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Psicoterapia e Mediterraneo: spunti metaforici**

di Girolamo Lo Verso *

(*) Ordinario di Psicologia clinica Università di Palermo. Psicoterapeuta. Già delegato nazionale della divis. di psicologia clinica della S.I.Ps. e Presidente COIRAG. Già subacqueo semiprofessionista.
(**) Il presente testo è la rielaborazione e l'ampliamento di un precedente contributo pubblicato in Lo Verso G. 1994



Ad Andrea e Lucilla,
alla gente di mare


La sistematicità epistemologica e metodologica del lavoro scientifico richiede, così come accade nella reale pratica clinica, un'integrazione con gli aspetti mitopoietici ed estetici dell'esistenza. Ciò fa sembrare utile, e per me piacevole, condividere alcune considerazioni poco sistematiche, ma di carattere metaforico e allusivo, sulla psicoterapia, collegandola ad una metafora per me sorgiva e vivificante: il mediterraneo. Del resto è utile intrecciare la rigorosità del metodo ed i serbatoi dell'immaginario. Le suggestioni che propongo qui sono, quindi, di carattere essenzialmente letterario.
Il Mediterraneo del resto è all'origine di problemi e riflessioni sull'uomo ancor oggi attuali: basti pensare ai santuari terapeutici legati al culto di Asclepio.
Propongo di "pensare" il Mediterraneo come uno dei miti e delle epistemologie fondativi del mondo occidentale, assumendolo, quindi, come luogo centrale del transpersonale (Lo Verso 1989, 1994) etnico nella nostra civiltà. Attorno ad esso del resto c'è stato lo scontro tra le culture fondamentalista e la grande apertura alla cultura dello scambio, della relazione, della condivisione e del crogiolo delle differenze. Vorrei, qui, proporre alcuni nessi metaforici fra vari concetti.


La nostalgia

Il riferimento è ai nostoi, la saga dei ritorni degli eroi greci vincitori a Troia. I più celebri sono quelli di Agamennone e di Ulisse. Ulisse: una metafora mai esauritasi. Lo sceglie Dante per parlare della ricerca e della conoscenza e dell'andare oltre, lo sceglie Joyce per parlare della modernità. Lo scelgono, Lucio Dalla e Stefano D'arrigo per parlare del mito. Quest'ultimo nel suo meraviglioso romanzo 'Horcinus Orca' sceglie un giovane marinaio 'N,dria' (Andrea, uomo) reduce dall'orrore della guerra (che però ancora oggi qualcuno esalta) come protagonista di un ritorno a casa, ancora una volta bello e deludente insieme. Un solo punto vorrei segnalare: Ulisse ha riassunto, anche, l'immaginario (maschile) del rapporto maschile-femminile e cioè della differenza e della vicinanza; Atena, Circe, Calipso, Nausica, Penelope, Ino Leucotea ecc. Dee, maghe fanciulle, mogli, ninfe. Ulisse "bello di fama e di sventura" è l'uomo del ritorno a casa, , ma anche della scoperta del meraviglioso. E' colui che idealizza il non sradicabile talamo nuziale, ma che con la spada e con i segni della sua storia, con l'eroicità o con l'umanità, lega a se le straordinarie donne che incontra e ne viene amato. Ulisse è l'uomo che ha profonda conoscenza del dolore e della persecuzione ingiusta di uomini e dei ma anche della vittoria, dell'amore, dell'infaticabile senso del vivere pienamente. Ulisse conosce la miseria e la viltà degli uomini (e la propria) ma anche il coraggio e la grandiosità e la bellezza del vivere, dell'amore, della dignità umana, del conoscere. Qualunque sia il gioco delle proiezioni auto-biografiche che facciamo su di lui, ce lo troviamo davanti come oggetto culturale e identificatorio privilegiato. (La depressione, per esempio, è anche la perdita della possibilità di esplorare o di sperare: la perdita della possibilità dell'incontro e del futuro). La paura, il narcisismo, la meschinità, l'indifferenza sono da lui affrontate e ciò gli consente di accettare, ma anche condividere, se è il caso, l'incontro con la differenza, con l'alterità. La sua astuzia non è manipolazione ma è sopravvivere e vivere. Ulisse e il Mediterraneo (di cui Matievic parla come cultura unitaria). Il suo è un antropopsichismo che non concepisce fondamentalismi o mafiosità. Se è costretto combatte il suo nemico: se è possibile a viso aperto, ma non crea freddi e nordici Gulag o campi di concentramento. Non è un 'ominicchio' che vive di piccoli interessi personali o di astuzie sottobanco. L'altro mantiene la sua umanità. Persino del ciclope viene mostrato il dolore e la rabbia. Nella letteratura moderna Ulisse è grandemente presente: è l'uomo della civilizzazione e della contemporaneità.


La bellezza

Un paziente, subacqueo professionista, racconta un sogno in cui si avvicina in barca ad un'isola verde sul mare, forse Marettimo o Miroa o un'isola Greca: lì si immerge, e in una parete di roccia trova una fessura nella quale prende un ramo di corallo. L'interpretazione freudiana riporta ciò al corpo della madre, alla curiosità infantile, al proibito, alla nostalgia, alla colpa. Una lettura junghiana parlerebbe invece di esperienza iniziatica. La gruppo analisi soggettuale non dimentica questo, ma, all'interno di una epistemologia della complessità, pone anche attenzione alla relazione in atto, alla ricerca di ciò che non è conosciuto, al desiderio e alla paura della bellezza, alla nascita del futuro, presente in ogni incontro. Riprendiamo qui un concetto centrale in questo contesto: quello di parti non nate (Napolitani1987). Esse sono ciò che la nevrosi ha impedito di vivere o di simbolizzare, ma anche ciò di cui non vi è mai stata occasione di fare esperienza. Lo stesso paziente racconta poi un episodio della sua vita: per il suo lavoro gli accadeva di immergersi lungo un'immensa parete ad alta profondità in compagnia del grigio, del freddo e della paura, e poi, arrivato sul fondo, di accendere una lampada subacquea, ridando ai colori la possibilità di esistere e di illuminare una parete di corallo in piena fioritura. I simboli della luce, della bellezza, del grigiore e del rosso, interessano molto gli psicoterapeuti. La luce umanizza l'immensità della parete e della profondità. Il corallo rosso, colore del sangue e della vita, è usato da millenni per scacciare il demonio e il malocchio. Il sangue è ciò che consente il corpo vivente, che è il contrario del soma, del cadavere. Il corpo vivente nostro e dell'altro è tale nell'autenticità della relazione, non nell'intervento manipolativo su di esso. Una psicoterapia ridotta a pura tecnica manipolativa, in cui l'altro viene oggettivato in un'illusione di controllo della sua diversità, riporta noi a puro ruolo tecnico e i pazienti al soma ed alla sua diversità ed incomprensibilità. Il linguaggio spesso ci tradisce, ma è impossibile concepire la depressione al di fuori dell'interezza dell'esser umano che la vive. Ciò vale più in generale per il dolore. Esiste un dolore che non sia il dolore di qualcuno? (Moravia 1986), e poi ancora: esiste una depressione al di fuori del nostro rapporto con essa e con chi ne è travolto? Il borghese il barbaro, il fondamentalista, l'imbroglione il narcisista (1) hanno in comune questo: temere di pensare e di vivere eticamente ciò che di duro vi è nella condizione umana in quanto tale. Freud ha già detto , del resto, molto tempo fa, che la differenza fra salute e malattia in campo psichico è quantitativa, non qualitativa, il che implica che in maniera molto diversa poiché la psicopatologia non consente di vivere, pazienti e curanti siano sulla stessa barca.


La mancanza

Condivido la proposta fenomenologica di considerare la depressione anche come un vissuto legato alla mancanza e come il primato di presenze mentali fondamentali ma irraggiungibili. Nella "ligheia" di Tomasi di Lampedusa (di cui vi è stata una bella lettura junghiana di Basilio Reale) il protagonista, un professore universitario di greco amò nella sua gioventù, e dentro di sé per tutta la vita una sirena di un amore solare, pieno, primordiale. Per tutta la sua lunga vita, piena di interessi e riconoscimenti scientifici, non ebbe più alcun rapporto con le donne, finchè vecchio, andando per nave ad un congresso, si lasciò cadere in mare, dove lei lo aspettava da tanti anni. La mancanza, male contemporaneo, causa la formazione di un Self senza confini, affamato di dipendenza e pieno di vuoto. Tale vissuto è tuttavia un dato ontologico: esso ha a che fare con la storicità fantasmatica o interpsichica delle relazioni esperite dalla nascita in poi. Anche uno dei più felici cantori dell'umano, Ludovico Ariosto che ha scritto il poema sugli amori i cavalieri, e l'armi e che ha lasciato di Alcina e di tante altre una sfolgorante immagine di bellezza, dice che non c'è il vuoto ma ci sono Medoro e Angelica nella mente pazza di Orlando (2) . Ci sono sempre gli altri, c'è sempre la storia psichica, la mancata presenza ideale, nella psicopatologia.


La cultura e il mito

Alcuni temi centrali della ricerca gruppo analitica soggettuale sono il rapporto gruppo- individuo, quello fra antropologia e inconscio, quello fra miti familiari in cui si è catturati e di esplorazioni del mondo e dell'alterità. Un esempio di questo scontro di culture. Che cosa è un delfino? Stefano D'Arrigo, in quello che è forse, dopo l'Odissea, il più bel libro sul mediterraneo, Orcynus Orca propone un dialogo fra un ufficialetto veneziano, il quale parla del delfino che salva i poeti, che gioca con gli uomini , che è tenero, e un pescatore di Cariddi (Capo Faro , sullo stretto di Messina) che, invece parla della 'fera' che ruba il pesce dalle reti affamando i pescatori, che è, seduttiva, intelligente, opportunista, quasi umana insomma. E del resto il delfino è l'uomo rimasto in mare e un appassionato subacqueo è un delfino di terra un po' impacciato ed in esilio. Esilio una parola anche molto bella e tenera. E' l'anima di Ulisse, lo è di molti pazienti, lo è di tutti quelli che hanno dovuto vivere, per qualche aspetto, lontani dal proprio 'noi', dalle proprie appartenenze.


Depressione e immersione

Negli ultimi anni molti clinici hanno segnalato il fatto che la depressione ha anche a che fare con l'individualismo esasperato; la perdita del sentimento di continuità fra le generazioni che non consente più di guardare la morte e costringe alla negazione consumistica non solo di essa, ma anche di ciò che solo dialetticamente con essa può esistere; la ricerca, l'immersione profonda, la passione per la vita. La negazione consumistica investe il corpo che diventa tutto superficie, abbronzanti, body therapy, apparenza, chirurgia plastica. Ciò che potrebbe essere emancipazione dalla tirannia del transpersonale e dell'esistere del soggetto solo nella continuità diventa identificazione di superficie agli oggetti, al fluire dell'immagine delle cose, di cui la pubblicità televisiva ed il potere politico manipolativo ad essa legato è il migliore esempio. Il corpo diviene rappresentazione-apparenza piuttosto che luogo dell'azione, dell'emozione e della relazione. In tale modo non vi è più spazio per tollerare il dolore. Persino alcune così dette tecniche terapeutiche, a volte solo formalmente più moderne dei vecchi manicomi, rischiano di causare la messa a tacere del paziente nelle sue parti che non sono dette né debbono dirsi. Neanche per la malinconia come vissuto rischia di esservi posto, eppure questo sentimento intenerisce il cuore all'uomo che guarda al tramonto, e di malinconia insieme alla gioia delle notti estive parla la musica mediterranea. Oggi il turismo di massa è arrivato sott'acqua. Nulla a che fare con colapesce ma costose attrezzature e giretti in comitiva. Nulla di male, anzi è una possibilità per molti, anche se, ai miei occhi di vecchio subacqueo ha un sapore un po' virtuale. Nella metafora dell'immersione spesso usata nella terapia analitica ciò è, tuttavia, più problematico. Esiste certo l'intrattenimento terapeutico ma nel nostro campo restare sulla superficie, magari. Calmando per un po' la sofferenza con un uso consumistico di farmaci e di buone parole in realtà può non consentire ai pazienti di trovare un senso del vivere. La psicopatologia non può essere sfuggita. Migliorare il comportamento, prendersi cura, ascoltare, incoraggiare educare, addestrare i comportamenti ecc. sono tutte cose che non possono sfuggire al problema duro del curare e del guarire (e sia chiaro che condividere l'etica medica non vuol dire condividerne metodi, obiettivi, epistemologie, riduttivismi) che non dovrebbero essere così limitanti neanche in campo medico. L'immersione in psicoterapia è un'esperienza difficile, faticosa, pericolosa se non gestita con perizia e tenacia esponendosi in prima persona e con pieno carico di responsabilità rispetto alla fatica ed agli esiti. In questo caso il termine immersione non è solo metaforico. Ad alta profondità vi è un rischio reale. Nel nostro caso è in ballo la possibilità di vivere degnamente o noi dei nostri pazienti.


Il gruppo e il mare.

Nella fase iniziale dell'analisi sono frequenti i sogni di mare in tempesta. La psicopatologia è, forse soprattutto, costituita da reti di significazione e rapporti interni e impedimenti al poter concepire il mondo da parte del soggetto. Il gruppo clinico con la sua proposta di vivere uno spazio relazionale ignoto, viene quindi, vissuto inizialmente, a volte, come un mare in tempesta. Il transpersonale familiare sintomatico non può essere tradito: incontrare il gruppo può essere sentito come trasgressivo rispetto al familiare interno/esterno sintomatico (Nucara, Menarini e Pontalti 1995) così come lo è innamorarsi, incontrarsi con la differenza, portare avanti un progetto di se nel mondo. 'L'altro' è pericolo, invasione infettante, AIDS, musulmano, ebreo. Il dibattito su invasione e possibilità legati all'alterità non è, quindi, attinente solo alla psicopatologia, alla paranoia individuale e di gruppo ma vale anche per la cultura. Un siciliano dell'interno di cultura contadina, Sciascia, ha potuto scrivere una frase scandalosa per gli altri siciliani, e cioè che i siciliani non amano il mare. Il più grande testo dell'epopea contadina. Le opere e i giorni di Esiodo, parla della speranza che tutto sia sempre uguale e postula l'estraneità e la novità come ciò che distrugge le messi e le vite. L'epistemologia marinara è intrinsecamente diversa. Il domani può portare naufragi, ma anche una ricca pesca. Lo straniero, il diverso è ricercato e indispensabile, perché con lui si possono fare "traffici" e scambi e da lui si può imparare. (Nel mondo marinaro l'altro è spesso stato nemico ma vi è troppa 'cultura' ed esperienza per parlare di 'civiltà superiori'). A mio avviso la terapia è anche un confronto fra queste due epistemologie, questi due bisogni psichici: quella della continuità e quella della discontinuità. Senza la seconda essa più che trattamento, rischia di essere intrattenimento o controllo. Se il terapeuta non può, ogni volta, cercare di affrontare il mal di mare, la nausea, le durezze del proprio mondo interno o il sentimento di perdersi, gli sarà impossibile consentire all'altro di cercare di guardare , di immergersi nelle proprie relazioni interne. In gruppo non ci sono divani, né analisti senza memoria e senza desiderio. Il gruppo è il luogo dello sguardo e della piena presenza del corpo: questo vale anche per l'analista che è sempre "tirato dentro" da una rete relazionale siffatta. Il terapeuta come persona è inevitabilmente "visto" e conosciuto (ma questo in qualche modo vale per ogni terapia realmente relazionale).
In un momento difficile un paziente, che ha sempre vissuto nella convinzione di odiare la propria madre, fredda e disinteressata, è vicino a scoprire il culto fusionale inconscio e l'infinito bisogno che sin dall'infanzia lo lega a lei e che forse è collegato alla sua omosessualità. L'immagine di medusa che impietrisce chi la guarda è una buona metafora del timore inconscio di questo tipo di pazienti, rispetto alla terapia analitica di gruppo e in genere all'intimità con altre persone. A questo punto terrorizzato ma trepidante, si volta improvvisamente verso il terapeuta e gli chiede (avendo sentito parlare della storia subacquea dell'analista): "Ma tu ti sei mai immerso di notte al largo"?, cioè: "Ma tu sei disposto ad andare dove mi chiedi di andare?" (E ciò, nel suo caso nel buio dell'ignoto, oltre le certezze della fusionalità con la madre, all'incontro con l'altro. Il terapeuta risponde con molta autenticità di sì, ma fra il dire e il fare....

Rispetto a quanto ho detto una metafora adeguata per il terapeuta non è più quella freudiana dell'analista" archeologo" che condivide la discesa agli inferi, bensì quella del navigatore fenicio. Questi si basava sulla padronanza dei propri strumenti (la barca, le vele, i remi, la sua capacità di navigare con le stelle, la sua esperienza e resistenza psicofisica), ma sapeva che il mare aperto è più forte di qualunque uomo e che, soprattutto se cercava di scoprire territori ignoti, non poteva prevedere se, dove e quando sarebbe approdato. Egli sapeva però che solo il funzionamento e la sintonia dell'equipaggio garantivano la navigazione. Come l'antico esploratore, il terapeuta non possiede mappe dettagliate che gli dicano prima di andarlo a scoprire come è fatto il territorio, ma possiede un setting, una formazione, dei quadri di riferimento teorico, la conoscenza della psicopatologia, degli strumenti di navigazione, un'adeguata esperienza fatta nei propri viaggi (terapia personale, supervisioni, studio scientifico, esperienze del lavoro e del vivere). Questo viaggio metaforico ci ha portati alla questione dell'etica e della competenza in psicoterapia e cioè alle conditio sine qua non del nostro lavoro.. Anche qui ci aiuta un vecchio proverbio mediterraneo, "a mari un ci sunnu taverni" (a mare non ci sono taverne), e cioè non c'è possibilità di chiacchierare e vantarsi. Ritengo quindi che l'onestà del nostro lavoro implichi la capacità di valutarlo senza auto-collusioni quindi anche con gli altri. Mi viene da pensare ancora all'immersione. In essa se si commettono errori, se progetti e strumenti non sono chiari, si rischia molto. Lo stesso si rischia se l'ansia, la superficialità, il rifugio nelle piccole tecniche impediscono una esplorazione non turistica. Lo stesso è in psicoterapia e forse ancor di più visto che chi rischia, anche con l'intrattenimento e la cronicizzazione, è il paziente.


Bibliografia

Amari M. - Storia dei musulmani di Sicilia. Gronata ed. 1977.

Ariosto L. - Orlando Furioso. Mondadori Ed. 1976.

Basile G. - Sicilia. L'isola che c'è. Dario Flaccovio Ed. Palermo 2001.

Brandel F. - Memorie del Mediterraneo. Bompiani 1998.

Ceruti M., Lo Verso G. (a cura di) Epistemologia e psicoterapia. Cortina Milano 1995.

Conrad J. - Opere. Mursia.

Lo Verso G. - Clinica della gruppoanalisi e psicologia. Boringhieri Torino 1989.

Lo Verso G. - Le relazioni soggettuali. Bollati Boringhieri 1994.

Lo Verso G. (a cura di) - La mafia dentro. Angeli Milano 1998.

Moravia S. - Homo persona in Lo Verso G. op. cit. 1994.

Matveyvic P. - Mediterraneo. Garzanti 1991.

Napolitani D. - Identità e gruppalità. Boringhieri Torino 1987.

Nucara G., Menarini R., Pontalti C. - La famiglia ed il gruppo: clinica gruppoanalitica e psicopatologia. In Di Maria F., Lo Verso G. (a cura di) La psicodinamica dei gruppi. Cortina Milano 1995.

Omero - Odissea. Fondazione Lorenzo Valle.

Tomasi di Lampedusa - La sirena (Ligheia) in Racconti Feltrinelli Milano 1998.


Note:

(1) Qui intesi come figure retoriche
(2) Ovviamente la storicizzazione può anche essere in chiave di transpersonale culturale e biologico, e non solo individuale. Asor Rosa parlando di Conrad, scrive" Il viaggio (...) è alle fonti del nostro essere, di qualunque essere, e in quanto tale la mitica linea d'ombra". Il "cuore di tenebra" non è un'esperienza storicizzabile, perché fa parte dell'esistenza umana, è una parte di noi, è noi. Può essere interessante qui segnalare il dibattito fra visione archetipica e visione macroetnologica (nel modello da noi proposto (1994) riferito al transpersonale, etnico-antropologico) come esperienze base costitutive del simbolico, contenuto nella ricerca storica di Ginsburg.


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