavoro clinico, in particolare nel contesto dell’artista e del mondo esterno. Una scrittrice, che citerò più avanti, soddisfaceva alla lettera alla descrizione di Modell del “desiderio di essere visto e riconosciuto” (controbilanciato da) “la paura di essere trovato e controllato”.
Perciò il nostro primo interrogativo, che riguardava l’inibizione grave del processo creativo, si riferisce alla natura delle fantasie che vengono proiettate sul mondo esterno: esso è percepito come in grado di accogliere, ammirare, desiderare di ricevere l’offerta creativa oppure, al contrario, come critico, respingente e persecutorio? Tali proiezioni possono essere decisive rispetto al consentire o meno la pubblicazione di un lavoro creativo, di una ricerca scientifica o di una nuova invenzione.
Anch’io spesso mi trovo a fare delle osservazioni sulla depressione (simili a quelle della seduta citata da Modell [1990]) in cui sembra che sia io che il mio analizzando stiamo usando processi di identificazione proiettiva ed introiettiva. (Possiamo ricordare che Bion considerava la comunicazione attraverso l’identificazione proiettiva come una forma primitiva o prototipica di pensiero.)

Il mondo interno

Arrivando ora a parlare del mondo interno, mi piacerebbe riconsiderare l’importanza delle pulsioni pregenitali e bisessuali, manifestate costantemente nel lavoro psicoanalitico, e che per estensione possono impedire al lavoro creativo dell’artista di raggiungere il mondo esterno.

Erotismo pregenitale e impulsi sessuali arcaici

Il fondamento libidico di tutta l’espressione creativa è invariabilmente associato ad impulsi pregenitali ed aspetti arcaici della sessualità in cui erotismo e aggressività, amore e odio, sono indistinguibili gli uni dagli altri.
L’importanza e la ricchezza della sessualità pregenitale coinvolge i cinque sensi, così come tutte le funzioni corporee. Ma succede frequentemente che alcuni sensi, così come alcune zone e funzioni somatiche, vengano sperimentati inconsciamente come fonti proibite di piacere o come azioni e sensazioni potenzialmente dannosi.
Entrare nelle impressioni mentali e corporee ricevute attraverso l’uso di tutti i sensi rappresenta in sé un atto creativo per ciascuno. L’artista, in qualsiasi campo, è inevitabilmente ispirato dal mondo esterno e, una volta che le impressioni, le percezioni, le emozioni ed i pensieri che ne derivano sono acquisiti psichicamente, il loro impatto feconda il mondo interno della mente creativa. Tuttavia, questo movimento incessante tra i due mondi può essere sperimentato inconsciamente come un’azione orale divorante e distruttiva.
Un pittore di ritratti venne da me per analizzare la violenza repressa di impulsi orali. Questo analizzando, nonostante una particolare tecnica astratta che gli aveva procurato un’indubbia reputazione e che di solito gli consentiva di catturare una somiglianza con il modello, avrebbe voluto talvolta distruggere i ritratti su cui aveva investito molto. Arrivammo a capire, dopo due anni di lavoro psicanalitico, che, in una maniera onnipotente ed infantile, si riteneva responsabile della parziale paralisi facciale della madre. Svelammo la fantasia che lui fosse responsabile di questa paralisi. Era ricordato come un bambino molto esigente, difficile da nutrire e difficile da calmare, e lentamente divenne chiaro ad entrambi che egli era vissuto nel terrore di essere stato un bambino avido ed esigente che aveva attaccato oralmente e divorato sua madre con la propria bocca ed i propri occhi. In un certo senso aveva trascorso la propria vita cercando di riparare questo danno catastrofico attraverso modalità magiche. Le rassicurazioni della famiglia che gli aveva spiegato la maniera in cui la madre era arrivata a soffrire della sua disgrazia, non poterono nulla per distoglierlo dalla convinzione inconscia della propria colpa. I suoi ritratti erano in se stessi degli attacchi esplosivi rivolti alla vista e, allo stesso tempo, erano riparativi nel restituire una somiglianza straordinaria al soggetto ritratto.
Un dramma inconscio simile mi si rivelò durante l’analisi di un chirurgo plastico che affermava che sua madre era una donna insolitamente brutta. Nelle poche occasioni in cui il suo lavoro non era impeccabilmente di successo, fummo in grado di capire che lui credeva di aver reso brutta sua madre e qualsiasi paziente che gliela ricordasse lo rendeva eccessivamente ansioso. Inoltre, fu capace di impiegare, attraverso un’inventiva chirurgica altamente originale, la stessa violenza che aveva vissuto nel primitivo rapporto con la madre. “Io taglio per curare”, dichiarò. Fummo in grado di analizzare questa frase e di capire che, attraverso l’azione del tagliare, egli soddisfaceva diverse pulsioni pregenitali e, allo stesso tempo, attuava una riparazione del danno fantasmatico di cui credeva di essere l’autore.
Nella misura in cui prendere dall’ambiente può essere temuto come un’azione orale distruttiva, l’atto di donare qualcosa di sé al mondo esterno può, per converso, essere sperimentato inconsciamente come un atto defecatorio e, perciò, potenzialmente umiliante o distruttivo.
La prima creazione che il bambino offre al mondo esterno è, naturalmente, l’oggetto fecale, con tutti i significati erotici ed aggressivi che sono invariabilmente associati all’attività anale e alla fantasia fecale. Questa fonte libidica inconscia gioca un ruolo vitale nelle persone creative in qualsiasi settore. Ma le fantasie implicate aggiungono un elemento di ambiguità per cui la produzione fecale è invariabilmente vissuta come riferita a due distinte rappresentazioni: da una parte è qualcosa di grande valore, un dono offerto al mondo con amore; dall’altra è un’arma destinata ad attaccare e dominare gli oggetti significativi del mondo esterno. È comprensibile che la natura inconscia degli investimenti anali erotici ed anali aggressivi implicati nell’atto creativo sia un fattore importante nel determinare la capacità, o l’incapacità, di proseguire a produrre e di mostrare le proprie produzioni al mondo. Shafer (1994) parla del conformista grave che deve sperimentare l’orgasmo alla stregua di un’esplosione anale. Questa metafora, nella mia esperienza clinica, potrebbe essere applicata anche all’orgasmo creativo e, come conseguenza delle fantasie inconsce ad esso associate, può portare facilmente ad una severa inibizione della propria produzione.
In tale ottica, il piacere e l’eccitazione, provate nell’atto di esprimere e rendere pubblico il proprio lavoro, possono essere rese equivalenti all’esibire il proprio corpo o al masturbarsi in pubblico. Qui mi viene in mente un paziente citato da Hannah Segal (1957): il caso di un musicista che rispondeva aggressivamente quando lei cercava di analizzare la sua totale inibizione rispetto all’esibirsi in pubblico. Lui le disse che lei lo stava semplicemente incoraggiando a masturbarsi davanti al mondo intero. Nella discussione di questo episodio, la Segal mette in evidenza che la confusione tra suonare uno strumento musicale e un atto masturbatorio non è un vero e proprio simbolo, ma soltanto un “equivalente simbolico” in cui realtà interna ed esterna non sono tra di loro distinte.

La bisessualità inconscia primitiva

Riguardo ai desideri bisessuali dell’infanzia, postulati da Freud (1905) come un dato universale, l’osservazione dei bambini piccoli conferma che essi tendono ad identificarsi con entrambi i genitori, desiderando i privilegi ed i poteri magici di ciascuno di loro. Tali poteri onnipotenti sono usualmente simbolizzati dagli organi sessuali dei genitori. Nella misura in cui i desideri maschili e quelli femminili sono ben integrati ed accettati, tutti noi abbiamo la possibilità, per così dire, di essere creativi attraverso la sublimazione del desiderio impossibile di incarnare entrambi i sessi e di creare bambini con entrambi i genitori. Questo può poi permetterci di concepire “bambini” partogenetici nella guisa di lavori innovativi.
Ora andiamo ad esplorare, con il sostegno di tre vignette cliniche, situazioni in cui i desideri bisessuali e pregenitali giocano un ruolo fondamentale nello stimolare, così come nel paralizzare, il processo creativo. Spero che questi frammenti anali-tici getteranno ulteriore luce nell’universo interno dell’individuo creativo, così come illumineranno le ragioni inconsce che inibiscono la capacità di creare o di offrire la propria creazione al pubblico.

Erotismo pregenitale ed espressione creativa

Cristina, una scultrice del Sudafrica, fu una delle mie prime pazienti. Cercò aiuto molti anni fa durante i suoi studi artistici a Parigi perché era arrivata ad un punto di completa paralisi nella sua produzione artistica. Mi spiegò che, sebbene sognasse di creare sculture monumentali, era capace solo di fare delle costruzioni molto piccole; emerse che esse erano invariabilmente scolpite in un materiale fragile e venivano frequentemente scheggiate o rotte, spesso da Cristina stessa. Parlò anche di problemi familiari, temeva di non essere una buona madre per i suoi due bambini (come se anche loro potessero essere fragili e rotti facilmente). Cristina accennò inoltre al fatto di essere incapace di mostrare pubblicamente il suo lavoro nonostante l’incoraggiamento degli amici, tra i quali c’erano un paio di gestori di gallerie d’arte. Anche solo il pensiero di una mostra di quel genere le faceva provare ansia, le provocava insonnia e portava il suo lavoro ad un arresto totale.
L’analisi si svolse con una frequenza di quattro volte a settimana e durò sei anni. Cristina impiegò molte sedute a raccontare della sua angoscia rispetto al proprio corpo e alle sue funzioni. Ciò comportò l’esplorazione prolungata di un intenso senso di colpa che riguardava la masturbazione, derivante da ricordi dell’infanzia in cui era stata severamente castigata dalla propria madre; si ricordò che le era stato detto che l’attività autoerotica non l’avrebbe solo mandata all’infermo, ma avrebbe ucciso sua madre stessa. Questi ricordi ci portarono a scoprire una fantasia fino a quel momento rimasta inconscia: che le sue stesse mani fossero permeate di un potere distruttivo e che esibire le sue sculture pubblicamente avrebbe causato la morte di sua madre. Nei primi due anni del nostro lavoro, Cristina iniziò a fare sculture più grandi ed a provare a lavorare il metallo. Finalmente trovò il coraggio di partecipare ad un concorso finalizzato a promuovere giovani artisti che utilizzassero qualsiasi tecnica. Coincidenza volle che il tema del concorso per quel anno fosse: “Le Mani”. Cristina costruì, con un materiale scuro, una grande effige della propria mano. Era un’opera strana ed affascinante con qualcosa che ricordava un mostro preistorico. “La mia scultura è stata scelta per l’esposizione”, annunciò un giorno aggiungendo: “tutti potranno vederla. Ed io ho spedito un invito anche ai miei genitori! La mia “cosa” sarà mostrata prima a tutto il mondo, e per una volta loro potranno essere fieri di me.” Nei giorni seguenti, fu in grado di esprimere a parole la convinzione che la sua “cosa” non rappresentasse solo una rassicurazione della propria integrità corporea, ma che essa proclamava anche il proprio diritto alla sessualità ed al piacere erotico femminile.
Nei lunghi anni che trascorsero successivamente alla conclusione del nostro lavoro analitico, ricevetti spesso notizie da Cristina e cataloghi che fornivano dettagli delle mostre dei suoi lavori in Europa e all’estero. Un paio di anni fa mi chiamò per dirmi che era tornata in Francia per un po’ di tempo e che aveva bisogno di un appuntamento urgente. Soffriva di nuovo di un’ansia molto forte che le impediva di dormire e di lavorare. Questa esplosione di panico era avvenuta durante la serata d’inaugurazione di un’importante mostra del suo lavoro, costituito da grandi sculture in pietra e cemento realizzate in uno stile completamente nuovo. Fummo in grado di stabilire che lei venisse una volta a settimana per diversi mesi.
Nella prima seduta in cui tornò a stendersi sul lettino disse:
“Ho lavorato alle opere per questa mostra per più di un anno e con un sentimento assolutamente insolito di libertà e di piacere che, come lei sa, è proprio raro per me. C’è sempre un’ansia di fondo poco prima di una mostra importante, ma questa volta non mi ero accorta della benché minima traccia di panico. Dopo la prima serata, il direttore della pubblicità sottolineò che le mie sculture non erano come i miei lavori precedenti, disse che erano “meno austere” e notò anche che io avevo usato una nuova tecnica che era, disse, davvero inaspettata da me. Io tornai a casa in uno stato di estrema angoscia e crollai, in una maniera tale che non avevo vissuto per anni. Nelle ultime tre settimane non sono stata capace né di lavorare né di dormire.”
La settimana successiva incoraggiai Cristina a dirmi di più delle sue sculture.
“Bene, c’è qualcosa di insolito nel lavoro odierno. Non solo io provo realmente gioia nel crearlo, ma aggiungo anche qualche dettaglio decorativo che sarebbe stato impensabile per me anche solo due anni fa. Ora entro nel panico appena vado nel mio atelier di Parigi. Non posso neanche pensare al lavoro o toccare l’opera su cui stavo lavorando.”
Nella settimana che seguì, la mia curiosità, così come il mio interesse affettivo, mi portarono a visitare il Museo d’Arte Moderna dove osservai le impressionanti opere, opprimenti nella loro dimensione e forma, ma anche molto alleggerite da un interessante particolare della superficie. Pensai a quanto il lavoro di Cristina fosse progredito rispetto alle timide, piccole forme di creta di molti anni prima, la loro dimensione aveva anche superato di molto la drammatica “Mano” che era stato il suo debutto pubblico.
Nelle sedute seguenti ricapitolammo le nostre scoperte del passato: la minaccia di morte associata alla masturbazione, seguita da un primo ricordo in cui lei aveva tre anni ed i suoi genitori erano partiti per una settimana lasciandola alle cure della domestica. In quei giorni lei prese le sue feci e le mise in una scatola di cartoncino dentro ad un armadio della sua stanza. Esse furono scoperte dalla cameriera che la rimproverò severamente e successivamente informò i genitori del suo misfatto. (In un certo senso queste furono le prime vere sculture di Cristina; lei si aggrappò a questo suo primo dono offerto al mondo esterno, probabilmente per evitare un sentimento di perdita e di abbandono.) Poi fu evocata una situazione ancora precedente in cui Cristina ricordò distintamente di essere stata portata nuda dalla sua governante davanti ad un gruppo di ospiti. La balia aprì le gambe della bambina e, con un tono di disgusto, richiamò l’attenzione di tutti sul fatto che stava urinando. Questo spettacolo fu accolto con grandi risate. Cristina ritiene di aver avuto un’età compresa tra un anno e diciotto mesi. Aveva rivissuto molte volte la sensazione di urinare con piacere, ma seguita immediatamente da un intollerabile senso di umiliazione e di oltraggio pubblico.
Durante la seduta che seguì a questa ricapitolazione, Cristina spiegò per la prima volta che il “dettaglio decorativo”, con cui lei aveva ornato le sue recenti sculture, era stato aggiunto a mano dopo la fusione iniziale. Questo nuovo elemento portò ad una totale rivalutazione della sua mostra in cui lei riconobbe che la storia si stava ripetendo. Poco tempo dopo, prima di tornare al suo paese, disse: “Sto iniziando a chiedermi se l’estrema austerità che è sempre stata la caratteristica del mio lavoro avesse lo scopo di mascherare la mia sessualità e di negare nei fatti tutto il piacere sensuale del corpo. Le mie funzioni corporee mi hanno sempre fatta sentire ansiosa ed in colpa ed ogni sentimento sensuale era vissuto invariabilmente e oscuramente come terrificante. È il piacere che è proibito? L’orgasmo che deve essere negato a qualunque costo?”
Avevo osservato, durante il periodo iniziale del nostro lavoro che, quando Cristina aveva iniziato a fare sculture sempre più grandi e ad usare materiali resistenti, tale cambiamento aveva coinciso con la fase in cui aveva potuto esprimere verbalmente i suoi sentimenti di rabbia verso i genitori interni. Le foto del suo lavoro, che mi portò in quel periodo, sembravano incarnare e trasmettere un po’ di questa sua violenta emozione. Ma con il ritorno del terrore che le proprie mani fossero capaci e responsabili di uccidere, la violenza creativa scomparve e le antiche inibizioni tornarono più forti.
In questo secondo periodo di analisi fu in grado di ricordare, per la prima volta, le conversazioni in cui sua madre aveva dato prova del proprio rifiuto delle sensazioni sessuali e del piacere corporeo di qualsiasi tipo. Ciò la portò a dire: “Mia madre, che ho sempre creduto fosse un mostro, ora è diventata semplicemente un’anziana signora malata psicologicamente.” In seguito a questa cruciale intuizione in cui Cristina fu capace di riconoscere una corrente di comprensione e tenerezza verso la propria madre, iniziò di nuovo a creare.
Qualsiasi immagine traumatica derivante dal passato possa essere stata riattivata in questa sensibile artista, l’angoscia di Cristina riguardo alla propria ultima mostra scomparve; entro alcune settimane firmò un contratto per esporre lo stesso lavoro in un’altra metropoli e attese con piacere la serata di apertura.
Un ulteriore esempio di simili conflitti, ma espresso attraverso un mezzo espressivo diverso, lo fornì Tamara, una violinista di talento, molto stimata dal Conservatorio di Parigi, dove era stata un’alunna vincitrice di premi. Tamara soffriva di un’ansia paralizzante quando era in attesa di suonare davanti ad altri: qualche volta avrebbe voluto disdire all’ultimo minuto gli inviti ad esibirsi in serate musicali private con amici o a concerti offerti dagli allievi del Conservatorio. Dopo molti mesi di indagine, da parte sua così come da parte mia, in cui cercammo di ricostruire lo scenario inconscio che veniva rappresentato prima di ogni esecuzione, fu in grado di afferrare la seguente fantasia: “Io inganno il mondo. La mia esecuzione è lontana dalla perfezione che pretendo da me stessa e la gente pensa che io sia molto più dotata di ciò che sono realmente. Io faccio stridere il mio strumento e, invece di qualcosa di bello, tutto ciò che ne esce è cacca, come musicista io non sono altro che merda.” Attraverso i ricordi della vergogna e dell’angoscia associate alla defecazione vissute durante un periodo encopretico dell’infanzia, Tamara arrivò a capire che dietro al suo terrore di suonare in pubblico non c’era solo la paura che lei avrebbe esibito ciò che credeva fosse un corpo sgradevole e asessuato, ma che dietro al desiderio di offrire qualcosa di valore e di bello al pubblico c’era un desiderio contrario: sommergere il mondo intero con feci mortifere. Per estensione si rivelò chiaramente che aveva proiettato sul suo pubblico l’immagine di una madre arrabbiata, critica e analmente controllante.
Queste scoperte la misero in grado di esplorare il proprio sentimento al contempo di amore e odio verso il proprio strumento. Alcuni mesi dopo sognò che stava prendendo il proprio violino e che le sue mani sprigionavano una luce che, di riflesso, illuminava lo strumento. Nelle sue associazioni disse con sorpresa: “Lei lo sa, io non ho mai capito che il mio violino è parte del mio corpo. Anche se la sua forma è femminile!” Quando fu capace, per la prima volta nella sua memoria, di permettersi di amare e prendersi cura del proprio corpo, si sentì finalmente libera di considerare possibile di esibire questa estensione del proprio sé corporeo al pubblico e cominciò ad immaginare che un giorno avrebbe potuto offrire i suoi doni musicali al mondo esterno con un sentimento privo di ambivalenza.
Un anno dopo la fine della sua analisi mi spedì due biglietti per un concerto pubblico in cui lei diede un’esecuzione molto commovente.

Bisessualità e creatività

In merito al ruolo delle primitive pulsioni bisessuali nel processo creativo, mi è sempre parso che il piacere sperimentato nei successi intellettuali ed artistici fosse associato ad un considerevole narcisismo ed a fantasie omosessuali; in tale tipo di produzione, ognuno è allo stesso tempo sia uomo che donna. Forse tutti gli atti creativi possono essere concepiti come una fusione di elementi maschili e femminili nella nostra struttura psichica. Inoltre, l’esperienza clinica mi ha insegnato che i conflitti riguardanti entrambi i poli della libido omosessuale, il desiderio di fare proprio il potere creativo materno così come il fertile pene paterno, possono creare una seria inibizione o perfino una totale sterilità nella capacità di far nascere bambini simbolici nella forma di creazioni intellettuali ed artistiche. Allo stesso modo, eventi che minacciano di distruggere il delicato equilibrio delle fantasie bisessuali presenti nell’inconscio possono anche provocare l’inibizione delle capacità intellettuali, scientifiche ed artistiche.
Da questi concetti deriva che ogni disturbo traumatico nel funzionamento somatico, o qualsiasi evento che intacca il senso di integrità corporea, può potenzialmente avere una profonda influenza sulla capacità creativa.
Offrirò un ultimo frammento analitico per sottolineare il ruolo dei desideri bisessuali ed il profondo legame tra corpo psicosessuale pregenitale ed espressione creativa, in particolare quando la punizione per fantasie inconsce associate a contenuti sessuali e procreativi è proiettata sul pubblico.
Una scrittrice, che chiamerò Benedetta, cercò inizialmente aiuto perché era completamente bloccata nello scrivere. Nel procedere del nostro lavoro, Benedetta scoprì due scenari fino ad allora inconsci: uno consisteva nel fatto che lei non doveva creare perché la propria madre avrebbe preso o distrutto qualsiasi cosa lei avesse prodotto, l’altro nel tardivo riconoscimento che suo padre (che era morto quando lei aveva meno di un anno e mezzo) era stato il principale sostenitore della sua creatività, ma era stato percepito come proibito in qualità di figura d’amore. Quando lei arrivò ad accettare le proprie identificazioni maschili e femminili ed il bisogno di garantirsi tutte le proprie funzioni biparentali, ricominciò a scrivere. Il primo racconto che scrisse (durante il nostro terzo anno di lavoro analitico) fu scelto per uno spettacolo televisivo nazionale volto a promuovere nuovi giovani scrittori. Quando, durante la trasmissione, qualcuno le chiese come spiegava la natura esoterica del suo racconto, lei rispose: “perché è una piccola storia scritta da un bambino.”
Tre anni dopo, quando il suo blocco nello scrivere sembrava essere interamente svanito, Benedetta dovette sottomettersi ad un’ovariectomia. In seguito a questa operazione mutilante si sentì di nuovo incapace di scrivere e disperata come era stata sei anni prima. Vorrei presentare un breve estratto del nostro lavoro analitico un mese dopo l’operazione perché illustra il modo in cui l’atto creativo può essere sperimentato come una pericolosa trasgressione attraverso cui si sono rubati i poteri procreativi dei genitori.

Prima seduta

B.: “Nessuno deve sapere della mia operazione. È un altro orribile segreto come la morte di mio padre.” [Sua madre aveva tenuto nascosto il fatto che il genitore era morto raccontando alla bambina, ogni volta che chiedeva del padre, che lui era “in ospedale”. Benedetta scoprì la verità per caso quando ebbe cinque anni.]
Prosegue facendo un collegamento tra la propria operazione e quella subita dal padre per il cancro rettale. Una parte infantile di Benedetta considera la propria madre responsabile della sua morte e, attraverso questo collegamento corporeo e mortale, arriva ad esprimere la fantasia inconscia che la propria madre sia responsabile anche della sua recente ovariectomia. Nelle sue associazioni diventa chiaro che questo aspetto della propria madre interna è ora immaginato come se avesse attaccato la sua sessualità e distrutto la sua capacità di generare bambini.
Benedetta in questa seduta si preoccupa parimenti di due racconti che attualmente non può “far nascere”. Il titolo di uno di essi, L’autore del crimine, mi ha portata nelle scorse settimane ad un certo numero di associazioni libere riguardo alla natura del “crimine” di Benedetta. Il mio primo interrogativo fu se Benedetta, in una maniera tipicamente infantile e megalomanica, avesse potuto credere inconsciamente di essere stata responsabile per aver distrutto la possibilità dei genitori di fare mai più un altro bambino. Questa sembrava un’ipotesi plausibile in considerazione del fatto che lei era figlia unica e che suo padre era morto quando aveva diciotto mesi. Una conseguenza può ben essere la piccola “criminale” Benedetta che crede di non avere più il diritto di produrre libri o bambini.
Dopo una lunga pausa, Benedetta ricorda un precedente amore, Adam, con cui lei una volta aveva immaginato di poter fare un bambino.
B.: “Mi mostrarono le lastre delle mie due ovaie. Ho la fantasia che in una ci fosse il figlio di Adam e nell’altra sua figlia. Dovevano essermi tolti naturalmente!”
J.: “Le bambole gemelle?”
[Questo si riferisce ad un ricordo infantile: quando aveva cinque anni, Benedetta aveva ricevuto due bambole gemelle per il suo compleanno, una vestita da maschio e l’altra da femmina. Lei giocava esclusivamente con il maschio. Un giorno sua madre dichiarò che le bambole dovevano andare “all’ospedale” Quando tornarono indietro erano entrambe femmine! Tali ricordi contribuirono all’immagine interna di sua madre come castrante e pericolosa.]
B.: “Si! Le due bambole! Lei lo sa, non avrebbe mai voluto una figlia. Tutto ciò che avrebbe voluto era una bambola!”
Qualunque possa essere stata la patologia della propria madre, c’è certamente un elemento proiettivo durante tutta la seduta che consiste nella piccola bambina che cerca di immaginare di entrare nel corpo della madre e portare via tutto il suo tesoro femminile: i bambini, il padre ed il suo pene. Questa comune fantasia ora è trasformata nella mente di Benedetta nella madre vendicativa che ha distrutto le sue ovaie per cui non può far nascere i bambini di Adam.
Quando evidenzio questo, lei dice: “Si posso riconoscerlo, ma c’è anche un altro problema. Io temo che se tiro fuori tutti i miei sogni ad occhi aperti ed i libri-bambini, non rimarrà nulla, io sarò completamente svuotata.”
Qui abbiamo un’ulteriore elaborazione della medesima fantasia: la sua creatività è stata distrutta dall’immagine internalizzata della madre, ma con questa differenza: la metafora ora suggerisce una fantasia primitiva di perdita fecale. Benedetta ha spesso ricordato con irritazione la preoccupazione incessante della madre riguardo al suo funzionamento intestinale, che si risolse nei clisteri subiti costantemente da Benedetta. La sua fantasia che “non rimarrà nulla”, se lascerà che tutte le sue storie escano fuori, suggerisce che non si tratta più di un problema riguardante il suo diritto di appagamenti sessuali e di gravidanza, ma di una versione regressiva di questi, una fantasia di essere svuotata delle proprie feci dalla madre apprensiva della sua infanzia. Lei teme ancora una volta la perdita di tutti i suoi preziosi contenuti. Nella sua ulteriore proiezione di questa fantasia inconscia, ora è il pubblico che la svuoterà di tutti i suoi tesori interni.
Vediamo chiaramente le molteplici dimensioni che il pubblico anonimo può rappresentare per uno scrittore. Se i libri di Benedetta sono equivalenti inconsci o di bambini o di feci, non è sorprendente scoprire che il suo pubblico sia associato agli aspetti più negativi della propria rappresentazione materna, quella che distruggerà tutti i suoi contenuti interni.
B.: “Se ho iniziato quest’ultimo libro nella maniera in cui ho iniziato la mia vita, allora è naturale che io non voglia sostenere la mia costruzione. Deve crollare. Io non supponevo di creare! Allo stesso modo per cui ho dovuto perdere le mie ovaie. Quando sta per nascere, devo abortire. Sto per essere mia madre quando distrusse il primo pezzo che io avessi mai scritto? Devo distruggere per compiere il mio destino?”
Le associazioni di Benedetta indicano che la sua incapacità di creare qualcosa attualmente è dovuto ancora alla sua proiezione di impulsi distruttivi addosso alla madre interna.
B.: “E’ vero che sto portandomi dietro la maggior parte dei miei contenuti. Avevo bisogno di mio padre per difendermi da lei. Ed io ora so che il mio scrivere nasce dalla sua presenza in me. Ma mia madre cercò di tirare fuori tutto da me, sebbene tutto ciò che avevo, tutto ciò che ero, apparteneva a lei, non a me. Così io morii invece di nascere o di produrre qualsiasi cosa per lei! [Dopo una lunga pausa …] Io mi torturo con l’idea che il racconto attuale, quello stitico, non risponda alle aspettative di tutti. Ed io non posso sopportare un altro errore rifiutato.”
Diamo un ultimo breve sguardo all’immensa importanza del riconoscimento pubblico come un elemento per convincere le persone creative che sono assolte per le loro trasgressioni fantasticate e per l’erotismo pregenitale.

Riflessioni conclusive

Nelle quattro situazioni riportate in questo articolo: a) il conflitto con il mezzo espressivo, b) il conflitto con le proiezioni sul pubblico, c) la forza delle pulsioni pregenitali e d) l’importanza della bisessualità psichica, in realtà stiamo trattando delle quattro versioni della scena primaria, tutte o alcune delle quali possono essere fonte di fertilità o di sterilità. Ciascuna situazione, oltre ad avere un’attrazione libidica ed essere associata sentimenti violenti, è anche sperimentata come uno scenario proibito o carico di pericolo, sia per sé che per l’altro. Probabilmente non c’è attività creativa che non sia sperimentata inconsciamente come un atto trasgressivo: c’è chi ha osato lavorare da solo attraverso la tecnica espressiva prescelta per soddisfare scopi libidici segreti, aggressivi e narcisistici; chi ha osato esporre il lavoro che ne deriva al mondo esterno; chi ha osato servirsi della sessualità pregenitale con tutta la sua concomitante ambivalenza; infine chi ha osato rubare gli organi riproduttivi dei genitori ed i loro poteri per realizzare il proprio prodotto creativo.
Possiamo, perciò, riconoscere che gli elementi di umiliazione, rabbia e collera sono di vitale importanza per la produzione creativa, così come vitali sono gli elementi di amore e di passione. È comprensibile anche che gli individui creativi siano costantemente esposti ad un turbamento improvviso o ad un arresto nella loro produttività quando inevitabili ricordi traumatici ed emozioni primitive del passato tornano in superficie e li espongono alla vendetta del mondo esterno.
Per concludere, potremmo dire che gli stessi traumi più strettamente associati con l’organizzazione psicosessuale dell’identità corporea, così come sono riproposti dagli oggetti significativi del passato, sono all’origine non solo dei sintomi e delle inibizioni nevrotiche, ma della stessa creatività.

Riferimenti bibliografici

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Edizioni Boringhieri 1984

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Modell A. Per una teoria del trattamento psicoanalitico. Raffaello Cortina Editore 1994

Schafer R. lavoro presentato al Simposio per il settantacinquesimo anniversario di Austen Riggs 1994

Segal H. Note sulla formazione del simbolo. International Journal of Psychoanalysis 1957, n° 38 pagg. 391-397

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Winnicott D., Oggetti e fenomeni transizionali. In Gioco e realtà, Armando Editore, Roma 1974


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