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K.R. Popper e la questione psicoanalitica

Scheda di Andrea Angelozzi




E' noto come il problema della legittimazione scientifica di una teoria viene posto in forma radicale e innovatrice da Popper. Egli stesso racconta come la concezione Freudiana, cui si era accostato lavorando con Adler, ebbe un ruolo essenziale nello spingerlo alla individuazione di un criterio di demarcazione: "Fu durante l'estate del 1919 che cominciai a sentirmi sempre più insoddisfatto di queste tre teorie: la teoria marxista della storia, la psicoanalisi e la psicologia individuale; e cominciai a dubitare delle loro pretese di scientificità. Il mio problema dapprima assunse, forse, la semplice forma: 'che cosa non va nel marxismo, nella psicoanalisi e nella psicologia individuale? Perché queste dottrine sono così diverse dalle teorie fisiche, dalla teoria newtoniana e, soprattutto dalla teoria della relatività?'".

Prosegue più oltre: "Piuttosto avvertivo che queste altre tre teorie, pur atteggiandosi a scienze, erano di fatto più imparentate con i miti primitivi che con la scienza e assomigliavano più all'astrologia che all'astronomia. Riscontrai che i miei amici, ammiratori di Marx, Freud e Adler, erano colpiti da alcuni elementi comuni a queste teorie e soprattutto dal loro apparente potere esplicativo. Esse sembravano in grado di spiegare praticamente tutto ciò che accadeva nei campi cui si riferivano. Lo studio di una qualunque di esse sembrava avere l'effetto di una conversione o rivelazione intellettuale, gli occhi su una nuova verità, preclusa ai non iniziati. Una volta dischiusi in questo modo gli occhi, si scorgevano ovunque delle conferme: il mondo pullulava di verifiche della teoria. Qualunque cosa accadesse, la confermava sempre. La sua verità appariva perciò manifesta; e, quanto agli increduli, si trattava chiaramente di persone che non volevano vedere la verità manifesta, che si rifiutavano di vederla, o perché era contraria ai loro interessi di classe, o a causa delle loro repressioni tuttora 'non analizzate' e reclamanti ad alta voce un trattamento analitico. L'elemento più caratteristico di questa situazione mi parve il flusso incessante di conferme, di osservazioni che 'verificavano' le teorie in questione; e proprio questo punto veniva costantemente sottolineato dai loro seguaci." Più oltre racconta un episodio accadutogli personalmente con Adler: "Una volta, nel 1919, gli riferii di un caso che non mi sembrava particolarmente adleriano, ma che egli non trovò difficoltà ad analizzare nei termini della sua teoria dei sentimenti di inferiorità, pur non avendo nemmeno visto il bambino. Un po' sconcertato gli chiesi come poteva essere così sicuro. 'A causa della mia esperienza di mille casi simili' egli rispose; al che non potei trattenermi dal commentare: 'e con quest'ultimo, suppongo, la sua esperienza vanta milleuno casi'" (1).

Dal punto di vista teorico la falsificabilità nasce appunto dalla insostenibilità di una demarcazione basata sul verificare le teorie. Infatti, non ci si può basare sulle verifiche per due motivi essenziali. Il primo è che non esistono puri termini osservativi: tutti i termini sono teorici, ed i fatti sono creati dalle teorie di sfondo del nostro pensare. Secondo, non esiste nulla di simile ad un (2) "principio di induzione" che consenta di passare da un'asserzione molti ad una asserzione tutti, cioè in pratica di asserire che, poiché molte volte accade una determinata cosa, questo accadere è una regola.
Se non è possibile verificare teorie, tuttavia è possibile falsificarle. Mille casi positivi non sono un universale, ma un solo esistenziale negativo dimostra che la teoria è falsa, consentendone un rifiuto, anche se, badiamo bene - dato appunto che i termini osservativi in realtà sono inquinati di teoria - solo metodologico, cioè per convenzione.
Popper propone proprio su questa base il criterio di demarcazione fra scienza e non scienza. Affermare: "domani piove, oppure non piove" certamente potrà essere vero, ma di sicuro non costruisce alcuna asserzione scientifica, semplicemente perché non è falsificabile. Per essere scientifica invece una teoria deve consentire in linea di principio di derivare conseguenze falsificabili.

Ma, scrive Popper: "[...] le due teorie psicoanalitiche appartenevano ad un genere diverso. Esse semplicemente non erano controllabili, erano inconfutabili. Non c'era alcun comportamento umano immaginabile che potesse contraddirle. Ciò non significava che Freud e Adler non vedessero correttamente certe cose: personalmente non ho dubbi che molto di quanto essi affermano ha una considerevole importanza, e che potrà svolgere un suo ruolo un giorno, in una scienza psicologica controllabile. Ma questo non significa che le 'osservazioni cliniche', che gli analisti ingenuamente consideravano come conferme delle loro teorie, di fatto confermino quest'ultime più di quanto facessero le conferme quotidiane riscontrate dagli astrologi nella loro pratica" (3) .

E' importante rilevare, come sottolineerà ancor più ampiamente nel "Postscritto" che quello in gioco è un criterio di scientificità, non di valore o di significato: ben diversamente dai neopositivisti, per Popper ciò che non è scienza è tutt'altro che privo di significato, costituendo spesso, sotto forma di "metafisica influente', qual cosa destinato a svilupparsi scientificamente in futuro1. Ne accenna anche in "Congetture e confutazioni", sempre parlando della psicoanalisi: "Da un punto di vista storico, tutte - o quasi tutte le teorie scientifiche derivano dai miti, e che un mito può contenere importanti anticipazioni delle teorie scientifiche" (4) .
E' bene notare che con Popper la conoscenza diventa puramente ipotetica, congetturale, ed il carattere teoretico delle osservazioni rende impossibile un controllo definitivo della teoria: non solo la verificazione non si dà, ma la stessa falsificazione non può essere che una decisione metodologica.
Lo stesso tentativo di formulare almeno un criterio di progresso nella conoscenza del vero, attraverso una "teoria della verosimiglianza", che fosse in grado di formulare un bilancio fra asserzioni vere e false, si è rivelato insostenibile logicamente nel 1975 (5).

Così, per Popper rimane quanto scriveva nella "Logica della scoperta scientifica": "La scienza non posa su un solido strato di roccia. L'ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. E' come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall'alto giù nella palude: ma non in una base naturale o "data"; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che, almeno per il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura" (6).
Da allora la epistemologia ha preso atto della natura ipotetica della conoscenza, al di là di ogni pretesa di corrispondenza al vero.


BIBLIOGRAFIA

(1) POPPER K.R., Postscritto alla Logica della scoperta scientifica, Saggiatore, Milano, 1984, Vol. I: Il realismo e lo scopo della scienza.
(2) POPPER K.R., Congetture e confutazioni Il Mulino, Bologna, 1972, pp. 63-64.
(2) POPPER K.R., Congetture e confutazioni, op. cit., pp. 68-69
(3) POPPER K.R., Postscritto alla Logica della scoperta scientifica, Saggiatore, Milano, 1984, Vol. I: Il realismo e lo scopo della scienza.
(4) POPPER K.R., Congetture e confutazioni, op. cit., p.69
(5) sono i cosiddetti teoremi di Tichy e Grumbaun.
(6) POPPER K.R., Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino, 1970, p. 108.


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