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La nostalgia dell’oceano

Guglielmo Campione



Mar che ti volgi ovunque è riva e chiami

Cuor che ti volgi ovunque è pena e l’ami:

Ritornan l’acque e i sentimenti al fondo,

ma per salire puri ancora al mondo.

Clemente Rebora “Frammenti lirici”, 1913

 

L'acqua da sempre scandisce le fasi esistenziali dell'uomo, prestando la propria immagine ai simbolismi della vita, del trascorrere del tempo, di una dimensione metafisica - religiosa e magica - speculare rispetto alla realtà percepibile.

Qual è il substrato ancestrale che giustifica la nostra profonda attrazione verso questo ambiente?

Il rapporto con i pesci e i mammiferi marini così ricercati da noi subacquei, per esempio, si basa solo sulla curiosità, sulla voglia di avventura e sulle tendenze ordaliche delle immersioni tecniche o sulla condivisione con i mammiferi marini del comune cervello emotivo degli affetti, delle gratificazioni e del piacere, della lattazione e alla gestazione gravidica e degli indubbi comportamenti gruppali e linguistici dell’uomo e di questi animali ?

C’è di più che l’etologia comparata?

La psicoanalisi, aprendosi all’antropologia, alla mitologia, alla mistica, alla biologia, alla letteratura ha dato un irrinunciabile contributo di riflessione su questo argomento.

Analizzerò qui due irrinunciabili esempi storici di tale apertura: la corrispondenza tra Freud e il premio nobel Rolland dal febbraio 1923 a maggio 1936, lo scritto Thalassa di Ferenczi del 1924 e alcuni passi dall’opera “La regressione”.di Michael Balint, allievo di Ferenczi.

Accennerò alla leggenda dell’uomo pesce e dell’identificazione con esso che affascinò e interesso anche il più grande filosofo italiano del novecento Benedetto Croce in una sorta di autoanalisi fatta in tarda età: la leggenda come viatico per un viaggio all’interno di se stesso bambino al di là di tutte i rigori scientifici sin lì usati.

Infine traccerò alcune mie ipotesi interpretative della leggenda.



IL SENTIMENTO OCEANICO

Freud deve a Rolland, la sua elaborazione del cosiddetto “sentimento oceanico ”.

La metafora oceanica, l’oceano come simbolo dell’illimitato, dell’unità in cui le molteplicità si dissolvono e gli opposti coincidono, è molto diffusa in tutte le tradizioni mistiche per descrivere la scomparsa dei limiti dell’Io. Tra i mistici cristiani ricorre spesso l’espressione: ”Io vivo nell’Oceano di Dio come un pesce nel mare”. Definisce una condizione permanente di quiete, calma, silenzio interiore anche quando si è coinvolti in pensieri e attività rivolte al mondo esterno. Il soggetto rimane consapevole del proprio stato di coscienza, mentre simultaneamente è conscio di pensieri, sensazioni, azioni.

Ramakrishna per descrivere l’ineffabile utilizzava spesso la metafora della bambola di sale, misura della profondità dell’oceano: “non appena entrata nell’oceano, cominciò a fondersi. Allora chi è in grado di ritornare e dire la profondità dell’oceano?” Freud aveva inviato Rolland l’avvenire di un’illusione, il suo scritto sulla Religione.

È nella lettera del 5 dicembre 1927 che Rolland lo invita a distinguere il “sentimento oceanico” dalla religione organizzata .

Il nucleo autentico del sentimento religioso è il “sentimento oceanico”, cioè l’esperienza mistica di unità con il mondo. Questo nucleo è vivo quando è viva l’esperienza dell’unità di tutte le cose:

Freud rispose in prima battuta così: Il sentimento dell’infinito non è altro che la nostalgia della condizione infantile preedipica, quando il bambino non è ancora in grado di percepire un confine tra sé e la madre.

Successivamente nel 1929 (14 luglio) Freud gli risponderà che il sentimento oceanico non gli aveva dato pace e che in un nuovo lavoro (Il disagio della civiltà, 1929) cita il sentimento oceanico e tenta “di interpretarlo nel senso della nostra psicologia.

Rolland (17 luglio 1929) si dichiara onorato che il sentimento oceanico lo abbia stimolato a fare una nuova ricerca e dice infine che Oriente ed Occidente sono le rive dello stesso fiume di pensiero e che in entrambe le rive ha potuto riconoscere lo stesso “fiume oceano”...

Nel 1936, in Un disturbo della memoria sull’acropoli: lettera aperta a Romain Rolland (Opere, vol. 11, pp. 473-481), Freud dedica a Rolland, questa confessione privata di una accurata analisi di un episodio di amnesia occorsogli durante un viaggio in Grecia sull’Acropoli di Atene di Fronte al Partenone che ha a che vedere con le tematiche della Fede-Fiducia, credulità/incredulità, piacere/dispiacere, potenza/impotenza, sentimento di estraniazione, depersonalizzazione, doppia coscienza, scissione della personalità.

Questo conferma la sensazione che la chiusura rispetto al sentimento oceanico continua a tormentarlo ancora dopo dieci anni dalla provocazione di Rolland. Si potrebbe a questo punto pensare che ciò che gli è precluso non è la mistica e la musica ma l’ingresso nel materno, nel femminile, in ciò che per Ramakrishna diventa la visione diretta della dea Kalì, l’eterno femminino, che per Freud rimase il continente nero.



THALASSA DI SANDOR FERENCZI

“La filogenesi o evoluzione della Specie, è un processo evolutivo degli organismi vegetali e animali dalla loro comparsa sulla Terra a oggi”. La filogenetica studia l'origine e l'evoluzione di un insieme di organismi, solitamente di una specie. Un compito essenziale della sistematica è di determinare le relazioni ancestrali fra specie note vive ed estinte .

Nel XIX secolo fu proposta da Ernst Haeckel la teoria della ricapitolazione espressa nelle sue parole “Tutte e due le serie dell'evoluzione organica, l'ontogenesi dell'individuo e la filo-genesi della stirpe a cui esso appartiene, stanno fra loro nel più intimo rapporto causale. La storia del germe è un riassunto della storia della stirpe, o, con altre parole, l'ontogenesi è una ricapitolazione della filogenesi”.

Ferenczi riprende questo concetto ma si spinge molto in là per il 1924. Il testo è divisa nella parte ontogenetica e filogenetica.

Rifacendosi a Haeckel Ferenczi dice che la nascita dell’uomo è contrassegnata dal trauma: una catastrofe e che i frammenti di questa storia perduta sono conservati come geroglifici nella psiche e nel corpo. Ferenczi propone di applicare ai grandi misteri della Genesi della specie il metodo di decifrazione psicoanalitico usato per comprendere i piccoli misteri della storia individuale.

Nelle produzioni psichiche individuali e collettive con grande frequenza si assiste all’immagine del pesce che nuota nell’acqua.Secondo Ferenczi questo simbolo sta contemporaneamente sia per significare il coito che la situazione intrauterina.

Ma aggiunge Ferenczi, non potrebbe darsi che questo simbolismo esprima anche una parte di sapere filogenetico inconscio relativo al fatto che discendiamo da vertebrati acquatici ? (il famoso amphiouxus lanceolatus antenato di tutti i vertebrati e anche dell’uomo secondo le teorie in voga nel 1924).

Tutta l’esistenza intrauterina dei mammiferi superiori non sarebbe altro che una ripetizione dell’antica forma di esistenza acquatica.

La stessa nascita rappresenterebbe la ricapitolazione individuale della grande catastrofe che con il prosciugarsi degli oceani ha costretto numerose specie animali a d adattarsi alla vita terrestre e rinunciare alla respirazione tramite branchie per sviluppare i polmoni.

Citando Bolsche allievo di Haeckel secondo cui gli antenati dei genitali maschili sono i Pasci e che per la salamandra il corpo materno diventa l’equivalente dello stagno, Ferenczi arriva ad azzardare che placenta e amnios sono gli equivalenti del modo di vita acquatico del pesce.

“Alcuni aspetti del simbolismo dei sogni suggeriscono l’esistenza di una profonda analogia simbolica tra il corpo materno e l’oceano da una parte, la terra madre nutrice dall’altra. L’uomo prima della nascita sarebbe un endoparassita acquatico e dopo la nascita un ectoparassita aereo della madre, per un certo periodo. Anche la terra e l’oceano erano i precursori della maternità e costituivano essi stessi una organizzazione protettrice, avvolgendo i nostri antenati animali.

Il simbolismo marino della madre è più arcaico di quello della Terra, più tardivo, dove il pesce gettato dal prosciugamento degli oceani ha dovuto adattarsi per il tempo necessario a trasformarsi in anfibio.

Numerosi miti primitivi cosmogonici rappresentano la terra che emerge dagli oceani.

Il fatto di essere salvato dalle acque e di galleggiarvi può simboleggiare sia la nascita (il parto, l’approdo sulla terra) che il coito mentre cadere nell’acqua costituisce il simbolo ancora più arcaico: il ritorno all’utero.

La leggenda del diluvio universale potrebbe essere rovesciata: la prima grande minaccia è il prosciugamento e l’emersione della terra dell’Ararat sarebbe la catastrofe originaria lì dove l’arca di Noè rappresenterebbe il corpo materno che contiene la vita.

Ferenczi si pronuncia a favore di Lamark contro Darwin in quanto più centrato sulla psicologia e sul ruolo che le tendenze e le pulsioni interne hanno nella filogenesi ed in quanto Darwin non spiega, se non con il caso, la presenza di ripetizioni di forme e modalità di funzionamento che si presentano nelle nuove forme di evoluzione. Non c’è evoluzione senza motivazione interna, dice Ferenczi, né cambiamento che non corrisponda all’adattamento a una perturbazione esterna.

Il desiderio di tornare all’oceano abbandonato nei tempi primitivi, la Regressione Talassale, un ambiente umido che contiene sostanze nutritive.

La madre è il simbolo e il parziale sostituto dell’Oceano e non l’oceano della madre.

Tutte le specie sarebbero scomparse con la catastrofe del prosciugamento degli oceani se la loro sopravvivenza non fosse stata assicurata, nella fase di riadattamento terrestre, da alcuno fortuite e fortunate circostanze e dai tentativi di regressione alla vita endoparassitaria nell’amnios e in quella ectoparassitaria nell’aria respirando con i polmoni.

Un’altra analogia tra il feto nell’utero e l’animale nel mare è l’approvigionamento di ossigeno e nutrimento. Attraverso i villi coriali che galleggiano nel mare sanguigno placentare il feto per osmosi assorbe ossigeno e nutrimento come fossero branchie che assorbono per osmosi ossigeno dall’acqua. La placenta è un organo di aspirazione parassitaria .

Quando come subacquei dobbiamo imparare a regolare l’assetto tramite i polmoni ancor prima che attraverso il gav dobbiamo guardare i pesci che usano la vescica natatoria o come il capodoglio la diversa densità dello spermacete, o re imparare dai nostri antenati a pinneggiare in un certo modo per stare fermi in hovering oppure dobbiamo ancora guardare loro e reimparare a capire l’intensità delle correnti e la loro direzione dalla posizione dei pesci. La naturalezza dei nostri movimenti, la loro armonia e funzionalità non può che avere nei pesci il suo corrispettivo ancor di più se in apnea.

Il liquido amniotico raffigura l’oceano introiettato nel corpo materno, dove, l’embrione nuota come un pesce nell’acqua.

Ferenczi ricorda anche che le sostanze chimiche, trimetilamina, presenti nelle secrezioni sessuali sono chimicamente molto strettamente imparentate alle secrezioni dei pesci e che il ciclo dei 28 giorni mestruale è quello delle maree .

Inoltre è evidenziabile nei mammiferi acquatici, ridiventati terrestri e poi di nuovo acquatici come le foche, ma anche nelle anguille, nei salmoni, la tendenza regressiva geotropica, che le costringe a partorire o deporre le uova risalendo i fiumi per arrivare sulla terra o quasi.

Per rifarsi all’evoluzione dell’individuo e alla vita dell’essere umano Ferenczi sostenne che anche l’accoppiamento sessuale e il sonno sono attività che hanno la funzione di realizzare una regressio ad uterum .

Le diverse fasi dell’amore hanno lo scopo simbolico di far rivivere il piacere dell’esistenza uterina attraverso il progressivo annullamento dei confini dell’io dei due partners (la spoliazione, le carezze, il trapassamento dei confini corporei, il lasciare che il fiume inconscio possa inondare temporaneamente la coscienza priva di controllo e limiti, la petit morte dell’orgasmo). , l’angoscia della nascita e la gioia di sfuggire felicemente al pericolo da essa rappresentato.

Pene e vagina e anche a livello cellulare spermatozoo e ovulo riproducono sul piano simbolico il mortale pericolo superato vittoriosamente dopo il prosciugamento degli oceani (la rottura e perdita delle acque) attraverso una lotta di potere arcaica per procurarsi l’umidità che sostituisse l’oceano. Tant’è vero dice Ferenczi che quando l’uomo si separa dalle sue secrezioni sperimenta un sentimento di perdita (post coitum animal triste). Ferenczi dice che l’accoppiamento potrebbe essere una costrizione subita dai gameti e dai geni che spinge gli individui a unirli in luogo protetto. La catastrofe primordiale potrebbe aver avuto questa funzione di motivazione a questa spinta. Già Freud in “Al di là del principio del piacere” sulla fantasia del simposio di Platone, sostenne che quella catastrofe avrebbe scisso la materia in due parti, il mito dell’androgino, licitando in ciascuna di esse il desiderio di riunificarsi sotto il peso della pulsione di morte. A partire dalla materia inorganica gli esseri si sarebbero scissi e poi sarebbero tornati a cercare di riunirsi dopo una nuova catastrofe, il prosciugamento degli oceani.

L’orgasmo è dunque il sentimento oceanico di fusione e quiete che precedeva la comparsa della vita, la quieta morte della sostanza inorganica e i dolori e i dispiaceri esistenziali, residui delle tensioni prodotte dalle catastrofi.

Ci sarebbero state cosi 5 catastrofi:


FILOGENESI

ONTO E PERIGENESI

I CATASTROFE

COMPARSA VITA ORGANICA

MATURAZIONE CELLULE SESSUALI

II CATASTROFE

COMPARSA ESSERI UNICELLULARI INDICIDUALI


NASCITA CELLULE GERMINALI MATURE NELLE GONADI

III CATASTROFE




IV CATASTROFE







V CATASTROFE


INIZIO RIPRODUZIONE SESSUATA

COMPARSA DELLA VITA NEL MARE


PROSCIUGAMENTO OCEANI, ADATTAMENTO VITA TERRESTRE


COMPARSA SPECIE ANIMALI CON GENITALI


ERA GLACIALE


PROGRESSIVA OMINIZZAZIONE


NEGLI ANIMALI PLACENTARI SI SVILUPPA IL CORPO CALLOSO CEREBRALE CHE PERMETTE LA CONNESSIONE DEI 2 EMISFERI E L’INTEGRAZIONE DI PULSIONI , AFFETTI E RAGIONE .

FECONDAZIONE

SVILUPPO EMBRIONE NELL’UTERO



NASCITA




SVILUPPO PRIMATO GENITALE




PERIODO DI LATENZA

PRE ADOLESCENZIALE

LE PULSIONI INUTILIZZATE DEVONO POTERSI SUBLIMARE IN REALIZZAZIONI INTELLETTUALI E MORALI



LA REGRESSIONE: CLAUSTROFILIA E CLAUSTROFOBIA, OCNOFILIA E FILOBATISMO

Balint aveva una concezione quasi paradisiaca dello stato fetale, condizione di totale armonia che l'uomo cerca di ritrovare per tutto il resto della sua vita (regressus ad uterum o regressione talassale di Sándor Ferenczi) attraverso vari canali quali l'orgasmo, l'estasi religiosa e la creazione artistica

Secondo Balint, il concetto di regressione può essere inteso in due sensi: uno, di tipo benigno, conduce allo stato di “nuovo inizio” e di guarigione; l’altro, di tipo maligno, perpetua sia infinite ripetizioni improduttive, sia un’assuefazione tossicomanica dal terapeuta.

Le due nozioni di base sulle quali si fondano la regressione benigna e il nuovo inizio, sono l’amore primario e il difetto fondamentale.

Il primo consiste in una fondamentale esperienza propria di ogni persona legata alla madre: lo stato di libertà da problemi, di amore perfetto, nel quale l’armonia protettiva, amorevole, nutriente della quasi totalità dell’universo circonda il bambino come un grembo e provvede al suo benessere senza che ci sia necessità di alcuno sforzo da parte sua.

Il difetto fondamentale porta questo stato alla sua conclusione: si tratta del processo precoce nel quale si verifica uno iato importante tra i bisogni biopsicologici individuali da un lato, e la cura psicofisica, l’attenzione e la partecipazione emotiva diretta verso di lui o verso di lei, dall’altro lato.

Come risultato del difetto fondamentale (Basic Fault, 1968) l’eros tenta di connettersi con gli oggetti nell’ambiente secondo due modalità: sia abbarbicandosi ansiosamente ad essi, oppure, per contrasto, essendo respinta da essi e trascinata negli spazi intermedi.

Balint chiamò “ocnofilia” la prima modalità, e “filobatismo” la seconda.

  • ocnofilìa, dal greco ochne , esita, aspetta,teme di star fuori la zona di sicurezza ed è una tendenza ad instaurare legami con l'oggetto improntati alla dipendenza;

  • filobatismo, dal termine acrobata, significa colui che cammina sul filo ed è una tendenza a provare piacere solo nelle situazioni di brivido o paura

Questi caratteri però non si presentano quasi mai allo stato puro, ma sono presenti entrambi in varia misura all'interno dei soggetti. Non sono quindi vere e proprie patologie se non nelle loro forme estreme.

In cerca di avventura, sostiene Marylene Thomere, i subacquei da soli con le proprie risorse, consapevolmente e deliberatamente si espongono a un pericolo reale esterno con un misto di paura, piacere e sperando di tornare in una zona sicura.

Il cercare questo brivido è filobatismo contrapposto al non sopportare di vedere minacciata la propria sicurezza- ocnofilia. La subacquea può configurarsi talvolta anche come attività controfobica per Fenichel: ciò che si desidera anche se pericoloso è cercare di controllare il pericolo, fornendo una sensazione di intenso piacere della vittoria su di sé, un ‘ansia narcisistica.

Nel fare il filobata in immersione il subacqueo si attacca ocnofilicamente ai suoi strumenti tecnici che secondo Balint rappresentano contemporaneamente la dipendenza dalla madre amorevole da cui dipende la vita e il fallo potente del padre che sfida la sicurezza materna e vuole conoscere l’oltre.

Ci sarebbe quindi una tendenza, avrebbe detto E Facchinelli, claustrofilica (amore degli spazi chiusi, si pensi agli speleosub e ai cenotes messicani o ai blue Hole) alla regressione uterina e nelle nostre immersioni che ci permettono ancora una volta di sperimentarla.

Ed una tendenza all’esodo, all’uscita, alla nascita, alla riemersione sulla terra sotto la spinta da claustrofobia, seguita da una temporaneo sollievo ma anche dalla nostalgia del ritorno.

Questa ambivalenza di sentimenti negativi e positivi si trova nella semantica antica: l’idea di profondità implicita nel pensiero greco arcaico che utilizza la parola Bathos sta a indicare un che di positivo, sinonimo di folto, fitto, ricco, spesso del tutto diverso dal significato negativo che i latini attribuivano alla parola Profundis, inteso invece come mancanza di misura, smodato, fondo, come spazio vuoto smisurato in grado di inghiottire e divorare uomini e navi.



BENEDETTO CROCE E LA MILLENARIA UNIVERSALITÀ DELLA LEGGENDA DELL’UOMO PESCE COME ESPRESSIONE DELLA NOSTALGIA DELL’OCEANO

“Quante il mar, senza prò, ricchezze ingurgita

Cui da natura o industria crea ! che a perderle

Spregiam la vita! Son laggiù miracoli

D’arte rimpianto eterno a l’uman genere.

Da’ tenebrosi, muti abissi e gelidi

Sorgea, livido, esausto, alfin, sul margine

Niccolò pesce, stringendo ori e ninnoli,

Su cui, l’onde richiuse eran da secoli"

Vittorio Imbriani


Nel suo scritto “Sull’origine e la fondazione della mitologia”, Kerèny individua il momento della creazione dei miti nel risalire ai tempi primordiali: ”Non solo colui che vive una data mitologia e agisce di conseguenza, non solo lui si immerge come in una campana di Palombaro: così fa anche ogni vero narratore di miti che si volge verso i tempi primordiali per raccontare cosa originalmente era. Originarietà per lui equivale a verità.”.

In tal modo viene tracciata l’analogia tra immersione nel mare e immersione nell’analisi delle nostri origini ma anche l’analogia tra immersione nel mare e immersione del fare poetico.

C’è un’antica leggenda millenaria che testimonia la nostalgia dell’oceano, le cui prime citazioni risalirebbero a Walter Mapes, canonico di Salisbury nel 1190: la leggenda dell’uomo pesce o Cola Pesce o Niccolò Pesce.

Benedetto Croce, era molto legato a questa leggenda e dirà in tarda età che le leggende sono belle perché riportano alla fanciullezza a quella capacità di provare stupore e meraviglia, stupore, terrore, e perché additano la verità mostrandoci luoghi, immagini, scritti, e ricorda quando con la madre, amante di libri e di arte andavano insieme per le chiese di Napoli a visitare tombe e pitture.

“Mi persi molte volte fanciullo con l’immaginazione nei fondi del mare che l’ardito esploratore frugava e per un pezzo mi rimase in un cantuccio dell’anima il fascino di quella figura e di quelle imprese, finchè parecchi anni dopo essendomi dato a maneggiare libri appresi che la leggenda di colapesce era originaria del faro di Messina dove viveva in molteplici versioni e donde era agevolmente passata a Napoli localizzandosi presso il porto in quella vecchia pietra scolpita con la quale ben si legava” (B. Croce, 1885, la leggenda di Niccolò Pesce, Giambattista Basile, vol.III).

Croce ci riporta la versioni della sua ricerca etnografica sulla leggenda di Niccolò Pesce come divisa in 3 parti: “La prima ci dà l’origine e la storia del Pesce Niccolò; la seconda ci narra l’incontro recente fattone in alto mare da alcune navi e la terza raccoglie voci che intorno a lui correvano tra la gente di mare.

Nella prima parte, la leggenda appare localizzata in Ispana. Niccolò – vi si dice - era nato nella borgata di Rota, sul mare a due leghe da Cadice. Ivi ancora vivevano i discendenti della sua famiglia. Bambino, aveva membra simili a quelle di tutti gli uomini; ma la sua passione lo portava al mare e nel mare guazzava estate e inverno, e desiderava essere pesce per esplorarne i segreti. Invano i suoi genitori lo rimproveravano. E diventa pesce - gli dice finalmente il padre spazientito. e, tutto d’un tratto, la metà inferiore del corpo si trasforma in pesce (si veda il quadro di Renè Magritte) e salta nelle acque e sparisce. Dopo un anno e un giorno, torna si erge dalla sponda restando in acqua e chiede di parlare coi suoi genitori. La gente accorre, da lontano e da vicino, per vederlo e lui racconta i segreti e le meraviglie del mare. Queste visite si ripetevano di tanto in tanto. Una volta, si maritava sua sorella e per averlo alla festa di nozze lo dovettero portare a casa in una botte pieno d’acqua di mare! dopo la festa, da buon suddito del re cattolico chiese con molta umiltà la benedizione dei genitori e fu riportato al mare. E tuffatosi nelle acque, entrò nella grande grotta di Rota e da cent’anni non era più comparso.

Nella seconda parte, si racconta che il giorno della circoncisione ricomparve sul mare ed essendosi accostato ad alcune navi parlò a lungo coi marinai. E raccontò che entrato nella grotta aveva nuotato per quaranta giorni ed era giunto a un mare tranquillissimo le cui sponde finiscono nel giordano. Qui i pesci non invecchiano e non muoiono mai, non si moltiplicano e non si mangiano gli uni con gli altri. E quelli che vi giungono non tornano indietro tanto la vita è lieta e dilettevole. Egli anche vi dimorava contento e soddisfatto e tutti i pesci gli erano soggetti. Ma il suo desiderio di giovare agli uomini lo aveva spinto a tornare nei nostri mari. E si mette a dettare ai marinai una serie di segreti che il romanzatore dice di non poter ripetere perché han bisogno di ben altro poeta.

Nella terza parte si descrive il congedo che prende Niccolò dai marinai dopo averli guidati in salvo e accompagnatili per un pezzo; egli manda per loro mezzo a salutare i suoi parenti promettendo di recarsi presto a visitarli a Rota. La nave giunse a Lisbona ed anche due navi irlandesi dissero d’aver incontrato il pesce, altri dicevano di averlo visto all’isola Bermuda, altri d’averne sentito la voce ed essersi tappate le orecchie non sapendo chi fosse. Altri ancora lo avevano scambiato per una sirena incantatrice, per un fantasma, per un demonio”.

Croce raccolse a Napoli fonti d’una versione italiana della leggenda che tramanda quest’altra versione del racconto e la morte di Cola Pesce: “Volle un giorno il re di Napoli sperimentare fino a che punto potesse giungere nelle profondità del mare, lancio una palla di cannone e gli disse di riportargliela: maestà disse Colapesce io mi perderò, io non tornerò più ma se cosi volete faro la prova. Niccolò si lancio allora nelle onde, corse senza posa dietro la palla e a un tratto gli riuscì di raggiungerla ma nel sollevare il capo si vide di sopra le acque che lo coprivano come un marmo sepolcrale e s’accorse di trovarsi in uno spazio vuoto tranquillo silenzioso senz’acqua. Invano tento di riafferrare le onde e di riattaccare il nuoto, resto chiuso lì e lì mori”.



L’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGENDA

Nella mia interpretazione, Niccolò, come Pinocchio appare come un bambino irrequieto, affamato di conoscenza, d’istinto epistemofilico avrebbe detto la Klein, di “oltre”. Non si accontenta di conoscere il mare, vuole essere della stessa sostanza del mare, i pesci. Da questo punto di vista pare dibattersi tra una tendenza maschile al rischio e alla prova ordalica delle proprie capacità, alla conoscenza dell’oltre esogamico e una tendenza materno femminile all’endogamico, tendenza regressiva, totalizzante che lo porta a desiderare d’essere della stessa sostanza dell’oggetto del suo desiderio: come la madre dice “tu sei il latte che ti do”, Niccolò tragicamente vuole essere della stessa sostanza del suo desiderio.

Il padre spazientito, nel dirgli “e diventa pesce” cede al suo desiderio o lo punisce per la sua disubbidienza con la profezia vendicativa di diventare pesce che prontamente e magicamente si realizza?

Niccolò s’immerge ma torna a raccontare ai suoi genitori le meraviglie del mare dopo un anno e un giorno, in un simbolico nuovo inizio, in cui il numero uno pare alludere alla fusione nell’uno indistinto amniotico di ogni inizio della vita.

Al matrimonio di sua sorella altra separazione, viene portato in una botte piena d’acqua: Niccolò pare non potersi ormai separarsi dal mare e va ad un matrimonio, altra unione simbolica, non accettando di mostrare possibile la separazione.

Dopo di che scompare per cento anni e ricompare il giorno della circoncisione, rito iniziatico che segnala l’abbandono della vita infantile e il passaggio alla vita individuale attraverso un taglio che separa. E’ iniziatico anche il riferimento alla quarantena di giorni necessari a raggiungere il fiume sacro del Giordano luogo di altra immersione iniziatica, quella del Cristo da parte di Giovanni.

Anche lì pare confrontarsi con la separazione ma racconta di una grotta, d’un utero edenico dove regna l’eternità, dove non si invecchia e non si muore, dove non c’è fecondazione e generazione ma neanche aggressività. Un luogo da cui non è possibile il ritorno tanto la vita è lì lieta e piena di piacere e i pesci sono sotto la sua volontà onnipotente. Un luogo, che anticipa il luogo tranquillo, vuoto, silenzioso, senz’acqua che gli appare durante l’ultima immersione quella in cui muore per volere d’un’altra figura maschile di potere, il Re che per un capriccio gli chiede di recuperare una pesante palla di cannone. Niccolò sa che non potrà risalire e che morrà ma accetta la condanna. Paiono ricongiungersi il padre che con un anatema più materno arcaico divorante lo consegna alla metamorfosi in pesce e il Re che esprime altrettanta letale volontà per un puro capriccio narcisistico e sadico di potere.

Cosa fa tornare Niccolò a contatto con gli umani?

Il desiderio narcisistico di raccontare, di narrare, di essere ascoltato, il desiderio dell’altro: ma subentra l’ineffabilità dell’esperienza amniotica custodita nella memoria implicita del corpo e non si trovano le parole per descrivere quello che ha vissuto.

Da una parte v’è il racconto di vivere un esperienza unica che nessuno può provare e il piacere di essere invidiato. Dall’altra l’indispensabilità di un uditorio per non morire come Narciso.

Come Colapesce, per conoscere i propri sentimenti, occorre immergersi, tuffarsi, rischiare la propria via: ma è necessario al contempo infrangere lo specchio narcisista e consolatorio, romperne la superficie e sfondarlo per guardare dentro e fuori di esso, per riemergere e tornare alla relazione.

Così può divenire possibile ritrovare se stessi, incontrare l’Altro e i nostri antenati sommersi.



Bibliografia

Balint M., Balint E., La regressione, Cortina , Milano, 1983

Croce B., 1885, La leggenda di Niccolò Pesce, Giambattista Basile, vol.III

Campione G., Revisione della letteratura sul sentimento oceanico, Stati della Mente, http://statidellamente.blogspot.com

Facchinelli E., Claustrofilia, Adelfi

Fenichel O. (1951), Trattato di psicoanalisi, Astrolabio.

Ferenczi S. (1924) "Thalassa. Saggio sulla teoria della genitalità", Cortina.

Freni S., La dimensione mistica nell'esperienza psicoanalitica, http://www.psychomedia.it/pm/modther/integpst/freni.htm Carere Comes T. Mistica, religione e psicoanalisi, http://www.psychomedia.it/pm/modther/integpst/frenintro.htm

Freud S. (1920), "Al di là del principio del piacere", Opere, Boringhieri, vol. 9.

Freud S., Un disturbo della memoria sull’acropoli: lettera aperta a Romain Rolland, Opere, Boringhieri vol. 11

Imbriani Vittorio, Poesie

Rebora Clemente “Frammenti lirici”, 1913

Thomere M., Les liaison dangereuse avec la mere, Hommes et perspectives.


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