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PSYCHOMEDIA
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RELAZIONE GRUPPO<=>INDIVIDUO
Società, Trauma e Solidarietà
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"Catastrofe e Cambiamento"
Lo spazio interno della ricostruzione
di Massimo Mari
Questo lavoro di ricerca applicata in campo di Psicologia Sociale si vuole porre come momento di riflessione collettiva necessaria per riprendere con lo spirito migliore l'attività di vita, studio e lavoro dopo il trauma sociale che ha rappresentato la lunga serie di eventi sismici che ha colpito la città di Camerino ed i comuni limitrofi.
La ricerca si è articolata in un momento di intervento pratico sulle popolazioni tramite i Centri di Ascolto, ed in un momento di riflessione collettiva tramite il Ciclo Seminariale.
La pertinenza al peculiare momento sociale deriva dalla analisi della attività di prevenzione nella salute mentale che hanno effettuato i Centri di Ascolto per le popolazioni terremotate; la elaborazione collettiva dell'esperienza ed il suo approfondimento è avvenuta tramite il dispositivo assembleare dei seminari .
I centri di ascolto
Questi centri gestiti da volontari del GUS di Macerata formati tramite la concezione operativa di gruppo, organizzati dalla Protezione Civile tramite la Organizzazione Eos di Pavia, con materiale offerto dal Centre de Psychologie de Crise di Bruxelles adattato dagli psicologi della Azienda Sanitaria Locale Camerino hanno funzionato come strumenti di rilevazione delle variazioni di un certo "sentire comune" nella cittadinanza.
Il lavoro consisteva in ciò che definivamo "ascolto attivo" alla popolazione, era indispensabile, al fine di prevenire, almeno in parte, i prevedibili danni psicologici a livello sociale, offrire punti di riferimento dove personale preparato potesse ascoltare, permettere un certo distacco, rilassamento e confidenza alle persone che improvvisamente avevano visto cadere le più ovvie certezze della loro vita quotidiana: la casa, il paese, le relazioni sociali, il lavoro.
Era piuttosto semplice trovare personale volontario pronto e preparato ad aiutare in termini concreti costruendo tende, mense, ospedali da campo, linee telefoniche ecc.. Difficile anche tra il personale non volontario trovare chi riuscisse in modo professionale ad offrire un ascolto che non fosse "l'anticipazione della soddisfazione del bisogno del terremotato", nel senso che era molto più accettabile offrire aiuti concreti anche prima che questi fossero richiesti, piuttosto che ascoltare contenere ed aiutare a convogliare in senso costruttivo la confusione, la tristezza, lo sconforto, lo smarrimento, la paura, il dolore, la rabbia, il pessimismo e qualche rara volta le richieste che una intera comunità traumatizzata provava.
I centri partirono su sollecitazione della Protezione Civile tramite la dottoresssa Volpini e dei resposabili sanitari del COM di Serravalle M. Scattolini e dott. Cesare Paggi con la consulenza ed il materiale del dott. Roberto Marino presidente dell'Associazione Eos di Pavia con personale dipendente della ASL 10 di Camerino che allestirono la postazione fissa in una tenda del campo di Serravalle. Si trattava di assistenti sociali, psicologi, psichiatri che dopo alcune riunioni con associazioni di volontariato individuarono l'unica associazione che in tempi rapidi era disponibile a formare intensivamente i propri associati all'ascolto e allo "stare con" oltre che al "fare a" la popolazione terrremotata: fu il Gruppo Umana Solidarietà nella persona dell'insegnante Sebastiano Marino che assunse la responsabilità di questa funzione. Questo gruppo aveva fatto precedenti interventi sulle popolazioni vittime della guerra in ex Iugoslavia ed a causa delle precedenti esperienze del suo coordinatore trovava particolare interesse e buona disposizione alle esigenze e bisogni psicologici dei traumatizzati.
L'intervento di prevenzione tramite i centri di ascolto ebbe le seguenti 5 fasi:
1) Il tamponamento iniziale delle prime violente richieste di intervento da parte delle istituzioni, della stampa, della popolazione effettuato da una parte del personale sanitario ed amministrativo della ASL 10;
2) La costituzione del Centro d'Ascolto in un primo momento con personale sanitario dipendente: psicologi ed assistenti sociali;
3) Il progressivo ingresso e formazione del personale volontario del Gus;
4) Gli interventi di prevenzione con i centri di ascolto mobili e stabili, le riunioni assembleari nei campi terremotati, con le autorità locali, con i medici di famiglia;
5) La delega al personale residente della funzione di ascolto e la separazione.
Nella prima fase, nei primi giorni, giungevano al personale sanitario dell'ASL le più disparate richieste da parte della popolazione tutte "condite" dalla recriminazione sulla lentezza degli aiuti e sulla assenza e sulla parzialità di un efficace dispositivo di intervento. In questi primi giorni lo stesso personale, per lo più residente in località terremotate, era gravato dalle preoccupazioni psicologiche per loro stessi e per le loro famiglie era semplice vedere nelle espressioni ed ascoltare nei discorsi il tema unico della paura subita, dello sconforto, l'immagine ed il rumore dell'ultima scossa e della prossima che stava arrivando. Il dispositivo della protezione Civile era già in funzione dopo poche ore ma la popolazione ascoltava soltanto la perdita di certezze incontrovertibili: i loro piedi appoggiati per terra non erano più stabili, la terra madre, la loro casa erano un pericolo.
In tempi reali, senza ritardi burocratici si attivarono alcuni individui che furono posti in ruolo che definiremmo tecnicamente "eroico". E' questa una particolare posizione psicologica in cui l'individuo va al di là dei ruoli di porta voce, leader, capro espiatorio, sabotatore o quant'altro descritti nella normale dinamica dei gruppi. Nel ruolo eroico la persona prepone il mandato della comunità che l'ha attivato ai propri bisogni psicologici, fisici, familiari, sociali per diversi giorni la persona non dorme, mangia molto poco, affronta volontariamente compiti ad elevato rischio personale anche di sopravvivenza, non pensa ad altro che alla missione che deve svolgere sentendo il resto come un rumore di fondo, assume iniziative ed assolve responsabilità che trascendono il suo mansionario specifico.
In tal modo non senza sovraccarico affettivo gli operatori sanitari trasferirono l'ospedale lesionato di Camerino, fecero fronte alle esigenze di una popolazione sbandata sotto l'occhio di una opinione pubblica non certo tenera, si dislocarono ambulanze con guardie mediche dislocate nel territorio, si effettuarono ripetute visite ai pazienti più bisognosi residenti nelle zone lesionate per far presente la continuazione di una presenza istituzionale anche nell'emergenza, gli ospedali si riempirono di sfollati ed i pronto soccorso di persone sotto shock, si formarono i primi campi di accoglienza in edifici non lesionati.
Nella seconda fase il centro di psichiatria dei traumi e delle catastrofi della scuola di specializzazione in psichiatria dell'Università di Pavia ci aiutò portando la proposta di formazione dei Centri di Ascolto questi erano composti da un minimo di due operatori che avevano a loro disposizione un ciclostilato che descriveva il quadro psicologico ed il da farsi nella fase di shock post traumatico. I ciclostilati servivano agli operatori per avere un dialogo ed una falsa riga finalizzata ad avere un incontro, a favorire una "sfogo", un accoglimento del traumatizzato. I centri potevano essere mobili con gruppetti di operatori, all'inizio con all'interno uno psichiatra ed una assistente sociale ed alcuni volontari per raggiungere con automobili il più possibile la popolazione su tutto il territorio e contenere le crisi emotive iniziali. Talora gli opuscoli venivano distribuiti insieme ai primi aiuti pratici (es. vestiario) per poi ripassare e discutere con chi era interessato.
Il Centro di Serravalle era gestito principalmente da psicologi ed assistenti sociali. Furono presi diversi contatti con medici, comuni, scuole, associazioni sanitarie private e di volontariato distribuendo al loro interno il materiale specifico.
Nella terza fase il il GUS con i suoi volontari, già attivi e ben considerati negli accampamenti in quanto si facevano carico della distribuzione degli aiuti sotto forma di vestiario e generi di prima necessità alle popolazioni, insegnava agli operatori della ASL il rapporto con quel territorio che si era modificato con accampamenti, a loro volta i volontari affiancavano gli operatori cominciando a studiare il materiale a disposizione e cominciando ad avere i primi rudimenti ad esempio sul come non controagire in situazioni di aggressività, oppure sul come mettersi in atteggiamento di ascolto senza favorire dipendenze patologiche in situazioni di crisi, oppure sul come approcciare ed inquadrare con la comunità del campo le frizioni e le possibili espulsioni di singoli membri emergenti del disagio della comunità stessa. Questa prima fase di apprendimento era legata all'affiancamento e sulla reciproca osservazione tra professionisti e volontari coinvolti, la relazione era di reciproca identificazione introiettiva.
Nella quarta fase i volontari del GUS reggevano progressivamente sempre più autonomamente l'attività dei centri entrando in azione spesso da soli quando era richiesto o direttamente dagli interessati, o dalla comunità, o dai gruppi di volontariato e dal COM presenti nelle varie realtà. Lavoravano sempre almeno in coppia, a fine giornata potevano fare riferimento alla supervisione degli interventi effettuati ad assistenti sociali ed a psicologi spesso segnalando ad agenzie pubbliche problematiche di particolare rilievo incontrate. Partecipavano sempre ad incontri di supervisione o di formazione con la presenza di chi scrive. Una volta alla settimana potevano avere una formazione intensiva partecipando ad un gruppo operativo avente come compito lo studio della relazione in termini psicologici. Il gruppo si svolgeva con una prima parte teorica ed una seconda di elaborazione gruppale coordinata da chi scrive. Nella prima parte si poteva dare informazione per esempio sul ciclostilato e sulle modalità di offerta dello stesso alla popolazione, nella seconda i presenti discutevano insieme sulla loro esperienza e su cosa provavano nella relazione fra loro e con la popolazione che tramite questo strumento incontravano, si realizzava così un dispositivo in cui la lettura dal proprio soggettivo punto di vista poteva essere integrata da altri punti di vista diversi, si rafforzava lo spirito di apparteneza ad un gruppo con un compito specifico, si elaboravano collettivamente le ansietà che l'affrontare tale compito scatenava.
Nella quinta fase era evidente che il compito dei centri di ascolto cominciava a venire meno erano ormai passati quasi tre mesi ed occorreva rafforzare le istituzioni locali offrendo supervisione a volotari locali, a medici di famiglia che segnalavano casi particolari, comparendo in pubbliche assemblee al fianco delle amministrazioni del posto, occorreva inoltre un disimpegno anche affettivo progressivo dal forte legame che si era andato costituendo con la popolazione e dal forte legame fra i singoli membri del gruppo che era intervenuto. In questa ottica si pensò al secondo dispositivo del ciclo seminariale.
Tramite il dispositivo dei centri di ascolto si è osservato che il sentire comune a causa del trauma sociale rappresentato dal sisma è variato. Importanti elementi simbolici di riferimento sono venuti momentaneamente meno: la casa, l'ospedale, l'organizazione familare e sociale, la distribuzione degli spazi ecc... Questa variazione di riferimenti, simboli ed affetti ha causato un vacillamento nel senso comune, quest'ultimo rappresenta il livello minimo di cultura condivisa dalla comunità ed influenza fatalmente le opinioni dei singoli e dei gruppi nel progettarsi, partecipare ed inserirsi attivamente nel divenire sociale. Il senso comune esistente fino a quel momento vacillando ha messo in discussione l'identità sociale della popolazione che in precedenza aveva come cardine una complessa commistione di cultura contemporaneamente contadina, montanara ed accademica universitaria.
Abbiamo notato che accanto ai disagi oggettivi derivanti dai danni causati dal terremoto vi è stata anche una "sovrastimolazione affettiva" alla popolazione che ha prodotto fenomeni sociali di blocco e perplessità in un primo momento; cui è seguito allarme, disperazione e rabbia in un secondo momento; una certa difficoltà a riprogettare e riprogettarsi nel nuovo contesto nel terzo momento; infine, attualmente c'è una forte ripresa delle inziative che rischiano di essere non sufficientemente elaborate per non trascurare le radici della identità sociale.
Ci è sembrato indicato che in un tale momento con l'aiuto delle istituzioni più competenti della città e della nazione fosse necessario utilizzare una "epistemologia convergente", nel senso di una convergenza interdisciplinaria sul compito di una prevenzione secondaria ai danni alla salute in generale ed alla salute mentale in particolare seguenti la catastrofe. Questa convergenza interdisciplinaria dovrebbe permettere di arrivare ad un codice comune tra gli operatori e le istituzioni coinvolte e che lavorano negli interventi preventivi e ricostruttivi.
Occorreva inoltre una ripresa di riflessione su quanto passato al fine di riprendere un certo pensiero creativo.
Sembra utile in tal senso la conoscenza strumenti di prevenzione, di psicologia degli ambiti, del gruppo come dispositivo di analisi progettazione ed intervento, dell'evento sismico e dei suoi significati (RAI, Ciclo Seminariale, Analisi Epidemiologiche).
Riteniamo la elaborazione di questo lavoro di prevenzione in ambito comunitario la necessaria continuazione in un contesto variato della attività di prevezione che in un primo momento è stata eminentemente di ascolto e contenimento. Tale elaborazione almeno in parte è avvenuta nel ciclo seminariale dal titolo "Catastrofe e Cambiamento,lo spazio interno della ricostruzione".
Il ciclo seminariale
Complessivamente il ciclo si è articolato in quattro incontri presso le aule dell'Università di Camerino :
Il primo incontro in data 5-12-97 tenuto dal Comandante dott. Canten del Centre de Psychologie de Crise di Bruxelles finalizzato a: "Supervisione sul campo e discussione teorica con gli operatori dei centri di ascolto di Camerino e Foligno".
Il secondo incontro in data 18-12-97 tenuto dal ViceSindaco di Gemona: "Prassi, difficoltà e successi della ricostruzione".
Il terzo in data 21-1-98 tenuto dallo scrittore e poeta Stefano Benni dal titolo: "Il bianco ed il nero della immaginazione".
Il quarto in data 29-1-98 tenuto dal prof. A. J. Bauleo Direttore Scientifico dell'Istituto Internazionale di Psicologia Sociale Analitica, Direttore scientifico della Scuola di Prevenzione J. Bleger di Rimini, Professore associato alla Università di Buenos Aires Cattedra di Psichiatria sul tema: "lo spazio interno della ricostruzione".
Ciascuno di questi incontri meriterebbe la pubblicazione per intero del materiale informativo e teorico portato dai singoli relatori inoltre la elaborazione assembleare di tali stimoli teorici ne arricchirebbe la pertinenza al contesto ed alla esperienza locale. Tutto ciò, per cui non abbiamo sufficienti risorse, pur avendone le registrazioni non offrirebbe il quadro complessivo della elaborazione affettiva che avveniva partecipando attivamente. Cercherò comunque di darne una parziale rappresentazione di sintesi tramite il commento degli "emergenti" della assemblea (Il concetto di emergente è fondamentale nella concezione operativa di gruppo come l'elemento chiave di sintesi, originalità e significatosia manifesto che latente):
Il primo seminario con il comandante Canten fu predisposto in poco tempo in clima di emergenza ed ebbe lo scopo principale di calibrare gli interventi locali praticamente sul campo, pertanto uno scopo eminentemente tecnico. Nonostante ciò era aperto alla cittadinanza in quanto si voleva far conoscere lo spessore teorico degli interventi operati. Eravamo allora pieni di esperienza e di fatica per i continui interventi eseguiti, un po' irritati per il continuo sfavillio di convegni psicologici e di articoli sui giornali da parte di persone che non c'erano state nei campi o che se c'erano state erano venute a vedere. Fu importante fra gli operatori di due zone diverse confrontare le esperienze ed accanto a ciò avere una supervisione da parte di chi aveva avuto tante esperienze di psicologia dei traumatizzati: il comandante con stile molto informale aveva messo a proprio agio gli intervenuti ed aveva ascoltato con pazienza i nostri interventi dopodichè era intervenuto sostenendo e complimentandosi con il lavoro fatto associando a questo le sue esperienze a Cernobil, in Armenia, in Somalia, in ex-Iugoslavia ecc..
Constatava che talora a livello sociale occorrono energie distruttive perchè si possano attivare energie costruttive.
Prepararsi talora significa sopravvivere.
Bisogna stare attenti che il traumatizzato spesso ha già subito un abuso o vissuto o reale di potere, la figura militare o medica talora impone un aiuto perpetrando spesso inconsciamente un ulteriore abuso di potere, occorre sviluppare una certa "vulnerabiltà" per poter empaticamente avvicinarsi alle vittime. Tale avvicinamento sarà fondamentale per la vittima. Quest'ultima sviluppa una "memoria da elefante" per chi gli è stato vicino in certi momenti.
Si tratterebbe di gestire un difficile equilibrio tra la necessità di compassione, l'infondere contagiosamente un certo entusiasmo, senza espandere la sfera delle responsabilità in una iperidentificazione maniacale che oltre ad essere disfunzionale al dare aiuto può causare ulteriori disastri.
Il Comandante Canten lasciandoci ci raccomandava due elementi fondamentali:
- il primo riguardante la necessità di tecniche di disingaggio per il personale coinvolto nelle azioni di prevenzione perchè non cadano anche su di loro le problematiche socio-psico-somatiche della popolazione traumatizzata;
- il secondo che dell'esperienza gli operatori coinvolti possano lasciare traccia con materiale scientifico scritto al fine di poterla elaborare. Potremmo sintetizzare con l'affermazione che questo seminario era stato un ottimo esempio di centro di ascolto per chi aveva lavorato nei centri di ascolto.
Il secondo seminario con il vice sindaco di Gemona del Friuli voleva essere eminentemente una riflessione su alcuni elementi pratici in tema di ricostruzione si è però articolato in modo complesso. hanno preceduto la relazione del viceSindaco di Gemona quella del Sindaco di Camerino e quella del responsabile per la organizzazione sanitaria della ASL10 presso il centro COM Marino Scattolini. Il Sindaco di Camerino ha esposto il clima attuale della popolazione e l'assommarsi delle iniziative, l'esperienza personale del trovarsi nel punto di decisione in alcuni momenti tragici, il rischio dell'iniziativa svincolata da un progetto organico di ricostruzione, il timore ed il tabù di una certa psichiatrizzazione o psicologizzazione delle dinamiche sociali con perdita di una spontaneità conflittuale fisiologica.
Marino Scattolini ha rievocato il clima e la confusione dei primi giorni, la necessità di esserci e di ricoprire un ruolo organizzativo e di cerniera tra tante e differenti organizzazioni fra loro ancora parzialmente coordinate, con l'alito della stampa e della pubblica opinione sul collo, l'incertezza della terra sotto i piedi con la necessità di prendere decisioni in pochi minuti, con collaboratori che spesso si sentivano male.
Il viceSindaco di Gemona dopo aver fatto presente la vicinanza del Popolo Friulano ed il sentire nella pelle la spinta alla solidarietà con le Marche e l'Umbria ha raccontato di una esperienza di crollo e di ricostruzione considerata ultimata positivamente e delle sue fasi. Differente l'esperienza per differenti caratteristiche: le migliaia di morti che in questo terremoto non ci sono stati; la qualità del sisma che senza preavviso colpì una prima volta facendo le prime vittime nella primavera di 20 anni fa, a questa prima scossa la popolazione reagì di forza dichiarando apertamente lo slogan "dalle tende alle case", nell'autunno tornò una tremenda scossa che distrusse la case con buona parte dei primi restauri con un trasferimento in massa della popolazione sulla costa; le scelte politiche ricostruttive in cui si dichiarava "prima le fabbriche, poi le scuole, poi le case"; l'ultimazione della ricostruzione dopo 10 anni ritenuta come un buon traguardo.
Si trattava allora di ricostruire salvando l'identità dei luoghi ma anche coniugando ricostruzione e sviluppo sopportando e contrastando l'incubo della emigrazione in massa della popolazione. Si era allora nel periodo della "prima repubblica" allora denominato: "solidarietà nazionale
Tra le caratteristiche positive la partecipazione ed il dibattito politicamente attivo della popolazione in quegli anni, il decentramento locale dei fondi per la ricostruzione, la trasparenza delle scelte politiche operate, l'attuale fiorire della prosperità economica in quei posti.
Tra i problemi affrontati la fretta di costruire che per molti versi ha trascurato l'identità urbanistica della città distruggendo alcuni simboli importanti.
Il dibattito in assemblea non senza emozione ha constatato l'affievolirsi di alcune tensioni fra le forze politiche in questo incontro, la necessità di riflettere insieme ed apertamente sulle scelte urbanistiche che si sarebbero presentate a Camerino, la necessità di meccanismi di trasparenza e condivisione delle scelte operate, la necessità di favorire la partecipazione dei cittadini alla loro città. La percezione affettiva del dibattito era di una attiva partecipazione dei presenti senza vuoti o cali di tono della discussione, una riflessione collettiva.
Il terzo seminario con lo scrittore Stefano Benni voleva essere una esperienza di riflessione collettiva in ambito creativo, l'immaginazione il campo nei suoi rapporti con la paura e con la tradizione culturale.
Benni riportando alcune esperienze personali ha creato un clima sdrammatizzante e divertente, lo scopo della sua relazione sosteneva la necessità di svincolare l'immaginazione spontanea insita nel bambino dalla formazione istituzionalizzante in cui la costringe la scuola sin dai suoi primi momenti. La capacità raccontare e raccontarsi creazioni del proprio immaginario riportava l'assemblea nel mondo infantile dello scrittore collocato nello spazio del suo paese di origine: "Monzuno" e temporalmente in un'epoca "senza corrente elettrica" ma ricco di stimoli affettivi e creativi. In questo posto un personaggio soprannominato "Sgadezza" racconta in libertà ad una platea affascinata di bambini, con la sola luce del fuoco del camino, epiche avventure di pesca, immagini divertenti di pesci furbi ed enormi. Sgadezza permetteva al suo uditorio di inseguire la sua creatività offrendo un certo insegnamento creativo. Benni contrapponeva a questa forma di apprendimento quello del "compito in classe" laddove l'obbiettivo didattico risiede maggiormente nel ripetere pedissequamente quanto detto dall'insegnante. Immaginare liberamente pertanto favorendo la soggettività e gli aspetti creativi di ciascun allievo. Emerge dal dialogo con la platea che talora l'immaginazione è terrifica, densa di paura, pertanto rifuggita: Benni a questo punto introduce la sollecitazione letteraria dei romanzi di Edgar Alan Poe, l'attesa del "mostro" dietro alla porta più terrifica dell'immagine stessa del pericolo, anche in questo caso l'immaginario più potente della realtà.
L'assemblea prosegue il suo lavoro di riflessione sul dolore mentale e su di un certo sovraccarico mentale entra a questo punto l'importanza della relazione sociale e del dialogo per sciogliere i nodi di tale sovraccarico perchè l'elemento che blocca talora la produzione di una libera e creativa immaginazione può risiedere in un peso eccessivo della realtà, importante in quel caso la condivisione del carico con qualcuno che sia in grado di reggerne il peso.
L'incontro si chiude con due sollecitazioni mitiche: il mito di orfeo e quello delle baccanti. Congiuntamente i presenti ne colgono i due elementi pertinenti alla discussione nel primo mito l'immagine dell'oggetto amato che si è perso ci costrige a scendere fino agli inferi se non riusciamo a separarcene per poi dolorosamente ri-vederlo al fine di poterlo perdere definitivamente. Nel secondo mito l'immagine della realtà risulta essere così dolorosa che una certa fuga da questa è necessaria per poter continuare a sopravvivere alle proprie miserie. In altre parole viene elaborata dalla assemblea una relazione importante dialettica tra immagine ed immaginazione: immagini cristallizzanti l'immaginazione sepolte nei ricordi o nell'inconscio che occorre andare a riprendere per sbloccare una creativa vitalità; e d'altro canto l'immaginazione che talora ci salva dall'orrore della realtà permettendoci una temporanea fuga e soprattutto una sopravvivenza come nel citato mito delle Baccanti o più recentemente nel film "La vita è bella" di Benigni.
Nel quarto ed ultimo seminario il compito risiedeva nel poter inquadrare dal punto di vista psicologico e sociale quanto vissuto congiuntamente.
Il prof Bauleo introduce spiegando che la disciplina pertinente ad inquadrare i traumi a dimensione comunitaria è la psicoigiene in quanto si va ad inserire nel normale fluire della psicologia quotidiana il trauma o la catastrofe. Questo sconvolgimento, che può esitare nella nevrosi traumatica (il cui elemento sintomatico cardine è la ripetizione affettivamente dissociata e soggettivamente conturbante), irrigidisce i pregiudizi e le difese psichiche preesistenti e disconferma i normali meccanismi di comportamento di fronte alla vita quotidiana, rompe i limiti della certezza soggettiva e del sentire comune, rompe i legami e costringe ad un intervento nella intersoggettività. Occorre dotarsi di strumenti che offrano reale solidarietà a partire dalle conoscenze di psicologia sociale pertanto è necessario non invadere la soggettività di una persona che irrigidisce le sue difese (il prof. Bauleo cita l'esempio di un piede che trema in una persona che soggettivamente si sente tranquilla ma che racchiude in tale comportamento automatico il proprio nervosismo) ma permetterle di prendere coscienza delle varie parti del suo se con i suoi tempi, nei suoi spazi, con il linmguaggio e tramite le persone che sono maggiormente pertinenti alla situazione. Occorre tenere in conto delle dinamiche delle famiglie intese come rapporti transgenerazionali allargati. Occorre utilizzare mediatori comunicativi particolari che appartengano in un certo senso all'ambiente in cui si sta intervenendo (Ndr. ad esempio ci è sembrato inutile e dannoso l'intervento diretto di psicologi e psichiatri sulla popolazione; particolarmente efficace invece formare opportunamente i volontari già coinvolti negli aiuti, ed intervenire laddove le loro energie non erano sufficienti nel dipanare alcune situazioni, intervenire quindi non in prima istanza ma su chiamata di personale formato al confrontarsi con le catastrofi, con l'aiuto e la solidarietà diretta e che disponeva di strumenti che permettevano un "ascolto attivo" non cronicizzante).
Tipico, sia nel sociale che nel soggettivo, che l'atteggiamento patologico di fronte ad un trauma sia quello della ripetizione (ad esempio il costruire case senza corretti criteri antisismici in zona sismica), ripetere differisce dal rielaborare, in quanto in quest'ultimo concetto risiede l'accettazione della perdita e della discontinuità: nel ripetere si sostituisce ciò che è andato perso con un oggetto surrogato per non piangerne la perdita (ad esempio la eccessiva quantità di giocattoli inviata indiscriminatamente ai bambini che sono delle zone terremotate) e per non sopportare il dolore ed il piacere mentale che è insito nell'offerta del ricostruire insieme nuovi oggetti e vincoli sia nel privato che nel collettivo.
Quale resistenza e quali strategie del pensiero per non consumare surrogati di ricostruzione?
Come rivedere vincoli di dipendenza per costruire nuove case senza ripetere falsamente le vecchie facendo finta che nulla è cambiato?
Come ricostruire nuove case tenendo in conto della tradizione, della cultura, dei tempi e degli spazi, del vivere andato perduto?
Come superare l'atteggiamento che nega il cambiamento producendo sintomi?
Come sopportare la perdita della rassicurante affermazione "tutto tornerà come prima"?
Come si sopporteranno le nuove immagini di se e di noi, la rottura di vecchi vincoli, la perdita di ruoli stabili nel collettivo, l'osservazione di nuovi contesti in cui progettarsi ed operare?
Come ad esempio sopportare che un operatore terremotato sia un esule ed un utente come tanti altri?
Come non sostituirsi alla perdita ed al lutto collettivi divenendo capri espiatori?
Queste ed altre sono state le domande che l'ultimo dei seminari ha aperto e che si sono sviluppate nell'intero ciclo seminariale. Domande e non richieste come si discrimina nel linguaggio psicologico. Domande che speriamo non abbiano risposte di esperti che chiudano il problema e la falla ma che utilizzino la conoscenza di chi è più esperto per aprire nuove ricerche autenticamente pertinenti alle locali culture, desideri e bisogni.
Conclusioni e nuove aperture
E' stato molto faticoso e doloroso scrivere la parola conclusione in questa esperienza collettiva in cui compagni di lavoro ed amici con tanto piacere entusiasmo e divertimento mi hanno accompagnato "nell'inferno dei miei terremoti personali", psicanaliticamente unica sede utile per con-dividere una esperienza tanto tragica di catastrofe.
Abbiamo dovuto rivedere insieme immagini traumatiche che prima per sopravvivere avevamo prudentemente evitato producendo forse comportamenti gravemente sintomatici ma utili a sopravvivere.
Abbiamo dovuto insieme rivederle per potercene separare, anche se in fondo, ciò da cui ci separavamo, erano gli oggetti che un tempo di più avevamo amato: separarci per non diventarne cronici schiavi sia pure di struggenti nostalgie.
In questo cammino ci hanno accompagnato esperti che con umiltà senza volerle imporre ci hanno confortato ed aiutato con le loro esperienze e con il loro esempio. Ci hanno seguito maestri senza volerci precedere ed indicare strade ma aiutandoci a mettere a fuoco quella che cercavamo di percorrere.
Ho la viva speranza che quanto ho scritto sia patrimonio comune di chi ha vissuto e lavorato nell'esperienza del terremoto e che pertanto il mio ruolo sia, forse un po' presuntuosamente, quello di portavoce di un gruppo di lavoro e di una esperienza collettiva. In altre parole spero che la verticalità della mia soggettività abbia, almeno in parte coinciso, con la orizzontalità del gruppo di lavoro con cui ho cooperato.
Se queste condizioni si sono verificate dovrebbero comparire trasversalità nuove, progetti di verifica dell'operato, riflessione sugli errori compiuti (solo chi non opera non fa errori) e progressione del lavoro.
Onestamente essendo la nostra una ricerca applicata necessita di controlli e valutazioni precise, speriamo di poter trovare i fondi per ultimare questo lavoro.
Nel frattempo si aprono stimolanti domande e spunti di riflessione:
Sarà stata la nostra una esperienza di sviluppo di semplici e liberatorie catarsi, utili a "sfogarsi" lì per lì di alcune eccessive ansietà, od abbiamo almeno in parte accompagnato qualcuno ad una presa di coscienza, base di un cambiamento più strutturale?
Si svilupperà nella popolazione e nelle istituzioni coinvolte un apprendimento operativo con la elaborazione di strategie di prevenzione o si continuerà in una passività che al massimo tampona le emergenze?
Si ripenseranno i modi reali di informazione della popolazione tramite i mezzi di comunicazione di massa o continueranno questi meccanismi tra il pietistico ed il voieuristico a cui purtroppo spesso, anche se non sempre, abbiamo assistito?
Si penseranno strategie di discussione, partecipazione della popolazione curandone la cultura e la conoscenza delle tattiche idonee alla ricostruzione affinchè partecipino in modo trasparente alle scelte, o si depositerà la responsabilità nelle Autorità preposte?
La popolazione parteciperà al dibattito o delegherà ad altri?
Ritengo che da queste domande comparse nei centri di ascolto e nei seminari dipenda la reale operatività della nostra ricerca applicata. Siamo ben consapevoli che ogni ricercatore influenza il campo osservato partecipandovi, speriamo che la relatività del nostro punto di vista possa essere vagliata da aperture di nuovi campi di ricerca intervento.
Speriamo che quanto vissuto non finisca, rubando le parole ad una nota poesia, "come lacrime nella pioggia".
Potremmo pertanto chiudere il lavoro con un interrogativo o se si preferisce con una scommessa: "E' stata la nostra solo una esperienza di catastrofe e catarsi o una esperienza di catastrofe con margini di cambiamento? Abbiamo o meno costruito un certo spazio interno per la ricostruzione?"
Massimo Mari
Istituzioni organizzatrici:
Università degli studi di Camerino Rettorato e CURC,
Comune di Camerino,
Azienda Sanitaria Locale No 10 Camerino,
Gruppo Umana Solidarietà di Macerata,
Organizzazione Eos di Pavia,
Dipartimento per la Protezione Civile della Presidenza del Consiglio
Coordinamento Scientifico
Mari dott. Massimo Centro di Salute Mentale, Azienda Sanitaria Locale 10 Camerino tel 0737 781400
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