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PSYCHOMEDIA
GRUPPALITÀ E CICLO VITALE
Età adulta



LE ORIGINI DELLA DIMENSIONE SESSUALE

di Antonio Imbasciati - (Membro Ordinario SPI - IPA)

Questo lavoro è stato discusso al Centro Milanese di Psicoanalisi
nella riunione dei soci del 13/02/97



Perché proviamo attrazione sessuale? Perché il piacere sessuale è così diverso da altri piaceri? Queste ed altre consimili domande sembrano semplici nella misura in cui si dà loro risposta sulla base di una tradizione che si rifà ad una supposta "natura": sia essa vista nell'antica prospettiva filosofica, sia più modernamente considerata in un quadro genetico, biologico, endocrinologico, sia essa articolata nella più sofisticata versione freudiana. Anche qui infatti i concetti di Libido e di pulsione, coniati da Freud inizialmente sulla base delle osservazioni sulla sessualità, e poi estesi, fino a diventare la base di tutta la sua teoria, partono dal presupposto di una forza naturale, psicobiologica, endogena.

Il concetto basilare con cui Freud inquadra la sessualità è quello che la considera come una eccitazione che proviene dagli organi: dalle zone erogene, particolarmente, emanerebbe un'eccitazione, che implica una necessità di essere scaricata. Il concetto di eccitazione e di scarica sono basilari nella concezione freudiana della sessualità. La scarica dell'eccitazione sarebbe l'origine del soddisfacimento, anzi il soddisfacimento consisterebbe nella scarica: in questo concetto è evidente il modello neurologico, imperante ai primi del nostro secolo, dell'arco riflesso.

In questa concezione Freud fa riferimento a ipotesi di tipo biologico, anzi biochimico: in tutta la sua opera ricorre la convinzione che vi siano sostanze biochimiche, ancora da scoprire, responsabili di quanto a livello psicologico può essere constatato come eccitazione sessuale (Freud S., 1901; 1905; 1906; 1914; 1915; a, b; cfr. Opere IV 379 sg, 394, 521 sg, 524 sg; V 223 sg; VII 448; VIII 21, 478); anche a riguardo dell'orientamento sessuale maschile, piuttosto che femminile, egli sottolinea la possibilità che si possano scoprire sostanze biochimiche responsabili dello specifico orientamento dell'eccitazione sessuale (Freud S., 1931; op. XI, 77). Questi concetti di tipo biologico vengono poi plasmati psicologicamente, nel concetto di libido e di pulsione. Quello di pulsione è un concetto definito come intermedio tra il biologico e lo psichico. La pulsione è considerata come il vettore che sostiene tutta la vita psichica: questa è concepita in termini essenzialmente emotivo-affettivi sostenuti dalla dinamica pulsionale. Gli affetti sono i rappresentanti psichici delle pulsioni.

La psicoanalisi sta oggi abbandonando la teoria energetico-pulsionale, per lo meno nel suo aspetto esplicativo, a favore delle teorie oggettuali: queste vedono l'origine dello sviluppo psichico, e con esso quello della sessualità, nelle relazioni oggettuali, dunque in relazione all'esperienza, relazionale, anziché‚ per forze endogene: in un "apprendere dall'esperienza". E' possibile allora inquadrare lo sviluppo psicosessuale come un apprendere dall'esperienza?

Gli studi sull'identità di genere (Stoller, 1968) dimostrano che l'orientamento sessuale è "appreso", dalle relazione parentali, a dispetto di genetica e biologia. Un bimbo, geneticamente femmina ma creduto maschio alla nascita per uno pseudoermafroditismo esterno, sviluppa un'identità di genere e un conseguente orientamento sessuale come maschio. Se dopo la pubertà il sesso esterno viene corretto chirurgicamente, permane come dominante un'identità maschile, di cui risentirà l'orientamento sessuale adulto. Viceversa avviene per un maschio genetico creduto femmina. L'orientamento sessuale, e con esso attrazione e piacere, ovvero l'origine della dimensione sessuale (uso il termine dimensione appunto per indicare una struttura psichica complessa) e la relativa identità di genere non dipendono semplicemente da modi culturali nell'allevamento dei maschi piuttosto che delle femmine, ma, come dimostrano gli studi sull'argomento, dalla relazione primaria tra il bimbo e ciascuno dei genitori. Ognuno dei due genitori, a seconda del proprio sesso, stabilisce col bimbo una relazione diversa a seconda che lo creda del proprio piuttosto che dell'altro sesso. La dimensione sessuale si origina dunque nelle relazioni della prima infanzia: essa ha allora a che fare con gli oggetti interni primari. Dunque si radica nella matrice globale dell'intero sviluppo della mente.

Molti altri studi dimostrano che la sessualità umana è essenzialmente psichica. Noti da tempo sono i contributi antropologici degli studiosi di psicoanalisi (Roheim, 1950), recentemente ripresi da Pauletta D'Anna (1936a, b) in cui si mostra come la sessualità, in ogni sua manifestazione e al di fuori del concetto di normalità-patologia, sia determinata dal gruppo sociale. Questa determinazione è individuata essenzialmente nelle modalità di allevamento dei neonati, dunque in quella fase della vita in cui viene "costruita", nelle relazioni d'oggetto primarie, la struttura della mente. Il concetto di "costruita" è qualcosa di diverso e di più che "psichicamente elaborata": significa acquisita; appresa dall'esperienza, diciamo con Bion, non dimenticando però che il concetto di apprendimento scalza, in questo caso, le concezioni istintuali che a lungo la psicoanalisi ha coltivato. Anche la sessualità animale è "appresa", come dimostrano i famosi studi degli Harlow (Schrier, Harlow, 1965) sulle scimmie, e tutti i successivi, anche su altri animali; le cure parentali condizionano lo sviluppo psico-sessuale. La parola "psico" può stupire, per degli animali. Meno stupisce se consideriamo come le cure parentali non semplicemente modulino uno sviluppo, ma lo costituiscano, lo costruiscano, esse stesse, al punto che potremmo interrogarci se ha ancora senso parlare di uno sviluppo determinato da una "natura".

Su quegli esperimenti possiamo qui focalizzare una riflessione: le afferenze tattili, propriocettive, termiche, olfattive stimolate nel contesto della relazione del piccolo con la madre vengono organizzate in insiemi che acquistano significato dal contesto stesso, nel suo scorrere progressivo nel tempo: tempo di successivi "apprendimenti". Ciò che rimane in memoria non sono le singole afferenze o treni di afferenze delle varie sensorialità, bensì -conformemente a quanto avviene per tutti i processi di percezione e memorizzazione- l'esito della processazione degli stimoli in integrazione con le precedenti memorie: tale esito psicofisiologico corrisponde a quanto noi psicoanalisti chiamiamo il significato, affettivo, delle esperienze che intercorrono con la madre, e dalle quali si apprende. Orbene, da questa esperienza lo scimmiottino apprende significati, ovvero apprende, e ritiene in memoria, costellazioni di insiemi sensoriali, che fungono da significanti per quei significati: egli elaborerà successivamente queste configurazioni per organizzare la sua sessualità. Nell'uomo tutto questo processo è enormemente più complesso. Il concetto di oggetto interno si presta a esemplificare un aspetto di tale complessità (Imbasciati, 1983, 1990): considerato nella sua funzione di significante, esso può essere scomposto negli insiemi di tracce afferenziali con le quali fu costruito (Imbasciati, 1991; 1994).

Nella sessualità umana l'affettività si evidenzia come fondamentale: qui voglio sottolineare come essa si intersechi con ciò che della sessualità appare più fisico, anzi come essa sia il tessuto della "fisicità" stessa della sessualità. L'eccitazione, per esempio, può sorgere in condizioni di esperienza, esterna ed interna, del tutto diverse da individuo a individuo: nelle perversioni abbiamo gli esempi più disparati. Comunque, anche nella normalità, la peculiarità individuale (forse irripetibile) di ciò che eccita è legata al significato - del tutto individuale - che una certa configurazione sensoriale assume per quell'individuo. Tale "significato" corrisponde, in termini psicofisiologici, ad una specifica elaborazione di "lettura" delle configurazioni esterne, in quanto esistono nella memoria di quell'individuo configurazioni (di insiemi afferenziali) che fungono da significanti; ovvero che conferiscono quel determinato senso (significato) a ciò che egli recepisce e "legge" nell'hic et nunc. In termini psicoanalitici, quanto sopra lo chiamiamo fantasia erotica e ne conosciamo la dimensione inconscia. Così pure l'attrazione sessuale, che, anche quando non è legata a percezione di eccitazione, comporta pur sempre modificazioni corporee subliminali, risponde a letture, variabilissime da individuo ad individuo, di configurazioni afferenziali che, recepite in ordine al particolare significato conferito loro dai significanti che operano nella memoria (inconscia, ovviamente) di quel soggetto, producono il vissuto dell'attrazione: la lettura conferisce loro il carattere erotico; l'esterno viene letto come significante di un significato interiore. Tutto ciò corrisponde a quanto in psicoanalisi chiamiamo affettività, o con più precisione fantasia inconscia. Il che è pur sempre legato a memorie.

Il concetto di memoria, o di memorie, merita una qualche precisazione: solitamente si pensa alla memoria, secondo un modello popolare, come ad un magazzino ove si stratificano immagini della realtà, e dunque immagini alla realtà fedeli. Si riserva loro il termine di rappresentazioni, mentre quando si indicano eventi interiori più informi, affettivi, profondi si usano altre terminologie, per esempio fantasmi, oggetti interni o più semplicemente denominazioni di vari tipi di affetti. In realtà, come dimostrato dalla psicologia sperimentale più recente, la memoria non è affatto un magazzino stratificato di immagini realistiche, ma un nucleo elaborativo continuamente in trasformazione, in cui "le memorie" sono tutt'altro che conformi al reale e tutt'altro che rappresentazioni. Dobbiamo dunque parlar di memoria anche per gli affetti (Plutchik, 1980). Si tratta ovviamente di memorie, forse con componenti molto antiche, comunque sempre assai difficili da individuare e concettualizzare; certamente però apprese da una qualche esperienza.

Analoga revisione le discipline psicologiche hanno operato per il concetto di apprendimento: esso non è più inteso come un portar dentro ciò che è fuori, bensì come complessa elaborazione e trasformazione di dati esperenziali e di memorie (cfr. paradigma HIP: Human Information Processing). In questo quadro la revisione del concetto, rispetto alla tradizione coscienzialista e all'accezione popolare, lo ha portato più vicino alla prospettiva psicoanalitica.

Il raffronto tra i concetti psicoanalitici ed alcuni dati della psicologia sperimentale ci permette di entrare di più nell'argomento: su come i vari aspetti della sessualità, anche i più fisici, siano frutto di una elaborazione della mente, per spogliarci del preconcetto, antico, che la mente intervenga soltanto per modulare, permettere o inibire processi che hanno un significato "naturale", conseguenza in ultima analisi del biologico. Per questo preconcetto, nella clinica siamo adusi a considerare l'elaborazione mentale nel patologico, mentre tendiamo a scotomizzarla nella normalità.

Per esempio, un mio paziente un cui sintoma evidente era l'eiaculazione ritardata, era molto eccitato dal toccare l'ano della partner. Questo evocava la fantasia di controllare il proprio ano e rassicurarsi che, quando avrebbe eiaculato, non avrebbe perso dai buchi del proprio corpo nient'altro di più che quel poco di sperma che sapeva dovesse eiacularsi. Siamo soliti dire che questa rassicurazione "permetteva" l'orgasmo o il piacere. In questo modo di dire presupponiamo che, se non ci fosse quella particolare elaborazione mentale, orgasmo e piacere avrebbero seguito vie "naturali". Possiamo invece considerare l'evento da un punto di vista diverso: l'insieme della afferenze tattili provenienti dal contatto dita-ano è letto, dalle memorie del paziente, come significante che da tempi remoti è entrato, col suo significato, a far parte di una esperienza percepibile come piacere ed immesso nella costruzione della dimensione sessuale, legato ad un piacere connesso con il rilascio dei riflessi costituenti l'orgasmo.

Ancora, un'altra paziente, un cui sintoma era una parziale frigidità, mi fece sentire un'eccitazione mentre mi parlava di quanto desiderasse che da piccola sua madre avesse potuto starle più vicina. Nulla v'era di sessuale nei suoi discorsi. Attraverso l'identificazione proiettiva mi fu possibile cominciare ad entrare in una costituente della dimensione sessuale di questa paziente: il suo desiderio di fusione con la madre. Questo era entrato come componente stabile della sua sessualità. Ella poteva eccitarsi, con un uomo, solo se percepiva un qualcosa, nella relazione, che ella poteva assimilare - o allucinare - come realizzazione del suo antico desiderio fusionale con la mamma. Questa elaborazione fantasmatica la possiamo considerare dall'altro vertice: solo quando per certe particolari circostanze, il rapporto con un uomo con le sue molteplici configurazioni sensoriali poteva essere "letto" in funzione di quella memoria di desideri, o bisogni, fusionali verso la madre, la paziente poteva essere eccitata e sentire piacere. Una peculiare configurazione interna, fatta di molteplici, disperse e antiche memorie, era la chiave per poter percepire come sessuali, ed eccitanti il piacere, le sensorialità del coito.

Ho portato i due esempi, patologici, in cui ci è più consueto considerare come il connotato erotico, ed il piacere, vengano conferiti ad una esperienza da una particolare costruzione mentale. Meno consueto ci è pensare che ciò avviene in ogni esperienza sessuale cosiddetta normale. Ogni individuo ha la sua peculiarità soggettiva nell'essere attratto, ed eccitato sessualmente, e nel provare un qualche piacere, da certe situazioni piuttosto che da altre, da certe parti del corpo, da certe forme visive, o tattili, o anche propriocettive, da certi odori, suoni, parole, abbigliamenti e via dicendo. Ancorché‚ si possa individuare una gamma di tali variazioni entro la quale parliamo abitualmente di sessualità normale, non possiamo esimerci dal pensare, anche se non ci siamo abituati, che vi sia anche qui tutta una processualità complessa come quella che siamo consueti considerare nella patologia. E' una "lettura" peculiare e del tutto soggettiva della sensorialità, che costituisce la dimensione erotica. Tale lettura è operata da una corrispondente struttura mentale, da corrispondenti engrammi che fungono come unità operative per quelle letture, appunto, e che si sono costruiti nello sviluppo di quell'individuo. Dunque la dimensione sessuale è costituita da costruzioni psichiche che, memorizzate nello sviluppo di un individuo, e pur in perenne trasformazione, si sono stabilizzate come strutture costituenti la sua sessualità. Si tratta di "memorie" di sensorialità molto primitive: il pensiero torna ancora alle scimmie degli Harlow. Dovremmo allora disabituarci dal prendere in considerazione la struttura della sessualità solo per spiegare che essa può modulare, permettere, inibire le normali e naturali "sensazioni".

Queste, ancorché‚ vengano soggettivamente vissute come provenienti dagli organi genitali, sono elaborazioni psichiche. Ogni percezione è una lettura di afferenze. Ogni lettura presuppone che certi insiemi afferenziali vengano riconosciuti come significanti, di significati interiori che si sono costruiti lungo lo sviluppo della mente.

 

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Per comprendere meglio le suddette affermazioni, posso qui considerare, dopo la panoramica di considerazioni partita dagli scimmiottini degli Harlow, un aspetto molto elementare della dimensione sessuale, e peculiare: quello del piacere.

La teoria freudiana, alla luce di tutti i successivi sviluppi della psicoanalisi, ci appare oggi meno esauriente circa l'origine della sessualità. Fulcro di tale inadeguatezza sta a mio avviso nel fatto che l'originaria teoria di Freud è incentrata sul principio del piacere, e tale principio è stato concepito sul modello del vissuto cosciente del piacere sessuale. Qui l'essere umano sperimenta (di solito) un piacere seguito da una successiva quiete: sulla base del modello dell'arco riflesso e in genere della neurofisiologia dell'epoca, Freud ipostatizzò il vissuto soggettivo presupponendone, nel suo modello teorico, una sorta di sostanza: l'energia pulsionale (Imbasciati 1983 cap. XI; 1991 cap. 4). Si concepì in tal modo il piacere come scarica di energia, supposta biologica. E si pose il principio del piacere come basilare explanans per tutta una serie di altri eventi e processi psichici.

Ma il piacere, come dimostrato dagli studi della psicologia sperimentale di questi ultimi cinquant'anni, non dipende da recettori (non esistono, in particolare, recettori sessuali: Imbasciati, 1987) n‚ da dispositivi neurofisiologici (come invece per il dolore), ma è una qualità attribuita psichicamente dal soggetto ad una esperienza, esterna o interna. Il piacere sessuale non fa eccezioni rispetto a qualunque altra esperienza piacevole. Allora occorre studiare come questa "qualità" esperita dal soggetto (la "piacevolezza"), venga psichicamente costruita: su quali risonanze di memorie profonde, attraverso quali processi, da quali esperienze sia stata appresa (apprendere dall'esperienza); e come si collochi, rispetto all'esperienza dell'hic et nunc, particolarmente rispetto alla sensorialità che evoca piacere; e come i caratteri oggettivi, esterni, di quest'ultima evochino la soggettività dei vissuti, sia di quello consapevole - la piacevolezza, appunto - sia di tutti gli altri, inconsci, che sappiamo essere mobilitati. Per il piacere sessuale dovremmo poi chiederci, e soprattutto, come e Perché, dato che è costruito mentalmente, esso assuma nella coscienza del soggetto caratteri così corporei da sembrar quasi che "accada" negli organi genitali, o da essi sia generato.

Ma il piacere, allora, non è un explanans della vita psichica, bensì un explanandum; trascurato in quanto explanandum - mi sembra - dalla letteratura psicoanalitica.

Prima di considerare il piacere sessuale come una "percezione" naturale, occorre richiamare alcuni agganci fondamentali della psicofisiologia della percezione, intendendo il termine percezione nella sua accezione specifica delle scienze psicologiche (e non nell'accezione del linguaggio popolare). Una percezione è condizionata da un suo specifico recettore ed è il recettore stimolato che ne condiziona la qualità. La percezione visiva è tale Perché recettori particolari, della retina, sono suscettibili di essere stimolati da onde luminose. Analogamente la qualità "auditiva" della percezione acustica è condizionata dall'esistenza di recettori cocleari, specificamente stimolabili delle onde sonore. Analoga considerazione possiamo condurre per la percezione olfattiva, gustativa, tattile, cinestesica e via dicendo. Anche il dolore è dovuto ad un dispositivo neurosensoriale particolare (fibre libere e dispositivi spinali). Ma il piacere è veramente percezione?

Se consideriamo le altre esperienze piacevoli, non sessuali, non riscontriamo il carattere percettivo nella coscienza del soggetto: il piacere di prendere il sole, per esempio, pur accompagnato da una percezione riferita all'epidermide è sentito come un vissuto; non è inteso come piacere della pelle. Così il piacere di ascoltare della musica non è riferito all'orecchio. Il piacere di far ginnastica, pur accompagnato da percezioni muscolari, non è riferito alla muscolatura. Se ho piacere a suonare il pianoforte non sento piacere nelle dita. Ma nel coito il piacere è riferito, invece, ai genitali, come fosse una percezione "specifica".

Gli studi neurofisiologici depongono per una mancanza di specificità dei recettori situati nei genitali. Qualche autore (Zwang L., 1981) menziona corpuscoli particolari, denominati di Krause-Finger, ma le ricerche concordano (Fulton G., 1962; Milner P.K., 1973) nel ritenere tali recettori una variante istologica, fisiologicamente non significativa, dei normali corpuscoli di Krause che veicolano l'afferenza che condiziona la percezione termica. I genitali sono cioè dotati degli stessi recettori che sono distribuiti in qualunque superficie corporea, tattili, termici, dolorifici, pressori, ma non di recettori specifici di una sensibilità qualificabile come sessuale Perché condizionata da un particolare dispositivo del recettore e veicolata da una determinata afferenza. Anzi, nei genitali, vi è una bassissima densità di recettori, rispetto ad altre zone corporee. E neppure vi sono, per i genitali, altri meccanismi neurofisiologici periferici, come per esempio avviene per il dolore, che condizionino la specificità della qualità erotica. Il dolore deve la sua qualità ad una peculiarità neurofisiologica, o del recettore sensoriale (fibre terminali libere), o di un meccanismo spinale (teoria di Melzack e Wall). Per il piacere non sono stati riscontrati fattori analoghi.

Dobbiamo concludere che la qualità erotica, che noi nella nostra coscienza percepiamo con una distinzione paragonabile a quella che assume la qualità visiva della esperienza retinica, o quella della qualità auditiva dell'esperienza cocleare, non è invece, come la qualità visiva o la qualità auditiva, determinata dal recettore sensoriale. E' determinata invece da un'elaborazione, da una codifica, per la quale essa acquista "quel" significato. Significato psichico, condizionato quindi dalle nostre precedenti esperienze.

Dovremmo allora percepire il piacere sessuale con caratteri di coscienza squisitamente psichici e la sensorialità come concomitante tramite: così è, però, solo in parte, e non per la maggiore, del piacere sessuale. Lo avvertiamo anche come esperienza psichica, affettiva, piacevole, ma in più v'è un piacere che dalla coscienza viene decifrato come specifico e come se esso fosse sensoriale. Noi dunque attribuiamo soggettivamente il piacere agli organi genitali, ma l'attribuzione è del tutto soggettiva, per non dire erronea.

Possiamo allora dedurre che una qualche nostra struttura psichica ci porta a vivere il processo sessuale come alienato nel corpo, laddove esso è invece un qualche cosa che dovremmo sentire analogamente a come sentiamo un affetto, uno stato d'animo. Si tratta forse di una difesa? Che però hanno tutti gli esseri umani. Dovremmo in ogni caso indagare sulla processualità psichica in base alla quale il piacere sessuale tende ad essere sottratto all'esperienza globale della persona e circoscritto ad un'esperienza di un organo, come se questo fosse sensoriale; come se fosse l'organo che ce la porta, e non noi che la viviamo come mediata da un'azione espletata attraverso certi organi.

Una stessa stimolazione a seconda del contesto può essere erotica e non erotica, piacevole e spiacevole: uno stesso stimolo può essere erotico e piacevole, erotico e spiacevole, non erotico e piacevole, non erotico e spiacevole, a seconda del contesto. Dunque non è lo stimolo che dà la qualità dell'eros, ma la codifica che noi facciamo dell'esperienza. Quanto soggettivamente esperiamo come sessuale è dunque tale per un significato che noi attribuiamo ad una data esperienza, e non per fattori biologici. Una tale conclusione sembra andar contro opinioni diffuse, sia a livello di senso comune che di cultura scientifica. La biologicità, per così dire, della sessualità è radicata nel concetto di istinto: ma proprio questo è oggi messo in crisi da etologi e psicologi (Hinde R., 1977). Quello che è chiamato istinto ‚ qualificabile come apprendimento latente precoce. L'attribuzione della sessualità alla sfera del biologico, attraverso il concetto di istinto, è da considerarsi fuorviante, se non erronea.

In base ai suddescritti riferimenti psicofisiologici, il piacere sessuale dovrebbe venir vissuto alla stregua di tante altre emozioni piacevoli. Il fatto che esso, invece, contempli un vissuto cosciente così strettamente corporeo, quasi fosse la percezione di un organo sensoriale specifico, ci dice che la sua elaborazione, nella mente, è diversa da quella delle altre emozioni piacevoli. Per queste ragioni, con dizione in apparenza paradossale ho definito (1983) il piacere un "costrutto mentale". L'aggettivo "mentale" evoca il paradosso proprio Perché la sessualità è vissuta come corpo e contrapposta a quanto è connotato dall'uso comune del termine italiano "mentale". La dizione paradossale ha l'intento di richiamare l'attenzione su un più attento studio delle costruzioni psichiche che fanno di questa esperienza piacevole un piacere tutto particolare; nonché‚ soprattutto di sfatare l'abitudine a considerare la sessualità, per lo meno quella normale, come promanante dalla natura; e quindi di non analizzarla a sufficienza.

Una più accurata attenzione alla processualità interiore che porta a costruire il livello cosciente del piacere sessuale apre prospettive di ricerca a mio avviso ancor poco battute, sia nel versante psicofisiologico che su quello psicoanalitico. Su quest'ultimo dovremmo considerare il piacere e tutta la sessualità come consideriamo il sogno: una elaborazione psichica manifesta, di cui dobbiamo ricercare tutti i significati latenti; ovvero tutti i processi profondi che han portato a quei risultati consapevoli. La nostra attenzione, oltre che al patologico, cui già siamo abituati, dovrebbe esser rivolta a tutti i comportamenti e gli eventi che compongono la sessualità considerata normale: proprio così come analizziamo qualunque sogno. E il piacere stesso dovremmo, in primis, analizzare.

In questa prospettiva dobbiamo porre attenzione al fatto che l'evento "piacere" ci sembra semplice laddove invece non lo è affatto. L'evento sessuale e la qualità erotica del vissuto ci sembrano eventi semplici in quanto automaticamente ce ne diamo spiegazione sommaria in termini di istinto e di corpo. Tale spiegazione, semplicistica e fideistica, poggia esclusivamente sulla base di ciò che il soggetto sperimenta soggettivamente a livello di consapevolezza. Ma se, ad un'analisi più accurata, questa "esperienza" risulta un'elaborazione psichica, come tale complessa, dovremmo studiarla più in dettaglio, nella sua processualità interiore, e prescindendo dal livello di coscienza riferito dal soggetto: non dobbiamo in altri termini dar per scontato l'elemento soggettivo "sessuale" come fosse elemento ultimo e indivisibile.

Il piacere sessuale non è elemento semplice, in base al quale spiegare processi psichici più complessi, come sembra talora fare la psicoanalisi freudiana, bensì esso stesso processo complesso, da analizzare. Considerandolo alla stregua di un'emozione, ce ne proponiamo l'analisi. Analisi che peraltro si prospetta più difficile che per altre emozioni cosiddette semplici. In una classificazione delle emozioni (Imbasciati, 1986a, II cap. 4ø) il piacere sessuale non trova riscontro come elemento di base. Esso non è considerato un'emozione specifica (Fraisse, 1963), bensì uno stato emotivo molto complesso.

A questa complessità ci introduce la considerazione della variabilità della dimensione erotica rispetto alla consapevolezza del soggetto. Per le altre emozioni, considerate più semplici, il parametro del loro essere o non essere avvertite dalla coscienza appare meno variabile e quindi meno equivoco come criterio di individuazione dell'emozione stessa: tuttavia anche per queste emozioni conduciamo uno studio della processualità inconscia, nonché‚ del loro agire al di sotto della consapevolezza soggettiva. A maggior ragione una tal analisi si pone per la più complessa dimensione erotica, ove abbiamo al centro un evento consapevole chiamato piacere sessuale, intorno al quale sembrano ruotare stati psichici poliedrici e molteplici, consci ed inconsci, estremamente complessi nella loro variabilità interindividuale. Stranamente però la psicoanalisi, pur procedendo nell'analisi di tutti i processi psichici, e delle emozioni in particolare, sembra usare la qualità erotica come elemento noto in base al quale spiegarne altri incogniti e non come fenomeno esso stesso da indagare: la psicoanalisi ha finora considerato la sessualità come explanans anziché‚ come explanandum.

Al contrario dovremmo analizzare, nello specifico senso psicoanalitico, il piacere sessuale: non soltanto nell'osservare le varie condizioni in cui esso si verifica, e neppure soltanto supponendo, per certi fenomeni, un piacere sessuale inconscio: anche quest'ultimo concetto è a mio avviso semplicistico. Potremmo invece focalizzare l'attenzione sulla processualità inconscia che produce il piacere, sia esso riferito dal soggetto, che inferito dal suo comportamento. Una tale indagine è a mio avviso fuorviata nella misura in cui la psicoanalisi si riferisce al modello concettuale freudiano della teoria della Libido. Tale modello, in quanto energetico, porta l'accento sul biologico, presupponendo, con il concetto di pulsione, un elemento da usare come explanans dello psichico.

Altrettanto attenzione potremmo rivolgere a tutte le altre manifestazioni della sessualità, soprattutto a quelle considerate normali, che troppo spesso vengono usate come explanans, anziché‚ essere analizzate come explananda. L'enorme variabilità interindividuale che caratterizza le manifestazioni sessuali ci introdurrà allora a quanto di latente in esse è racchiuso delle strutture profonde del singolo individuo.

 

 

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Le domande iniziali del presente articolo (Perché proviamo attrazione sessuale, Perché il piacere sessuale è così particolare, come si origina il desiderio eterosessuale) ed altre consimili diventano allora, da semplici che parevano, complesse ed enigmatiche. Forse per questo la psicoanalisi, da qualche lustro, è più sommessa a proposito della sessualità? Forse Perché al di sotto v'è un abbandono non esplicitato di una parte della teoria freudiana?

Da qualche decennio si sono lentamente affermati modelli costruttivistici della mente, iniziando da Kelly (1955) lungo la scia neopiagetiana e cognitivista (Maturana, Varela, 1985; Watzlawick, 1986; Doise, Mugny, 1987; Gilli, Marchetti, 1992; Ford, Lerner, 1993; Camaioni 1993; Harrè , Gillett, 1994). Comune denominatore di tali modelli è l'idea che la mente è un'autocostruzione, che parte dalle prime esperienze dell'individuo. Penso che a ragione si possano considerare alcuni sviluppi della psicoanalisi come convergenti, rispetto ai citati studi di altre discipline psicologiche, e che si possa parlare di un costruttivismo psicoanalitico (Imbasciati, 1996). Ovviamente il punto di vista psicoanalitico esplora la costruzione in quel particolare contesto che chiamiamo relazione, a partire dalle relazioni primarie; forse anche fetali (Imbasciati, Manfredi, Tommasoni, 1997); ed esplora l'apprendimento in corrispondente suo specifico modo.

E' possibile a mio avviso, in un modello costruttivistico, inquadrare la costruzione della dimensione sessuale in modo da poter rispondere, o per lo meno meglio indagare, agli interrogativi che ho presentato. In questo quadro dovremmo studiare la patologia, per esempio l'omosessualità, con rinnovato interesse, ma solo dopo che avremo capito a sufficienza come si origini l'eterosessualità "normale".

A questi argomenti e per sviluppare una teoria psicoanalitica costruttivistica della mente, ho dedicato gran parte della mia ricerca, in molti lavori, anche in volume, sviluppando una mia particolare linea di pensiero, secondo un quadro teorico che permetta di spiegare la specificità così caratteristica che è propria dei vissuti sessuali, dell'attrazione e del piacere sessuale, nonché‚ la enorme variabilità interindividuale di tutte le manifestazioni sessuali. Il termine "dimensione" indica allora il carattere acquisito, psichicamente costruito, di questo aspetto dello sviluppo e delle funzioni della mente.

In questa sede non è possibile sintetizzare gli argomenti che mi hanno condotto alle concezioni teoriche che ho sviluppato nei miei lavori: essi sono citati nella presente bibliografia. Allo scopo di fornire un particolare saggio di una parte di questi, allego, alla presente memoria, fotocopia di parti di un capitolo di un mio libro, allo scopo di stimolare una eventuale maggior discussione. Posso qui accennare come l'acquisizione della dimensione sessuale e del suo orientamento venga delineata come processo di adattamento, nel senso di Hartmann (1939): a partire dai vissuti relativi alla dotazione anatomica e dalla comunicazione (cultura) che il soggetto recepisce fin da neonato, ed elabora nei contesti relazionali, si sviluppano strutture psichiche e conseguenti funzioni. La dimensione sessuale viene individuata come una linea di processi di simbolizzazione, che va dai primi oggetti interni, e dalle relazioni dalla cui elaborazione si originarono, fino alle relazioni adulte, e che fa parte costitutiva dello sviluppo simbolopoietico, ovvero, intrecciata con altre linee di processi di simbolizzazione, si individua come parte dello sviluppo mentale globale. In questo quadro lo sviluppo psicosessuale è una parte dello sviluppo cognitivo (1983).

Le suddette proposizioni sono inquadrate nella teoria da me delineata come ipotesi esplicativo-descrittiva dello sviluppo psichico globale, a partire dalle teorie neokleiniane e in particolare da Bion, ed indicata come teoria del Protomentale. Le origini della dimensione sessuale, dell'identità di genere, dell'orientamento sessuale, del piacere stesso, e di tutti i vissuti sessuali inconsci che noi analisti conosciamo, risiedono in processi che promanano dagli oggetti interni primari, dalle prime fantasie, dalle prime protorappresentazioni e da tutte le successive e progressive articolazioni simboliche che costituiscono, o meglio costruiscono, le strutture di sviluppo della mente.

Peculiarità della suddetta teoria è mantenere, oltre ad un vertice che si rifà ai concetti psicoanalitici suaccennati, un sovrapponibile vertice psicofisiologico, ipotizzando lo sviluppo delle progressive simbolizzazioni in termini di elaborazioni di tracce mnestiche derivate dall'esperienza sensoriale. Un tale secondo vertice può risultare a mio avviso utile per la clinica, in quanto l'attenzione ad esso potrà portare l'analisi a ricercare le esperienze sensoriali infantili, remote, delle differenti sensorialità, e come esse si sono intrecciate, integrate, o anche falsamente sovrapposte, a formare insieme con tutte le altre esperienze la struttura profonda del singolo individuo ed in essa quelle strutture che sono entrate a far parte della sua peculiare dimensione sessuale. In tal modo un'esplorazione di quest'ultima può essere utile chiave per un'esplorazione più globale della struttura psichica e delle sue origini dalle esperienze primarie.

 

 

 

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RIASSUNTO

 

Nella concezione psicoanalitica tradizionale l'origine della sessualità inquadrata nella teoria freudiana della Libido, viene individuata in una disposizione naturale variamente modulata dalle esperienze individuali. Il presupposto di una disposizione (o forza) naturale conduce ad indagare le cause di ogni psicopatologia sessuale, piuttosto che l'origine della normale eterosessualità. L'Autore, sulla base delle teorie della relazione d'oggetto e dei dati delle discipline psicologiche sperimentali, mostra come la considerazione di una tendenza "naturale" non possa, nella specie umana, spiegare le origini della sessualità. Queste sono pertanto da individuare essenzialmente nelle esperienze dell'individuo, a partire da quelle più infantili: in questo quadro acquista allora rilievo l'indagine su come si origini la normale eterosessualità, prima ancora di studi sul patologico. L'autore propone una sua teoria - Teoria del Protomentale, di cui indica i testi dal 1978 al 1994- quale quadro in cui può trovare spiegazione l'origine della dimensione sessuale, - di quella normale innanzitutto, e solo successivamente patologica- in base all'organizzazione affettivo-rappresentazionale delle esperienze attraversate dall'individuo.


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