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PSYCHOMEDIA
GRUPPALITÀ E CICLO VITALE
Adolescenza


L'adolescente "post-moderno": nuove identità e nuove forme di psicopatologia
Le modificazioni dello scenario psicoanalitico

Arturo Casoni - IPRS


Relazione presentata al XII Congresso della Società Italiana di Psicopatologia
"Psichiatria: le domande senza ancora le risposte"
Roma 19-23 Febbraio 2008



Il tema del presente lavoro affronta le modificazioni indotte sulla personalità adolescenziale dalle recenti trasformazioni socio-culturali, andando ad esplorare una interzona tra il cosiddetto "disagio della normalità" e la psicopatologia franca.

Si identifica, in questa interzona, un'area di disagio o di sofferenza adolescenziale che, se non è considerabile come causata in senso stretto dalle trasformazioni socio-economiche, ne è in qualche modo connessa direttamente. Ci troviamo spesso di fronte a segni/sintomi che, se da un lato segnalano aspetti evolutivi della condizione giovanile ­ si pensi alla maggiore libertà d'azione e di comunicazione, alla migliorata condizione economica, alla caduta di miti autoritari/repressivi non più centrali nella cultura corrente -, dall'altro portano con se aspetti involutivi e di impoverimento ­ come la perdita di solidità identitaria, l'incapacità a divenire padroni del proprio destino, la difficoltà a costruire relazioni salde e profonde ­ (cfr. U. Galimberti, L'ospite inquietante).

La ricerca qui presentata scaturisce da una prassi che ha utilizzato - come è nella tradizione del nostro istituto, IPRS di Roma - un duplice strumento d'indagine: la ricerca psico-sociologica e la riflessione sulla clinica psicoanalitica. L'uso di uno sguardo "bioculare" ­ l'occhio sociologico e quello clinico psicoanalitico ­ è strumento prezioso per poter cogliere la tridimensionalità del fenomeno "adolescenza contemporanea".

L'adolescenza, nella società contemporanea, se da un lato ha subìto una sua dilatazione progressiva - fino a divenire una sorta di fase interminabile, con la conseguente "adolescentizzazione" della personalità adulta - dall'altro ha attratto l'attenzione degli psicopatologi, e specificatamente degli psicoanalisti, fino a diventare il momento di discrimine tra identità infantile e adulta, tra personalità "sana" e struttura psicopatologica.
D'altro canto, le fenomenologie presentate dagli adolescenti hanno portato gli osservatori a riconsiderare i presupposti delle teorie di riferimento. Secondo alcuni la psicoanalisi dell'adolescenza ha cambiato il paradigma classico della psicoanalisi stessa (G. Pellizzari), producendovi una sorta di rivoluzione epistemologica (F. Petrella). Ne è un esempio l'affermarsi e il diffondersi delle diagnosi di Disturbo Narcisistico di Personalità (H. Kohut) e di Borderline (O. Kernberg), che porta in sé le tematiche e le conflittualità tipiche dell'adolescenza, le dialettiche tra identità e alterità, estendendole alla vita adulta. Di lì in avanti la pacifica - e in un qualche modo rassicurante - scansione psicopatologica nevrosi/psicosi non è stata più euristicamente utile.
Si può quindi dire che se un Disturbo Narcisistico/Borderline di Personalità è fisiologico in età adolescenziale, esso diviene entità nosologica più avanti (L. Cancrini), quando si manifesta un'impossibilità per il suo "tramonto", un impossibile accesso ad una personalità diversamente strutturata.
Le ultime generazioni di adolescenti presentano delle specificità di struttura identitaria in qualche modo riferibili a ciò che gli studiosi - in particolare i sociologi della condizione giovanile - identificano con termini come "patchwork" (G. Razeto), "post-moderna" (M. Featherstone) o "liquida" (Z. Bauman), facendo riferimento agli effetti che le modificazioni socio-culturali producono sul soggetto. Il venir meno di certezze consolidate, se da una parte ha determinato un accrescimento del senso di precarietà dell'individuo, dall'altra ha trasformato il campo delle sue appartenenze, non più caratterizzato dall'esclusività ma dalla pluralità e fluidità. Ciò vale sia per le appartenenze della sfera privata sia per quelle della sfera sociale. Si pensi alla "provvisorietà" della famiglia, così frequentemente segnata da separazioni, divorzi, ricostituzioni; o all'impossibilità di prevedere un percorso formativo-lavorativo stabile e certo, e all'imprevedibilità del proprio futuro economico. L'Io, per essere tale, deve essere paradossalmente molteplice, cangiante e mobile.
La conseguente frammentazione o fluidificazione dell'identità, lungi dall'essere interpretabile come mera patologia, rappresenta anzi una conditio sine qua non per l'adattamento alle mutate esigenze sociali. Ma, inevitabilmente, espone i nuovi soggetti a nuove forme di disagio, e talvolta a forme nosografiche che segnalano questi cambiamenti.
D'altra parte vi è la tendenza a "patologizzare" gli elementi di cambiamento delle nuove soggettività. Si veda il dibattito in atto sulla diffusione delle diagnosi di personalità borderline, e sulla necessità di non leggerle come "disturbo mentale" in senso stretto, ma come variabili in qualche modo adattative ­ in senso darwiniano ­ alle modificazioni dell'ambiente sociale-affettivo delle istituzioni, quali la famiglia e la società.
Come se, quindi, si aggiungesse tra le due entità nosografiche - di nevrosi e psicosi - una terza, intermedia, che potremmo definire di normosi (F. Bollas) in quanto, seppur connotata da elementi di sofferenza e di incapacità a gestire la relazione con il mondo circostante, è coerente con le attese dell'ambiente sociale stesso (A. A. Semi).
In Italia è in atto un dibattito vivace tra psichiatri e psicoterapeuti che ha come centro il funzionamento ­ e quindi il senso ­ delle comunità terapeutiche per i casi borderline. Ovviamente la maggioranza di utenti sono adolescenti o "giovani adulti" (eufemismo che si riferisce appunto all'interminabilità dell'adolescenza). La domanda di senso di queste istituzioni è in qualche modo connessa anche alle modificazioni che si vanno producendo nelle soggettività degli utenti stessi, come altra faccia della medaglia.

A questo scenario si aggiunge l'influenza esercitata dai mass-media e dalla comunicazione tecnologica (internet, video-giochi, chat, blog, telefoni cellulari, moltiplicazione dei canali tv, ecc.), che ha introdotto la presenza virtuale dell'altro, e che sta producendo delle modificazioni nella rappresentazione cognitiva ed affettiva dello spazio relazionale. La molteplicità delle opzioni di comunicazione si scontra con la riduzione al virtuale dell'altro, in una sorta di "protesi" della presenza con nuove forme di esperienza della solitudine. Se è vero che il medium elettronico fattualmente facilita e avvicina l'altro nel suo essere "prodromo" di un incontro autentico, l'abuso "consumistico" del medium ­ così presente negli stili di vita adolescenziali - produce l'illusione della condivisione con l'altro, la "feticizzazione" dell'incontro, la moltiplicazione all'infinito degli incontri fino alla sincope della solitudine parlante di fronte ad uno screen.
In questo senso i media elettronici - che strutturalmente sono definibili come facilitatori di relazione - in alcune situazioni di disordine o impossibilità di relazione certamente non determinate dai media stessi, possono però indurre una specifica sindrome di "protesizzazione" della presenza illusoria, e così far cronicizzate l'esperienza di solitudine.

Questa è, sommariamente e sinteticamente, un tentativo di descrizione "diagnostica", sincretica, del vissuto adolescenziale contemporaneo. Proviamo ora ad ipotizzare un approfondimento del piano di osservazione diacronico, di ricostruire i precursori che lo hanno determinato. La domanda è: quali sono le cause che, ipoteticamente, hanno prodotto il fenomeno?
Questa realtà può essere studiata da differenti vertici di osservazione, ognuno portatore di sue specificità. Molti sono i tagli interpretativi che possono tentare l'esplicazione del fenomeno. A noi sembra che un modo per dar senso/comprensione al fenomeno sia quello ­ molto semplicemente e apparentemente banale - di collegare le "nuove soggettività" adolescenziali a quegli organizzatori che le precedono temporalmente e che le hanno "generate". Stiamo parlando ovviamente delle famiglie.
Se ad un'osservazione superficiale alcuni stili di vita e di comportamento degli adolescenti appaiono come incomprensibili, estranei, fuori norma e insensati, appena si approfondisce l'osservazione questi ragazzi appaiono come l'ovvia conseguenza delle famiglie che li hanno generati, non solo biologicamente ma culturalmente. Ciò che caratterizza l'adolescenza è soltanto l'aspetto di maggior evidenza, di estremizzazione talvolta provocatoria, di "macroscopizzazione" di alcune contraddizioni che albergano dentro le mura domestiche, e in particolare all'interno dei ruoli genitoriali.
Forse si può dire che sono le "famiglie disordinate" - così le definiscono J. Derrida e E. Roudinesco in Quale domani?, un libro-dialogo sul presente/futuro di cui la psicoanalisi dovrebbe cogliere il senso ­ la chiave di volta per una possibile esplicazione di quello che noi abbiamo definito l'adolescenza "liquida" in un recente convegno. E' nella destrutturazione dei contenitori socio-affettivi, e in particolare nei cambiamenti dei ruoli genitoriali, nelle imago di mamma e papà, che bisogna andare a ricercare il senso.
J. Derrida, nel testo citato, afferma: "mi domando prima di tutto in che modo (e se) il modello familiare ­ punto di riferimento imprescindibile e fondante per la teoria psicoanalitica ­ sarà in grado, trasformandosi, di trasformare a sua volta la psicoanalisi. Per Freud e per i suoi successori, compreso Lacan, la teoria edipica presuppone un modello fisso: l'identità stabile del padre e della madre. E in particolare l'identità di una madre ritenuta insostituibile (É) A un certo punto sarà l'approccio psicoanalitico tipico di questa cultura che dovrà essere caratterizzato da quel movimento stesso che mette in crisi il modello familiare. Questo mutamento della psicoanalisi dovrebbe d'altronde corrispondere a ciò che essa stessa considera come la propria missione essenziale: prendersi cura innanzitutto di ciò che, direttamente o no, riguarda il modello familiare e le sue norme. La psicoanalisi ha voluto sempre essere una psicoanalisi delle famiglie" (J. Derrida, E. Roudinesco).
E quindi, ciò inevitabilmente ci porta ad interrogare Sigmund Freud e la teoria psicoanalitica, che, indiscutibilmente, è stata uno dei supporti concettuali fondamentali nel costituire il moderno concetto di origine della psicopatologia. E' appunto nell'avant-coup dell'Edipo ­ o del pre-edipico ­ che si è dato senso all'apres-coup del sintomo e della malattia.
Metter mano al Complesso di Edipo è operazione rischiosa, da compiere con estrema cautela, ma è allo stesso tempo operazione necessaria se si vuole dare nuova vitalità alla lettera freudiana.

Il "luogo" per eccellenza della teoria freudiana è la psicosessualità (Sexualtheorie), la quale ha trovato la sua origine nella dialettica madre-figlio-padre, e il suo centro nel "complesso di Edipo". Di lì sono originate tutte le teorizzazioni seguenti, fino ai recenti modelli di attaccamento, relazioni oggettuali, interiorizzazione delle relazioni bambino-caregiver.
Quella descrizione ci racconta appunto la nascita psichica dell'essere umano come essere di relazione.
I teorici freudiani - forse più di Sigmund Freud stesso - hanno poi ritenuto di poter generalizzare la validità delle sue osservazioni, ritenendo fossero considerabili "universali", applicabili in modo invariante a tutte le realtà umane storicamente determinate. Di qui sono nate le confutazioni e le contrapposizioni (ad esempio di Bronislaw Malinowski) che hanno - tra l'altro - trasformato la teoria e la prassi psicoanalitica fino alle più recenti teorizzazioni dell'Etno-psicoanalisi (si consideri ad esempio l'asse Georges Devereux-Tobie Natan), con le straordinarie modificazioni strutturali indotte sulla tecnica ed il setting dell'intervento di cura.

La nostra ipotesi - meglio dire il nostro territorio da esplorare - per trovare una comprensione/esplicazione delle nuove identità adolescenziali, è fare riferimento al principale background socio-affettivo che li ha prodotti, ovvero le loro famiglie.
E' lì - in quelle famiglie che hanno subìto e prodotto delle trasformazioni straordinarie negli ultimi decenni - che si può ritrovare il filo d'Arianna in grado di dare un nuovo senso ai fenomeni in trasformazione.
Il "nuovo" adolescente è - anche ma non soltanto, ovviamente - l'ovvio prodotto delle "nuove" famiglie, e più in particolare di quelle imago genitoriali che hanno subìto - nel bene e nel male - delle trasformazioni talmente radicali e drammatiche da non essere più socialmente e culturalmente riconoscibili. I ruoli genitoriali sono già, di fatto, trasformati e talvolta ribaltati, ma questa trasformazione non è ancora stata accolta e "istituzionalizzata" nel tessuto sociale e culturale.
L'adolescente non sa più "chi è" il padre e "chi è" la madre, quali siano i loro ruoli, le loro funzioni e il senso delle "norme" (principi di bello/brutto, buono/cattivo) che più o meno implicitamente sono da loro proposte. Questo disorientamento non può non avere ripercussioni nella percezione di sé e della propria collocazione sociale.

Questo ci sembra un territorio verso il quale anche gli psicoanalisti dovrebbero rivolgere lo sguardo.
La psicoanalisi, nel suo essere teoria sociale e strumento di interpretazione del soggetto, ci offre l'opportunità di un doppio sguardo che collega radicalmente il soggetto allo scenario sociale e culturale in trasformazione. E quindi, se qualcosa è cambiato nel "recinto" edipico, ciò non farà crollare l'edificio teorico della psicoanalisi.
Come ci ricorda Fausto Petrella, molto è cambiato a proposito della collocazione dell'inconscio: esso non è più considerato zeitlos, un dispositivo psicobiologico fuori dal tempo, invariante, caratterizzato dall'inerzia assoluta. A proposito dell'adolescenza ci dice: "in molti casi nell'adolescente post-moderno l'Edipo abortisce, più che risorgere, essere superato e tramontare (É) ciò non significa che l'Edipo sia scomparso, ma semplicemente che è stato evitato, o che non si è neppure potuto abbozzare alle soglie dell'adolescenza, in un contesto relazionale sfavorevole, da una relazione materna insufficiente o per la carenza di quelle pressioni pedagogiche e ambientali verso la separazione e l'integrazione personale, che non sono oggi assunte da nessuna figura, né familiare né extra-familiare" (F. Petrella).

La domanda che va posta è: cosa è cambiato nell'Edipo degli adolescenti contemporanei? Cosa è cambiato nelle imago di mamma e papà?
Parto - nel tentativo di proporre una linea di pensiero più che dare una risposta - da una suggestione visiva contenuta nel titolo del convegno che abbiamo organizzato nel 2007:L'adolescenza "liquida", con riferimento a Z. Bauman. La liquidità, in quanto tale, non ha forma se non contenuta. La sua forma è data dal contenitore. Ebbene, si può dire che l'adolescente contemporaneo è non contenuto.
Facciamo qui riferimento al concetto di holding, di accoglienza/contenimento tanto caro alla psicoanalisi delle prime relazioni (Winnicott). Holding, tradizionalmente, è il compito materno per eccellenza nelle prime fasi evolutive dello sviluppo. L'accoglienza, il contenimento, sono appunto le caratteristiche della funzione materna. E' nel primo rapporto con il corpo materno che si entra in contatto con l'altro, che si esperiscono i piaceri e le frustrazioni della relazione con il fuori, e che quindi si acquisiscono e si stabiliscono le regole dell'interazione sociale.
I segnali che ci vengono dall'adolescenza, sia riferiti ad un'accettabile "normalità" di condotte sia quelli francamente devianti o psicopatologici, ci mostrano una perdita di autorità/autorevolezza generalizzata riguardo al "contenitore" famiglia, che non ci sembra possa essere riferita solo alla perdita di ruolo del padre, o che non si limiti a questo.
L'eclissi del padre è dato ormai acquisito, non solo nei pensieri e nei racconti dei ragazzi e delle ragazze che chiedono aiuto allo psicoterapeuta, ma nella società, nella cultura. Perfino nella giurisprudenza: la categoria patria potestas si è modificata radicalmente.
A proposito dei miti di fondazione, sembrerebbe che lo scenario freudiano descritto in "Totem e tabù" si sia realizzato di nuovo, all'apice della "modernità solida" e ci introduca alla "postmodernità liquida". In effetti, alcuni comportamenti dissociali agiti dagli adolescenti ci fanno pensare appunto all'orda primitiva così come è descritta da Freud.
Non solo quindi "fuga" dei soggetti-padre dalla funzione paterna, ma delegittimazione dell'essere padre. Disvalore persino, in quanto inevitabilmente contaminato dal sospetto di sopraffazione e autoritarismo. Eppure la sua fuga dal ruolo è sentita come colpevole, spregevole, segnale di dichiarata incapacità. Non si esce dal paradosso: essere padre è il "mestiere impossibile" per eccellenza nella nostra cultura contemporanea.
Ci troviamo quindi di fronte ad una crisi del mandato culturale che definisce il significato e orienta i compiti di padre.
Sull'altra sponda della funzione genitoriale ci appare una madre solitaria, chiamata a svolgere la totalità della funzione di contenitore affettivo e normativo.
Forse sarebbe più corretto dire che la famiglia contemporanea - dal vertice di osservazione che adotto - è binaria, non triangolare: una madre e un figlio. Nei racconti clinici degli adolescenti il tema della madre è presentissimo. Il padre non c'è e la sua assenza è pacifica, ovvia. Anche sofferta, ovviamente, ma accettata, ineluttabile. Molto spesso il padre non c'è fisicamente, è altrove, separato/divorziato, altre volte è solo presente fisicamente, ma ha rinunciato alla funzione genitoriale.
Il conflitto a proposito del "dover essere" è centrato sulle regole poste dalla madre. E' la funzione materna ad essere messa in crisi dall'adolescente "liquido". Il padre è già eclissato. Sulla scena rimangono la madre e il figlio, spesso tutt'e due spaesati e in preda ad una percezione di assurdità. Nelle sue manifestazioni meno felici il dialogo messo in scena tra loro assomiglia alla rappresentazione di un testo del teatro beckettiano.
Stiamo quindi affermando la necessità di una riflessione, di una messa in critica della funzione materna e paterna contemporanea, in quanto portano in sé connotazioni nuove che ci sembra siano state poco esplorate.

La domanda che ci poniamo è quindi: cosa è cambiato nell'Edipo degli adolescenti contemporanei?

Sandro Gindro scriveva così a proposito del "Complesso di Edipo":
"Sono una conferma della validità dell'intuizione freudiana, assai più di quanto riescano a negarla, gli scritti e i discorsi che tentano di sminuire o confutare l'importanza del significato del complesso di Edipo. La teoria freudiana ha però dei limiti evidenti. Come è raccontata da Freud, la storia di ogni bambino, nell'odio e nell'innamoramento verso la coppia dei genitori, è riferibile ad una realtà estremamente circoscritta. Emblematico non è tanto Edipo quanto il piccolo Hans. Sarebbe forse più giusto sostituire la definizione 'Complesso di Edipo' con quella di 'Complesso di Hans'. Hans è un bambino dell'epoca di Freud, che vive a Vienna, in una famiglia piccolo-borghese: madre e padre tipici, domestici, villeggiature e carrozze. La madre dice quello che dicevano le madri di quella classe sociale all'inizio del '900; il padre ha l'atteggiamento dei padri di quell'epoca verso i figli maschi, in una Vienna arabescata dal Secessionismo e serenamente in crisi" (S. Gindro, 1983).
E, più avanti, aggiunge: "Il desiderio sessuale è, credo, universale, così come la dipendenza del piccolo dell'uomo dall'adulto; perciò finché il mammifero uomo alleverà la prole attraverso il contatto diretto e così stretto con il corpo dell'adulto, i desideri sessuali, innamoramenti e gelosie, se pur seguiranno dinamiche diverse a seconda delle culture e della classe sociale, turberanno e animeranno la vita di ogni bambino. Freud ha iniziato un'indagine apponendovi come simbolo il figlio di Laio e Giocasta; ma il mito di Edipo è molto più articolato e contraddittorio di quanto egli supponesse" (ibidem).

La nostra attenzione si ferma su un aspetto specifico del fenomeno, ovvero sugli effetti che i nuovi ruoli genitoriali stanno producendo sull'organizzazione identitaria dei figli "partoriti" in senso psico-sociale da quelle famiglie, con una particolare attenzione a quell'età che chiamiamo adolescenza, ovvero nel momento in cui i soggetti sono chiamati ad affrancarsi dalla famiglia d'origine e aprirsi alla vita sociale.
Ma siamo consapevoli che il fenomeno è più ampio, che richiede ipotesi di risposta variegate e articolate.

E' possibile identificare un paradigma, un caso paradigmatico quale è stato per Sigmund Freud il piccolo Hans, che possa dare un'esemplificazione ed esplicazione dei cambiamenti intervenuti nella famiglia contemporanea, e che quindi contribuisca a dare comprensibilità a quelle che noi siamo abituati a definire "nuove soggettività"?

Questa è la domanda centrale che l'IPRS vuole mettere in discussione nel convegno che si organizzerà a Roma il 23-24 maggio 2008, dal titolo Il "Complesso del piccolo Hans". Quali cambiamenti nelle costellazioni edipiche contemporanee?, dove si tenterà di declinare le molteplici, possibili e articolate risposte.


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