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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING GRUPPALE
Psicodramma



Il luogo del gioco

di Donata Miglietta

(articolo tratto dal n. 12/13, Anno VII, aprile/ottobre 1993 della Rivista Areanalisi)



Se è vero che la verità cerca l'uomo è ancor più vero
che i personaggi cercano un autore. (F. Corrao)

Le origini. Dall'abreazione all'introiezione

In un gruppo che da qualche seduta sta lavorando sulla sessualità un partecipante racconta un sogno nel quale mentre sta consumando un rapporto extraconiugale appartato in un luogo oscuro viene bruscamente interrotto dall'irruzione di una scolaresca di bambini uno dei quali si ferma a guardare la scena. Il paziente che sogna sta affrontando un conflitto intenso tra le spinte trasgressive e la tenerezza per il proprio bambino che teme di perdere seguendo gli impulsi sessuali. Il sogno viene messo in gioco per la risonanza che assume in un periodo in cui il gruppo oscilla tra tematiche trasgressive e sentimenti di colpa. Una coppia viene messa al centro e tutto il gruppo viene chiamato a rappresentare la scolaresca dei bambini che irrompono.
Durante lo svolgersi del gioco Carlo, che sta rappresentando uno dei bambini, arrossisce in modo visibile a tutti e l'attenzione del gruppo si rivolge all'effetto imprevisto che la scena ha prodotto. Carlo parla allora di un ricordo infantile, affiorato durante la rappresentazione, di una notte in cui svegliandosi e alzandosi si era trovato di fronte alla visione di un rapporto sessuale tra la madre e un uomo sconosciuto. Il bambino del suo ricordo aveva guardato senza essere visto ed era poi tornato nel letto cadendo in un profondo sonno.

A partire dalla scena il cui effetto non è tanto il ricupero del ricordo (evento traumatico) ma quello della violenza delle emozioni ad esso legate si avrà l'inizio del risveglio della sessualità del giovane paziente, venuto in gruppo per un problema di mancanza di erezione. (D. Miglietta, La Maschera di Medusa, Areanalisi, 11, 3, 1988).
Il concetto di trauma in Freud è la copertina della psicoanalisi. Alla teoria del trauma corrisponde l'ipotesi che i singoli sintomi scompaiano quando si ridesta il ricordo dell'evento scatenante risvegliando l'affetto che lo aveva accompagnato perché questo si esprima in parole. Sotto il nome di <<ricordi>> i personaggi dell'archivio sono già gli affetti, personaggi addormentati o relegati in un altrove che devono essere svegliati e fatti parlare. Il concetto di conversione evoca in Freud un fenomeno trasformativo: sono l'eccitazione psichica e il dolore che si trasformano in sintomo. Tentando una specie di rappresentazione algebrica si può attribuire alle inclinazioni rimaste inconsce un certo importo di affetto e indicare quest'ultima quantità come ciò che viene convertito.

E' comunque l'affetto il protagonista degli studi, un protagonista che deve venire narrato e fatto rivivere. Chiudi gli occhi e narra, dice Freud. Poiché come il sogno la nevrosi si basa su un lavoro di trasformazione, questo lavoro deve essere invertito e il sapere dell'analisi funziona come capacità di convertire i tropi dietro i quali si è rifugiata la malattia.
In seguito, fin dai primi studi che misero in campo l'inconscio, Freud ricorse all'immagine degli strumenti ottici per far capire che il luogo in cui egli situava i fenomeni di cui andava parlando era tributario di categorie spaziali non direttamente visibili e saranno queste categorie che svilupperà M. Klein con la descrizione del mondo interno e dei suoi personaggi.

Con Dora viene introdotta una chiara metafora archeologico - ricostruttiva. Retrocedere fino all'infanzia significa comunque che ogni scena comporta, proprio in quanto mostra, un nascosto altrove; da qui sorge la necessità di fare un parallelo con il lavoro dell'archeologo, tenendo conto che analista e paziente saranno a confronto con il riapparire dei fantasmi nei quali le pulsioni e le passioni, come dice F. Petrella, si incarneranno.
Così dall'archeologia al transfert si introduce l'effetto di animare e personificare i ricordi e gli oggetti fortemente attraversati dalle passioni che è anche quello che in psicodramma si produce quando le parole, diventando scene visibili si animano nel campo del gruppo attraverso la messa in gioco dando voce e figura alle molte parti del soggetto.

Lo psicodramma è nato come luogo di incontro tra lo spazio del teatro e quello della terapia ma col passare del tempo gli espedienti "teatrici" dello psicodramma originario di Moreno sono stati in gran parte disinvestiti.
Lo psicodramma analitico si svolge in un gruppo di otto-dieci persone; il gruppo prevede lo svolgersi di "scene" che interrompono il racconto e che si rappresentano all'interno del cerchio gruppale, a partire dal canovaccio del discorso o dei sogni dei partecipanti, senza utilizzare oggetti, senza ricerca di contatti corporei tra i membri né tanto meno col terapeuta il quale da parte sua dovrà far fluire il gioco senza pretendere troppo di "dirigerlo" al posto del gruppo o dei protagonisti. I modi e i fini della azione scenica e della sua conduzione nello psicodramma freudiano sono dunque cambiati da come Moreno li ha introdotti.
Quando ha cercato di chiarire il valore da lui attribuito all'idea di catarsi, Moreno ha fatto riferimento al film di Hitchcock "Io ti salverò". In esso la psicoanalisi e lo psicodramma si confrontano ed è la procedura psicodrammatica che ha successo nell'ottenere la catarsi, quando la dottoressa Peterson diventa l'Ego ausiliario del paziente, si identifica con lui, coagisce con lui, reinscena con lui la situazione del crimine, finché tutto ciò porta alla scoperta della catena di cause che ha condotto all'esplosione della malattia.
Il prototipo della catarsi psicodrammatica lo si può tuttavia rintracciare negli Studi sull'Isteria prima e nella Tecnica Attiva di Ferenczi poi, ed è singolare che Moreno non faccia riferimento a questi tentativi originari di Breuer, Freud, Ferenczi.

Troviamo scritto negli Studi sull'isteria (1892) "l'ultimo giorno aiutandosi a disporre la stanza così come era stata la stanza di degenza di suo padre riprodusse l'allucinazione di angoscia che era stata la radice di tutta la malattia e nella quale aveva potuto pensare e pregare solo in inglese>> e più avanti <<mi sforzai di eliminare questa isteria da ritenzione mediante la riproduzione di tutte le impressioni perturbanti e successiva abreazione. La lasciai inveire, tenere discorsi, dire in faccia allo zio l'intera verità ecc. ecc.". Nel 1921, due anni prima della nascita dello psicodramma, Ferenczi indica nella "tecnica attiva" un intervento fattivo (simile al forcipe dell'ostetrico) nel quale al paziente vengono eccezionalmente assegnati ruoli e compiti.

Lo psicodramma di Moreno faceva direttamente perno sull'azione (è Moreno che introduce il termine acting out) poiché secondo lui la proibizione ad agire in analisi risalirebbe ad un atteggiamento originato dal timore di un amore diretto o di un'ostilità diretta del paziente: Moreno ha cercato di creare un campo espressivo opposto a ciò che chiamava la mortificazione puritana imposta dal punto di vista sensoriale e visivo dalla tecnica di Freud.
All'origine delle idee di Moreno, che contrappose la sua terapia visiva e scenica alla tecnica di Freud, ci fu l'esperienza terapeutica con Barbara e mi sembra rilevante segnalare la similitudine singolare tra la prima paziente della psicoanalisi e la prima paziente dello psicodramma, tra Anna 0. e Barbara.

Lo stato dissociativo faceva vivere Anna 0. nel suo teatro privato, mentre tutti la credevano presente essa viveva mentalmente nelle fiabe. Come ricorda Meltzer Anna, dal carattere esuberante e generoso, nello "stato secondo" diveniva cattiva, imprecava, gettava oggetti addosso alle persone, si lamentava della profondità oscura della sua mente, di avere due "Io" di cui uno cattivo la spingeva al male.
Breuer pensò di eliminare i prodotti di questo "cattivo Io" per non avere in lei un'isterica ribelle di tipo maligno, indolente e malvagia, Moreno invece provò a mettere in scena "l'Io cattivo" di Barbara, la giovane attrice interprete di ruoli angelici e romantici che nella vita quotidiana si comportava come una "isterica maligna". Moreno le offrì uno spazio attivo di espressione nella finzione teatrale e Barbara rapidamente migliorò.
Come Breuer e Anna 0. avevano messo le basi dell'edificio psicoanalitico così Moreno e Barbara inventavano lo Psicodramma a Vienna nel 1923.
Moreno trovava quindi questo espediente, "la rappresentazione dell'Io cattivo", come elemento catartico e successivamente trasportava nello spazio terapeutico del gruppo il dispositivo della drammatizzazione: "la psiche in atto".

Freud aveva affidato al linguaggio discorsivo la funzione di abreagire gli affetti, Moreno l'affidò alla drammatizzazione introducendo la catarsi come catarsi che avviene nell'attore oltre che nello spettatore.
Recentemente F. Corrao riprendendo la poetica e la politica di Aristotele ripropone la questione della catarsi mostrando come la tradizione abbia operato una distorsione di senso del pensiero aristotelico: "sinteticamente può dirsi che per Aristotele catarsi è purificazione attraverso le passioni e per nulla affatto purificazione delle passioni", perciò "tenendo conto dei mutamenti sostanziali avvenuti nel metodo terapeutico analitico, e delle differenze molteplici che distanziano l'analisi di oggi dalla cura catartica, è possibile proporre una concordanza tra Aristotele e Freud soprattutto se si considera l'importanza data al processo affettivo-emotivo in cui si svolge la cura con le tecniche attuali".
Queste riflessioni interessano lo psicodramma oltre che la psicoanalisi come luoghi nei quali l'esperienza rende possibile "la restituzione alla struttura del soggetto delle turbolenze passionali, determinandone la fondazione e rifondazione possibile, purché nel campo del vissuto, sia responsabile un referente umano disposto alla condivisione personale o multipersonale".
Il gioco, che è spesso il prodotto del raggruppamento delle turbolenze emotive che il gruppo sta attraversando, pur fondandosi sul carattere di condivisibilità degli affetti non privilegia rappresentazioni che potrebbero scatenare emozioni violente.
Quando pensiamo ai percorsi personali che in psicodramma avvengono trasversalmente ai percorsi dell'intero gruppo, si tratta di reintegrare qualcosa nello spazio di una rappresentazione mentale attraverso una cognizione degli affetti che attraversa il soggetto come fatto esperienziale.

Prendiamo come flash clinico un caso di isteria che mette in gioco "il doppio lo" e vediamone il percorso trasformativo in un gruppo di psicodramma analitico.
Si tratta di una donna di mezza età che piange molto, si mostra debole e dipendente dai genitori, dalle colleghe di lavoro, dal marito, dal gruppo e dai farmaci che usa da molti anni. Si lamenta di avere sempre la peggio in tutte le situazioni. Ha una forma particolare di parlare in gruppo: dice "sarò brevissima; ho da raccontare un sogno flash, dico in modo molto veloce, non voglio prendere spazio", ma poi non è mai breve perché parla a lungo e usa rubare il discorso agli altri con lacrime e lamenti e in questo modo fa sempre la parte del leone. Arriva un giorno dopo vari passaggi nella terapia con un sogno in cui compare al suo fianco una cugina, una donna prepotente e odiosa dalla quale la paziente si sente soffocare; è una donna che ruba i mariti alle altre donne, che abbindola gli uomini facendosi dare da loro del denaro, che riesce ad essere sempre in primo piano ovunque e anche sul lavoro ruba i meriti altrui.

Si rappresenta allora il sogno. Al proprio posto la paziente suda, si sente soffocare, ha dei capogiri mentre nel cambio di ruolo non ha dubbi: "stavo molto meglio in quella parte, mi pareva di avere tutti i diritti, è il mio posto che ho fatto fatica a reggere, non l'altro!". Solo a partire da questa esperienza che si colloca in una fase in cui il gruppo si confronta con temi di doppio, si potrà cominciare a parlare della sua paura di riconoscersi in quell'altra donna, una paura che l'ha spinta al diniego e alla scissione per ricusare gli aspetti di sé prepotenti e voraci collegati all'immagine della madre e per mascherarsi malamente dentro ai panni della vittima.
Si vede dunque come la possibilità di reintegrazione nella propria immagine degli aspetti denegati avviene quando è il paziente che può riconoscersi in un'esperienza affettiva e non è comunque lo psicodrammatista a forzare il soggetto che parla delle sue esperienze soggettive ad entrare in un ruolo antipatico (o piacevole). La reintegrazione è possibile attraverso un cammino che permette di evidenziare come la realtà interna ed esterna possa venire falsificata e come gli intoppi situazionali degli affetti si ripresentino nel tempo finché non sarà possibile una trasformazione quando in psicodramma si presenterà un gioco efficace al tempo giusto. La condizione perché questo possa avvenire è che tutti i personaggi - "tutti gli lo" per dirla con Breuer e Moreno - siano gradualmente riconosciuti come i rappresentanti dei contenuti della mente in quella scena potenziale tra l'oggettivo e il soggettivo dalla quale origina la rappresentazione della pensabilità degli affetti.

Si chiarisce come nello sviluppo del modello dello psicodramma analitico il passaggio dall'attribuzione diretta di un ruolo al cambio di ruolo nella rappresentazione delle scene raccontate permetta al soggetto di riprendere il suo modo e il suo tempo nel cammino della terapia.

Funzionare con i due emisferi

Lo psicodramma costruisce il suo setting intorno a due campi che si intersecano, il racconto e la messa in gioco del racconto all'interno del gruppo. Se la visione è presente anche nelle altre terapie qui la cosa è differente perché si vedono rappresentate scene che evocano tempi e spazi apparentemente non pertinenti al tempo e allo spazio del presente. Il dispositivo in psicodramma tende a ricreare un luogo scenico vicino al sogno senza l'ausilio del sonno e si rivolge al referente dell'immaginazione come repertorio del potenziale. Al pari dell'inconscio, come rileva Hofstadter, la fonte dell'immaginazione è immersa profondamente sott'acqua come un iceberg e da essa germinano le immagini, che acquistando stato di visibilità ci consentono di entrare in categorie prossime al sogno.

L'esperienza della psicoanalisi d'altro canto si pone là dove si può accordare credibilità a quel che non è direttamente visibile. Dalle altre categorie del tempo e dello spazio si vengono ad iscrivere immagini di scene lontane o di persone assenti o defunte, le immagini che sorgono tra i confini della memoria e quelli del phantasos.
L'idea di Winnicott di una conoscenza possibile nel gioco e in un'area transizionale permette di guardare a tutto il discorso con un taglio innovatone che fa riferimento all'ipotesi di uno spazio mentale le cui componenti possiedono un'ampiezza e una dimensionalità maggiori di quelli derivanti dalla concezione classica dello spazio tridimensionale.
Tra Freud e Winnicott le radici del gioco in ambito analitico si situano nel cammino di accesso ai molti mondi della mente e alle loro "geografie" che ci minacciano di confusione: è il percorso della Klein nel decennio tra il 1920 e il 1930.

Dopo il difficile esordio di Lo sviluppo di un bambino dove all'evidente conflitto tra impulso a conoscere la realtà e fede nelle costruzioni della fantasia viene opposto il positivismo conoscitivo e l'uso del senso di realtà, a poco a poco la Klein stessa riconoscerà lavorando come nessun bambino sano possa sopravvivere bruciando i pensieri che nascono dalla fantasia, sacrificando le costruzioni affettive e immaginarie della mente. Dice Corradi Fiumara nel suo commento al Romanzo di una famiglia che forse per crescere è più adatta la famiglia di Corinto che non quella di Tebe, una famiglia dove si possa liberamente funzionare con i due emisferi senza che il destro venga messo al bando e subordinato al funzionamento del sinistro.

Ma anche nello Sviluppo di un bambino sembra già contenuto il preludio allo sviluppo dei canovacci narrativi che apriranno lo scenario del mondo interno nel passo in cui la Klein inventando una storiella su un dolce che stava aspettando il bambino risveglia l'interesse di Eric e la sua fantasia.
L'intreccio narrativo e l'apertura di una scena dove si muovono gli elementi del racconto permetterà di scoprire l'importante ruolo delle personificazioni nelle analisi dei bambini. Con le personificazioni sia i diavoli che gli angeli potranno ricomparire come figure del dialogo analitico; figure minacciose o figure dalle fantastiche qualità buone che appagano i desideri e che sono espressioni della transizione dalla fantasia alla realtà. Nel 1930 la personificazione viene messa alla base della traslazione "Se la fantasia del bambino è abbastanza libera, egli attribuirà all'analista i ruoli più diversi e contrastanti e se l'analista assume i ruoli ostili e li assoggetta attraverso la traslazione all'analisi si ha più facilmente un evoluzione verso identificazioni più vicine alla realtà". Le personificazioni si collocano nel registro delle trasformazioni proiettive ed è comunque chiaro come la Klein accettandone le deformazioni affettive vada sempre più attribuendo alla fantasia un valore conoscitivo e trasformazionale.

Già nel suo primo lavoro Bion tratterà le parti scisse del paziente facendole comparire e utilizzandole sia come le utilizzava la Klein personificandole nel gioco, sia in parte in modo pirandelliano, come invisibili personaggi in cerca d'autore. Le parti scisse della personalità, come le usa Bion, sembrano trasformabili in una modalità figurativa che le avvicina alla tecnica dello psicodramma analitico dove nel modo del gioco le parti scisse vengono usate e interpretate e possono prendere il loro posto sulla scena della relazione analitica.

Dopo una serie di sedute in cui un gruppo si muove su temi e sogni a contenuto sovvertitore di attacco al padre e alla legge, uno dei partecipanti che in passato a causa della sua violenza era anche finito in carcere porta questo sogno: "mi trovavo di notte in una zona deserta della città e venivo derubato del portafoglio da un tizio della mia età che sembrava avere un complice più anziano che stava nell'ombra. Nel sogno pensavo che per riavere il portafoglio non potevo fare a botte poiché il ladro non era solo e dovevo in qualche modo contrattare. Provavo allora a proporre al ladro che mi restituisse almeno le carte di identità in cambio del denaro e con mio grande sollievo il ladro e il suo complice del quale non vedevo il volto, accettavano". L'interesse del gruppo si dirige immediatamente al personaggio in ombra che, nelle vesti del complice, con la sua presenza silenziosa sembrava aver determinato l'andamento del sogno nel senso del contrattare anziché usare la forza. Il paziente che ha raccontato il sogno fa una serie di considerazioni dense di rimpianto per il padre morto che non può vedere quanto lui è cambiato negli ultimi tempi e dice di aver anche pensato di fare una seduta spiritica per rientrare in contatto col padre. Qualcuno si mette a parlare di un convegno di parapsicologia al quale ha partecipato recentemente dove si parlava della possibilità di registrare le voci dei morti, qualcun altro ricollega "le voci dell'al di là" alla bicameralità della mente e al desiderio di ascoltare la voce degli dei, che risuonando nel cervello testimonia di una presenza persistente anche dopo la morte. Il conduttore fa giocare allora il sogno e il paziente, per rappresentare il personaggio in ombra che aveva incuriosito il gruppo e suscitato il discorso sui morti, sceglie un compagno sul quale andava da tempo appoggiando elementi transferali di qualità paterna. Il compagno che ha assunto il ruolo del complice durante la rappresentazione dice che gli sembrava di essere entrato in scena come testimone e che come tale aveva pensato che finalmente il sognatore, cercando una mediazione, sembrava divenuto capace di pensare invece che di agire subito come avrebbe fatto prima.

Tutti commentano che il gioco ha l'effetto di una seduta spiritica e che il gruppo, come un medium, individuando "il fantasma" nascosto nel sogno e cercando di dare la voce all'ombra aveva evocato quella di un padre. Essendo questa la voce e la figurazione di un padre "ricreato" nel gruppo attraverso la personificazione come tale avrebbe funzionato nelle sedute seguenti per ristabilire la legge degli affetti e quella del pensiero per tutto il gruppo.

Ubicato in uno spazio potenziale intermedio il gioco sorge tra il non esserci altro che me e l'esserci delle ipseità multiple degli oggetti e dei fenomeni che sono fuori dal controllo onnipotente.
Per gli esseri umani l'uso di questo spazio è determinato dalle esperienze originarie della vita ma l'esperienza di costruzione e di fruizione di esso è fondamentale nel lavoro analitico. Come l'esperienza poetica e artistica, il gioco e l'esperienza dei luoghi potenziali connettono il passato, il presente, il futuro, assommano il tempo e lo spazio ed hanno luogo soltanto in rapporto all'esperienza dei sentimenti di fiducia che hanno un loro destino futuro. (Ogden)

Winnicott sostiene che è all'interno dello spazio potenziale che si creano i simboli. "L'hai creato tu o l'hai trovato?" equivale al chiedere al paziente che rappresenta la sua esperienza soggettiva delle cose "è una tua invenzione o è vero quello che dici?".
In psicodramma non si giocano scene inventate, si giocano a volte sogni, a volte vicende della vita che emergono dal discorso ma il gioco in gruppo come ogni gioco non è tributario alle categorie del vero del suo senso. Se il suo luogo psichico è un luogo potenziale in esso le vicende sono ubicate tra realtà e fantasia, tra oggetti soggettivamente percepiti e oggetti percepiti oggettivamente che emergendo dal passato si possono inverare nel futuro dopo aver trasformato in qualche modo il passato attraverso l'esperienza del gioco e quella della fruizione delle aree potenziali del pensiero.

In un'altra situazione di psicodramma analitico il gruppo riesce ad aiutare un partecipante ad affrontare una situazione somatica grave attraverso una personificazione del tutto particolare che fa parlare nello spazio drammatico del gioco il paziente col suo cuore mostrando come nello psicodramma il gioco liberi la parola del corpo e renda possibile il superamento dell'organizzazione difensiva prodotta dalla scissione tra pensiero e corpo.

Vediamo il flash clinico della seduta. Pino, il paziente, soffre di gravi disturbi cardiaci e la sua esistenza è in continuo stato di precarietà poiché egli non sembra avere la capacità di sentire i messaggi dolorosi del suo corpo; ha avuto due infarti senza accorgersene e questo aggrava i rischi per il futuro.
Le rappresentazioni oniriche mostrano che il corpo è continuamente perseguitato e soffocato dalle richieste di un super-io sadico.
In un sogno Pino trascina un uomo per il collo soffocandolo, in un altro prende a calci la figlia perché si muova e non si accorge che è legata mani e piedi, in un altro ancora incontra un sosia che sta partecipando ad una gara podistica con un braccio coperto da un pesante gesso.

Nel gruppo di psicodramma Pino racconta di aver provato a parlare durante una crisi cardiaca con il suo cuore come se fosse un compagno che non camminava al passo che lui voleva tenere. Il conduttore lo invita a rappresentare questo dialogo, scegliendo qualcuno che rappresenti il suo cuore. Pino sceglie nel gruppo una donna affetta da psicosi grave, la quale prendendo nel gioco il ruolo del cuore si accusa di essere colpevole di far vivere Pino in modo diverso dagli altri, con tanti limiti. Invitato a prendere il posto del suo cuore, Pino, che non era abituato a sentire le proprie emozioni né era capace ad esprimerle, comincia ad emettere un lamento disperato e terribile, una specie di vagito (come dissero poi i compagni di gruppo) che infine si tramuta in pianto. Un pianto nel quale Pino dice di aver riconosciuto alla fine la voce disperata del suo cuore.

L'interpretazione del significato profondo di tutta la situazione somatopsichica di Pino è complessa e richiederebbe l'introduzione della storia personale e famigliare di questo paziente. Ho voluto citare questa seduta per mostrare come in psicodramma sia possibile far entrare in scena anche un organo attribuendogli il ruolo di un personaggio che parlando e mettendosi in rapporto con il pensiero attraverso la voce degli affetti possa cambiare il rapporto tra il corpo e la mente.

Lo psicodramma si configura pertanto come un contenitore che permette di recuperare il senso di realtà sul limitare di un universo fantasmatico senza trapassare nel delirio.
Dice la Giaconia: in uno spazio esterno, sostitutivo dello spazio interno del "connu", il paziente rappresenta i suoi vissuti carichi di affetto in uno spazio scenico che contiene i fantasmi che altrimenti proiettati darebbero una sensazione di perdita. La rappresentazione nello spazio del gruppo facilita l'acquisizione dello spazio interno e quindi lo spazio psicodrammatico ha valore di uno spazio transizionale in cui avviene la trasformazione simbolica. Il gruppo di psicodramma fornisce uno spazio speciale per la fruizione dell'esperienza della transizionalità, cioè del luogo potenziale che è all'origine della rappresentazione.

Dallo spazio potenziale alla barriera di contatto

Per i Lemoine con l'aiuto del gioco nel gruppo di psicodramma analitico il fantasma viene alla luce: il gruppo facendo "precipitare" il fantasma avrebbe la funzione di renderlo visibile e secondariamente di integrarlo nel comportamento del soggetto.
La funzione del gioco in un'altra ottica sembra quella di ristabilire il funzionamento della barriera di contatto che è per Bion la costante prodotta dal regolare funzionamento della matrice attiva dalla quale sorgono insieme i pensieri, i significati, lo spazio e il tempo per accoglierli. Il fallimento del funzionamento di questa matrice dà luogo al crearsi dello schermo beta che è il prodotto dell'accumulo dei dati sensoriali bruti che sedimentano, come frutto di emozioni non nominabili, indicibili, e, in quanto tali senza senso.

La barriera di contatto è considerata un elemento fondamentale per la vita dell'adulto in quanto permetterebbe, sempre secondo Bion, la formazione dei pensieri onirici e da essa si svilupperebbe dunque la nostra capacità di sognare che è il primo gradino della capacità di pensare: da essa si generano le operazioni di transito dall'inconscio alla coscienza.
Abbiamo visto come le scene in psicodramma non pretendano di raggiungere la realtà, esse, proprio come il gioco del bambino sono il contrario della realtà ma non il contrario della verità. Racconto e rappresentazione possono intersecarsi "scambiando le parti di una realtà troppo spoglia e inaccessibile (immiserita dalla carenza della relazione) e di una verità che se rimane narrativamente scissa assume un alone troppo mitico e lontano" (Gaburri). Le fantasie inconscie sono trasformabili in fantasie accessibili alla coscienza situando racconto e descrizione in una dimensione che ha a che fare con il gioco il quale pur rimanendo al di fuori della necessità di una verifica intorno al giudizio di realtà può essere un potente evocatore di verità affettive.

"Spazio potenziale" è il termine che Winnicott ha usato per riferirsi all'area intermedia di esperienza che sta tra la fantasia e la realtà, tale spazio origina in uno spazio fisico e mentale intermedio tra bambino e madre ed è lo spazio potenziale che l'analista deve saper generare nel processo dialettica tra la mente conscia e quella inconscia. In assenza dello spazio potenziale infatti la dialettica tra realtà e fantasia collassa o in direzione della fantasia che diventa il sostituto della realtà esterna dalla quale non può più essere differenziata, o in direzione della realtà che diviene una difesa contro la fantasia e la deruba della sua vitalità o ancora nella direzione di una dissociazione tra realtà e fantasia sino allo stato di non esperienza nel quale i significati non possono essere generati dalle emozioni.
Queste considerazioni sviluppate da Ogden sono le premesse per accrescere la comprensione di quegli aspetti dell'identificazione proiettiva che se può essere elaborata nel processo terapeutico permette di ricostruire il processo dialettica anziché costringere le emozioni ad agire.

La reverie è un polo recettore che unifica gli elementi che circolano. In Bion la funzione materna attraverso la reverie svolge il compito di bonificare e trasformare le proiezioni mortali prodotte dalle parti psicotiche e la funzione alfa avvia il processo di separazione individuazione.
L'analogia tra la funzione genitoriale e quella analitica sarebbe allora nel fatto che entrambe attivano un campo di pensiero, una circolarità continua di trasformazione delle identificazioni proiettive attraverso il dialogo delle emozioni di cui le parole sono figurazioni che nello psicodramma divengono scene. Nel gruppo si determinano talvolta emozioni sensoriali spiacevoli e quando non c'è una membrana che filtrando renda tollerabile la situazione si viene a creare un campo claustrofobico.
Occorre lavorare allora per costruire un contenitore capace di svolgere la funzione di trasformare le proiezioni mortali che si producono e le identificazioni proiettive massive che sono il negativo del gioco. Lo stato di reverie attivabile nel gruppo è una condizione indispensabile per la formazione di un registro simbolico e per la creazione di uno scudo termico e temporale attraverso il quale gli elementi evacuati vengano ricondotti ad una condizione prossima al gioco. Il clima di reverie attiva la propensione al crearsi di uno stato lievemente sognante come filtro della brutalità delle vicissitudini, uno stato capace di proteggere lasciando anche passare.

Il contatto lievemente sognante trasforma le conseguenze di un buon numero di eventi, nell'oscillazione continua tra buio e chiarezza, tra sutura e cesura.
La reverie si forma là dove viene fatto il lutto dell'illusione di "tuttità", verità, unicità e dove dall'immaginazione insatura si forma una membrana, tessuto nascente dalla capacità di condivisione affettiva, dalla capacità di costruzione di un luogo dove certe emozioni prima di poter essere pensate si facciano conoscere transitando nel campo come personificazioni. Da qui la formazione degli spazi interni, dei mondi possibili nella profondità della psiche.
Prima di concludere vorrei descrivere un momento nel quale si vede l'attivarsi nel gruppo della funzione di "contenitore" che permette in un secondo tempo la costruzione di una scena che veicola i contenuti e li trasforma di fronte alla necessità di filtrare e bonificare le angosce di morte indotte da uno dei partecipanti.

La seduta inizia con qualche minuto di silenzio. Una delle pazienti Paola, che è spesso attratta da pericolose relazioni sessuali con tossicodipendenti, appare visibilmente angosciata ma non dice nulla. Dario racconta invece che ha avuto un incidente: con l'auto ha investito una signora anziana che non ha riportato conseguenze fisiche ma che per lo spavento è stata colta da un tremito che non si arresta più. Dice di essere andato a trovarla e che vedendola tremare continuamente è stato colto a sua volta da un gran malessere. Paola si mette allora a piangere e dice che ha appena saputo che il suo attuale partner è sieropositivo "non volevo venire", dice, "non volevo parlare, ho paura perché dovrà fare il test anch'io". Dopo un silenzio Sandro che è stato tossicodipendente la incoraggia ad affrontare gli esami e il gruppo si indirizza alla necessità di indagare nonostante la paura. Maria racconta allora un sogno recente nel quale doveva alloggiare in un albergo dove sapeva esserci anche il diavolo e dice che aveva molta paura. A questo punto il componente psicotico più grave del gruppo interviene raccontando la storia del Ponte del Diavolo: il diavolo costruisce un ponte in una sola notte a patto che gli sia data l'anima del primo passante, ma si riuscirà ad ingannarlo facendo passare un maiale per primo. Silvia risponde con un'altra storia, quella della bottiglia del diavolo che ha il potere di rendere immortale chi la ottiene per un periodo di tempo trascorso il quale il possessore dovrà dare la sua anima al diavolo. La bottiglia passa attraverso molte mani finché la prende un giovane per salvare la vita della donna che ama. Il tempo prestabilito sta per scadere e nessuno vuole più la bottiglia. Passa a questo punto un vecchio viandante peccatore o assassino che sapendosi ormai condannato prende la bottiglia e salva gli innamorati.

Mentre ascolto penso come il gruppo si muove in un primo momento verso la ricerca della verità e che è Maria a introdurre subito la paura di quello che si può scoprire (il diavolo). A questo punto senza negare l'esistenza del pericolo del gruppo, attraverso il racconto delle storie, si comporta come una madre che deve accompagnare il proprio bambino che è attraversato da angosce di morte. Le narrazioni non sono atopiche, tengono presente il rischio della morte, ma inventano modi per combatterla. Pensate attraverso i racconti le angosce assumono figurazioni magico-salvifiche di fronte all'evocazione del diavolo e ai suoi effetti dirompenti. Tuttavia esiste anche la paura che Maria aveva esplicitato col sogno. Decido allora di tornare sul racconto dell'incidente che pur non avendo causato ferite sembra aver messo in circolazione emozioni che scuotono tutto il corpo. Dario sceglie Enza, che è una paziente depressa, per rappresentare la signora che ha investito con la moto. Attraverso il gioco si può dare corpo e voce anche alle sensazioni di panico che circolano di fronte all'ignoto da indagare, mentre Enza può raccontare di un incidente che il gioco le ha fatto ricordare: come è successo alla donna che ha rappresentato anche lei è stata investita da una macchina ma era l'investitore che tremava vedendola distesa a terra con una ferita in testa ed era stata lei a tranquillizzarlo "tutt'al più muoio! " gli aveva detto. Come il vagabondo del racconto, attraverso il gioco, Enza interviene nel gruppo dando un nome diverso al diavolo e alla bottiglia.
Poiché nella seduta successiva si verrà a sapere che c'era stato un errore nel test di sieropositività il gruppo potrà dire che se il diavolo è stato momentaneamente eluso Paola deve anche smettere di sfidarlo. La bottiglia del diavolo si potrà così ridefinire come un aspetto di fragilità della vita mentre il diavolo può ben rappresentare la morte che il gruppo ha cercato di bonificare e successivamente ha assunto come rappresentazione necessaria da avvicinare attraverso la percezione del rischio che l'incontro col diavolo rappresenta.

Donata Miglietta
Via Parini, 43 15100 Alessandria

BIBLIOGRAFIA

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