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PSYCHOMEDIA
GRUPPALITÀ E CICLO VITALE
Terza Età



Madri anziane e figlie adulte: quali sentimenti?

di
Sandra Scibelli, Susy Zanardo, Salvatore Capodieci




Premessa

La madre è il primo oggetto d’amore per una figlia; è il suo punto di riferimento essenziale e il tramite per entrare in relazione col mondo esterno. La figlia viene accompagnata alla vita adulta attraverso la mediazione della madre in un percorso intriso di amore o di sofferenza. Si tratta di un rapporto principe (Charles M., 1999) dalla cui genealogia, struttura e dinamica derivano tutti i successivi rapporti, modellando le relazioni affettive, sociali e professionali di una donna.

La relazione madre-figlia è la base primaria dello sviluppo dell’identità nelle giovani donne; la madre infatti, proprio per l’importanza e la specificità della funzione materna (Chodorow N., 1991), è in grado di influire positivamente o negativamente la vita della figlia.

Sentirsi felicemente separata, nel corpo e nella mente, dalla propria madre consente a una donna di esistere come persona in cui è manifesta l’accettazione della propria singolare individuazione e insieme il proprio bisogno di dipendenza.

Nascere donna da una donna accentua la vicinanza, il contatto, la continuità, l’intimità corporea e simbolica con l’origine della vita, laddove nascere uomo da una donna implica maggiormente un processo di separazione, di taglio simbolico, individuazione, distanza.

 

Teorie Psicoanalitiche e letteratura femminile-femminista

Come noto, molti studiosi hanno indagato la relazione figlia-madre; Freud, per esempio, sollecitato anche da alcune colleghe psicoanaliste (Lou Andreas-Salomè, Ruth Mack Brunswick, Helene Deutch e altre), si interroga sulla specificità del femminile e sull’importanza della primitiva relazione fusionale-passionale tra madre e figlia. Egli riconosce l’esistenza nella figlia di un attaccamento preedipico estremamente intenso ed esclusivo per la madre che differenzia nettamente il suo percorso evolutivo da quello del maschio (Freud S., 1932). L’attaccamento preedipico si esprime in un legame caratterizzato da un’alternanza di desideri, passivi e attivi, in cui emerge la fantasia della bambina di dare un figlio alla madre. Il passaggio dall’attaccamento preedipico (omosessuale) all’amore edipico (eterosessuale) per il padre, attraverso il cambiamento dei desideri e modi d’essere della figlia, che abbandona ogni fantasia attiva di relazione con la madre, è finalizzato – nella lettura di Freud – ad acquisire la passività necessaria alla fase edipica. Tale passaggio è innescato dal risentimento verso la madre che non le avrebbe dato sufficiente nutrimento (per averla condivisa con altri fratelli, per aver eccitato e poi proibito l’attività sessuale e per non averla dotata del pene), e segnala l’abbandono del legame e il viraggio verso il padre. Freud rimarca quanto sia importante l’atteggiamento della bambina verso la madre per i suoi futuri rapporti con gli uomini: «Abbiamo da tempo osservato che molte donne hanno scelto il loro marito sulla base del modello paterno [...] ripetono ciononostante con lui nel matrimonio il loro cattivo rapporto con la madre. Egli doveva ereditare la relazione col padre e in realtà eredita quella con la madre» (S. Freud, 1931).

Melanie Klein, analizza in profondità lo sviluppo del rapporto primordiale, rintracciando l’importanza della rappresentazione e formazioni fantastiche che operano nell’inconscio e vengono proiettate sulla figura materna. Nel proprio mondo interno la bambina apprende progressivamente a contenere e integrare l’amore e l’odio per la madre, i desideri fusionali e le spinte distruttive, la necessità della separazione, l’invidia e la gratitudine al fine di superare almeno parzialmente la scissione degli aspetti buoni e cattivi dell’oggetto e dei forti impulsi avvertiti dentro di Sé; un atteggiamento affettuoso da parte della madre contribuisce alla riuscita del processo.

Tra i fattori interni assume importanza l’invidia, moto che insorge nella primissima infanzia ed è diretto al seno materno. La Klein ritiene fondamentale, nella fase edipica precoce, la componente della perdita d’importanza del seno materno (Klein M., 1957) come fonte di piacere orale. Mentre il bambino riversa gran parte dell’odio sul padre che possiede la madre, nella bambina i desideri di tipo genitale proiettati verso il padre le permettono di trovare un altro oggetto d’amore ma la madre diventa la rivale più importante: la bambina desidera sostituirsi a lei. In questa fase, l’invidia originaria si trasforma in gelosia che è un sentimento più accettabile e produce minor senso di colpa. L’invidia del pene nelle donne può così essere riportata all’invidia del seno materno e ai sentimenti distruttivi a essa collegati. Il rapporto carico di invidia verso la madre si manifesta in una rivalità edipica eccessiva, dovuta all’invidia verso la madre per il possesso del padre più che all’amore per il padre; in tal modo il padre sembra essere un’appendice della madre; in futuro, ogni successo nei rapporti con gli uomini diventerà una vittoria riportata su un’altra donna.

Winnicott intravede un processo di individuazione più complicato per la figlia femmina, forse come persona meno separata dalla madre rispetto al maschio, e con confini più permeabili. Questo aspetto la rende meno sola, ma anche più invischiata in giochi di rispecchiamento che rimbalzano tra le generazioni: nel rapporto con la donna-madre, le donne devono identificarsi con lei. Per ogni donna, vi sono sempre tre donne: la bambina, la madre, la madre della madre: «Nei miti appaiono costantemente tre generazioni di donne, oppure tre donne con funzioni diverse. Che abbia bambini o che non ne abbia, la donna si trova in questa sequenza senza fine; è al tempo stesso bambina, madre e nonna, o madre, fanciulla e bambina [...] Ella ricomincia da tre, mentre l’uomo comincia con l’urgenza di essere uno [...]. Essere uno, significa essere solo» (Winnicott D., 1964).

Luce Irigaray1 osserva come l’iscrizione femminile nell’ordine simbolico del padre implichi la rottura del legame filiale della donna con la madre.

In questo legame dimenticato intravede gli esiti di una rimozione originaria su cui sono stati costituiti i fondamenti della razionalità occidentale e della psicoanalisi. Nell’ordine patriarcale, infatti, la donna ammutolisce oppure esprime propri desideri femminili attraverso il sintomo, la malattia, il corpo. L’indagine di Irigaray verte sull’ “altro linguaggio”, quello censurato e rimosso, per rendere manifesta la differenza sessuale nel pensiero; le donne hanno bisogno di un luogo simbolico conforme all’esperienza femminile per la costruzione del quale è necessario ripensare la relazione con la madre quale paradigma di tutte le relazioni tra donne, facendo uscire questo rapporto dall’indistinzione e dallo stato oppressivo per trovare immagini e mediazioni appropriate al femminile.

Dagli anni Settanta vengono attuate forme teoriche e politiche di articolazione delle potenzialità inesplorate del femminile. Alcune riflessioni provengono dalle pratiche maturate nel femminismo italiano della differenza che lavora sulla figura simbolica della madre e sulla pratica della relazione privilegiata tra donne (detta affidamento) come riconoscimento del debito originario verso la madre; in tale contesto si articolano le successive riflessioni sull’autorità femminile, l’ordine simbolico della madre e la lingua materna.

La capacità della lingua materna si esprime nell’annodare linguaggio ed esperienza, parole e corpo: ciò si realizza nell’ordine simbolico che impariamo nella relazione primaria con la madre. L’acquisizione da parte della figlia dell’ordine simbolico della madre consentirebbe alle donne di aprire lo spazio per la dicibilità dell’esperienza femminile, sostituendo alcuni sentimenti negativi, quali rivalità, avversione e invidia, con la gratitudine nei confronti della madre. In questo contesto, la relazione madre-figlia viene percepita come la forma simbolica generatrice di nuovi rapporti sociali non assoggettati all’adeguamento della norma e della legge (Muraro L., 2006).

Gli studi psicoanalitici più recenti hanno mostrato la correlazione tra il legame con la madre e l’insorgenza di alcuni quadri psicopatologici, in linea con l’intuizione freudiana che esprime «Il sospetto che esista una relazione particolarmente intima tra questa fase del vincolo materno e l’eziologia dell’isteria [...] e che in questa dipendenza dalla madre si trovi il germe della futura paranoia della donna» (Freud S., 1932)

Il sintomo isterico oggi sembrerebbe essere più raro, in quanto la configurazione culturale odierna lascia il passo a nuove forme psicopatologiche in cui il corpo rappresenta ancora il luogo privilegiato e il teatro di un profondo disagio. Si tratta, per esempio, di disturbi alimentari, come l’anoressia nervosa, la cui eziopatogenesi è correlata alla relazione madre-figlia: accade che la madre si prenda cura della figlia principalmente in funzione dei propri bisogni, pregiudicando sin dal suo sorgere lo sviluppo di un sano senso di Sé: e il rischio è quello di vivere come un’estensione o un’appendice della madre senza riuscire a sviluppare un’adeguata individualità e ad acquisire il senso di autonomia (Notman M.T., 2006).

Secondo alcune psicoanaliste contemporanee (Klein M., 1932), la figlia percepisce il proprio corpo come cavo e avverte inconsciamente che il suo corpo contiene bambini allo stato potenziale (pur avendo dubbi rispetto alla possibilità di generarli), sente di avere molti svantaggi rispetto alla madre. Ciò la espone a un carico di sentimenti di angoscia e rivalità per il corpo materno, popolati da una solitudine profonda e incolmabile che spesso abita il mondo femminile adulto a seguito di questa remota esperienza infantile (Buzzatti G., Salvo A., 1995). Ciò dà luogo a fantasie distruttive che generano sensi di colpa e fantasie di essere a propria volta distrutta dalla madre. La madre è però anche l’unico suo oggetto d’amore, colei che le dona protezione e cura, per cui convengono verso la madre pulsioni aggressive e libidiche che producono un grado elevato di ambivalenza. Il conflitto con la madre non può essere sostenuto a lungo, pertanto la bambina tenderà a coprire con un velo di rimozione tutti i desideri distruttivi e i sentimenti ostili, respingendoli nell’inconscio. Accanto alla rimozione si aprirà anche un processo, che durerà tutta la vita, di rielaborazione dei sentimenti ostili verso la madre (e i genitori congiunti).

 

Eredità psichica rispetto al materno: i confini tra normalità e patologia

L’eredità psichica rispetto al materno investe la dimensione trigenerazionale della funzione materna e porta nell’esperienza clinica il problema della terza generazione (figlia). La presenza di un residuo psichico non elaborato o che non si modifica e che passa in questo stato grezzo di madre in figlia, fino a produrre una ferita manifesta, è correlato ai contenuti inconsci della madre in rapporto alla propria madre.

In tal caso, l’analisi dovrebbe avventurarsi a ritroso nei territori emotivi della relazione materna trigenerazionale per rintracciare il senso di tutto ciò che la figlia si trova a incarnare, sia come eredità vivente di quella relazione sia come vincolo riparativo delle falle di tale relazione, ciò che paradossalmente la pone in posizione di madre della propria madre.

L’eredità psichica inconscia rispetto al materno è costituita dai bisogni infantili della madre che non sono stati sufficientemente riconosciuti e non hanno avuto alcuna riparazione, essendo rimasti allo stato grezzo, e possono pertanto risvegliarsi in seguito a eventi traumatici. La figlia difficilmente riesce a sottrarsi alla sua "missione riparatrice", che impegna il materno di due generazioni in una dimensione temporale di sincronicità. Nell’angoscia delle donne che chiedono aiuto all’analisi, non è difficile trovare relazioni madri-figlie di tipo parassitario e tirannico, in cui il prezzo pagato dalla figlia per far vivere la madre è la propria alienazione, provocata dalla richiesta inconscia della madre di dipendere dalla figlia per la propria vita psichica: è questo un carico di responsabilità che la vincola attraverso il fantasma del crollo della relazione.

La figlia pensa di evitare il crollo della relazione attraverso un modellamento inconscio del proprio essere che implica la costruzione di un falso Sé, fatto a immagine e somiglianza della donna che viene dall’inconscio materno: ciò va di pari passo con lo svuotamento dei propri contenuti emotivi e comporta la perdita di memoria come funzione emotivo-soggettiva. Queste figlie si sentono custodi dell’equilibrio della propria madre e, assumendo la veste inconscia del falso Sé, rinunciano a incarnarsi nella propria identità. Il vincolo, poi, rinforza l’alienazione poiché costituisce l’unica forma di accesso a un riconoscimento, anche se si tratta di un surrogato illusorio.

L’esito di una tale relazione è il "sequestro segreto" dentro di Sé della dimensione del negativo materno che si confonde con quello; la figlia avrebbe bisogno di liberarsi della falsa identità, funzionale solo alla relazione con la madre.

Nelle forme di alienazione funzionali alle problematiche materne, un percorso psicoanalitico può offrire il tempo e lo spazio in cui rintracciare possibilità di senso, attraverso l’apertura di squarci sulla realtà delle relazioni delle madri con le loro madri, che può essere molto diversa da quella costruita nelle narrazioni e nei miti familiari. Ciò rende possibile l’allentamento del circuito dei sentimenti legati alla rabbia distruttiva e alla colpa vincolante.

La rappresentazione di queste immagini di alienazione del Sé evidenzia la struttura di "sutura psichica" che una figlia opera sull’essere della madre. A uno sguardo più approfondito, si coglie l’elemento vitale che un crollo emotivo può comportare, il quale rappresenta, in queste esistenze mancate, l’unico accesso possibile allo sgretolamento del falso Sé. Il falso Sé risponde alla domanda inconscia materna ed è finalizzato alla salvaguardia del rapporto materno e della madre stessa. Un crollo emotivo è anche via di apertura alla crisi psichica che rende possibile l’esperienza di prossimità massima e di massima distanza dal proprio nucleo autentico.

Dalla crisi2, quindi, può iniziare un processo di analisi attraverso una rifondazione del tempo e della storia che prendono forma nella separazione dalla sostanza psichica della madre; ciò avviene anche separando il tempo della madre da quello della figlia, attraverso la rinuncia all’onnipotenza del materno. Solo allora si possono scorgere le potenzialità di un materno svincolato dall’onnipotenza: una madre e una figlia alleate nella condivisione della condizione di orfane di un materno onnipotente (Faccincani Gorreri C., 2007).

 

Narrazione e psicoanalisi del conflitto

Esiste un piano segreto, inquietante e nascosto, quello che Freud chiama realtà psichica, in cui risiedono le cognizioni e i fantasmi in grado di muovere le parti più profonde (e rilevanti per noi), tanto quanto la realtà empirica nella quale si svolge la nostra esistenza. Tra inconscio e principio di realtà si pone un altro livello di esperienza conoscitiva che è la sfera dell’immaginario e dei sogni ad occhi aperti.

La psicoanalisi ci invita a pensare che il racconto della propria storia nasce dalla tessitura di molte e differenti trame in cui si intrecciano aspetti che a volte abbiamo immaginato insieme ad altri che sono realmente accaduti. Freud parla di “romanzo familiare” per definire lo spazio e la forma in cui ciascuno racconta la propria storia. In questo luogo, sospeso tra desideri e realtà, noi ondeggiamo quando esponiamo il racconto di chi siamo, di cos’è stata la nostra vita, proiettando spinte inconsce, desideri, ricordi e fantasie. Proprio in questo spazio di transizione si colloca il rapporto madre-figlia; è lo spazio dove risiedono e risuonano gli affetti di cui talvolta siamo consapevoli e altre volte no. Nel caso di un conflitto di cui non c’è consapevolezza, accade che esso non venga cancellato, ma rimosso e come chiuso a chiave: questo materiale resta silente e spesso, a distanza di tempo, inconsapevolmente e inaspettatamente, può prendere forma espressiva e manifestarsi nei comportamenti, in ciò che uno fa, afferma o nega.

Alcuni conflitti riguardano la protezione e l’autenticità: le madri infatti desiderano proteggere le figlie dal dolore o dall’intensità dei loro bisogni relazionali ma allo stesso tempo le bambine sono sintonizzate sui sentimenti delle madri e li percepiscono.

I rapporti conflittuali madri–figlie nascono anche quando le madri proiettano sulle figlie ideali irrealistici: in questi casi la figlia può sentirsi rifiutata nella sua unicità e accettata solo quando ripete il copione che la madre inconsciamente le ha assegnato. Non è un caso che i conflitti si esasperino molto spesso nella fase adolescenziale, quando le ragazze iniziano a distinguersi dalla propria madre per idee scelte di vita e a diventare donne con una loro distinta personalità. Può essere difficile per una madre lasciar vivere la figlia come persona nel rispetto della sua unicità, per una figlia è altrettanto complesso comunicare a sua madre “io sono diversa da te”, soprattutto quando, dall’altra parte, viene criticata e giudicata.

Sono molti i problemi psicologici che possono scaturire da un rapporto disturbato fra madre e figlia: le problematiche legate al cibo (bulimia, anoressia), al sesso (gravidanze premature), al mondo emotivo (ansia, depressione, perdita dell’autostima) e relazionale (dipendenza dal partner, incapacità di raggiungere autonomia e indipendenza).

Le patologie anoressiche, quelle isteriche, nonché molte problematiche legate all’infertilità e gravidanza, sono espressione di silenti sintomatologie corporee, per cui la donna rifiuta e rinnega la propria femminilità. E’ quindi fondamentale per una donna la pensabilità della propria potenzialità procreatrice come condizione perché tale processo possa avvenire: infatti «la disponibilità dell’immaginario materno è necessaria alla nascita del pensiero, così come quella del suo corpo è indispensabile alla nascita biologica» (Vegetti Finzi S., 1982).

L’anoressia è un problema complesso: il rifiuto del cibo è un enigma su cui ancora ci si interroga e per il quale esistono diverse interpretazioni. Molte ragazze affermano che il loro disturbo alimentare è legato al rapporto con la madre3 ; alcune giovani figlie raccontano di aver avuto madri anoressiche e di esserlo a loro volta diventate; altre riferiscono un rapporto molto intenso con le loro madri tanto che la loro unica preoccupazione era quella di non deluderle. Altre ancora hanno sempre vissuto la madre come un ostacolo, una rivale.

Nell’anoressia i segnali corporei che vengono consegnati al visibile rivelano il legame con la maternità. Il primo segnale allude alla scomparsa del corpo materno: infatti si svuotano i seni, i fianchi, il ventre, viene cioè persa quella rotondità che caratterizza la femminilità materna; poi scompare il ciclo mestruale e la sedentarietà viene sostituita da una coatta motilità. Accade quindi che il corpo femminile lascia lo scettro a un corpo androgino in cui vengono cancellate le componenti generative.

Può accadere anche che una madre sia complice delle violenze perpetrate sulla figlia, negando che il fatto non sia accaduto. Nella figlia può innescarsi una sorta di negazione del proprio corpo, oppure un desiderio esagerato verso il cibo, per compensare sentimenti di trascuratezza e abbandono.

Alcune patologie somatiche sono riconducibili all’esperienza non elaborata delle prime relazioni con una madre fusionale; in questo caso non si riuscirà ad aprire il corpo a una sana sessualità (Mc Dougall J., 1990). Il corpo così porta i segni di un abbandono da parte della madre, incapace di proteggere e difendere la figlia, fino ad arrivare a rompere il patto di fiducia e amore con la figlia. Flessibilità, autorevolezza e affetto sono gli elementi di una equilibrata e sana relazione che consenta alla figlia di essere se stessa, di esprimere i propri bisogni e coltivare i propri desideri, soprattutto nei momenti in cui arrivano le crisi emotive tipiche dell’adolescenza, quando massimo e determinante è il bisogno di sostegno. Aiutare una figlia nella crescita significa capire i momenti di inquietudine, irrequietezza e sfida che vanno eventualmente contenuti. Significa adottare un comportamento autorevole, capace di dare regole motivate per crescere e imparare a vivere la propria differenza sessuale. Occorre perciò lasciare aperta la modalità della comunicazione e del dialogo, per bloccare e scoraggiare incomprensioni che aprono la via ai disagi e al soffocamento dell’espressione della personalità.

 

Riconnettersi con la propria madre e ambivalenza dei sentimenti

C’è un aspetto della relazione madre-figlia, poco indagato ma notevolmente complesso per le dinamiche coinvolte, che invita a un gesto d’amore verso la madre, al quale le figlie non sempre sono preparate perché richiede il superamento di posizioni condizionanti, radicate e irrigidite nel tempo: si tratta della capacità di perdonare la madre.

La volontà di riconciliazione con la propria madre, nonostante i suoi errori e comportamenti negligenti, è irradiata dal desiderio di superare ed elaborare la parte dolorosa e scomoda, recuperando invece la parte buona che ci accompagna nel presente e nel futuro. Ciò è reso possibile dalla rivisitazione dei sentimenti provati verso la madre, implica una rinegoziazione di parti intime e consente di maturare l’esperienza soggettiva delle emozioni negative che hanno connotato fino a quel momento il rapporto con la madre.

La capacità di perdonare produce un’apertura dello scenario, che consente alla figlia di riconnettersi con la propria madre. L’efficacia di tale atto è massiva nel caso in cui la madre sia ancora in vita, prima che venga meno l’ultima occasione di crescita comune all’interno di questo speciale legame.

In termini logoanalitici, il significato della morte della madre è qualcosa di intimo, profondo, quasi indicibile: il sentimento che essa genera non è paragonabile a nessun altro dolore: la morte della madre è l’anticipo della propria perchè la morte della persona che ci ha concepito, cullato dentro il proprio corpo, accudito e curato. Non basta tagliare il cordone ombelicale per recidere tale legame; la sua carne è la nostra carne, il suo corpo è un’estensione del nostro (e viceversa), pertanto quando fisicamente lei muore, muore una parte o il principio di noi. Riconnettersi con la propria madre e con se stesse imparando ad amarsi per mezzo dell’amore verso la madre, apre alla fortificazione del proprio io, di tutta la persona in una dimensione di maggiore libertà e autenticità.

E’ opportuno a questo punto esplorare i sentimenti coinvolti nella relazione madre-figlia 4. Il sentimento è una condizione affettiva, un modo con cui la persona vive i propri stati soggettivi e gli aspetti del mondo esterno (Galimberti U., 2005). Ogni sentimento ha in Sé un’aspirazione che se viene delusa, si trasforma in risentimento; è perciò essenziale distinguerlo dal sentimento poiché il risentimento resta attaccato al soggetto come una funzione passiva e ostacolante, laddove i sentimenti generalmente spingono ad agire.

Diversi studi e ricerche empiriche sottolineano in particolare l’ambivalenza dei sentimenti tra madre e figlia: il legame con la madre, infatti, talvolta può essere vissuto come imprigionante, competitivo, con un carico eccessivo di sentimenti di rivalità o invidia5. La madre può, a sua volta, essere invidiosa della giovinezza della figlia, che allude sessualità e fertilità (Notman M.T., 2006), perdute per sempre dalla madre. Madre e figlia possono anche evitare la profondità dei sentimenti di connessione per paura dell’intensità.

Il peso della figura materna può essere esasperante, quando il legame non si svolge in un confronto o dialogo, o quando la figlia non sperimenta fino in fondo il beneficio della separazione; si invischia allora alla madre o fugge da lei attraverso la celebrazione o l’evitamento o, ancora, la rimozione del modello che lei aveva proposto.

La passione totalizzante e disperante verso la madre provoca anche sentimenti carichi di rancore che insistono nel mostrare ciò che dalla madre non si è avuto. Il rancore della figlia nasce da cognizioni granitiche dure a sgretolarsi, perché non si è sentita messa sul trono dalla madre o non è stata abbastanza amata. Si tratta spesso di bilanci affettivi negativi che richiedono un qualche risarcimento, ma che lasciano trapelare anche un’attesa magica o il desiderio nascosto di un cenno da parte della madre, di un qualche dono mai ricevuto prima. Non è pertanto raro incontrare e ascoltare una figlia che attende all’infinito che la madre la risarcisca di ciò che non ha saputo o voluto darle durante l’infanzia e l’adolescenza, o che gli altri oggetti d’amore e l’esistenza stessa compiano quest’opera di riparazione a modo di indennizzo affettivo. La moltiplicazione delle narrazioni sulla madre, allora, rappresenta per la figlia uno dei modi per alleggerire le tensioni profonde che insistono sul legame; è un tentativo per trattenere nel mondo interno una figura materna il più possibile benevola.

In altri casi il rapporto tra madre e figlia può generare sentimenti svalutanti nei confronti della madre, quando la figlia ha difficoltà a identificarsi con lei perché la sente come storicamente perdente. Ciò accade quando la madre si è arresa e ha abbandonato le sue ambizioni, i sogni spesso legati a una professione, per il bene della famiglia. Le figlie preferiscono allora identificarsi con il padre che, in genere, è una persona realizzata nel lavoro, con riconoscimenti e soddisfazioni sociali. Da qui possono nascere degli scontri con la madre, soprattutto nelle figlie con madri appartenenti a famiglie di tipo tradizionale.


La ricerca

È stato realizzato uno studio retrospettivo per verificare l’ipotesi dell’esistenza e l’intensità di correlazioni tra sentimenti e percezioni di Sé, da parte di figlie adulte dai 40 ai 55 anni di età nei confronti delle loro madri. Il campionamento è stato non probabilistico a grappolo e il campione ha risposto al questionario tramite compilazione diretta via web e, in via residuale, mediante l’inserimento della medesima scheda qualora compilata in formato cartaceo

La ricerca ha preso in considerazione i sentimenti provati dalle figlie per la madre in tre periodi della vita: infanzia, adolescenza ed età adulta. I sentimenti indagati sono stati: amore, senso di colpa, imbarazzo, orgoglio, gelosia e invidia;

Gli obiettivi della ricerca sono:

1. verificare il sussistere di correlazioni tra le risposte agli item del questionario (da 2 a 7) riguardanti Autostima, Autonomia e Dipendenza;

2. verificare il sussistere di correlazioni tra le risposte agli item del questionario (da 2 a 7) riguardanti Autostima, Autonomia e Dipendenza e l’intensità dei sentimenti di Amore, Senso di colpa, Imbarazzo, Orgoglio, Gelosia e Invidia provati nelle tre fasi della vita considerate;

Item (da 02 a 07) e dimensioni considerate

item

Dimensione

02. Mia madre ha la capacità di farmi sentire colpevole per qualcosa o verso qualcuno.

Dipendenza

03. Spesso ho la sensazione che ciò che dico o faccio venga percepito da mia madre come non buono.

Autostima

04. Mi scopro ad agire come una donna adulta eccetto quando sono vicina a mia madre.

Autonomia

05. Non impedisco a mia madre di intervenire nel mio matrimonio e nella mia vita privata.

Autonomia

06. I sentimenti che nutro verso mia madre a volte comportano una esagerata attrazione o un rifiuto del cibo.

Dipendenza (fame d’amore)

07. Vivo nella speranza che un giorno mia madre cambi apprezzandomi e diventando accogliente verso di me e ciò che dico.

Dipendenza

 

Risultati

Gli esiti della ricerca sono emersi dalle risposte raccolte dal campione di n. 200 questionari di cui 167 con madre vivente (83,5%) e 33 con madre non vivente (16,5%). Si veda la distribuzione di frequenza delle risposte da 2 a 7 e i Grafici delle distribuzioni di frequenza nelle Tabelle 1 e 2.

Le variabili considerate risultano indipendenti rispetto all’esistenza in vita della madre delle intervistate e l’item 5 (Autonomia in ambito della vita privata) è l’unica che non risulta correlata alle altre. Si può ipotizzare che o l’item ha suscitato una reazione che ha causato un “falso negativo” oppure che, l’ambito della propria vita familiare è circoscritto da un perimetro difensivo invalicabile anche in soggetti nei quali le altre variabili hanno un riscontro positivo. Si potrebbe anche ipotizzare una reazione di pudore o, ancora, il desiderio di “tenere segreto” il forte legame persistente con la madre che ci riporterebbe a una affermazione negativa di autonomia.

Considerando la quantità di correlazioni emerse, si rileva l’esistenza di un legame multidimensionale la cui solidità ricorda l’intreccio dei trefoli che compongono una cima all’interno della quale scorrono gli elementi vitali essenziali per il mantenimento di questo rapporto.

La Tabella 2 è stata costruita prendendo in considerazione gli item da 02 a 07 già in Tabella 1 (Dimensioni di Autostima, Autonomia e Dipendenza) e l’intensità dei sentimenti provati (Amore, Senso di colpa, Imbarazzo, Orgoglio, Gelosia, Invidia) in tre diversi periodi della vita (infanzia, adolescenza, età adulta).

Distribuzione di frequenza delle risposte da 2 a 7 (autonomia, autostima)

Dato aggregato (tutti gli intervistati: con madre vivente e madre non vivente)

Item

Risposta

Frequenza

%

02. Mia madre ha la capacità di farmi sentire colpevole per qualcosa o verso qualcuno.

Vero

92

46%


Falso

108

54%

03. Spesso ho la sensazione che ciò che dico o faccio venga percepito da mia madre come non buono.

Vero

82

41%


Falso

118

59%

04. Mi scopro ad agire come una donna adulta eccetto quando sono vicina a mia madre.

Vero

36

18%


Falso

164

82%

05. Non impedisco a mia madre di intervenire nel mio matrimonio e nella mia vita privata.

Vero

33

16.5%


Falso

167

83.5%

06. I sentimenti che nutro verso mia madre a volte comportano una esagerata attrazione o un rifiuto del cibo.

Vero

28

14%


Falso

172

86%

07. Vivo nella speranza che un giorno mia madre cambi apprezzandomi e diventando accogliente verso di me e ciò che dico.

Vero

43

21.5%


Falso

157

78.5%

I sentimenti che hanno maggior significatività sono risultati: Amore, Senso di colpa e Imbarazzo. In particolare:

- la Dipendenza, item 2, trova picchi di corrispondenza (Amore, Senso di colpa, Imbarazzo) nell’infanzia e poi culminano nell’età adulta; i valori dell’adolescenza, per quanto validi, sono inferiori. L’Orgoglio durante l’infanzia è un’ulteriore componente;

- L’Autostima all’item 3 è, invece, correlata a un numero superiore di sentimenti: Amore, Senso di colpa, Imbarazzo, Orgoglio e Gelosia. L’amore, che segue il medesimo andamento dell’item 2, ha un valore culminante in età adulta. Il senso di colpa ha andamento decrescente. L’imbarazzo è costante con flessione in adolescenza. A questi si aggiungono Orgoglio in età adulta e Invidia in età adolescenziale;

- L’Autonomia all’item 4 è correlata ad Amore, Senso di colpa e Imbarazzo. Purtroppo il valore che riguarda l’Imbarazzo in età adulta non ha raggiunto validità poiché il valore di due celle attese è risultato inferiore a 5. Sarebbe interessante verificare, su una più ampia base di campionamento, se tale valore (alto ma non valido) possa rientrare tra i validi;

- Gli item 5 e 6, Dimensioni Autonomia e Dipendenza verso il cibo, anche laddove potrebbero indicare correlazioni, non permettono di validare l’ipotesi per la presenza di celle con valori attesi <5. Per l’item 5 vale quanto già evidenziato per il risultato in Tabella 1;

- L’item 7 ha, come nell’item 2, corrispondenze nei sentimenti di Amore, Senso di colpa e Imbarazzo. L’andamento nel tempo è invece di tipo crescente rispetto all’età. Di più, osservando i valori del sentimento di Imbarazzo, validi e crescenti nel tempo (passano da 15,72 a 21,58 e ben 39,36 in età adulta – valore massimo riscontrato), si potrebbe ipotizzare l’origine dello scudo difensivo che cela i valori degli item 5 e 6 relative ad Autonomia e Dipendenza.

Dato disaggregato (intervistati: con madre vivente: MV e con madre non vivente: MNV)

Item

Stato madre

Risposta

Frequenza

%

02. Mia madre ha la capacità di farmi sentire colpevole per qualcosa o verso qualcuno.

Vivente (MV)

Vero

76

38%



Falso

91

45.5%






02. Mia madre ha la capacità di farmi sentire colpevole per qualcosa o verso qualcuno.

Non vivente (MNV)

Vero

16

8%



Falso

17

8.5%

03. Spesso ho la sensazione che ciò che dico o faccio venga percepito da mia madre come non buono.

MV

Vero

65

32.5%



Falso

102

51%






03. Spesso ho la sensazione che ciò che dico o faccio venga percepito da mia madre come non buono.

MNV

Vero

17

8.5%



Falso

16

8%

04. Mi scopro ad agire come una donna adulta eccetto quando sono vicina a mia madre.

MV

Vero

32

16%



Falso

135

67.5%






04. Mi scopro ad agire come una donna adulta eccetto quando sono vicina a mia madre.

MNV

Vero

4

2%



Falso

29

14.5%

05. Non impedisco a mia madre di intervenire nel mio matrimonio e nella mia vita privata.

MV

Vero

30

15%



Falso

137

68.5%






05. Non impedisco a mia madre di intervenire nel mio matrimonio e nella mia vita privata.

MNV

Vero

3

1.5%



Falso

30

15%

06. I sentimenti che nutro verso mia madre a volte comportano una esagerata attrazione o un rifiuto del cibo.

MV

Vero

21

10.5%



Falso

146

73%






06. I sentimenti che nutro verso mia madre a volte comportano una esagerata attrazione o un rifiuto del cibo.

MNV

Vero

7

3.5%



Falso

26

13%

07. Vivo nella speranza che un giorno mia madre cambi apprezzandomi e diventando accogliente verso di me e ciò che dico.

MV

Vero

32

16%



Falso

135

67.5%






07. Vivo nella speranza che un giorno mia madre cambi apprezzandomi e diventando accogliente verso di me e ciò che dico.

MNV

Vero

11

5.5%



Falso

22

11%

Conferme alle osservazioni sopra esposte provengono dalla lettura di un certo numero di articoli pubblicati su riviste scientifiche internazionali. In particolare, la forza della relazione madre-figlia, in accordo con lo studio sulle relazioni personali di Fingerman (1998), non risulta inficiata dalle tensioni interpersonali e dalla conflittualità; è basata piuttosto su un approccio costruttivo da entrambe le parti. Anche dalla percezione dei conflitti – indagata da Fingerman (1995), attraverso la valutazione del grado di coinvolgimento percepito da madri e figlie, in comportamenti di tipo costruttivo, distruttivo o evitante – emerge che la forza della relazione è al di sopra degli aspetti conflittuali. A riprova, sia le madri che le figlie hanno riferito di utilizzare approcci costruttivi: le madri hanno dichiarato di utilizzare approcci costruttivi più di quanto le figlie abbiano percepito e le figlie hanno riferito di attuare comportamenti distruttivi o evitanti più di quanto le madri abbiano compreso.

E’ evidenziata anche la correlazione positiva tra senso di colpa e peso degli oneri nel caregiver (Gonyea J.G. et al., 2008); ciò apre a una riflessione sulle vere possibili motivazioni alla base del rapporto tra caregiver figlia e madre assistita (amore o senso di colpa? Vissuti ambivalenti).

L’ambivalenza delle madri verso le figlie adulte (Pillemer K.L., Suitor J.J, 2002), tema ancor poco trattato in studi scientifici, evidenzia – poiché le variabili predittive di ambivalenza, vicinanza e stress sono diverse – che sentimenti ambivalenti nella relazione madre-figlia e lo sviluppo inadeguato delle madri sono predittivi del fallimento nel raggiungimento dello status "adulto" della figlia e della sua indipendenza economica.

 

Conclusioni

Il presente lavoro conferma la centralità della relazione madre-figlia, quale luogo privilegiato e insostituibile lungo tutta l’esistenza di una donna, come emerge dalla correlazione dei dati fra i sentimenti della figlia per la madre e la percezione di Sé della figlia; nascere dello stesso sesso della madre dà un vantaggio relazionale notevole ma pone anche altrettanto intensi problemi di individuazione e separazione.

Nello studio viene evidenziata la permanenza della relazione madre-figlia nel tempo, anche quando le madri invecchiano o muoiono e le figli diventano adulte. Da una parte, resta l’attesa magica di un risarcimento da parte della madre, quando saprà decodificare e rispondere alla domanda di amore della figlia, la cui aspettativa sembrerebbe rispecchiare il desiderio primario di saturazione della domanda di “tutto” che ogni figlia (piccola) rivolge alla madre e che continua a rimpiangere (da adulta) per non aver sperimentato. Assegna così alla madre risvolti di onnipotenza struggente e irrealistica. Dall’altra, le figlie oramai adulte, riflettono in modo retrospettivo su questo rapporto che si rivela fondamentale in prospettiva transgenerazionale.

Ne emerge che madre e figlia condividono il genere e l’identificazione nello stesso ruolo sociale; il ruolo della figura materna è basilare nel fornire alla figlia un modello di identificazione nonché la fonte di supporto e incoraggiamento per sviluppare un sano equilibrio interiore, in grado di determinare la specificità dell’essere donne, declinata in ruoli e status individuali adulti. Lo studio sperimentale ha evidenziato soprattutto la potenza della relazione e il carattere di ambivalenza che soggiace ai sentimenti insiti nella relazione. La potenza della relazione viene espressa anche dal "non detto" e da alcune contraddizioni che emergono nelle risposte date, sia in relazione al rapporto con la madre sia in riferimento ai sentimenti provati. La figlia, pur consapevole di alcuni limiti e fragilità nel rapporto con la madre, tende a nascondere o minimizzare i punti critici. Proprio di fronte a queste criticità, si innesca un’azione tesa a salvaguardare la propria madre da una qualsiasi visibilità e criticabilità pubblica, come a dire: “esiste un perimetro intimo invalicabile, un luogo che ammette gli omissis”.

Complessivamente, le risposte che emergono dalla somministrazione del questionario sembrerebbero evidenziare la difficoltà di madri e figlie a trovare immagini e mediazioni appropriate al femminile, a esplicitare un luogo simbolico e un linguaggio in grado di formulare una sintassi evolutiva e una articolazione discorsiva. Lavorando sulle figure di affidamento e di accettazione dell’autorità femminile, si tratterebbe di creare una forma di alleanza tra madri e figlie capace di abbandonare l’illusione dell’onnipotenza materna in nome della gratitudine.

La figlia avverte frequentemente nella madre una rivale, una sorta di presenza potente che la depriva dalle sue aspettative, la disconferma o le chiede di risarcire le proprie ferite e sostenere la sua dolorosa fragilità. L’ambivalenza è parte della struttura della relazione della quale la bambina prende coscienza sin dall’infanzia nel percepire la madre-oggetto e la madre-ambiente.

Nell’educare la figlia, la madre ripete gli schemi educativi vissuti (Charles M. et al., 2001) ed ereditati dalla propria madre. L’amore verso la figlia perciò non risulta libero dal proprio passato di figlia dal quale non riesce a distanziarsi. Finisce così per domandare alla propria figlia la riparazione di una lontananza, vera o presunta, ingiustizia subita.

Da quanto emerso, si intravede l’opportunità di proseguire la ricerca empirica, in continua evoluzione (Shrier D.K et al., 2004), orientandola allo studio e alla comprensione del carattere ambivalente dei sentimenti nella relazione madre-figlia (Lefkowitz E.S., Fingerman K.L., 2003), anche in vista di possibili prospettive utili alle attività psicoterapiche.

 

ALLEGATO

questionario 6

0. Tua madre è vivente?

01. Il questionario è indirizzato a donne tra i 40 e i 55 anni. Puoi indicare la tua età?

02. Mia madre ha la capacità di farmi sentire colpevole per qualcosa o verso qualcuno.

03. Spesso ho la sensazione che ciò che dico o faccio venga percepito da mia madre come non buono.

04. Mi scopro ad agire come una donna adulta eccetto quando sono vicina a mia madre.

05. Non impedisco a mia madre di intervenire nel mio matrimonio e nella mia vita privata.

06. I sentimenti che nutro verso mia madre a volte comportano una esagerata attrazione o un rifiuto del cibo.

07. Vivo nella speranza che un giorno mia madre cambi apprezzandomi e diventando accogliente verso di me e ciò che dico.

08. Nel corso dell’infanzia come definiresti l’intensità dell’amore provato nei confronti di tua madre?

09. Nel corso dell’adolescenza come definiresti l’intensità dell’amore provato nei confronti di tua madre?

10. Nel corso dell’età adulta come definiresti l’intensità dell’amore provato nei confronti di tua madre?

11. Nel corso dell’infanzia come definiresti l’intensità del senso di colpa provato nei confronti di tua madre?

12. Nel corso dell’adolescenza come definiresti l’intensità del senso di colpa provato nei confronti di tua madre?

13. Nel corso dell’età adulta come definiresti l’intensità del senso di colpa provato nei confronti di tua madre?

14. Nel corso dell’infanzia come definiresti l’intensità dell’imbarazzo provato nei confronti di tua madre?

15. Nel corso dell’adolescenza come definiresti l’intensità dell’imbarazzo provato nei confronti di tua madre?

16. Nel corso dell’età adulta come definiresti l’intensità dell’imbarazzo provato nei confronti di tua madre?

17. Nel corso dell’infanzia come definiresti l’intensità dell’orgoglio provato nei confronti di tua madre?

18. Nel corso dell’adolescenza come definiresti l’intensità dell’orgoglio provato nei confronti di tua madre?

19. Nel corso dell’età adulta come definiresti l’intensità dell’orgoglio provato nei confronti di tua madre?

20. Nel corso dell’infanzia come definiresti l’intensità della gelosia provata nei confronti di tua madre?

21. Nel corso dell’adolescenza come definiresti l’intensità della gelosia provata nei confronti di tua madre?

22. Nel corso dell’età adulta come definiresti l’intensità della gelosia provata nei confronti di tua madre?

23. Nel corso dell’infanzia come definiresti l’intensità dell’invidia provata nei confronti di tua madre?

24. Nel corso dell’adolescenza come definiresti l’intensità dell’invidia provata nei confronti di tua madre?

25. Nel corso dell’età adulta come definiresti l’intensità dell’invidia provata nei confronti di tua madre?

26. (madre vivente) Come definiresti la relazione che hai oggi con tua madre? 26.a (madre non vivente) Come percepisci la relazione che hai avuto con tua madre?

 

Bibliografia

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Charles M., Patterns: unconscious shapings of self and experience, Journal of Melanie Klein and object relations, 17, 1999, pp. 367-388.

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Vegetti Finzi S., Archeologia dell’immaginario femminile, in Buzzati et al. (a cura di), Verso il luogo dell’origine, La Tartaruga, Milano, 1982

Winnicott D. (1964), Questo femminismo, in Dal luogo delle origini, Cortina, Milano, 1990, p. 203.


Note:

1 Per approfondimento, si vedano gli scritti di Luce Irigaray in: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano, 1975; Amante marina, Feltrinelli, Milano, 1981; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano, 1985; Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano, 1989. Tutti gli scritti sono tradotti da Luisa Muraro.


2 K. Jaspers definisce la crisi come un punto di passaggio dove “tutto subisce un cambiamento subitaneo dal quale l'individuo esce trasformato, sia dando origine ad una nuova risoluzione, sia andando verso la decadenza”. Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico, Roma, 1964.


3 A tal proposito, contributi importanti sono stati forniti da:

Hilde Bruch, che ha osservato come la preoccupazione riguardo al cibo e al peso è una manifestazione relativamente tardiva di un disturbo più profondo del concetto di Sé, laddove il corpo viene percepito come separato dal Sé. Le origini evolutive dell'anoressia nervosa sembrerebbero risiedere in una relazione disturbata in cui la madre sembra prendersi cura della figlia in funzione dei propri bisogni piuttosto di quelli della bambina. H. Bruch, La gabbia d'oro, L'enigma dell'anoressia mentale, Feltrinelli, Milano, 1983.

Selvini Palazzoli che ha notato che le pazienti con anoressia nervosa non sonos tate in gradi di separarsi psicologicamente dalla madre, con il risultato di non aver mai acquisito uno stabile senso del corpo. M. Selvini Palazzoli, L'anoressia mentale, Raffaello Cortina, Milano, 2006.


4 Si è scelto di trattare solo i casi estremi della sovradeterminazione della svalutazione della madre. Tutta la gamma intermedia dei sentimenti (amore, senso di colpa, orgoglio, gelosia, invidia) verrà trattata dove si esporrà la ricerca empirica condotta dallo studio.


5 L'invidia è un sentimento di rabbia perché un'altra persona possiede qualcosa che desideriamo. L'impulso invidioso mira a portarla via o a danneggiarla. Inoltre l'invidia un rapporto con una sola persona ed è riconducibile al primo esclusivo rapporto con la madre. M. Klein, Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze, 1969, pag. 17.


6 L’item da 0 ha risposta dicotomica “Sì/No”. Gli item da 1 a 7, relativi a percezione di autonomia e autostima, hanno risposta dicotomica “Vero/Falso”. Gli item da 8 a 25, relativi ai sentimenti provati nelle tre fasi della vita considerate, hanno risposta “Scarsa, Adeguata, Forte”. L’item 26 è di tipo aperto per chi ha risposto che la madre è vivente mentre ha risposta “compiuta/incompiuta” (con eventuale terza possibilità di risposta aperta) per chi rispondeva che la madre non è più vivente.





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