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PSYCHOMEDIA
RELAZIONE GRUPPO<=>INDIVIDUO
Coppia e Famiglia


Un intervento clinico nella rete dei servizi:
il caso di una famiglia monoparentale

di Cristina Nosotti, Fabio Monguzzi



Obiettivo di questo scritto è descrivere e analizzare un caso clinico costituito da una famiglia monoparentale composta da una madre nubile e dalla figlia adolescente, mettendo in luce le ipotesi di intervento e le scelte cliniche via via effettuate.
Esso nasce dal lavoro di due Servizi dell’ASL Città di Milano, un Consultorio Familiare, sede anche del Servizio per adolescenti e un Centro di Terapia familiare, che hanno preso in carico il caso in tempi e con modalità diverse, adottando una strategia di stretta collaborazione che sola ha reso possibile, a nostro avviso, il trattamento di una situazione molto complessa.

Il primo contatto con i Servizi avviene circa tre anni fa per iniziativa della madre, sig.ra G., laureata, allora 41enne; ella si rivolge ad uno psicologo del Consultorio per i problemi della figlia , Paola, 15enne, iscritta al secondo anno di un Istituto Tecnico, che da qualche tempo si rifiuta di andare a scuola. La signora ha interrotto i contatti con il padre di Paola poco dopo essere rimasta incinta; ha vissuto presso la propria famiglia d’origine con la figlia finché ella ha compiuto 11 anni; da allora vive da sola con lei. Da alcuni anni ha un compagno che interferisce talvolta nell’educazione di Paola e con cui la ragazza ha un discreto rapporto.
Il collega avvia una consultazione, interrotta dopo pochi colloqui dalla ragazza che, a detta della madre, non accetta di raccontare le proprie difficoltà ad un uomo.
Successivamente sempre la madre si rivolge ad un altro psicologo, nell’ambito di uno spazio d’ascolto per i genitori, esponendo ancora i problemi della figlia; il collega consiglia alla signora di rivolgersi nuovamente ai Servizi territoriali, chiedendo questa volta una terapeuta donna.
Paola, ora 17enne, viene presa in carico dalla psicologa che si occupa degli adolescenti, con la frequenza di una seduta la settimana.
Fin dai primi colloqui emerge una situazione complessa; la ragazza si autodefinisce depressa e pessimista, poiché crede sempre di non farcela qualunque cosa intraprenda; piange tutti i giorni, soffre di incubi notturni che la spingono a rifugiarsi nel letto della madre, con la quale ha per altro un rapporto fortemente conflittuale.
Riferisce di non sapere nulla del padre e di non avere nessuna curiosità in proposito; nello stesso tempo, però, rinfaccia alla madre di non averle mai parlato di lui.
Al momento d’inizio della terapia, Paola non va a scuola da circa un anno; dice di non sentirsi in grado non solo di affrontare le prove che essa comporta (interrogazioni, compiti in classe...), ma soprattutto i rapporti con i coetanei da cui si sente esclusa e giudicata.
Fa risalire le sue difficoltà di relazione alla seconda media, periodo in cui sarebbe stata presa di mira da un’insegnante e isolata dalle compagne a causa dei suoi comportamenti ritenuti esibizionistici e inadeguati. Paola è molto reticente su questo punto come se avesse totalmente rimosso questo momento della sua vita; ella stessa dice di avere cancellato dalla memoria questo “periodo orribile” contrapponendolo a quello delle elementari, “felice”, in cui tutto andava per il meglio. Con l’inizio delle sue difficoltà a scuola, si sono guastati anche i rapporti con la mamma e i nonni, che la rimproverano di essere una “fannullona” e di non mettere in atto la buona volontà per riprendere a studiare o cercare lavoro.
La ragazza riporta dunque costantemente il suo senso di fallimento e di esclusione, descrive giornate senza scopo, in cui si sente precipitare nel vuoto, trascorse al telefono o davanti alla televisione.
Il suo ambito di relazione è costituito da una compagnia di quartiere composta prevalentemente da maschi, con cui ha un rapporto ambivalente; esprime un disperato bisogno di stare con loro per uscire dalla solitudine, ma nello stesso tempo, si sente sempre sfruttata, ingannata, tradita sia dai ragazzi che dalle amiche. Il suo vissuto è di essere “quella per una sera”, nonostante non le sembri di comportarsi da ragazza leggera.
Paola è membro attivo di un fan-club, legato a una band musicale, che segue in trasferta, partecipando a feste e riunioni per sponsorizzare il gruppo; in queste occasioni, la ragazza sta fuori anche tutta la notte, talvolta con amici appena conosciuti e ciò è fonte di violenti diverbi con la madre.

Durante i primi mesi di terapia, vengono effettuati alcuni incontri anche con la sig.ra G., per ricostruire la storia dell’infanzia e della prima adolescenza di Paola. La signora manifesta la stessa vaghezza e confusione della figlia quando parla del rapporto con il padre della ragazza, delle esperienze scolastiche e relazionali negative vissute da Paola negli anni della scuola media, come se entrambe non riuscissero a spiegarsi cosa è successo. Riporta inoltre di continuo il suo sentirsi “una presenza inesistente” nei confronti della figlia, totalmente impotente di fronte alle sue difficoltà, incapace di gestirla, imponendole regole e orari.
Vengono allora proposti alla signora dei colloqui con una collega psicologa del Consultorio Familiare al fine di sostenerla nel ruolo genitoriale.
La scelta di attivare anche per la sig. G. uno spazio individuale nasce dalla necessità di arginare le continue interferenze nella terapia della figlia e i tentativi di delegare alla terapeuta di Paola le proprie responsabilità educative.
L’assoluta mancanza di contenimento e di punti di riferimento esterni (figure adulte autorevoli, amicizie, scuola...) si presenta subito come un punto assai critico nel percorso terapeutico di Paola. Essa manca spesso alle sedute, perché nessuno la sveglia; trascorrendo la notte fuori o non riuscendo a riposare bene a causa degli incubi di cui soffre la ragazza dorme di giorno, talvolta fino al rientro della madre. In questo modo tenta anche di sottrarsi alla depressione e al senso di vuoto che la invadono durante le lunghe giornate trascorse da sola.
Raramente inoltre arriva puntuale agli appuntamenti.
Durante i primi mesi di lavoro con lei, è necessario riformulare più volte il contratto di psicoterapia. Paola si mostra ambivalente a questo proposito: da una parte, riafferma continuamente la sua adesione alla terapia, telefona a scusarsi quando non viene, riconfermando il successivo appuntamento; dall’altra parte, sembra vivere in termini giudicanti e persecutori l’impegno che le viene richiesto.
Dopo tre mesi di terapia, riporta questo sogno:

“Sono impegnata in una gara; dobbiamo raccogliere delle pietre con l’aiuto di mappe; incontriamo man mano delle persone; ciascuna dà una mappa per raggiungere la pietra successiva. Ad un certo momento incontro una strega; dice che non può darmi la mappa perché sono in ritardo. Dopo un po’ un mio amico mi dà lui la mappa; devo raggiungere l’ultima pietra. Sono quasi arrivata, ma una signora mi trattiene a parlare per cinque ore e mi fa perdere la possibilità di trovare la pietra.”

Uno degli aspetti più difficili della terapia di Paola è trovare con lei un’alleanza di lavoro; sembra mancare nella ragazza uno spazio di contenimento interno, per cui fa molta fatica a fermarsi a riflettere ed elaborare.
Per molto tempo le sedute sono caratterizzate da un discorrere fatuo e dispersivo: i pettegolezzi della compagnia, i bisticci con le amiche, i dispetti reciproci...Paola risponde con irritazione e fastidio ai tentativi, pur molto cauti, della terapeuta di riportarla alle sue difficoltà.
La terapeuta spesso vive con lei, nelle sedute, la sensazione di non approdare a nulla e, di conseguenza, sentimenti di impotenza, frustrazione, rabbia. Lo sforzo maggiore è, dunque, non solo cercare di dare un senso e una consistenza a ciò che Paola riporta in seduta, ma anche, e soprattutto, trattenere Paola nella relazione.
Il mondo in cui ella vive è fatto di pseudo-relazioni, un mondo in cui “si conosce un sacco di gente simpatica”, ma non si instaurano rapporti autentici con nessuno; dai suoi racconti, sempre in termini forzatamente entusiastici, traspaiono sempre più angoscia, solitudine e disperazione.

D’altra parte, la terapeuta che trattiene a pensare e chiede un tempo per la relazione, non è figura di riferimento, ma strega che punisce e interrompe la gara; Paola dà l’impressione di essere sempre in corsa; non può fermarsi a pensare, per non sentirsi, come lei stessa dice piangendo, “uno schifo”, “soprattutto quando sono con mia madre, lei mi fa sentire uno schifo, perché non concludo niente”.
Anche la terapeuta rischia di farla sentire così quando richiede appunto l’impegno terapeutico; questo impegno è, però, in questo momento della sua vita l’unico punto fermo. Le sedute diventano via via più regolari, gli orari vengono maggiormente rispettati.
Permane sempre molto alta la conflittualità e l’ambivalenza nel rapporto con la madre; da una parte Paola non smette di proclamare il suo desiderio di indipendenza, dichiarandosi felice dell’assoluta libertà di cui gode e non disposta ad accettare nessun tipo di regola; dall’altra accusa la madre di porla sempre di fronte a richieste e compiti troppo ardui per lei, di non difenderla dalle interferenze, sempre in termini svalutanti, dei nonni e del compagno.
La sig.ra G., nell’ambito dei colloqui con la collega, esprime la medesima ambivalenza: si dice consapevole e partecipe del malessere della figlia, ma non appare in grado di esserle emotivamente vicina né di contenerne la sofferenza; come lei stessa afferma, teme addirittura di “esserle di danno”. Sul piano della realtà, sembra essere travolta dalle sue richieste e dai suoi comportamenti a cui non riesce ad opporsi e a porre limiti.
Come già detto, la mancanza di riferimenti esterni nella vita quotidiana di Paola rappresenta una difficoltà notevole anche per la terapeuta, che rischia di agire lei stessa un ruolo genitoriale troppo accentuato; si attiva infatti per aiutare la ragazza a individuare un centro territoriale per il tempo libero e una scuola che tengano conto delle sue difficoltà, nel tentativo di rendere meno vuote e penose le sue giornate.
Paola accetta con gioia queste proposte,apparentemente d’accordo con la madre, lasciandole però naufragare dopo il primo approccio; ugualmente falliscono uno dopo l’altro i suoi tentativi spontanei o indotti dalla madre e dal suo compagno di trovare qualche lavoretto o cambiare il giro delle sue amicizie.
Ad ogni fallimento, quasi a giustificazione, si accompagnano in lei e nella madre progetti velleitari e inconsistenti: cercar lavoro nel campo delle pubbliche relazioni, prepararsi agli esami come privatista, andare a vivere da sola...Paola li presenta alla terapeuta, sollecitandone il giudizio e l’approvazione, come più adeguati alle aspirazioni sue e della mamma. Nel contempo esprime con angoscia sempre più forte la sua paura ad affrontare “da sola” il mondo esterno, qualunque ambito si tratti: scuola, amicizie, tempo libero...accusando la madre di mandarla allo sbaraglio.
D’accordo con la collega che ha in carico la sig.ra G., nonostante la titubanza di Paola, la terapeuta propone qualche colloquio insieme madre e figlia come condizione per continuare la terapia. In tale occasione rimanda ad entrambe la propria preoccupazione e il proprio senso d’impotenza perché ambedue sembrano muoversi in una spirale distruttiva senza via d’uscita ed essa stessa si sente continuamente presa dentro la loro distruttività.
In questa situazione d’impasse terapeutico, vissuto anche dalla terapeuta della sig.ra G., matura l’idea di un invio al Servizio di Terapia Familiare, con la richiesta di un duplice intervento consulenziale. Sembra infatti utile sia avere un momento di confronto con i colleghi esperti nella gestione di dinamiche familiari complesse, sia offrire a madre e figlia un ambito in cui possano essere aiutate ad affrontare le loro difficoltà di comunicazione e i loro conflitti.

Di comune accordo, viene stabilito che, entrambe le terapeute, pur conservando in carico il caso, sospendano temporaneamente i colloqui; a madre e figlia saranno proposte alcune sedute di osservazione familiare. Obiettivo convergente degli operatori è un intervento esplorativo che suggerisca nuove prospettive di lavoro e la costruzione di un progetto terapeutico diversamente articolato.

E’ parso indicato avviare un percorso di consultazione breve volto ad esaminare approfonditamente alcune modalità interattive ed a comprenderne con maggior chiarezza il significato, ad esplorare alcuni aspetti del campo mentale familiare: movimenti di Paola all’interno di processi trasformatori ed emancipatori, innescati dal compito evolutivo di separazione-individuazione, che acquistano significato all’interno della storia affettiva della sua famiglia.

Pochi giorni prima del primo colloquio le colleghe invianti ci informavano che affrontando il tema dell’invio al Centro di terapia familiare madre e figlia avevano reagito aderendo con atteggiamenti differenti: mentre la madre aveva dato il suo assenso favorevolmente Paola appariva resistente, irrigidita ma tuttavia consenziente.

All’avvio del primo colloquio esordisce la madre comunicando la sua aspettativa di lavorare sulla comunicazione tra lei e la figlia, comunicazione che allo stato attuale definisce distorta.
Paola esibisce la sua diffidenza circa il colloquio: è pretestuosamente infastidita dal setting e scettica circa l’efficacia dell’intervento, aggiunge che ha sperimentato che l’intervento psicologico pare attenuare per qualche giorno la conflittualità con la madre che ben presto torna ai livelli precedenti.
Riconosce tuttavia le sue marcate difficoltà che abbastanza facilmente espone, sottolineando con attenzione che tali problemi non vengono, a suo giudizio compresi dalla madre, ragione che genera numerosi scontri che si consumano spesso su questioni anche di poco conto.

La madre riconosce la sofferenza di Paola ma pare affannosamente mossa dalla necessità di reagire fornendole una rosa di soluzioni declinate sul versante concreto.
La signora lascia trasparire flebili note d’irritazione di fronte agli insuccessi della figlia ma tuttavia colpisce come la pacatezza del tono emotivo sia prevalente nonostante le difficoltà di Paola si mostrino via via più severe.

Paola percepisce la madre come distante dai suoi problemi, spiega come anche lei abbia avuto le sue difficoltà e le abbia risolte diventando “più agitata” più maschile in quanto ha dovuto affrontare la vita da sola; ciò nonostante non comprende perché non si “smolli” e diventi più dolce ed affettuosa come la desidererebbe.

Il tema dell’assenza di una figura paterna viene fatto emergere dalla madre che lo mette genericamente in connessione con la situazione di Paola.

Nel corso dei colloqui si approfondisce la storia familiare ed emerge come la famiglia materna, l’unica di riferimento, sia caratterizzata da un clima imbrigliante volto a promuovere la dipendenza anche attraverso meccanismi di forte svalutazione, messi in atto con maggior forza dalla madre, figura marcatamente predominante a fronte di un padre decisamente gregario.
La signora ricorda il suo forte impegno scolastico ma anche un grande vuoto per ciò che concerne ogni esperienza relazionale e sociale, ricorda di aver trascorso molto tempo in una sorta di isolamento percependo tutto ciò che accadeva invece ai coetanei come talmente al di fuori della sua portata da arrivare a non sentire neppure di desiderarlo. Ad un certo punto ricorda di aver sentito la necessità di intervenire sulla sua insicurezza personale e di aver agito attuando delle forzature su se stessa al fine di acquisire maggior fiducia.
Mentre frequentava l’università decise di impiegarsi presso un ente pubblico come segretaria, lavoro che svolge tuttora nonostante si sia laureata con il massimo dei voti.
Qualche anno dopo il termine dell’università, a seguito dell’unica relazione appena avviata, si accorge di attendere un figlio. Nonostante il parere decisamente contrario della famiglia di origine, con la quale viveva e nonostante le forti resistenze del compagno decide di portare avanti la gravidanza, decisione che provoca l’immediato allontanamento del futuro padre.
La nascita di Paola ed i suoi primi anni di vita si svolgono nella casa dei nonni materni ed i ricordi di entrambe suggeriscono pesanti interferenze della madre della signora, al limite dell’espropriazione del ruolo materno e della collocazione di entrambe sullo stesso asse generazionale.
Paola si mostra subito come una bambina molto adeguata e responsabile alla quale viene accordata da parte di tutti la massima fiducia.
La signora G. avvia la sua prima relazione dopo quella avuta col padre di Paola dopo circa nove anni.
Progressivamente la tensione familiare si innalza a seguito delle forti contrarietà dei genitori per una relazione che, non esitando in un matrimonio, viene percepita come provvisoria e poco tollerata.
A seguito della persistente conflittualità che si era creata la signora G. decide di trasferirsi in un piccolo bilocale insieme alla figlia, dove da allora vivono.
La relazione con il compagno non si è mai trasformata in una convivenza per volere di entrambi.

Nel corso della narrazione della madre Paola appare disorientata più che incuriosita, come se il ripercorrere la storia della sua famiglia potesse esporla al rischio di confrontarsi con aree di sofferenza intollerabili.
Emerge il vissuto di aver causato alla madre delle difficoltà con la presenza all’interno della sua vita.

La signora G, da un lato pare evidenziare il problematico rapporto con la sua famiglia e con se stessa in passato dall’altro sembra esibire il superamento di queste difficoltà ed il recupero di una competenza relazionale. Colpisce nella rievocazione la dissonanza tra il contenuto e le modalità espositive, come se non fosse percepibile nessuna traccia emotiva di ciò che gli avvenimenti possono aver provocato in lei, come ben osservava Paola dicendo che la madre si è “indurita”.

Altrettanto evidente appare l’assenza di una regolamentazione circa gli ambiti di libertà di Paola.
La madre non pare in grado di realizzare pienamente i rischi ai quali Paola si espone trascorrendo tutta la notte nelle discoteche, mostrando serie difficoltà nel mettere in atto istanze normative.
L’assumere una posizione maggiormente normativa parrebbe infatti favorire un’intollerabile identificazione con la propria madre, confrontandola con un modello che, percepito come autoritario, respinge con forza, avvicinandosi collusivamente alla figlia adolescente; è infatti attraverso Paola, depositaria del bene più prezioso che la madre ha conquistato, la libertà, che la signora può permettersi di rivisitare la propria adolescenza.

Paola sembra rappresentare per la madre quella parte di Sé che, infrangendo il codice familiare, è sentita, in un’ineluttabile profezia, come destinata a fallire, e drammaticamente impersonata e riproposta con i suoi sintomi da Paola. Appare infatti chiaro come la ragazza ottemperi inconsapevolmente al mandato familiare inconscio che promuove la dipendenza.

Le persistenti difficoltà di Paola paiono inoltre avvicinare la signora G. alla propria madre consentendo di mantenere in vita un legame simbiotico immutato, fondato sull’inadeguatezza e l’incapacità della signora declinata questa volta sul versante materno.

Il comportamento di Paola è dunque espressione di un disagio individuale ma al contempo “parla” alla madre, invitandola a reintegrare parti di sé: il conflitto intrapsichico si è trasformato in un conflitto interpersonale.
La signora G. segnala, con il passare delle sedute, il disagio legato all’affiorare di alcuni vissuti emotivi che considerava seppelliti: la sensazione acuta di essere stata una donna “sporca” a causa della disponibilità sessuale nei confronti del padre di Paola, e di essere profondamente inadeguata sul piano genitoriale.

La relazione tra le due donne è caratterizzata inoltre dalla difficoltà della madre ad avvicinarsi emotivamente alla figlia, come se sentisse di correre il rischio di coinvolgersi fusionalmente con Paola, ricreando la relazione che aveva con la propria madre. Nel corso delle sedute emergerà vividamente la sensazione della signora G. di sentirsi, di fronte ad atteggiamenti dispotici della figlia, come con la propria madre.
Coinvolgersi principalmente su aspetti operativi sembra inoltre darle la sensazione di poter governare meglio le parti di sé che sente più fallimentari e di cui Paola è portatrice.

Lo scenario familiare, così come rappresentato, è calcato unicamente da personaggi femminili: non pare esservi spazio per una qualsivoglia figura paterna, reale o fantasmatica. Il nonno di Paola viene descritto come esautorato da ogni funzione, il padre non ha mai avuto un ruolo significativo, la madre è legata ad uomo piuttosto disimpegnato che solo in seguito al perdurare delle difficoltà di Paola compare sulla scena peraltro in termini piuttosto disarmanti.
Degno di nota, a questo proposito, appare un episodio nel quale Paola ha avuto modo di colloquiare telefonicamente con colui che si è presentato come un “vecchio amico della mamma”. Si è trattato del redivivo padre che, come la ragazza aveva ben intuito pur non essendone informata ufficialmente, compariva dopo una lunga latitanza, desideroso di sapere della figlia.
Intuibile appare quanto la comparsa in scena di un padre in simili condizioni, circostanza peraltro riscontrabile con frequenza nel lavoro clinico con le famiglie monoparentali, possa dare luogo a intensi vissuti persecutori.
La relazione della coppia con gli psicologi di genere maschile, ai quali è stato riservato un ruolo marginale e transitorio, attualizza in termini speculari la dinamica familiare.

Ciò che colpisce è dunque l’assenza di un interlocutore paterno investito di significativa autorevolezza, di una funzione separatrice, di un intervento regolatore della relazione madre-figlia in grado di promuovere e sostenere la separazione, facendosi carico delle profonde angosce connesse.

Qual’era dunque l’ambito privilegiato di intervento cui eravamo chiamati a rispondere?

Rileggendo, alla luce della storia familiare, il percorso terapeutico, si può pensare che sia stato un passaggio fondamentale per entrambe sperimentare prima nella relazione terapeutica individuale, un femminile positivo ed un contenimento di carattere materno, non giudicante, per poter successivamente accedere al Centro di Terapia Familiare; possiamo ipotizzare che tale contatto abbia rappresentato, per questa famiglia sia sul piano simbolico, sia sul piano concreto (la presenza effettiva di un terapeuta uomo) l’incontro con il maschile ed il confronto con istanze di carattere paterno da sempre, come già detto, oggetto di tentativi di estromissione e svalutazione.
Esisteva il rischio che anche le terapeute si trovassero imprigionate in un “discorso fra donne”; l’invio al Centro di Terapia familiare ha quindi chiamato in causa quella funzione separatrice e regolatrice, oltre che normativa, mancante nella relazione madre e figlia.

Inoltre se ritorniamo alle riflessioni iniziali che individuavano nella strategia di stretta collaborazione fra Servizi la sola possibilità di trattare un caso così complesso, appaiono ora più evidenti i motivi.
Innanzi tutto ci sembra importante sottolineare come la presenza sul territorio di più Servizi (Spazio Genitori, Consultorio...) non connotati in senso patologico, ma portatori di un messaggio di “aiuto alla crescita” e di sostegno al ruolo genitoriale ha facilitato l’accesso e preparato il terreno per una presa in carico più dichiaratamente terapeutica.
In secondo luogo, è stata fondamentale la possibilità degli operatori di contare su una rete di Servizi che, pur nella chiarezza e nel rispetto delle reciproche professionalità e competenze, potesse articolare delle proposte terapeutiche diversificate e centrate sui bisogni via via emergenti in Paola e sua madre.
Nello stesso tempo tale rete ha svolto per le utenti un ruolo di contenimento forte, particolarmente importante se si tiene conto del tipo di problematiche di questa famiglia, caratterizzata dal vuoto normativo e da un agire dispersivo e confusivo.

A circa 10 mesi dai colloqui di consultazione congiunta esitati in un trattamento individuale parallelo gestito da entrambi i Servizi, la situazione ha subito sensibili modificazioni: ciascuna ha incominciato a riconoscere più chiaramente il proprio coinvolgimento, avviandosi così verso inediti ambiti di autonomia.


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