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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING ISTITUZIONALE
Centri per la Salute Mentale



Sulla formazione degli operatori dei Servizi di Salute Mentale

A. Scaffidi, A. Amerigo, T. Bastianini, P. Bucci, A. D'Arezzo,
M. P. Favali, L. Gibaldi, G. Luoni, A. Matarazzo, S. Milano, P. Peresso
(DD.SS.MM. UU.SS.LL Rm1, RM2, RM3, RM5, RM11, RM12)



"... ci sembra che nel pensiero scientifico moderno si stiano schiudendo sentieri diversi da quelli finora battuti del conoscere scomponendo, che si stiano tracciando cammini che vanno verso una sorta di ricomposizione di ciò che il pensiero aveva precedentemente separato. .... L'invito di Morin ad adottare il metodo della complessità che <<ci richiede di pensare senza mai chiudere i concetti... di ristabilire le articolazioni tra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere la multidimensionalità, di pensare con la singolarità, ... di non dimenticare mai le totalità integratrici>>, ci sembra proprio che vada in questa direzione." (La ragione delle emozioni, a cura di Resy Giannelli, Borla, 1991)

Ci piace citare questo passo perchè esemplifica con estrema chiarezza le linee lungo le quali si muove questa relazione. É nostra intenzione fare un brevissimo accenno alla storia più recente dell'evoluzione del pensiero attorno alla "malattia mentale", per poi sviluppare il tema della formazione, tema che riteniamo fondamentale per la vita dei servizi territoriali.

Considerare la "malattia mentale" come fenomeno multidimensionale strettamente connesso all'insieme e alla complessità delle interazioni a cui l'individuo partecipa nei diversi contesti e nelle diverse fasi del suo ciclo vitale, ha reso necessaria una organizzazione territoriale dei Servizi, che tenesse conto della diversità dei fattori che concorrono alla formazione del disturbo psichico. Questo spostamento di prospettiva ha consentito il passaggio da una psichiatria in cui gli aspetti sintomatici e comportamentali erano in primo piano, alla considerazione della storia e della personalità del paziente, ed anche a come aspetti sintomatologici, personalità e storia interagiscano tra loro nel corso del tempo. I trattamenti, iniziati e portati avanti con questa ottica, danno ai curanti l'opportunità di osservare la relazione reciproca tra disturbo e contesti di vita del paziente.

Primo ed importantissimo elemento da osservare e prendere in considerazione è, quindi, la trama di relazioni nella quale la persona è immersa; di queste relazioni fanno parte quelle con il mondo esterno, sia esso famiglia o ambiente sociale più vasto, e quelle che intrattiene sul versante fantasmatico. É risultato, inoltre, sempre più chiaro che la relazione con il curante, o con il gruppo dei curanti, e con gli atti che questi svolgono, è partecipe di questo processo e può modificarlo sia in senso positivo che negativo.

Da questa nuova impostazione culturale ed organizzativa dei Servizi e dal progredire del lavoro e delle occasioni di discussione e di riflessione su di esso, si è evidenziato con sempre maggiore precisione che la specificità del lavoro istituzionale nei Servizi territoriali è quella di contestualizzare il disagio e la sofferenza, cioè di prestare attenzione ai tempi, ai luoghi, e alle trame relazionali da cui essi sono emersi. Ne deriva la necessità di formare, con le diverse figure professionali (psichiatri, psicologi, infermieri e assistenti sociali), équipes terapeutiche funzionanti come gruppi di lavoro in grado di formulare ipotesi da organizzare in progetti terapeutici e di promuoverne lo sviluppo e la realizzazione. Vogliamo dire con questo, che i Servizi, nell'organizzazione delle équipes terapeutiche, si trovano ad affrontare, e a dover superare, la difficoltà di integrare insieme operatori di diverse professionalità, modi di pensare, e diverse formazioni ed esperienze.

Quanto detto, implica la necessità di garantire e proteggere le occasioni di incontro e di discussione ai diversi livelli in cui si articola l'operatività dell'équipe: questa, infatti, in ogni situazione di cui si occupa, è, a sua volta, inserita nel più ampio contesto del gruppo allargato del Servizio e del Dipartimento. Riteniamo vada prestata particolare attenzione allo sviluppo di specifiche metodologie di lavoro a sostegno di questi momenti, considerato che nei Servizi ci si trova quasi sempre nella condizione di dover effettuare interventi multipli che utilizzano strumenti terapeutici diversi e tentare una loro modulazione ed integrazione nei tempi e negli spazi del progetto terapeutico.

Tale necessità è evidente già nella fase dell'accoglimento della domanda nella quale curiosità, tensioni ed aspettative dei richiedenti e dei curanti si intrecciano dando luogo ad un gioco di aspetti che appartengono sia al piano reale che a quello fantasmatico e che si strutturano nell'ambito delle regole e dei vincoli dell'Istituzione.

A partire da queste brevi considerazioni, cercheremo di individuare quelli che a noi sono sembrati essere elementi significativi per la realizzazione di percorsi formativi che abbiano metodologie specifiche sia sul piano clinico che su quello organizzativo.

Ci siamo resi conto che il puro e semplice possesso del sapere relativo alle singole discipline e il loro approfondimento specialistico, non garantisce di per sè l'adeguatezza dell'operatore alla complessità dei compiti istituzionali; ma che, al contrario, se essa non viene elaborata nella cultura del servizio, diventa un elemento di frammentazione e di disgregazione, ed ha, come inevitabile corollario, la cattiva conduzione dei progetti terapeutici.

Gli aspetti formativi, a nostro avviso, vanno intesi innanzitutto come una sorte di legame che rende possibile il passaggio, con modalità bidirezionali, tra l'operatività quotidiana, gli aspetti cognitivi e quelli emozionali, consentendo di collegare le esperienze dei singoli operatori a partire dalle rispettive specificità. La nascita di una cultura di gruppo e di una tensione verso la modellizzazione e la verifica costante dei modelli proposti, sembrano efficaci antidoti ad una clinica fine a sé stessa, che per sopravvivere è costretta ad affidarsi a sofisticati sistemi teorici, decontestualizzati e privi, quindi, di significativi agganci con quella realtà che vorrebbero descrivere.

Ci sembra inoltre di poter affermare che questa funzione di legame comporti una tensione conoscitiva che dovrebbe tradursi in una dimensione di ricerca da parte del Servizio. Formazione intesa, quindi, non come trasmissione di un sapere precostituito, ma come capacità di promuovere, da parte del gruppo istituzionale, in tutti i suoi membri, un'attitudine alla ricerca, ovvero una curiosità verso il non conosciuto che possa permettere all'operatore di non saturare i momenti più significativi del proprio operare con teorie determinate ed esaustive. Un tale metodo che porti alla ricerca e che abbia il dubbio come suo fondamento, tenuto conto della natura stessa di ciò di cui si occupa, alimenta la capacità di pensiero dell'equipe curante e fornisce il sostegno nel confronto con le situazioni apparentemente meno dinamiche.

Una esemplificazione può aiutare a chiarire questo punto: i DD.SS.MM. sono, di solito, organizzati con una Segreteria che accoglie e filtra le domande e le indirizza alle varie figure professionali. In questo modo, è molto facile che una richiesta di cura farmacologica proveniente da una persona anziana che per la prima volta si rivolge al Servizio, sia affidata ad uno Psichiatra e che una richiesta di consulenza psicologica proveniente da un giovane ansioso sia affidata ad uno Psicologo Psicoterapeuta. Come si può intuire, il rischio è che bastino le informazioni avute con una breve telefonata ad incasellare la richiesta, saturando il futuro campo relazionale e non permettendo all'operatore, per una sorta di inerzia istituzionale, di porsi in quella posizione di curiosità ed attesa che può aiutarlo a cogliere, ad esempio, gli aspetti occultati dalla richiesta farmacologica oppure quelli asimbolici sottesi ad una, in apparenza, collaborativa richiesta di psicoterapia.

A nostro avviso, perchè la formazione abbia incisività deve comprendere l'espressione degli aspetti cognitivi ed emotivi sollecitati, soprattutto, dall'incontro con le forme gravi di patologia psicotica. Il rapporto con quest'ultima, per via degli aspetti emotivi non elaborabili e delle scissioni che induce, esercita una pressione sull'assetto mentale dei curanti che rende difficile il mantenimento dell'integrazione e della collaborazione tra i gruppi di lavoro.
La funzione "legame" della formazione, va quindi indirizzata nel senso dell'aggregazione e dell'integrazione, visto che nei gruppi curanti il rischio della disgregazione è sempre presente.

In essi, infatti, l'organizzazione su base gerarchica non è sempre equivalente a quella su base affettiva. Una rigida organizzazione gerarchica ostacola il pensiero dell'equipe curante e impedisce di affrontare i problemi di differenziazione dei singoli membri. Inoltre, l'oscillazione che esiste sempre tra aspetti simbolici e reali appartiene a figure professionali diverse. Ciò è sicuramente utile per consentire la distribuzione dei massicci aspetti transferali non immediatamente elaborabili, presenti nelle situazioni psicotiche e per consentire modulare la qualità dell'intervento dal concreto al simbolico nei vari momenti della relazione terapeutica. Richiede, tuttavia, che le comunicazioni del paziente e dei suoi familiari vengano accolte ed elaborate nel piccolo gruppo di lavoro clinico con una ricomposizione delle scissioni inevitabili.

Scopo della formazione, quindi, è quello di creare contesti in cui questa ricomposizione sia possibile rispettando la relativa disomogeneità dei riferimenti teorici, che sta alla base della capacità di confronto e di integrazione, ma rimanendo coerente al progetto comune che orienta il gruppo di lavoro in tutte la sue articolazioni.

Le scelte, anche in tema di formazione, vanno condivise e verificate attraverso la discussione tra tutti gli operatori del Servizio. Questo garantisce, per quanto possibile, la dialettica tra filosofia di fondo e linee del programma formativo. É, quindi, opportuno che la responsabilità clinica sia separata dall'attività formativa e che per essa vengano, anche, utilizzati consulenti esterni al servizio; ma questo non deve diventare l'occasione per scelte che portino alla creazione di sottogruppi isolati o di nicchie protette la cui cultura non trova canali di comunicazione con gli altri gruppi di lavoro. Le scelte anche in tema di formazione vanno condivise e verificate attraverso la discussione tra tutti gli operatori del servizio.

Ci sembra, quindi, che una formazione veramente efficace debba favorire, anche attraverso il contributo dei consulenti esterni al Servizio, la costituzione di contesti di elaborazione e di verifica dei programmi terapeutici, con particolare attenzione agli aspetti longitudinali dei trattamenti. Si tratta di un tipo di attività diversa da una supervisione clinica così come si è andata configurando in altri contesti. Noi pensiamo che l'attenzione a questi aspetti possa favorire la creazione di contesti di formazione capaci di accogliere le varie figure professionali, assieme o separatamente, a seconda delle fasi e dei momenti.

Questo scarto ci sembra responsabile della veloce saturazione che si manifesta sul piano soggettivo nel lavoro con i pazienti gravi ed è relativamente indipendente dall'intensità e dalla quantità del lavoro che si svolge. Ne risulta una sorta di cronica carenza sul piano del riconoscimento individuale, con relativa anomia come causa del vissuto di saturazione.

L'esame di questo aspetto ci ripropone l'importanza del lavoro del gruppo istituzionale.
Un'iniziativa di formazione, se mal condotta, può ridursi al supporto narcisistico di pochi, ed in questo caso le ricadute sugli operatori e sul servizio sono estremamente ridotte, oppure, può inserirsi in un progetto di ricerca condiviso, abbastaza coerente e coordinato.
Esiste quindi, secondo noi, un legame molto stretto tra la formazione al metodo del lavoro istituzionale così come lo proponiamo, il progetto condiviso e le iniziative di ricerca del Servizio.


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