PM --> HOME PAGE --> NOVITÁ --> SEZIONI ED AREE
--> Medicina e Psicologia


PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Medicina e Psicologia


Il sangue: l'eterno linguaggio della vita per la vita
Diamo voce a chi non ha voce

Antonella Pagliariccio e Maria Marinozzi




Strutturando la visita medica al donatore attraverso un colloquio centrato su di lui è emersa la natura psicologica delle reazioni neurocardiogene alla prima donazione e la possibilità di risolverle (1). Dalla interazione comunicativa con il donatore inoltre si è manifestato che l'aspetto centrale dell'atto della donazione riguarda come egli "vive" la sua esperienza del donare. Questa realtà non era mai stata presa in considerazione perché al donatore vengono rivolte esclusivamente domande per stabilire la sua idoneità a donare dal punto di vista fisico. L'attenzione del "mondo trasfusionale" è infatti orientata verso il prodotto sangue, la modalità di prelevarlo, analizzarlo, conservarlo e distribuirlo. La prospettiva del medico pertanto si inserisce in questa modalità operativa che discende da una corrente di pensiero che deve riappropriarsi della dimensione "umana", perché chi dona non è macchina ma un uomo con tutte le sue problematiche, sensibilità e valori. é proprio la realtà interiore che spinge le persone a donare e ridonare. Scrive un donatore: " A chi vive l'amore disinteressato non interessano le determinazioni culturali, è invece importante ciò che sente e percepisce; quando non c'è niente che ti soffoca o turba, donare è come un profumo che ti inebria. Colui che ama sa fermare il vento e sa leggere la parola scritta nel vento. Nel silenzio del mondo ascolta ciò che il mondo non percepisce, ciò che non è misurato dalla ragione. Vive fuori tempo e spazio. L'amore è la parte viva, vera, il valore, è un brillante di mille facce. Quando una vita dona la vita, una nuova stella si accende nel firmamento. Il tempo fugge, ma l'amore rimane. La gioia e l'amore sono una conquista perenne. La gioia è nel donare." Queste parole evidenziano la ricchezza delle emozioni e dei sentimenti che animano i donatori e di riflesso come sia limitata la concezione "scientifica" del corpo. Per la scienza, il corpo è solo il risultato di una visione anatomica che lo seziona come qualunque altro oggetto. In questa ottica il corpo " non è più il nostro punto di vista sul mondo, ma un oggetto di questo mondo " (2). Dare voce ai donatori e ascoltare i loro vissuti ha permesso invece di identificare una molteplicità di significati che sottendono il gesto del donare e che sono stati raccolti per argomenti:
1. Coinvolgimento emotivo
2. Identità e appartenenza
3. Altruismo
4. Importanza della relazione con il personale medico e dei vissuti correlati
5. Vissuti positivi della donazione
6. Paure della donazione
7. Conseguenze di eventuali malesseri
8. Significato rituale della donazione

COINVOLGIMENTO EMOTIVO

Le emozioni non esistono indipendentemente dalla loro percezione, possiamo dire infatti che esse sono interpretazioni il cui contenuto è unito all'emozione stessa. Ci sono molteplici studi che indicano come le emozioni si costruiscano anche socialmente, e dunque siano radicalmente differenti nelle varie culture (3). é forte l'impatto emotivo che la donazione suscita nel donatore, soprattutto se appartiene ad una cultura in cui la donazione di sangue volontaria e non remunerata è considerata un valore irrinunciabile. Questo impatto emotivo è ancora più incisivo dal momento che il donatore, nella maggior parte dei casi, si è formato in relazione ad un gruppo o ad un ambiente familiare per i quali la donazione riveste una importante valenza e attribuzione positiva di significato, tali da suscitare una forte spinta motivazionale. Il donatore è coinvolto emotivamente nella donazione, innanzitutto in virtù della motivazione che lo spinge. Afferma un donatore: " Non avevo proprio alcuna intenzione di donare e ancora non so come ho fatto. Mi hanno chiesto di donare per una bambina che doveva essere operata al cervello: c'è stato un gran combattimento dentro di me tra la paura e il desiderio, ma alla fine ho deciso per il sì, perché non potevo tirarmi indietro per una cosa così importante. é stato pensare alla sofferenza dei suoi genitori che mi ha spinto a farlo ". Un altro donatore così si esprime: "Mi hanno chiamato per una donazione urgente e siccome ero nuovo sono venuto su...era domenica!...ho trovato il centro chiuso. Mio fratello mi ha portato in giro per tanto tempo, ma io volevo donare subito, perché so cosa significa avere bisogno di sangue e non averlo". Con il suo gesto, il donatore va oltre la sua realtà familiare, egli si sente realmente parte dell'umanità che a sua volta gli riconosce questa appartenenza. " Il tuo gesto d'amore, mi ha fatto parte viva della gratitudine, della tua disponibilità, di voler dare e ridare senza misura. Il vero amore non è una parola, ma una percezione che sa arrivare allo spirito e dare al cuore la dolcezza della vita ", così afferma un paziente, grato di aver ricevuto il sangue. Vivendosi come un tutt'uno nell'universo, piuttosto che come un estraneo o un'entità separata, il donatore supera la divisione con gli altri uomini, e sente di essere parte degli altri e della natura (4). In questo modo il donatore travalica il ristretto confine della propria individualità e colma un bisogno di trascendenza. In modo più o meno consapevole, l'ambiente d'origine e la propria storia sono sempre determinanti alla formazione della motivazione, mentre le convinzioni e gli ideali che la concretizzano sono percepite come immagini mentali da cui scaturiscono emozioni. La letteratura è ricca di esempi della valenza fortemente emotiva delle immagini. Nel donatore il coinvolgimento ideale si incontra con quello corporeo. L'ago attraversando la pelle supera in lui il confine tra il mondo interno ed il mondo esterno, e diventa anche mezzo comunicativo, simbolo, strumento attraverso cui l'altro potrà poi ricevere il sangue donato. Ciò che è legato al corpo si collega direttamente all'attivazione emozionale, tant'è vero che molti messaggi ci arrivano dall'espressività corporea del donatore, piuttosto che attraverso le parole. Nel nostro caso, è proprio il sangue a mediare il coinvolgimento emotivo e per il significato che ha per ogni uomo, il suo fluire fuori del corpo per un gesto d'amore disinteressato a favore di un altro, evoca inevitabilmente emozioni profonde in chi dà e in chi riceve.

IDENTITA' E APPARTENENZA

L'essere donatore è espressione di un tipo di personalità, che manifesta la qualità di un'esperienza esistenziale, una particolare "weltanschaung". Infatti spesso donare è una decisione che nasce dall'appartenenza ad una famiglia di donatori o dall'identificazione, più o meno conscia, con ruoli, atteggiamenti e valori di persone o gruppi molto significativi. In tal modo si attiva nel donatore una rappresentazione di sé che diventa lo stimolo che include l'attuale motivazione a donare (5). Così si esprime un donatore: "Mio padre era donatore ed ora non può più farlo, mia madre invece è donatrice. Quando ho ricevuto dalla associazione dei donatori la cartolina con gli auguri per i miei 18 anni ho sentito forte il desiderio di continuare questa tradizione di famiglia. Quando mio padre l'ha saputo ho visto i suoi occhi lucidi per la commozione ". L'esperienza personale e l'ambiente culturale sono fattori che contribuiscono, in un processo interattivo, a dare forma e significato all'esistenza di ogni singola persona. In questo caso spiegano il senso di una scelta altruistica. Del resto è accreditata l'ipotesi che " una persona che ha percepito una figura di attaccamento come sensibile e attenta ai propri bisogni, può anche vedere sé stesso come sensibile e attento nei confronti di altre persone in difficoltà " (6). Il donatore infatti spesso è figlio di donatori, e come anch'essi gli hanno comunicato, vive nello stesso tempo l'appartenenza ad una famiglia ben più grande, che lo fa sentire parte di un "noi" e genera in lui il desiderio di contribuire al bene altrui. Vivendo gli altri come una parte di sé, non si sente defraudato di qualcosa nel dare, pertanto non riferisce vissuti di perdita o di depressione, tutt'altro! Nel suo vissuto che si radica nel passato e nelle sue radici, " la fedeltà all'uomo " è coerenza con se stesso, con la sua realtà interiore, con ciò in cui crede, ed anche se non lo razionalizza, con quello che egli è. " Dopo aver donato...sento una specie di euforia, è come un leggero stato di ebbrezza che dura qualche giorno " comunica un donatore. Un altro così si esprime: " Lo sa cosa mi è successo dopo che ho iniziato a donare ?...Ancora non prendevo dei farmaci, ma ero depresso. Avevo la testa piena.... Ora sto bene, è andato via tutto e ho capito anche il perché: dando si riceve ". Ecco che in modo spontaneo, naturale e senza pensare di aver fatto chissà che cosa, il donatore si impegna a contribuire alla creazione di un futuro che va al di là del luogo e del tempo presente, del qui ed ora.

ALTRUISMO

Tra donatore e ricevente c'è una convergenza di aspettative, un reale incontro che si realizza attraverso il sangue donato. Il comportamento del donatore è del tutto altruistico e si basa sul sacrificio personale, nel senso che è coinvolto con il suo corpo ed è anche disposto a vivere un disagio fisico per aiutare gli altri (7). Il gesto del donare esprime l'unione con la vita e la relazione con un altro sconosciuto. L'esperienza della solidarietà e dell'amore gratuito risponde anche ad un bisogno sociale, quello di sentirsi importanti per qualcuno o per qualcosa, seppure nel nascondimento. Il desiderio di appartenenza è una delle più forti spinte motivazionali nell'uomo e il donatore, con il suo donarsi, si sente realmente appartenente all'universo e comunicante con esso. Il superamento del confine dell'Io non lo fa sentire condizionato in un qualche schema, ma lo rende libero e fa scaturire in lui una grande gioia. Anche se non lo esprime, la sua libertà è una libertà interiore che lo appaga e lo fa sentire insostituibile. " Se dono il sangue vuol dire che sono vivo, sano, libero, qualcuno che nessuno conosce.... ma proprio in questa mancata conoscenza c'è la mia libertà." " Il giorno che dono sono allegro. Mi viene da ridere anche per cose che in altri giorni non mi farebbero lo stesso effetto. Mi sento libero dentro ". Nel donatore emergono immagini più o meno coscienti con cui si rappresenta la destinazione del sangue donato e con cui egli fantastica di intervenire nella realtà esterna a modificare il male in bene, a riparare, a guarire, ad aiutare con un intervento risolutivo qualcuno che forse sta morendo. Alcuni donatori ad esempio, per superare la paura dell'ago, verbalizzano la propria esperienza in questo modo: " Non penso alle mie sensazioni, ma mi concentro su quello che riceverà il mio sangue ". Il donatore è qualcuno che testimonia come l'amore non si esprima nelle parole, o attraverso la razionalità di pensare e dire, ma nella vitalità di essere e di agire. Donare è per lui e per tutti il simbolo della sicurezza, della potenza, della forza della vita, del superamento dell'angoscia di separazione dal resto dell'umanità. é una scelta che porta il donatore a solidarizzare davvero con qualunque altro abbia bisogno di lui, chiunque esso sia. Ed è proprio la spinta altruistica a dargli l'opportunità di trasformare la paura in coraggio!

IMPORTANZA DELLA RELAZIONE CON IL PERSONALE MEDICO E DEI VISSUTI CORRELATI

Il medico che interagisce col donatore in modo disfunzionale, gli fa percepire che manifestare pensieri o emozioni negative delude le sue aspettative, e che è meglio per lui tacere o parlarne con qualcun altro. " Quando sono nella stanza del medico, mi sento quasi a disagio, vorrei anche solo fare una battuta, ma non c'è l'atmosfera adatta allora non vedo l'ora di uscire da lì per andare nella sala dove ci sono gli infermieri. Con loro si può parlare. " Nella donazione il donatore si espone ad un possibile rischio, ad una valutazione, ad un possibile dolore fisico, e ad emozioni impreviste: " Ti misuri con te stessa, con il tuo corpo ", mettendo anche a repentaglio l'immagine che l'altro può avere di sé. Il donatore affronta tutto ciò perché donare il sangue è per lui cosa più importante di ogni altra. La disponibilità emotiva e un'adeguata accoglienza da parte del medico lo rendono ancor più consapevole che è il medico a contenere più di ogni altro i suoi vissuti, in tutto il percorso della donazione. E' il medico infatti quello che ha il ruolo di riferimento nella situazione specifica. C'è chi lo verbalizza in questo modo: " Io quando vengo qui non voglio per niente parlare con gli infermieri, invece voglio parlare e avere tutte le spiegazioni dal medico, perché è lui il mio riferimento ". Qualcun altro invece si esprime così: "Se non ritrovo lo stesso medico torno in un altro giorno". Sulla base di una disposizione interiore e di una certa capacità empatica, è soprattutto la formazione psicologica a dare al medico la possibilità di affrontare l'argomento delle paure collegate alla donazione. Già a partire dalle domande di routine che rivolge al donatore sulle sue caratteristiche fisiche, egli cerca di creare con lui un ponte comunicativo. Su questo ponte, emozioni, esperienze e stati mentali possono transitare in entrambe le direzioni insieme alle informazioni mediche. Nel favorire questo passaggio, il medico rimanda al donatore che ha adeguatamente codificato le informazioni raccolte, per utilizzarle e accompagnarlo nel percorso della donazione. " Quello che mi ha fatto piacere è stato il fatto che lei ha saputo aspettare i miei tempi... non mi sono sentita come in un mattatoio! " La disponibilità del medico può essere per alcuni un fattore cruciale nell'acquisizione di una sicurezza durante la donazione, come elemento importante che promuove una buona rappresentazione di sé come donatore. In questo senso potremmo dire che il bambino che è in lui, nello scambio comunicativo con un medico disponibile, è come se attivasse o rafforzasse un'interazione rassicurante con un buon genitore interno (8). L'operatore sanitario vissuto come una buona figura genitoriale, " raccogliendo il sangue ", raccoglie anche le insicurezze e i timori del donatore. Quando la comunicazione del medico è efficace, un senso di soddisfazione per l'esperienza vissuta rafforza nel donatore la stima di sé e il desiderio di donare ancora. Frequentemente succede che, alla fine della donazione, i donatori chiedano informazioni sui tempi e sui modi per prenotare la donazione successiva. Quando la comunicazione del medico è efficace, un senso di soddisfazione per l'esperienza vissuta rafforza nel donatore la stima di sé e il desiderio di donare ancora. Frequentemente succede che, alla fine della donazione, i donatori chiedano informazioni sui tempi e sui modi per la volta successiva. Se non ha una competenza adeguata il medico, pur compiendo scelte tecnicamente idonee, non si relaziona correttamente col donatore o, ancora peggio, non si relaziona affatto, evitando di parlargli. Questa è un'eventualità particolarmente negativa se si verifica durante la prima donazione. Dopo una prima esperienza negativa infatti, il donatore presta una particolare attenzione ai segni precoci e premonitori, cioè si troverà in uno stato d'ansia dovuto ad una ipervigilanza. In questo stato facilmente attiverà l'atteggiamento ansioso con i noti correlati fisiologici: tensione prolungata, iperventilazione, amplificazione delle sensazioni somatiche e così via in un circolo vizioso, perché l'ansia viene creata dall'anticipazione stessa dell'ansia. Alla domanda " Lo so che è la tua seconda donazione di plasma, ma vuoi comunque qualche spiegazione sulla procedura? ", replica la donatrice: " La volta precedente il medico non mi parlava !!! Io facevo domande e lui non mi rispondeva. Avevo bisogno che mi spiegasse a voce le cose, non volevo solo leggerle in un foglio ". Un medico troppo distaccato provoca nel donatore la tendenza ad adattarsi al suo stesso stile, come per usare il suo stesso linguaggio ed essere a lui bene accetto. Ciò lo porta a mascherare i propri pensieri e vissuti. In una situazione del genere può accadergli che si inneschino i sintomi della reazione neuro-cardiogena, o semplicemente che perda il desiderio di tornare a donare. " Ho due amici donatori che non donano più ". Tutti e due mi hanno detto: " Non dono più perché non mi piace il dottore ". Il donatore non chiede qualcosa di speciale, ma desidera implicitamente di essere aiutato. Nel momento in cui il medico non risponde alle sue aspettative, egli comunque se ne accorge. L'atteggiamento freddo e distaccato è come se svilisse l'importanza del suo gesto. " Per un periodo non avevo più tanto voglia di donare, mi sentivo come una vacca da mungere".


VISSUTI POSITIVI DELLA DONAZIONE

Per gli atteggiamenti mentali da cui nasce, la donazione innesca vissuti ed emozioni positive. Come diceva George Eliot, la felicità non è un caso, ma " un complesso di relazioni e di disposizioni abituali ". L'esperienza personale e l'ambiente culturale danno forma e significato all'esistenza di ogni singola persona in un processo interattivo. Il donatore interagendo con un ricevente che non conoscerà mai, può fantasticarlo secondo un immagine interiore in cui identifica " il Malato ". Il suo gesto acquisisce così un significato universale, il sangue è la vita che fluisce nella Vita. Ciò rende la donazione una esperienza di guarigione (9). Una donatrice afferma: " Donare mi fa stare bene anche fisicamente: ho sempre il mal di schiena e spesso mi fa male lo stomaco. Il giorno della donazione sto proprio bene, non mi fa male niente ". I donatori riferiscono cambiamenti positivi negli stati emotivi ed umorali. Donare infatti è frutto di un atteggiamento mentale da cui scaturiscono sentimenti di soddisfazione e di gioia. " Mentre entra l'ago sento contemporaneamente una grande gioia che non posso descrivere. L'ago è come un ponte che ti collega alla Vita...Donare il sangue significa donare la vita alla Vita " sono le parole di un donatore. L'esperienza del donatore fa sì che egli si viva in relazione con il mondo fuori del suo io, parte di un sé universale i cui obiettivi sono mete da lui condivise. Poiché il tipo di relazione esistente tra noi e gli altri è alla base di ogni valutazione di noi stessi, " la ricompensa " del dono del sangue, come affermano i donatori, è grande ed è del tutto interiore. Essi sono i testimoni del fatto che più si attinge alle nostre risorse d'amore e di solidarietà più esse, invece che impoverirsi, si arricchiscono. " Il giorno della mia prima donazione ero così contenta che mi sembrava di camminare a dieci centimetri da terra" afferma una donatrice. E' stato dimostrato che gli stati emozionali influenzano anche il funzionamento del sistema immunitario e che stati emotivi positivi si associano ad una maggiore capacità di ripristinare l'equilibrio cardiovascolare (10). I vissuti positivi alimentano ulteriormente la motivazione ed emergono solo se si sgombra la mente dalle paure della donazione. La paura è il fattore che incide più negativamente sulla motivazione altruistica, anche se molti donatori non rinunciano a donare, nonostante tutto.

PAURE DELLA DONAZIONE

Una paura è ciò che ci mette in condizione di resistere, che ci rende difficile vivere un'esperienza, è un rigido schema interiore che difficilmente si riesce ad abbandonare. Una paura è anche un blocco emotivo che innesca il disagio. Le paure sono dei nodi da sciogliere per liberare energie che invece di convogliarsi nel malessere sono disponibili a creare benessere e soddisfazione. Come diceva Lowen (11): " Ogni volta che uno di questi conflitti interiori si risolve, il livello dell'energia aumenta. Questo significa che l'individuo assume più energia e ne scarica di più in attività creative, che sono fonte di piacere e di soddisfazione ". Liberare il donatore da questi stati disturbanti significa dargli l'opportunità, fin dalla prima donazione, di assaporare le emozioni gratificanti che ne scaturiscono. Non ci sono limiti soggettivi a ciò che può essere oggetto della paura e non c'è alcun confine a quanto può essere considerato minaccioso, tanto che perfino il fatto che ciò che ci aspettiamo non si verifichi può far insorgere la paura. Pertanto non c'è solo la paura dell'ago o di perdere la forze, ma anche la paura del dolore, di perdere la potenza sessuale, della vista del sangue, di infettarsi, di non essere controllati a sufficienza dal personale sanitario, di essere " legati " al lettino come attacco alla propria autonomia e così via. In particolari situazioni le paure rappresentano la gabbia dentro la quale il donatore si sente costretto, ma da cui più o meno consciamente desidera liberarsi. " Anche mio padre era donatore ma poi ha smesso perché stava male ogni volta. Che cosa dice lei c'è la possibilità che anche io possa svenire? Anche se non svengo, perché non mi è mai capitato, sicuramente mi sentirò stanco ".
" Lo sa?... la punta di quella penna mi fa pensare all'ago ".
" Mi dica un po' dopo la donazione cosa devo aspettarmi di sentirmi debole ?"
" Oggi è la mia 3° donazione: finalmente stanotte sono riuscito a dormire !"
" Può coprirmi il braccio, cosicché non vedo il sangue uscire? "
" ....ma tanto se svengo sono già sul lettino....e poi sono in ospedale: qualcosa mi farete! "
" Quando faccio le analisi del sangue non ho problemi, ma non so che reazione potrò avere alla donazione! "
"Quando faccio il prelievo non guardo, perché mi dà fastidio vedere l'ago che entra nella vena."
" Quando l'infermiera mette l'ago mi sento più sereno se guardo".
Nonostante tutto è sorprendente rilevare come, in quelli che si presentano a donare, la forza della motivazione superi le resistenze determinate dalle paure. Una donatrice lo esprime così: " Io ho proprio tanta paura di donare, ma siccome io stessa per un incidente ho ricevuto sangue, mi impegno a donare almeno 3 volte pari al numero delle donazioni ricevute." Questa donatrice sono già almeno 5 anni che dona regolarmente.

CONSEGUENZE DI EVENTUALI MALESSERI

I malesseri incidono fortemente sullo stato emotivo del donatore, per cui è molto importante aiutarlo affinché possa evitarli. I malesseri anche lievi (12), anche quelli degli altri, specie se si tratta delle persone di riferimento familiare, influiscono in modo significativo sui pensieri e sugli stati emozionali dei donatori." Anche mio padre era donatore ma poi ha smesso perché stava male ogni volta. Che cosa dice lei c'è la possibilità che anche io possa svenire? Anche se non svengo, perché non mi è mai capitato, sicuramente mi sentirò stanco ". " Da quando ho visto svenire un ragazzo alla donazione, anche se io ne ho fatte tante senza alcun problema, ora sono sempre terrorizzato al pensiero di stare male. Allora voglio donare stando con le gambe molto più in alto della testa ". In certi casi un malessere può causare una diminuzione nella stima di sé: " Mia moglie ci teneva tanto a donare ed è stata lei a spingermi a farlo. Alla prima donazione è svenuta e non se lo aspettava. Da quella volta ha cominciato a pensare di non essere all'altezza delle situazioni e ha cominciato ad avere attacchi di panico. " I malesseri producono sempre difficoltà ed ostacolano le sensazioni di benessere e il liberarsi di sentimenti di gioia e soddisfazione. I malesseri possono provocare l'abbandono dalla donazione, ma anche la sua interruzione per lungo tempo, come nei casi seguenti: " Mio padre era donatore e ho iniziato a donare da quando avevo 20 anni. Tutte e tre le volte che ho donato sono svenuto e di conseguenza ho smesso. Pertanto solo dopo 10 anni ho trovato il coraggio di tornare. Mi capiterà ancora di svenire? ". " Dopo tante volte che donavo, un giorno alla fine di una donazione di piastrine ho visto delle bollicine d'aria che scendevano giù nel tubo della flebo, mi sono spaventato, pensavo che potesse essere pericoloso. Subito non ho detto niente ma poi ho cominciato a sudare e avere mal di stomaco. Da quella volta continuo a donare ma vengo un po' più di rado. Ogni volta che dono mi sento agitato, perché penso a quello che è successo quella volta ".

SIGNIFICATO RITUALE DELLA DONAZIONE

Il donatore desidera mantenere la donazione con le stesse modalità con cui ha cominciato: venire a digiuno, in un certo orario, cercare di sedersi sulla stessa poltrona e così via. " Ho donato sempre di mattina presto, ci saranno problemi se oggi dono a mezzogiorno? " afferma un donatore. Una donatrice si esprime così: " Mi hanno detto che potrei fare una piccola colazione prima di donare. Ma sono abituata da sempre a rimanere a digiuno e allora continuo così. Quando ero studentessa non usufruivo del giorno di riposo. Oggi potrei... ma non lo faccio! ". Ogni esperienza individua un percorso mentale, una strada che si rinforza ogni volta che viene percorsa, lasciando una traccia mnestica, sempre più consolidata. Se è vero che ciò che è noto e ripetitivo dà sicurezza, è anche vero che la donazione riveste un significato rituale e simbolico, per cui sconvolgerne la ritmicità è come cambiarne le condizioni, svuotandola di valore e significato. Negli elementi che non mutano del setting della donazione, si depositano le angosce più profonde e le situazioni più regressive. Un aspetto che non muta nella donazione è proprio la ritmicità e le sequenze che simbolicamente fanno di essa qualcosa di più di un contenitore che non cambia, ne fanno un rito per la valenza di significato che rivestono. Ciò è tanto vero che ogni cambiamento in questa ritmicità è vissuto male dal donatore. Non solo i donatori sospesi temporaneamente, ma anche quelli che modificano il ritmo della donazione da 3 a 4 mesi ne chiedono ragione al medico. Così si esprime un donatore: " Da quando ho iniziato a donare, più di 15 anni fa, l'ho sempre fatto ogni 3 mesi. Quando mi ha sospeso temporaneamente dalla donazione è stato un trauma per me. Non ero pronto a questa eventualità. Conosco tanta gente che ha smesso di donare proprio perché non era possibile mantenere un ritmo nella donazione, visto che ogni tanto venivano sospesi anche per motivi di poco conto, come per esempio il colesterolo." Possiamo fare un parallelo tra i processi dell'evolutività mentale e gli aspetti emozionali della donazione. Stando alla lezione del Piaget (13). L'intelligenza è una forma di adattamento. Ad un momento di assimilazione dove prevale il processo in cui l'organismo coordina i dati dell'ambiente e li incorpora nei propri schemi di riferimento, segue un momento di accomodamento, in cui la mente in parte modifica i suoi schemi, come risultato della pressione esercitata dall'ambiente. Parallelamente osserviamo come nella donazione emergano due elementi: "la parola" e "il rito". Si tratta di due processi che interagiscono tra loro per comporsi in un'unica esperienza. La parola crea e modifica attraverso la voce che comunica e segnala le emozioni collegate alla parola stessa (14). In questo senso la parola ha un potere trasformativo, perché in colui che riceve il messaggio, elicita una risposta e da l'avvio a un processo cognitivo ed emozionale. La voce e il suono infatti attivano il sistema limbico e il vago, per cui la parola penetra e modifica le aree cerebrali, creando un diverso stato di coscienza. Assimilata in quello che è il discorso interiore, la parola suscita nel donatore una volontà che forse prima non aveva, innesca in lui un cambiamento e lo porta verso uno stato di benessere. La ritualità rappresenta invece l'accomodamento, lo spazio creativo della rigenerazione in cui il donatore crea il suo equilibrio personale. La parola si situa in un rito che, con la ripetitività dei gesti e delle azioni, rappresenta il silenzio, lo spazio creativo: " Il sangue esce dalle vene, ma parte dal cuore ", come dice un donatore. Per l'oggetto a cui la donazione si rivolge e cioè un qualunque uomo che abbia bisogno di sangue, il donatore si trova a trascendere il suo io in una interazione che va oltre il suo mondo interno e che trascende tutti i motivi dell'ego e, pur collegandosi ad esso, ai suoi valori e significati, entra in contatto con un ambiente esterno universale. " Il sangue potrebbe andare anche ad un nemico " verbalizzano a volte i donatori, ma ciò non toglie nulla al loro desiderio del donarsi. C'è nel donatore un'esigenza di donare che nasce dal profondo, quasi non fosse una sua scelta, ma una chiamata al rito: " Lo so, ho ancora l'ago in vena, ma mi dica quando potrò donare la prossima volta, perché ho già voglia di rifarlo ", afferma un donatore. Potremmo dire che il rito si collega ad un Sé che è in interazione attiva con l'ambiente universale e nello stesso tempo con ciò che gli corrisponde nel proprio interno (Meissner 1986). Già nel 1950 Hartmann descriveva il Sé come quella realtà che si rapporta sia con l'ambiente esterno che con gli oggetti interni corrispondenti. Questo è proprio ciò che avviene nella donazione, nel donatore infatti c'è la disponibilità, la spinta profonda a dare e ciò gli fa sperimentare una sacralità, perché la vita, come il sangue che la veicola, è sacra in tutte le culture. Il sangue è un simbolo universale che trascende i luoghi e i tempi dell'uomo e la donazione stessa assume il significato di un rito sacro, il rito che celebra la vita. " La donazione, versione moderna dell'antico sacrificio espiatorio, assume il valore d'un atto sacrale. Perderlo, sperperarlo può essere percepito come inutile se non oltraggiosa dissipazione di un bonum vitale, svendita di sé, dispersione dell'erario personale, ingiustificata emorragia " afferma Piero Camporesi (15). In una testimonianza di qualcuno che ha ricevuto il sangue ascoltiamo l'espressione di questi concetti: " Donatore e ricevente...due mani che si uniscono in un tempo solo, due realtà che formano un'unità, una verità che non nasce dal pensiero, ma nel dare il segno della vita: è questo il rito della donazione. In modo conscio o inconscio...tu, donatore, pur se non ne conosci la grande profondità, celebri un rito sacro, perché la tua è donazione di vita per dare la vita ". Il malato ricevendo il sangue del donatore, pur senza conoscerlo entra in simbiosi con lui e, attraverso il sangue ricevuto, sente in qualche modo questa presenza dell'altro, come si ascolta in questa affermazione: " Tu sei in me, anche se io non sono in te! ". Siamo dentro al rito, perché qualcuno ha dato la vitalità del suo sangue per la vita di un altro, ecco la sacralità della donazione.

BIBLIOGRAFIA

1. Marinozzi M. Pagliariccio A. Come evitare la reazione vaso-vagale nei donatori di sangue attraverso un approccio psicologico randomizzato. Psychomedia nov 2007
2. Galimberti U. Il corpo, Feltrinelli Milano 2002 PP 79-80
3. Dumouchel P, Emozioni Saggio sul corpo e il sociale, Medusa 2008 PP 61
4. Ervin Laszlo, Risacralizzare il cosmo, Urra Ed. 2008 pp IX
5. Chartrand T.L., Bargh J.A. (2002), " Nonconscious motivations: Their activation, operation and consequences ". I Tesser, A., Stapel, D., Wood, J. (a cura di), Self-Motivation: Emergine Psychological Perspectives, vol. 2. American Psychological Association Press, Washington, DC, pp 13-41
6. Rholes W.S., Simpson J.A., Teoria e ricerca nell'attaccamento adulto, Raffaele Cortina Editore 2007 pp 202
7. Michele De Beni Prosocialità e altruismo. Guida all'educazione socioaffettiva Erickson 1999.
8. Kohut, H. (1977), La guarigione del Sè. Tr. it. Boringhieri, Torino 1980
9. G. Jampolsky Amare significa guarire Macro Edizioni 1996
10. Gendolla GH, Krusken J Mood stat and cardiovascular response in active coping with an affect-regulative challenge, Int J Psychophysiol. 2001 Jun; 41(2): 169-80.
11. Alexander Lowen, Bioenergetica, Feltrinelli, 2004 pp.41
12. France CR, France JL, Roussos M, Ditto M. Mild reactions to blood donation predict a decrease likelihood of donor return: Trasf Apher Sci 2004 feb; 30(1): 17-22
13. Piaget J., La nascita dell'intelligenza nel fanciullo 1991Giunti Editore
14. Scherer K.R. (1984), On the nature and function of emotion: A component approach, in K. R. Scherer, P. Ekman (eds), Approaches to emotion, Erlbaum, Hillsdale (NJ), pp. 75-98
15. Camporesi P. Il sugo della vita, Simbolismo e magia del sangue, Garzanti 2007 pp16

Pagliariccio Antonella
Ematologo trasfusionista
Medicina Trasfusionale Ospedali Riuniti di Ancona
a.pagliariccio@alice.it

Marinozzi Maria
Psicoterapeuta - Ancona
marinozzi.m@libero.it

PM --> HOME PAGE --> NOVITÁ --> SEZIONI ED AREE
--> Medicina e Psicologia