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PSYCHOMEDIA
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Magia, sciamani e guaritori



Zadu e magia nera. La manipolazione del male tra i Kinnaura dell'Himachal Pradesh

di Emanuele Confortin



Quanto segue è una parziale rielaborazione del materiale raccolto nel corso di una mia ricerca sul campo svolta nei mesi di settembre, ottobre e novembre del 2003 tra i Kinnaura, gli abitanti del Kinnaur. Situato nella propaggine centro-orientale dell’Himachal Pradesh, in India, il Kinnaur è un piccolo distretto montano confinante ad est con l’altopiano tibetano, a nord con lo Spiti e la valle di [W:Kullu], ad ovest con il distretto di [W:Shimla] e a sud con l’Uttaranchal. Lungo gli scoscesi pendii che caratterizzano le vallate del distretto, e che precipitano nel sacro fiume Sutlej, sorgono piccoli villaggi composti da case in legno e mattoni, dimora degli abitanti di queste terre. I Kinnaura sono un gruppo etnico tribale le cui origini si confondono nel mito, più volte citati nell’epica come valorosi e leali guerrieri, storicamente temuti e rispettati anche per il loro coraggio. Costretti per secoli a confrontarsi con le insidie di un ambiente naturale particolarmente aspro, i Kinnaura hanno saputo adattarsi, riuscendo ad ottenere dallo sfruttamento del territorio quanto necessario per la loro sussistenza, assicurata prevalentemente dalla produzione agricola dalla pastorizia, e in misura minore dal commercio. La complessa tradizione religiosa kinnaura – basata su un pantheon di divinità autoctone, ciascuna delle quali ha un proprio grokch ‘oracolo’ di riferimento -, deve le proprie origini agli antichi culti rivolti agli spiriti della natura, sebbene nei secoli abbia subito l’influenza del Buddismo Tibetano e, soprattutto a partire dal 1962, anno della crisi Indo-Cinese, dell’Induismo. Senza dubbio però, da un’attenta analisi dello stile di vita e delle consuetudini kinnaura, risulta particolarmente importante il legame costante e bilaterale che si è instaurato tra gli abitanti del territorio e le entità sovrannaturali che popolano l’ambito extraurbano.

Rapporto quotidiano con la realtà sovrannaturale

Ogni fase della vita quotidiana infatti, soprattutto le operazioni che prevedono lo spostamento nella foresta,regno incontrastato degli spiriti, non avviene mai casualmente, ma sembra rispondere a un ordine prestabilito. Qualora non fossero prese le dovute precauzioni, attività apparentemente semplici, come la raccolta di legna, frutti e fiori, la pastorizia e qualsiasi altro lavoro nella foresta, potrebbero avere conseguenze inaspettate. Non capita di rado infatti, che una persona possa transitare in un luogo abitato da uno spirito, mancandogli inavvertitamente di rispetto, magari profanandone la dimora. Particolarmente rischiosi sono i crocevia, i guadi, le congiunzioni di fiumi e le dorsali montuose, considerati luoghi nei quali confluiscono le energie di diversi tipi di esseri; tuttavia anche massi o rocce particolari, alberi della foresta, fiori e arbusti d’alta quota fungono immancabilmente da dimora per demoni e spiriti più o meno pericolosi. Perciò, al fine di evitare ripercussioni, come stati di deviazione, possessione, o disturbi della personalità preludio di malattie più gravi, i Kinnaura devono prestare la massima attenzione nell’esecuzione di ogni lavoro, assumendo un comportamento riverente. Va da sé, il fatto che gran parte dei disturbi fisici e psichici sofferti dai kinnaura dipendano da un’infestazione di natura sovrannaturale. Da notare inoltre, che il potenziale distruttivo di queste aggressioni aumenta considerevolmente nel caso in cui sia manipolato da uno stregone o da chi abbia attinto al potere di farlo, attraverso l’esecuzione di un maleficio.

Zadu e malefici in Kinnaur

Il termine kanawari(1) con il quale si identificano i malefici e le pratiche di magia distruttiva è Zadu. Si tratta di una corruzione della parola hindi jadu che significa ‘incantazione’, ‘magia’ o ‘formula magica’, ma può variare di significato a seconda delle occasioni e dell’interlocutore. Comunemente però, il termine Zadu indica un particolare rito di magia nera, di solito eseguito sul campo di cremazione, per creare un amuleto malefico in grado di indurre la morte della vittima designata e della sua famiglia. Lo Zadu può essere visto come una complessa pratica rituale di origine [W:bön], in grado di creare dei ponti sottili tra l’ambito extraurbano in cui dimorano gli spiriti, e il microcosmo urbano all’interno del quale è forte il desiderio degli uomini di mantenere incontaminato ed integro l’equilibrio che sottende ciascuna realtà domestica. Attraverso lo Zadu quindi, si creano delle falle nella costante tensione esistente tra il mondo delle entità sovrannaturali – la cui tendenza è quella di insinuarsi nel villaggio al fine di soddisfare le proprie pulsioni, siano esse la brama di sangue, oppure, nel caso delle semi-divinità, la smania di essere instaurati come divinità all’interno del tempio – e quello degli uomini.

La preparazione dello zadu

Per la preparazione di questo maleficio, l’officiante deve scegliere un luogo adatto, che detenga i segni terrifici necessari e in cui confluiscano energie psichiche negative. Può essere una grotta, l’area prossima ad un masso isolato, la sommità di un pinnacolo roccioso particolarmente scosceso, oppure, come summenzionato e come spesso avviene, un campo di cremazione. Durante la pratica, che si svolge di notte, lo stregone cercherà innanzitutto di evocare il demone del sito prescelto. Questo avviene attraverso la recita di un mantra malefico scritto su un pezzo di carta. Seguirà la visualizzazione dell’immagine della vittima designata e la creazione di un supporto rituale che funge da amuleto malefico, il cui potenziale distruttivo viene aumentato tramite la recita del mantra evocativo. Sebbene l’antica pratica bön – chiamata ngan gtad – da cui deriva lo Zadu, preveda l’utilizzo del corno destro di uno [W:yak] selvaggio come supporto rituale e base per la creazione dell’amuleto, in Kinnaur è impiegato un pezzo di stoffa bianca, nel quale sono avvolti gli ingredienti del rito. Componenti semplici ma essenziali, tra i quali è presente innanzitutto la cenere del campo di cremazione, cui sono aggiunti capelli, frammenti di unghie, muco e altre escrezioni corporee, oppure lembi di stoffa ottenuti da biancheria usata, sottratti con l’inganno alla persona da colpire. Una volta realizzato l’involucro, dalla tradizione identificato come Zadu, deve essere nascosto nei pressi dell’abitazione della vittima. Durante i miei incontri con i grokch, gli oracoli del Kinnaur, parlando di Zadu e malefici, mi fu spiegato che questi non sono efficaci sin dal momento dell’esecuzione, anzi, i primi effetti iniziano a manifestarsi dopo un po’ di tempo, talvolta dopo tre mesi, crescendo costantemente di intensità.

L’eziologia del morbo

Le prime avvisaglie possono manifestarsi con disagio fisico, sfortuna nel lavoro, carestie o morie di bestiame. Con il passare del tempo però, i sintomi si aggravano, esponendo al pericolo di morte chi li subisce. Il periodo più delicato nell’evolvere della malattia, non solo nel caso di malefici ma anche di altre forme di contaminazione, va dal momento dell’incubazione alla maturazione. Si tratta di un lasso di tempo più o meno lungo, a seconda della gravità del contagio e dello spirito che lo ha causato, durante il quale è necessario interpretare nel giusto modo i segni e i sintomi dell’infestazione affinché si possa trovare un rimedio. Nel caso in cui l’insorgenza del male fosse individuata quando questo è ancora allo stato embrionale(2), per scongiurarne la presenza sarebbe sufficiente eseguire una pratica semplice, sia questa la recita di mantra, o la preparazione di amuleti eseguita dal lama. In caso contrario, quando passa troppo tempo e la degenerazione procede, aggravandosi inesorabilmente, in lingua kanawari si dice che è stato raggiunto il sak, il punto di non ritorno. Se ciò avviene, come vedremo in seguito, l’unica via di salvezza è data dall’esecuzione di un esorcismo da parte del grokch. Quando si verifica un’infestazione, e questa degenera fino al sak, prima di stabilire la terapia appropriata, è necessario identificare l’entità aggredente. Ogni spirito, infatti, agisce in modo particolare e specifico, provocando varie sintomatologie che cambiano di intensità a seconda dei casi.

L’identificazione del demone e la cura

Per svelare l’identità del demone aggressore, in modo da comprendere anche la malattia che sta interessando il paziente, identificando quindi la cura adatta, è necessario interpellare la divinità. Ciò avviene nel corso del deo pucchna, la cerimonia settimanale che si svolge in occasione del raduno di sarpaling. In questa occasione, risulta fondamentale l’intervento del matha, l’interprete della divinità. Si tratta di uno dei principali esponenti religiosi del villaggio, la cui importanza è subordinata solo a quella del grokch, in grado di comprendere il volere divino in base all’intensità e al ritmo delle oscillazioni del rath, la lettiga sulla quale è montato il baldacchino della divinità e l’immagine della stessa(3). Dopo aver appreso dalle parole del matha l’eziologia del morbo, a seconda dei sintomi manifesti e delle caratteristiche del demone infestante, la divinità si pronuncia sulle modalità di intervento, stabilendo se il rito necessario debba essere eseguito dal lama o dai kardar, gli ‘attendenti della divinità’. In entrambe le circostanze, pur con modalità differenti, l’officiante cerca di soddisfare lo spirito eseguendo oblazioni in suo onore e, nei casi più gravi, al fine di placare la ferocia delle entità sovrannaturali particolarmente terrifiche, può anche essere richiesta l’esecuzione di un sacrificio cruento che prevede come vittima un montone, il cui sangue sarà offerto allo spirito infestante. Se il demone fosse soddisfatto dall’offerta sacrificale, egli lascerà il corpo della vittima, liberandola anche dalla malattia. Diversamente, qualora gli effetti dell’infestazione degenerassero ulteriormente mettendo in serio pericolo di vita l’ammalato, è necessario l’intervento del grokch e l’esecuzione di un esorcismo.

La vittima e il sostituto rituale

Prima di vedere nel dettaglio le modalità di intervento del grokch, è opportuno precisare che in Kinnaur(4), nell’esecuzione di tutte le cerimonie di magia nera prevale il principio della somiglianza tra il soggetto da colpire e il suo sostituto rituale chiamato lingam, linga, lingga o lingka. Inferendo a quest’ultimo alcuni colpi per mezzo di armi, lanciandogli maledizioni, oppure distruggendolo, si originano delle ripercussioni parallele che vanno a colpire il corrispettivo umano del lingam. Solitamente, i sostituti rituali sono vestiti con stoffe o abiti uguali a quelli della vittima designata, a questi sono aggiunti anche frammenti di unghie e capelli sottrattigli di nascosto. Sebbene, in genere, i lingam siano fatti di pasta, lo stesso risultato può essere ottenuto tracciando un’immagine umana stilizzata su un pezzo di carta, al quale saranno poi aggiunti tutti gli elementi rituali necessari (pezzi di stoffa, frammenti di unghie, capelli ecc.). Qualsiasi pratica magica o maleficio eseguito ai danni di un individuo, o di una comunità, ha lo scopo di comprometterne la salute, la felicità e la prosperità, in tibetano noti come bla. Quello del bla è un principio fondamentale, alla base degli antichi rituali magici praticati in Tibet e rappresenta le funzioni psico-energetiche dell’individuo, in relazione alle energie del mondo esterno. Quanto più il bla di una persona è integro, tanto più la sua forza protettiva è efficace. Diversamente, se il bla si allontana, l’individuo non può vivere a lungo, quindi è necessario rimediare(5). Lo stesso principio di sostituzione è valido anche per i riti di guarigione e gli esorcismi, durante i quali la maledizione o lo spirito maligno che ha aggredito il paziente sarà trasferito ad un sostituto rituale, completando la guarigione. Il termine tibetano usato per identificare questo capro espiatorio è glud gtor, o semplicemente glud. Durante le cerimonie di liberazione dalle malattie o dalla possessione di demoni, tutti gli influssi negativi che stanno colpendo un individuo, la sua famiglia oppure l’intera comunità, sono magicamente trasferiti nel loro sostituto rituale. Il glud è quindi concepito come un riscatto necessario per ripristinare l’integrità del bla o allontanare l’influenza di invisibili entità nemiche. A tale riguardo, Karmay sostiene che il glud può essere considerato come un supporto rituale sostituibile a qualcosa di valore equivalente. Per questo motivo, il rito si basa sulla nozione di ‘scambio’ tra l’officiante e l’entità infestante, e sul principio di ‘equivalenza’ tra ciò che lo spirito ha preso e il riscatto datogli in sostituzione del paziente o della comunità colpita(6). Sebbene spesso nei riti siano richiesti glud fatti di pasta, non possiamo di certo trascurare il fatto, che gran parte dei sostituti rituali utilizzati nelle cerimonie di guarigione siano animali. A seconda della gravità dell’infestazione e delle caratteristiche del demone da soddisfare, questi capri espiatori possono essere capre, pecore, cavalli o yak. Negli ultimi anni però, come conseguenza della diffusione dell’Induismo, in Kinnaur si è considerevolmente ridotto il ricorso al sacrificio animale, spesso sostituito dall’uso di noci di cocco o formine di pasta, limitando l’uccisione rituale ai montoni, in occasioni particolarmente importanti. A sottolineare questo cambiamento, il fatto che al momento del sacrificio animale e del conseguente spargimento di sangue, l’officiante e gli aiutanti sono soliti spostarsi con la vittima designata in un luogo appartato, quasi a voler nascondere il rito.

Lo scontro sottile tra grokch e stregone

Tornando alla fenomenologia dello Zadu, è opportuno sottolineare come, tramite l’utilizzo dei mantra terrifici, lo stregone sia in grado di intervenire sulla natura del demone evocato, condizionandola in modo che questo si accanisca inesorabilmente sulla vittima designata. Durante le mie conversazioni con i grokch e altri abitanti del Kinnaur, emerse l’esistenza di una chiara ideologia sottostante la concezione dell’infestazione causata da una maledizione e, soprattutto, dall’esecuzione di pratiche di magia nera. Inizialmente, ebbi l’impressione che al momento del rito lo stregone stipulasse una specie di oscuro patto con lo spirito, il quale avrebbe acconsentito ad aggredire la vittima designata in cambio di un sacrificio o di qualche offerta. Sebbene questo tipo di interpretazione possa essere valida se riferita alle pratiche minori, nel caso dello Zadu il rapporto tra l’officiante il rito e il demone del campo di cremazione cambia considerevolmente. L’entità sovrannaturale, infatti, è in un primo momento risvegliata tramite la recitazione di mantra terrifici e, in seguito, trasferendo la sua energia psichica nell’amuleto malefico, lo stregone relega lo spirito al proprio dovere: accanirsi sul destinatario della maledizione. Senz’altro, l’officiante ha il pieno controllo della situazione, ragion per cui lo Zadu può essere eseguito soltanto dagli stregoni o da colui il quale abbia attinto ritualmente al potere per farlo, e sia in grado di sottomettere alla propria volontà le entità sovrannaturali evocate(7). Il concetto di accanimento è, a nostro avviso, molto importante, in quanto rende chiaro il modo perpetuo in cui il demone continuerà ad infierire sulla propria vittima, costretto e non persuaso dalla forza dei mantra terrifici recitati durante l’esecuzione dello Zadu. Per spiegare meglio questo passaggio, è quanto mai significativa la metafora della bussola: così come il magnetismo del nord attira l’ago sempre nella stessa direzione, allo stesso modo, il demone è vincolato dal rito magico ad infierire ripetutamente, solo e soltanto sulla propria vittima, e sulla sua famiglia, quasi fosse orientato in tal senso. Questo passaggio è fondamentale per comprendere il meccanismo che sottende l’esecuzione dei riti di magia nera: l’abilità dello stregone non dipende dalla sua capacità di negoziare con un demone o una divinità terrifica affinché colpisca un individuo prestabilito, bensì dalla sua abilità nell’imprigionare queste entità in alcuni supporti rituali, esempio amuleti, statuine, immagini dipinte e altri veicoli, che saranno poi usati come arma magica. Così come tramite lo Zadu lo stregone riesce ad imprigionare il demone nell’amuleto che funge da supporto rituale, usandolo per colpire la vittima, allo stesso modo, durante la possessione il grokch(8) eserciterà la propria arte magico-divinatoria per ottenere il risultato opposto. Avvalendosi di una statuetta di legno come sostituto sacrificale, egli cercherà di trasferire lo spirito in questo nuovo supporto rituale, liberando il paziente dall’infestazione. Per assurgere al risultato sperato, il grokch adotta un duplice approccio: corruttivo e coercitivo. L’approccio corruttivo serve per dissuadere l’entità infestante dall’accanirsi sulla vittima. Ciò avviene tramite alcune offerte sacrificali, come rak ‘vino’, semi di senape e farina impastata con miele, latte e acqua. Senza dubbio però, ciò che garantisce la massima efficacia, ma non certezza, all’intervento dell’oracolo è l’approccio coercitivo. Si tratta di una vera e propria lotta che si innesca tra gli effetti dello Zadu e la magia dell’esorcismo; una battaglia simbolica che richiama l’eterna lotta esistente tra il bene e il male, nel caso in questione interpretati dal grokch e dallo stregone.

L’esorcismo di Langura

Di seguito, farò riferimento all’esorcismo cui ho assistito durante la mia permanenza in Kinnaur, nel corso del quale l’oracolo di Langura(9) guarì una donna colpita da Zadu. Una volta conclusi i lunghi preparativi previsti e ultimata la fase cerimoniale delle offerte (approccio coercitivo), il grokch si chinò sulla donna (stesa dinanzi a lui nella cella del rito) brandendo il talvar ‘spada’ rituale, quindi iniziò ad emettere uno strano rantolo, talvolta animalesco, che nessuno dei presenti riusciva a comprendere. Chiesi informazioni allo shu runchya ‘guardiano del tempio’ il quale, enfatizzando l’importanza del momento, affermò si trattasse di un mantra magico della divinità, in grado di esorcizzare la presenza del demone. Sebbene in seguito non sia riuscito ad ottenere ulteriori spiegazioni in merito, da una prima interpretazione della funzionalità di questo linguaggio, siamo indotti a considerare l’esistenza di notevoli parallelismi tra l’oracolarità kinnaura e lo sciamanismo. A tale riguardo, Romano Mastromattei afferma che l’uso di una complessa serie di lingue e linguaggi è una caratteristica degli sciamani di qualsiasi area. Tra questi troviamo il sermo familiaris usato per parlare con i presenti; la lingua ufficiale, con citazioni dalla lingua letteraria della cultura propria o della cultura dominante; il sermo inversus ovvero l’applicazione di vocaboli comuni, ma con un significato del tutto diverso oppure opposto; l’uso di una lingua definita come lingua effettivamente parlata da una popolazione straniera; dei linguaggi superiori e molto complessi, come: “lingue parlate totalmente segrete ed esoteriche, di complessa e discussa origine, forse identificabili con le cosiddette ‘lingue degli dèi’; uso sciamanico di una qualsiasi di queste lingue (riferendosi anche a quelle summenzionate), pronunciate però con una fortissima e caratteristica deformazione, legata con probabilità – ma non con certezza – alla particolare condizione fisico-psichica dello sciamano durante la seduta; l’uso di linguaggi, o piuttosto di lingue non umane, che non possono essere semplicemente definite come l’imitazione dei versi degli animali, quale ad esempio quella di un cacciatore. [...] L’uso di queste lingue non umane va riferito a tradizioni mitiche, magiche e rituali che sono parte integrante e non marginale del patrimonio sciamanico, tanto quanto l’esaltazione verbale implicita della potenza e delle gesta degli dèi, degli eroi e degli antenati sciamani, che per altro possono avere valenze e tratti teriomorfici”(10).
Per avere un quadro più esaustivo di cosa avvenga durante questa concitata fase dell’esorcismo, dobbiamo considerare la pratica nel suo insieme. La recita di mantra segreti infatti, è svolta dal grokch contemporaneamente a una complessa serie di pratiche teatrali e rituali, accompagnate dalla musica dei bajantri ‘suonatori rituali’, alle quali partecipano anche altri kardar. Come accennavamo poco fa, assieme al rantolo, dopo aver appoggiato il piede destro sulla spalla sinistra della donna, il ritualista iniziò a muovere lentamente il talvar sopra il corpo di lei, mentre a un metro di distanza il pujari fece esplodere una serie di potenti petardi a brevi intervalli di tempo. Sebbene sia molto difficile dare una giusta interpretazione a queste pratiche, l’utilizzo della spada potrebbe avere più significati. Si può presupporre che essa abbia valenza costrittiva per cacciare il demone infestante dal corpo della donna. “Gli elementi guerrieri che han grande importanza in certi tipi di sciamanismo asiatico (lancia, corazza, arco, spada, ecc.) si spiegano con le necessità del combattimento contro i demoni, i veri nemici dell’umanità. In termini generali, si può dire che lo sciamano difende la vita, la salute, la fecondità, il mondo della ‘luce’, contro la morte, le malattie, la sterilità, la sciagura e il mondo delle ‘tenebre’”(11). Dopo aver finito di utilizzare il talvar, il grokch sollevò di peso il montone sacrificale che fino ad allora era stato legato ad un palo nelle vicinanze, e, continuando a proferire il mantra segreto, lo fece passare più volte sopra il corpo immobile della donna. A questo punto, uno dei kardar gli porse una fronda lunga un paio di metri circa, ricavata da una pianta latifoglie, probabilmente dall’albero di deodar, con la quale colpì ripetutamente il corpo della paziente, accompagnando l’azione con il rantolo. In questi frangenti l’oracolo infilò una mano sotto lo scialle bianco che copriva la donna, estraendo un fagottino di stoffa, lo Zadu. Ciò indicava che il male era stato individuato e che ora il demone doveva essere svincolato dalla vittima(12).
Dopo aver concluso la fase precedente, la divinità uscì dal corpo del grokch che perse i sensi accasciandosi al suolo, per ritirarsi subito dopo in un luogo appartato. Lo stadio conclusivo del rito di trasferimento iniziò dopo dieci minuti circa: quando il grokch fu posseduto per la seconda volta dalla divinità, ordinò ai kardar di avvicinare il montone all’effige sostituto, quindi si spostò sul lato opposto, ai piedi della donna. Riprese a mormorare il rantolo e, raccolta una manciata di farina da un piatto, la gettò verso la statuetta di legno. Questo gesto simbolico, sancì il trasferimento del demone dal corpo della donna al rispettivo sostituto sacrificale.

L’espulsione del demone dal villaggio

Il posto scelto per terminare l’esorcismo fu una netta curva a gomito, la quale supera l’evidente dorsale montuosa che separa l’ampia conca in cui sorge il villaggio di Kalpa da un orrido vallone roccioso, dove la strada costeggia uno strapiombo di mille metri che termina direttamente nelle sacre acque del fiume Sutlej(13). Giunti sul posto, i kardar conficcarono la statuetta nella parte più esterna della curva, con il volto rivolto verso l’abisso. A questo punto l’attenzione dei presenti si spostò sul montone. Il grokch asperse con l’acqua del kro (vaso rituale in ottone o argento) il dorso dell’animale, partendo dal capo fino alla coda e viceversa. Subito dopo introdusse dei semi di mostarda con acqua sacra negli orecchi e nella bocca della vittima sacrificale, liberandola immediatamente. Tutti si affrettarono a guardare l’animale aspettandosi qualcosa, un segno che io non compresi fino a quando quello si scrollò vigorosamente, comunicando il buon esito dell’esorcismo e, di conseguenza, il termine dell’infestazione. Giunse così il momento del sacrificio, eseguito dal macellaio del villaggio: mentre due aiutanti tenevano in posizione il montone, l’uccisore inferse una serie di violenti colpi al collo della vittima utilizzando un pesante coltello con la lama a forma di mezzaluna, fino a mozzarle la testa. Il pujari raccolse quest’ultima per le corna, infilandola per qualche istante nella statuetta di legno. Subito dopo intervenne il grokch che sparse sull’effige sostituto, lorda di sangue, alcune manciate di farina, del rak e l’acqua del kro, facendola infine precipitare nel vuoto con un calcio(14). Sebbene nel presente scritto sia stata presentata a titolo esemplificativo l’esperienza dello Zadu, la tradizione magico – rituale del Kinnaur è piuttosto vasta e comprende molte altre pratiche, più o meno efficaci, con cui viene perpetrato il rapporto di interscambio esistente tra la realtà sovrannaturale e quella degli uomini. In questo contesto, risulta chiaro il ruolo del sacerdote oracolo. Essendo stato scelto dalla propria divinità, il grokch è dotato di grandi poteri, grazie ai quali può svolgere la funzione di eroe capace di sconfiggere i demoni e di perpetrare lo status quo all’interno del villaggio. Spetta all’oracolo, infatti, intervenire nei modi e nei tempi opportuni per lenire le disparità esistenti tra gli uomini e gli spiriti, evitando che questi ultimi abbiano il sopravvento. Sebbene la tradizione oracolare kinnaura non possa essere del tutto assimilata a un contesto prettamente sciamanico, esistono notevoli affinità tra i due ambiti che ci permettono di collocare le pratiche dei grokch a un livello intermedio, quasi un anello di giunzione nel parallelismo esistente tra sciamanismo e oracolarità.

Note:
1 Si tratta di una lingua di origini Tibeto-Birmane diffusa su tutto il Kinnaur caratterizzata da molte varianti locali.
2 Di solito ciò avviene grazie all’esperienza di un anziano o al responso di una divinazione ottenuta dal devta ‘divinità’.
3 Sebbene il matha possieda questa facoltà, egli non entra in alcun modo a contatto con il devta, ragion per cui non è infallibile nei responsi. Diversamente, il grokch è scelto direttamente dalla divinità come proprio oracolo, il quale durante la seduta va in trance e viene posseduto dallo spirito, quindi qualsiasi cosa dica o faccia corrisponde al volere divino, cioè alla verità. L’oracolo interviene solo nei casi più gravi che necessitano di ricorrere alla possessione, ad esempio durante gli esorcismi.
4 Verosimilmente anche in altre aree tribali, in particolare nell’area tibetana.
5 Norbu, Namkhai; Drung, Deu and Bön. Narrations, Symbolic languages and the Bön Traddition in Ancient Tibet, Dharamsala, 1997. Pagina 246.
6 Karmay, Samten G.; The Treasury of Good Sayings. A Tibetan History of Bön, Delhi, 1972. Pagine 340 e 347.
7 Dobbiamo tenere presente anche che, talvolta, a causa dell’inesperienza del praticante, della ferocia del demone evocato durante la pratica, o per entrambi questi fattori, qualcosa può non andare per il verso giusto e originare una serie di ripercussioni impreviste. Gli effetti della pratica, ad esempio, potrebbero ritorcersi contro lo stregone che sta officiando il rito, oppure l’entità sovrannaturale può non essere soggiogata al volere del praticante, vanificando così l’efficacia del rito. In questo caso, il principio della bussola non può essere considerato valido.
8 In qualità di officiante il rito di liberazione, il grokch può essere visto come l’antagonista/opposto dello stregone. Dobbiamo comunque tenere in considerazione il fatto, che, durante la pratica, l’oracolo è posseduto dalla divinità quindi identificato con essa.
9 Divinità minore del villaggio di Kalpa, adorata dai membri delle caste più povere.
10 R. Mastromattei, Tremore e potere. La condizione estatica nello sciamanismo himalayano; Milano, 1995. Pagine 36-37.
11 Mircea Eliade; Lo Sciamanismo e le tecniche dell’estasi; Roma, 1999. Pagina 538. È altresì possibile che la presenza di un’arma rituale serva per proteggere l’oracolo (e la paziente) dal possibile attacco di altri spiriti maligni, attirati dalle offerte e dalla presenza dell’animale sacrificale che sarà sacrificato al termine della pratica.
12 La concitazione del momento, l’oscurità (la pratica si svolse di notte) e la complessità del rito non mi permisero di comprendere chiaramente di che tipo di oggetto si trattasse. In molti lo chiamarono Zadu; anche il modo in cui si svolse la fase conclusiva del rito fa pensare all’amuleto di cui parlavamo precedentemente. Se così fosse, questo significa che non si era ancora verificato il sak (punto di non ritorno nella degenerazione della malattia), altrimenti, come vedremo in seguito, venendo a contatto con il grokch posseduto, l’amuleto si sarebbe trasformato in un serpente, in uno scorpione o in una lucertola.
13 La curva e il vallone sono considerati luoghi in cui convergono le energie psichiche delle entità sovrannaturali, ragion per cui la notte è estremamente pericoloso aggirarsi da quelle parti. Al vertice dell’angolo ideale formato dalla rientranza dell’avvallamento, nei giorni di pioggia, scorre un piccolo torrente che si immette nel Sutlej. In quel luogo, durante la stagione umida o il periodo invernale, sopra un grosso masso bagnato dal torrente sono cremati i corpi delle persone decedute. I Kinnaura ritengono che le ceneri siano trasportate a valle dall’acqua del torrente e, seguendo il corso del Sutlej vadano ad immettersi nel Gange. Durante i periodi secchi, la cremazione avviene direttamente lungo il corso del sacro fiume tibetano.
14 Con questo gesto simbolico, il demone fu svincolato dal dovere impostogli dallo Zadu e confinato nel vallone. Dobbiamo tenere presente che, se qualcuno ad esempio tagliasse inavvertitamente della legna, raccogliesse dei fiori o altro da quel vallone, potrebbe essere aggredito da un demone precedentemente confinato, riportandolo così tra gli uomini, nel villaggio di Kalpa.
Estratto dalla ricerca di tesi: Grokch, esorcisti del Kinnaur, tecniche e prassi oracolari nei villaggio di Kalpa, Roghi e Cithkul. (2004, Cà Foscari Venezia, Emanuele Confortin)



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