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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING GRUPPALE
Psicoanalisi di Gruppo


TRASFORMAZIONI DEL CAMPO <-> IDENTITA' (nota 2)

Trasformazioni e mobilità operativa del conduttore*

di Giorgio Corrente

(Il lavoro è inserito nel No2/96 di Koinos-Gruppo e Funzione Analitica, Borla)



Riassunto

La tematica centrale di questo lavoro riguarda l'assetto mentale dell'analista-conduttore alle prese con i coinvolgimenti emotivi che le esperienze psicoanalitiche promuovono soprattutto quando si cambia setting e/o ruolo. Il concetto di "mobilità operativa" è una indicazione tecnica, che ci permette di pensare a certe turbolenze emotive a cui sono esposti pazienti ed analisti a confronto con le trasformazioni del campo dell'esperienza e con gli aspetti più stabili dell'identità individuale e gruppale.

Summary

The central issue in this paper is the mental state and attitude of the analyst-conductor when grappling with the emotional involvement that psychoanalytic experiences promote, especially when there are changes of setting and/or role. The concept of "operative mobility" is one technical indication that helps make it possible to contemplate certain emotional turbulences to which patients and analysts are exposed in facing the trasformations of the field of experience and the more stable aspects of individual and group identity.

Resumen

La tematica central de este trabajo enfoca el asecto mental del analista-conductor respecto al movimiento emocional que las sesiones promuoven en especial relacionadas a cambiamentos de setting y/o de rol. El concepto de "mobilidad operativa" es mas bien una indicaciòn tecnica que nos permite de pensar a ciertas turbolencias emotivas a las quales son expuestos pacientes y analistas quando se confrontan los efectos de las trasformaciones del campo con los aspectos mas estables de la identidad individual y grupal que las experiencias psicoanaliticas producen.



Nella ricerca post-bioniana sui temi gruppali ho scelto quello della trasformazione e mobilità del conduttore giacché è una delle esperienze nella dinamica del piccolo gruppo e nell'analisi duale con la quale ci confrontiamo quotidianamente.
Rispetto al concetto di campo che attraversa tutto il lavoro rimando ai contributi di M. Baranger e W. Baranger (1963-1987), F. Corrao (1986), G. Corrente (1986-1992), G. Di Chiara (1997), C. Neri (1985-1995), L. Sarno (1997).
Non mi soffermerò sul termine trasformazione, l'uso che ne faccio è quello descritto da Bion nel suo libro "Trasformazioni: il passaggio dall'apprendimento alla crescita" e nei suoi scritti successivi.
Francesco Corrao nel suo lavoro introduttivo alle giornate di studio su: "W.R. Bion e il suo contributo allo studio psicoanalitico del gruppo", titolato "il senso dell'analisi", si esprimeva nel modo seguente: "... Il paradosso quindi è: ciò che distugge il buon senso come senso unico, ciò che distrugge il senso comune come assegnazione di identità fisse, la riorganizzazione mobile delle identità soggettive e la riacquisizione del loro senso è uno degli eventi principali della vicenda analitica che implicitamente le restituisce il suo senso...".
Con il termine "mobilità" intendo indicare la capacità di affrontare gli effetti delle trasformazioni che l'esperienza stessa va generando nella persona del conduttore, di raccoglierle e di metterle a disposizione del gruppo.
E' un concetto ausiliare, complementare che dà l'idea del movimento all'interno della personalità dell'analista e dei membri del gruppo e della loro capacità di poterlo esprimere nei diversi momenti della vita gruppale.
"Mobilità" significa anche ciò che si muove con facilità o muta rapidamente (deriva quindi da moto1, termine storico nella letteratura psicoanalitica del quale ne farò un uso il più allargato possibile).
A volte, all'inizio di una seduta di gruppo, sono preso da un sentimento che potrebbe essere descritto come una difficoltà di immersione nella situazione gruppale. Predominano il distacco e le fantasie di blocco delle mie capacità creative.
Al pensiero "questa è la giornata sbagliata", si affianca l'idea di affidarmi ai membri del gruppo perché forse solo così si potrebbe ricavare qualcosa di proficuo.
Il senso di smarrimento è accompagnato da pensieri svalutativi nei miei confronti del tipo: "non sono all'altezza delle aspettative del gruppo", "non sono tagliato per fare l'analista di gruppo", a volte una sensazione di fastidio: "ma chi me lo fa fare".
Questo totale senso di inadeguatezza e di fastidio molto spesso l'ho assocciato al fatto di aver trascorso mattina e pomeriggio con i pazienti nel lavoro individuale e subito dopo, alla fine della giornata, si svolge il gruppo.
In effetti il lavoro svolto con continuità, stabilità e gratificazione nel setting individuale (durante tutta la giornata) crea un forte senso di identità che si plasma con l'identificazione all'istituzione di appartenenza (J. Bleger, 1967). Questo stato di benessere raggiunto viene messo in scacco con il brusco passaggio ad un setting di gruppo che comporta una destabilizzazione della sfera del Sé, quindi della personalità dell'analista. Basti pensare all'impatto di trovarsi vis-à-vis con otto o nove persone, alcune delle quali ti dà del tu, dove "l'analista" lascia il posto al "conduttore" ecc...(C.A. Barnà, 1985).
Può essere utile tornare sul termine "mobilità" che nel campo lavorativo ha il significato di spostamento della forza lavoro, movimento da luogo a luogo, da settore a settore, anche con mansioni di lavoro diverso. Ricordando anche quanto siano poco accettate queste proposte da parte dei lavoratori dato che lo spostamento di luogo e di ruolo sono vissuti come destabilizzanti e come veri e propri attentati all'identità.
Anche nel nostro lavoro questi processi trasformativi sono vissuti come micro-eventi-catastrofici da attraversare non certo senza difficoltà.
Vorrei segnalare che in passato e ancora oggi nella conduzione di altri gruppi che si svolgono ad esempio a metà mattinata, non mi è successo mai il contrario. Cioè nel passaggio dal gruppo al lavoro duale, non ricordo mi si siano creati simili problemi, anzi appena uscito dal coinvolgimento emotivo che ogni seduta di gruppo comporta in abbondanza, la seduta individuale si presenta più "leggera" e sentimenti di fiducia e possibilità creative affiorano con facilità.
Quando la giornata di lavoro è stata particolarmente intensa, e si presentano le difficoltà prima descritte, sento la necessità di prendere tempo, di voler stare un attimo da solo con me stesso, cosa che riesco a fare quando vado ad aprire la porta ai pazienti che arrivano un po' alla volta, quasi sempre nei primi 10 minuti. Così alzarmi per aprire la porta, aspettare qualche secondo tra un paziente e l'altro mi dà la possibilità di contenere l'ansia che tale situazione promuove.
Non sempre bastano la consapevolezza, sapere che altre volte è già successo o prendere tempo mentre i membri del gruppo arrivano, perché si tratta di forze contrastanti in gioco all'interno del campo e della loro difficile sistemazione (E. Gaburri, 1997).

Le associazioni dei familiari di pazienti psichiatrici, operanti negli Stati Uniti, si sono recisamente opposte ad ogni forma di ricerca che tendesse a valutare l'Expressed Emotion. Come si vede questo costituisce un estremo viraggio reattivo alla concezione dio marca sistemica del cosiddetto "paziente designato", posizione nella quale la patologia familiare era pesantemente chiamata in causa, con una tendenza indubbiamente e ingiustamente colpabilizzante.

Gli psichiatri sono ben consapevoli e praticamente da sempre dell'importanza e dell'influenza della famiglia e dei familiari nelle vicende dei loro pazienti, in particolare di quelli molto gravi. Sanno anche gli psichiatri che la famiglia è, nella vita del paziente grave una presenza ineluttabile e irrinunciabile sia nel male che nel bene. Ineluttabile perché l'appartenenza al gruppo naturale in cui si nasce è un dato che fa parte dell'umana esistenza, così come le vicende di tale gruppo sono delle codeterminanti delle vicende di ogni vita individuale. Irrinunciabile perché è molto spesso la famiglia che si accolla in più o meno larga misura il compito dell'assistenza e delle cure necessarie alla sopravvivenza del paziente.
Da questo punto di vista appare quanto meno bizzarra la tendenza ad escludere o a marginalizzare la famiglia del paziente grave, quanto meno a non curarsene granché, per poi chiedere o pretendere che si occupi del congiunto malato in maniera empatica e comprensiva accollandole un compito difficile, a volte impossibile. Fatto, questo, che concorreva e forse ancora concorre a spiegare quella che si può definire la sindrome della porta girevole, per cui un paziente viene a più riprese, ricoverato, dimesso e riconsegnato alla famiglia senza che questa abbia nel contempo ricevuto un consistente e significativo supporto terapeutico che la renda più idonea o meno inidonea al compito, dopodiché il paziente viene di nuovo ricoverato e poi nuovamente dimesso secondo modalità ripetitive che ovviamente tendono a cronicizzarsi, come anche gli esperimenti sulla Expressed Emotion paiono dimostrare.

E' ormai abbastanza superato il periodo storico in cui la famiglia veniva esclusa, marginalizzata e spesso colpabilizzata in modo più o meno rozzo, talora privo di tatto, se non crudele con conseguenze jatrogene spesso gravi o gra ampliamento.

Giorgio Corrente
Via Anneo Lucano 51
00136 Roma

BIBLIOGRAFIA

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dell'Identificazione - Gruppo e Funzione Analitica - VI - 1 - 1985
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e Funzione Analitica - Anno VII - no1 - 1986. Ed. Cedis
SARNO L. - "Il transfert e la relazione: evoluzioni teoriche e trasformazioni
cliniche del campo psicoanalitico" in E. Gaburri (a cura di) "Emozione e
Interpretazione" Boringhieri, Torino - 1997


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