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PSYCHOMEDIA
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PsicoTraumatologia



Gravi stress, traumi e salute

Aggiornamento: febbraio 2001



a cura del Gruppo di studio, ricerca ed intervento clinico,

attualmente composto da:

- Maura Sgarro, Psicologa clinica e psicoterapeuta Ospedale Cto, Asl Rm C,
- Gianni Biondi, Psicologo Responsabile Servizio Psicosociale,e Angela Rossi, Psicologa clinica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesu', IRCCS, Roma
- Massimo Fiori, Adele Calabria, Psicologi clinici, Istituto S. Giovanni Battista Cavalieri di Malta, Roma,
- Orietta Rosati, Sociologa, Roma,
- Giovanna Saviantoni,Psicologa, Roma,Federica Bruni, Psicologa, Roma
- Erika Czako, medico, Roma,

- e con la collaborazione di: Maria Grazia Lo Russo, Valentina Marchetti, Giuliana Pace, Bianca Maria Porcari, Maria Paola Soldatelli, Maria Vittoria Zaccagnini

- Indirizzi: e-mail di gruppo:grastress@yahoo.it, gli e-mail dei curatori delle varie aree sono indicati individualmente.




Area "Aspetti clinici e psicoterapeutici".-
(Erika Czako, Maria Grazia Lo Russo, Paola Soldatelli,e-mail: grastress@yahoo.it


La prevenzione del disturbo post- traumatico da stress
Fattori di personalità nella resistenza ai traumi.

Valutazioni epidemiologiche (De Girolamo G., Marchiori E. 1995) ed economiche evidenziano sempre di più la necessità di passare, nell'ambito del Ptsd, dal paradigma tecnologico-riparativo (ispirato al modello riduzionistico) ad un altro paradigma, epidemiologico e preventivo, ispirato ad un modello olistico.
E' infatti utile, nell'ambito di un modello teorico di prevenzione primaria, analizzare il bilancio fra fattori di rischio e fattori protettivi includendo nei primi i fattori fisiopatologici (come la vulnerabilità genetico-costituzionale e la reattività individuale), fattori legati alla personalità (tratti di disturbo borderline, paranoide, dipendente o antisociale), fattori familiari e sociali ; e nei secondi fattori individuali (come la capacità di relazionarsi con un "altro da sé" significativo, il livello di autostima, il rapporto con il "gruppo dei pari", l'intelligenza emotiva, la capacità di chiedere aiuto) e fattori sociali ( come le condizioni economiche, occupazionali, il grado di qualità dei servizi di assistenza sociosanitari) (Cannavicci , 2000).

Un qualsiasi evento gravemente stressante, carico di valenze emotive e di potenziali o reali conseguenze dirette sull'integrità e la sopravvivenza della persona, può, secondo Mc Farlane (1990), non essere necessariamente seguito dal manifestarsi della sindrome di PTSD in almeno il 50% dei soggetti.
D'altro canto, come suggeriscono gli studi condotti da Horowitz
( Horowitz M. J., 1976), esiste la possibilità di collocare lungo un discorso di continuità dello sviluppo psicologico la personalità pre-trauma con lo stile di risposta, patologica o no, all'evento traumatico. (Sgarro., 1997).
Può pertanto essere interessante analizzare le caratteristiche di personalità e i relativi processi di coping dei soggetti resistenti, in modo da poter attuare sia una più mirata selezione del personale preposto a compiti stressanti e rischiosi, sia stimolare, nei soggetti con caratteristiche personologiche predittive favorevoli allo sviluppo di un Ptsd, il potenziamento di quei tratti di personalità utili come funzione protettiva.
Occorre quindi focalizzare l'attenzione sui fattori psicologici che favoriscono una tipologia di personalità resistente allo stress acuto e cronico senza tuttavia dimenticare altre problematiche attinenti alla familiarità e alla situazione ambientale, in senso lato, entro cui si svolge o si potrebbe svolgere l'evento traumatico.

Ne sono stati individuati quattro: (Bartoli , Bonaiuto , 1997)
1) Forza dell'Io
2) Hardiness
3) Humour
4) Ottimismo

Forza dell'Io: è questo un concetto che si può far risalire al lavoro di Balint (1973) il quale riteneva che questa peculiarità potesse essere espressione della validità di quell' "amore primario" che già nel neonato costituisce la base fondamentale su cui costruire il senso di sicurezza, di identità e di autostima .
In base a tale fattore Balint poneva gli individui lungo un continuum che vedeva ad un estremo i cosiddetti soggetti 'ocnofili' (da okneo =mi appoggio) vulnerabili, dipendenti, i meno attrezzati psicologicamente ad affrontare la realtà, opposti ai soggetti 'filobati' (gli equilibristi, capaci di camminare su di una corda tesa) i quali, forti della fiducia in sé stessi, si avvalgono della loro sicurezza per affrontare i rischi e i disagi dell'esistenza.
Del resto concetti analoghi si possono anche ritrovare nell'opera di John Bowlby dove in effetti il concetto di 'stabilità' dell' Io viene accostato al riscontro di un valido processo di attaccamento. (Bowlby J., 1969).

Hardiness: con questo termine viene designata una variabile caratteriale denotativa il concetto di 'robustezza psicologica' anche se questa traduzione in lingua italiana non esaurisce l'ampia gamma di sfumature incluse nel concetto, fra le quali si possono elencare: la resistenza, la dedizione al compito, il controllo, la disponibilità di fronte alla sfida.
Certamente la variabile 'hardiness' è inversamente proporzionale al tasso di 'nevroticismo' del soggetto.
Inoltre il controllo (monitoring) è indice di una strategia di coping centrata sul problema, in contrapposizione alle strategie di coping centrate sulle emozioni che si esprimono nel cosiddetto 'blunting' letteralmente 'smussamento', ovvero depotenziamento delle componenti emotive.
Secondo la ricerca di Solomon, Mikulincer e Arad (1991) soggetti con alto monitoring e basso tasso di blunting sono caratterizzati da un decorso della sindrome di PTSD clinicamente meno grave.

La hardiness è comunque un tratto di personalità misurabile mediante la Hardiness Scale, questionario composto da 50 items.
Questo tratto si rivela a sua volta costituito da tre coppie di dimensioni personologiche bipolari:
1) Impegno - Alienazione
2) Controllo - Impotenza
3) Sfida - Minaccia (Kobasa S.C., Maddi S. R., Kahn S. 1982)

Queste dimensioni vanno certamente lette non in chiave statica bensì dinamica ovvero suscettibili di oscillazioni e variabilità in una direzione come nella sua opposta, ma comunque potenziabili in funzione delle necessità richieste per il fronteggiamento dello stress.
Inoltre la variabile hardiness è il presupposto di un'altra caratteristica personologica la 'Reselience' ovvero la capacità di recupero psicobiologico ed ambientale dopo un grave trauma (Flach 1990) che fa sì che alcuni soggetti escano da un'esperienza traumatica psicologicamente rafforzati.
Quali sono quindi le peculiarità del soggetto ricco di hardiness e destinato ad una buona reselience ?
Dallo stesso studio di Flach prima citato, nel quale l'autore ha correlato le due variabili hardiness e reselience con i "5 Grandi Fattori della personalità" (Big 5: Franchezza, Nevroticismo, Coscienziosità, Gradevolezza, Estroversione) (McCrea e Costa 1990), si evince che il fattore 'Franchezza' (a sua volta costituito da: Capacità intuitiva, Capacità di apprendere dall'esperienza, Larghezza di vedute, Creatività, Senso dello humour, Filosofia costruttiva) associato a originalità, interessi artistici, vivacità intellettuale e senso dell'estetica, costituisce quel mix di caratteristiche protettive nei confronti della sindrome di Ptsd.

Humour: svolge certamente il ruolo di 'moderatore' dello stress, meccanismo difensivo che nella pronta ed intuitiva percezione dei paradossi che la realtà (anche quella del trauma) propone, riesce a far ottenere quel distacco emotivo finalizzato al superamento della crisi.
Come si può dedurre dal lavoro di Moran e Massam (1997) lo humour costituisce un'importante risorsa sia per le vittime del trauma che, e forse ancora di più, per le squadre di soccorritori (medici, infermieri, vigili del fuoco ecc.) che per professione sono sottoposti continuamente a situazioni estreme.

Ottimismo: anche l'ottimismo, in quanto tratto della personalità, può essere misurato mediante questionari (Carver, 1991).
Inoltre costituisce un tratto correlabile ai fattori Coscienziosità, Gradevolezza ed Estroversione che, come abbiamo già visto, insieme a Franchezza e Nevroticismo costruiscono i cosìddetti Big 5 ovvero i cinque grandi fattori base della personalità.

Concludendo si può quindi suggerire che una personalità di tipo costruttivo, propositivo e, soprattutto, creativo, è sicuramente quella che si rivela più in grado di mettere in atto le strategie psicologiche che aiutano a fronteggiare l'evenienza di un trauma di qualsiasi natura.
Una personalità 'autentica', ovvero , come si potrebbe dire in senso junghiano, ben avviata lungo il percorso di individuazione.
La creatività si rivela l'arma vincente, la caratteristica psicologica indispensabile per affrontare l'esistenza e i suoi imprevisti, anche i più tragici.
Ma, per fortuna, la creatività non è solo una dote innata: essa può anche essere sviluppata in ogni individuo sia mediante programmi specifici che prevedono l'insegnamento di tecniche quali quella del "giudizio differito" o quella della "check-list"di Osborn (Beaudot A. 1973), sia appresa lasciandosi "contagiare" dal coraggioso e fantasioso stile di vita delle persone che ne sono naturalmente dotate.


Bibliografia

Balint M. (1973). L'amore primario, gli inesplorati confini tra biologia e psicoanalisi. Trad. it. Guaraldi, Rimini.

Bartoli G., Bonaiuto P. (1997). Psicodinamica e sperimentazione . Carocci Editore, Roma.

Beaudot A. (1973). La creatività. Loescher Editore, Torino.

Bowlby J. (1969). Attaccamento e perdita, vol 1o: L'attaccamento alla madre. Trad. it. , Boringhieri, Torino.

Cannavicci M. (2000). Trauma psichico: fattori di rischio e fattori protettivi. In 'Atti delle 1o Giornate di Studio su Gravi Stress, Traumi e Salute',a cura di Maura Sgarro, Roma 14-15 gennaio 2000, Edizioni Kappa, Roma.

Carver C.S. (1991).Optimism, Pessimism, and Coping with Serious Illness, Paper presented at the 12o International STAR Conference, Budapest.

De Girolamo G., Marchiori E. (1995). Traumi e vittime: epidemiologia del disturbo post-traumatico da stress. In Epidemiologia e Psichiatria Sociale, 4, 2 .

Flach, F. (1990). The resilience hypothesis and post-traumatic stress disorder. In M.E. Wolfe & A.D. Mosnaim (Eds.), Post-traumatic Stress Disorder: Etiology, Phenomenology and Treatment. Washington, DC: American Psychiatric Press.

Horowitz M. J. (1976). Stress response syndrome, Aronson, New York.

Kobasa S. C., Maddi S. R., Kahn S. (1982). Hardiness and Health: A Prospective Study, in "Journal of Personality and Social Psychology", 42, pp. 168-77.

McCrea, R.R. & Costa, P.T. (1990)., Personality in Adulthood. New York: Guilford Press.

McFarlane, A.C. (1990). Vulnerability to post-traumatic stress disorder. In M.E. Wolfe &A.D. Mosnaim, (Eds.), Post-traumatic Stress Disorder: Etiology, Phenomenology and Treatment. Washington, DC: American Psychiatric Press.

Moran C., Massam M. (1997). An evaluation of Humour in emergency work. Australasian Journal of Disaster and Trauma Studies, 3.

Sgarro, M. (1997). Post Traumatic Stress Disorder . Aspetti clinici e psicoterapie. Edizioni Kappa, Roma.

Solomon, Z., Mikulincer, M. & Arad, R. (1991). Monitoring and Blunting: Implications for combat-related post-traumatic stress disorder. Journal of Traumatic Stress, 4, 209-221.


Area " Ptsd nei traumatismi cranio- encefalici" (M.Fiori, A.Calabria, F.Bruni, e-mail:fiorimassimo@libero.it)


L'interrelazione tra post-traumatic stress disorder (Ptsd) e trauma cranio-encefalico (Tce) è stata per lunghi anni esclusa dal campo di indagine sia della psichiatria che della neurologia poiché i presupposti di coscienza e di memoria, notoriamente occorrenti allo sviluppo di un Ptsd, non sono ritenuti totalmente soddisfatti. Infatti tra le variegate e molteplici sequele neuropsicologiche di un Tce un posto di rilievo è assunto dalle funzioni mnesiche.
Tradizionalmente la gravità di un trauma è stabilita, oltre che dalla presenza di danni alle funzioni cerebrali, in base alla durata della perdita di coscienza e all'ampiezza dell'amnesia post-traumatica (Apt). Nei casi definiti lievi la perdita di coscienza può variare da 0 a 30 minuti e l'Apt da 0 a 24 ore (Trexler e Thomas, 1992). Più complessa è la situazione nei casi di Tce moderato o grave nel quale si instaura uno stato di coma e successivamente al risveglio, accanto ad importanti alterazioni delle funzioni cognitive, è riscontrabile un'amnesia retro-anterograda che può sottrarre alla consapevolezza settori anche ampi della propria esperienza passata e rendere instabile il mantenimento di nuovi ricordi.
A causa di ciò si è ritenuto che i disturbi della memoria in qualche modo preservassero dal doloroso processo di rielaborazione interna che è tuttavia indispensabile a superare ogni evento di drammatica rilevanza ed a forte impatto emotivo che colpisce l'individuo.
A partire dagli anni '90 tuttavia vari autori riportano l'incidenza di Ptsd a seguito di traumi cranici in valori compresi tra il 17% e il 33% (Middelboe et al. 1991; Ohry et al. 1996; Rattock & Ross, 1993), altri del 40% (Hickling et al. 1998) ed infine dati provenienti da più recenti ricerche ne stimano l'incidenza nella misura del 14% (Allison et al. 2000). Nuove rilevazioni cliniche autorizzano inoltre ad affermare che il Ptsd può occorrere non solo nella circostanza di un Tce lieve o moderato ma anche a seguito di forme gravi con una incidenza del 27,1% (Bryant et al. 2000).
Uno dei meccanismi ipotizzati nello sviluppo del Ptsd è quello detto delle "isole di memoria" (King 1997) ovvero brevi ricordi consapevoli, svincolati da una continuità esperenziale, sufficienti però a sostenere l'angoscia dell'evento e condurre alla sua riesperienza anche solo nella forma di memorie intrusive (immagini, pensieri, incubi ricorrenti). Tali frammenti isolati riescono nel corso dell'evento traumatico ad accedere alla memoria dichiarativa perché coincidenti con uno stato fisiologico di massimo arousal e più tardi essi stessi costituiscono il nucleo d'attivazione del Ptsd.
Nei casi in cui le lesioni organico-cerebrali non hanno lasciato indenne alcun ricordo dell'episodio traumatico, i diversi autori hanno dato rilevanza nel loro modello esplicativo al concetto di "memoria implicita".
La reazione emotiva all'esperienza traumatica, tutt'altro che soffocata e dispersa dalla mole di eventi neurologici, può infatti essere codificata da strutture sottocorticali che procedono indipendentemente dalle quelle corticali. In ambito neuropsicologico un corrispettivo funzionale di tali vie sottocorticali trova espressione nei processi di memoria non dichiarativa cioè implicita. La memoria si può infatti considerare come un sistema multicomponenziale suddiviso a livello generale in memoria dichiarativa e procedurale o implicita. La prima, consapevole e verbalizzabile, raccoglie il bagaglio semantico ed episodico dell'esperienza passata e la possibilità di formare e mantenere nel tempo nuovi apprendimenti. La memoria implicita si esplica al di fuori della consapevolezza ed è riservata ad apprendimenti motori ed emozionali fortemente automatizzati. Un peculiare esempio dell'agire silente di questa forma della memoria proviene dall'ormai classica esperienza di Claparéde (1911). Questo psicologo svizzero si nascose tra le dita uno spillo per poi stringere la mano ad una paziente. Alla percezione della puntura la paziente ritirò la mano. Bastarono pochi minuti perché ella, gravemente amnesica, lasciasse andare l'episodio nell'oblio. Tuttavia il giorno seguente quella stessa paziente si rifiutò di stringergli la mano. Interrogata sulla questione rispose: "Talvolta tra le mani possono trovarsi degli aghi" e nessun'altra spiegazione, nonostante le insistenze dello psicologo. Poiché nella circostanza di un Tce la memoria dichiarativa è generalmente la più compromessa è ipotizzabile che alcuni contenuti espressamente emotivo-esperenziali, veicolati mediante la memoria implicita, vengano preservati dall'esperienza traumatica pur non disponendo dello specifico correlato episodico che renderebbe cosciente il ricordo. In tal modo la sintomatologia si manifesta priva di apparente nesso associativo con i fatti che l'hanno determinata e si convoglia in un accresciuto stato d'allerta, iperattività emozionale, ansia libera.
Nel passaggio dal DSM-III-R al DSM-IV, in merito al disturbo da stress, l'accento viene posto sulla risposta soggettiva dell'individuo al trauma piuttosto che alla gravità dello stressor. Tale rinnovata enfasi sulla modalità individuale di elaborare l'evento traumatico consente di allargare gli orizzonti di ricerca sia sulle specifiche vulnerabilità psicologiche del paziente e sul ruolo di alcuni fattori ambientali come pure nell'individuazione di mirate strategie di prevenzione.
Davison e Foa nel 1993 avevano focalizzato alcuni fattori predittivi nell'instaurarsi del Ptsd, quali:1)esperienze negative o traumatiche nell'infanzia;2)alcune caratteristiche di personalità quali ad esempio quelle presenti nei pazienti antisociali, dipendenti, paranoici e border-line; 3) un sistema di supporto sociale carente; 4) una grave e recente storia di abuso di alcool; 5) percezione soggettiva che il locus di controllo sia esterno piuttosto che interno. In accordo con questa linea di pensiero ed in campo più specificatamente neuropsicologico si colloca il lavoro di Bryant (2000) che esamina tali fattori predittivi in relazione ai pazienti craniolesi e sostanzialmente li conferma. Inoltre, per quanto riguarda i Tce lievi, pone l'accento sulla presenza di depressione precedente alla storia traumatica e uno stile di difesa basato sull'evitamento. La comparsa del meccanismo di evitamento sembra costituire un segnale d'allarme ed una manifestazione comune, al di là delle diverse modalità attraverso cui il PTSD può instaurarsi.
La pericolosità e pervasività di tale modalità difensiva è data dal fatto che l'individuo non sapendo come fronteggiare un accumulo d'angoscia tende a tenere lontano ciò che potrebbe rievocarla. E questo nel caso in cui si tenda ad allontanare situazioni concrete che abbiano un richiamo esplicito alla medesima situazione originante il trauma (strade, edifici, precedenti contatti interpersonali) oppure che si tenda a tenere lontano genericamente tutto ciò che, pur non avendo nesso concreto, incrementi imprevedibilmente lo stato d'allarme e le reazioni neurovegetative. Così facendo vengono sacrificati scorci sempre più ampi della propria esperienza e del proprio ambito relazionale. L'evitamento può portarsi in primo piano non solo come accentuazione di uno stile di comportamento in misura minore già utilizzato in passato ma come nuova modalità, sorta laddove una circostanza esistenziale abbia provocato un generale abbassamento delle difese psichiche e l'angoscia mobilitata abbia trovato un facile accesso a strategie più elementari di difesa.
A conclusione di questo rapido excursus ci sembra quindi di poter affermare che il Tce con le drammatiche trasformazioni neurofisiologiche e comportamentali che spesso comporta, rappresenti un luogo di elezione e una sfida per la comprensione dei meccanismi attraverso i quali l'emozionalità riesce a oltrepassare i confini della consapevolezza. Al di là di ogni teoretica o pragmatica dicotomia tra res extensa e res cogitans non può sfuggirci che l'essere umano è un'unità e ciò che agisce ad un livello non potrà che avere ripercussioni sul tutto.
L'emergere di un Ptsd nell'occorrenza di un trauma cranico inerisce l'intera vicenda esistenziale di una persona e richiede pertanto lo studio dell'encefalo quanto della costellazione di desideri e paure che rendono conto dell'unicità di quel soggetto e della complessa rete sociale in cui quotidianamente è immerso.


Bibliografia

Allison G. H. and Bryant R. A. (1998) "Predictors of acute stress following mild traumatic brain injury" - Brain injury, Voi 12, No 2, 147-154.

Allison G. H. and Bryant R. A. (2000) "Two-year Prospective Evalutation of the Relationship Between Acute Stress Disorder and Post-traumatic Stress Disorder Following Mild Traumatic Brain - Injury" - Am J Psychiatry 200Q 157: 626-628

Bryant R. A., Marosszeky J. E.; Crooks J., Baguley I. and Gurka J. A. (2000) "Coping style and post-traumatic stress disorder following severe traumatic brain injury" - Brain injury, 2000, Voi 14, No 2, 175-180

Bryant R. A., Marosszeky J. E. ; Crooks J. and Gurka J. A. (2000) "Posttraumatic Stress Disorder After Severe Traumatic Brain - Injury" Am J Psychiatry 2000; 157: 629-631

Hickling E. J.; Gillen R.; Blanchard E. B.; Burckley T. and Taylor A. (1998) "Traumatic brain injury and posttraumatic stress disorder: a preliminary investigation of neuropsychological test restults in PTSD secondary to motor vehicle accidents" - Brain injury, 1998 Vol. 12, No 4, 265-274

Trexler L.E., Thomas J. D. (1992) "Research design" in Neuropsychological Rehabilitation, in Von Steinbuchel, Von Cramon e Poppel


Area"Gravi stress, traumi e Ptsd per incidenti stradali ed infortuni"(M.Sgarro, V.Marchetti, B.M.Porcari, M.V.Zaccagnini, e-mail: grastress@yahoo.it)


Se osserviamo gli ultimi dati Aci- Istat, riferiti al 1999, notiamo che il numero di incidenti stradali in Italia negli ultimi quattro anni (1996, 1997, 1998, 1999) mostra un visibile crescendo con il passare del tempo e precisamente: dopo una situazione di quasi parità nei primi due anni (1996, 1997) si è avuta un'incidenza più alta nel 1998 (con no totale di incidenti 204.615) ed ancor più nel 1999 (no totale di incidenti 219.032).
Questa cifra è notevole soprattutto se paragonata a quella del 1996 di 190.068 incidenti in un anno.
E' evidente che il numero di incidenti stradali è cresciuto significativamente e mostra un andamento che, a prescindere da quali siano le cause, tende ad aumentare negli anni; di conseguenza sottolineiamo anche il notevole aumento del numero dei morti e dei feriti nel 1999.
Analizzando i dati in maniera ancora più dettagliata cogliamo delle differenza significative anche fra le regioni: la Lombardia risulta la regione in testa in assoluto subito seguita dall'Emilia Romagna e il Veneto, mentre il numero maggiore di incidenti nel 1999 si è verificato in condizioni di clima "sereno" per tutti i tipi di strade - autostrade, strade statali, strade provinciali etc. -
Per quanto riguarda il giorno e l'ora della settimana non si notano differenze significative.
Le cause nella maggior parte dei casi sono da attribuirsi alla guida distratta da parte del conducente e all'eccesso di velocità; mentre per i pedoni all'attraversamento della strada in maniera irregolare, per inconvenienti di circolazione concomitanti o altre circostanze.
Preseguiamo con alcune annotazioni di tipo clinico.
La correlazione tra l'assunzione di bevande alcoliche, guida e incidenti stradali è un problema di grande entità sia clinica che sociale. Il consumo di questa sostanza è una causa frequente di molti incidenti (Ming T., Tsuang; 1985).
Il numero degli incidenti attribuibili a questa causa rileva una preoccupante escalation, un crescendo dell'800%,, passando dai 303 dell' 88 ai 2448 del "97" i morti sono aumentati del 810% - dai 10 dell'"88" agli 81del "97", mentre il dato più allarmante riguarda il numero dei feriti, cresciuto addirittura del 1494%: erano 249 nell' "88" sono ora 3721 (Dati Aci- Istat: 1988-1999).
Anche gli esperti dell'Istituto Superiore di Sanità ritengono "la guida sotto l'influsso dell'alcool etilico" il fattore di rischio più potente nella genesi dell'incidente stradale,, sia esso di grave o mortale entità. Riportano anche che il rischio è più alto quanto più si abbassa l'età del conducente. Rosenberg et al., (1974) hanno sottolineato che persone leggermente più grandi (20-24 anni) presentavano tassi più bassi di incidenti ad una sola macchina, forse perché hanno più esperienza sia con l'alcool che con la guida. Naturalmente il rischio è più basso, quanto più diminuisce l'assunzione delle bevande alcoliche.
Soffermandoci su quali sono gli effetti concreti dell'alcool etilico sull'uomo, vediamo che:
- esso ha un effetto di tipo sedativo, rallenta i riflessi e i tempi di reazione, interferisce sull'azione dei neuromodulatori diminuendo la velocità della trasmissione nervosa, inoltre, il tempo di latenza fra il momento in cui il guidatore decide di frenare e quello in cui lo fa si dilata in maniera vertiginosa;
- l'alcool fornisce però contemporaneamente una sensazione di euforia che induce il soggetto a una guida più temeraria;
- falsa la percezione delle distanze e della velocità;
- allunga i riflessi e i tempi di reazione;
- restringe il cono visuale anteriore e la visione periferica dell'occhio fornendo la cosiddetta " visione a tunnel" (Introna F. 1982).
Ricordiamo a questo proposito che il tasso alcolemico consentito per guidare è 0,8 grammi di alcool per litro di sangue e che In Italia il tasso alcolico consentito dalla legge è al disopra della media europea.
Altri dati Istat rilevati dalle statistiche degli incidenti stradali mostrano che il 33% della totalità degli incidenti si sono verificati per cause connesse all'assunzione di questa sostanza.
La gravità di questi dati aumenta se si considera accanto al costo umano in termini di dolore fisico e psichico anche il costo economico-sanitario delle invalidità temporanee e permanenti che gli incidenti stradali provocano a migliaia di individui.
Particolari tratti di personalità sono stati riscontrati in persone coinvolte in incidenti (Ming T. Tsuang, 1985): meno controllo dell'ostilità e della rabbia, tollerano meno lo stress, meno mature, mostrano più difficoltà con le figure di autorità, sono maggiormente iper attive e aggressive. I pazienti psichiatrici con disturbi di personalità e disturbi paranoici hanno tassi elevati di incidenti, mentre ci sono meno dati per i disturbi di tipo psicotico o nevrotico (Mc Guire; 1976).


Bibliografia:
-Dati ACI-ISTAT:1988-1999, articolo del 17/09/99.Istituto Superiore di Sanità.
- Ming T. Tsuang, Myron Boor,J. A. Fleming, Psychiatric aspects of traffic accidents. American Psychiatry Vol.142(5) pag. 538-546, 1985.
- Rosenberg et al (1974), Alcool, age and fatal traffic accidents, Q.J. Stud. Alcool, 35,474-489
- Mc Guire (1976) Personality factors in highway accidents. Hum. Factors 18: pag.433-442.
- Isace (1984) "Alcool, società e stato" ed. Gruppo Abele; -Introna F.(1982), "Patologia dell'alcool: problemi medico-legali" p.209 (da "Patologia e problemi connessi all'uso inadeguato di alcolici") Regione Veneta.


Area" Burnout, traumatizzazione secondaria, formazione del personale" (M. Sgarro, G. Saviantoni, e-mail:grastress@yahoo.it)


Come gia' descritto nel precedente articolo questa area si occupa delle problematiche dell'operatore e del professionista socio-sanitario e della tutela della salute professionale di coloro che svolgono una professione di aiuto.
Operatori quali psicologi,infermieri, medici, volontari, che si occupano dell'assistenza a persone con una elevata situazione di disagio fisico e psichico spesso operano in particolari condizioni di tensione emotiva e di stress.
Per sindrome di burn-out si intende una condizione di esaurimento emotivo derivante dallo stress dovuto alle condizioni di lavoro , e a svariati fattori relativi alla sfera personale e ambientale,
come il divario tra le richieste e aspettative personali e la realta' lavorativa, o secondo un approccio piu' prettamente psicologico, come un processo in cui lo stress si converte in un meccanismo di difesa e una strategia di risposta alla tensione con conseguenti comportamenti di distacco emozionale e di evitamento.
Da alcuni anni e' emerso ed e' stato studiato, in particolare nel mondo anglosassone , un altro aspetto inerente al piu' noto fenomeno del burn-out che riguarda in modo specifico e peculiare il vissuto dell'operatore o del terapeuta che si trova ad operare con persone che hanno subìto un trauma o un evento estremo con conseguente sviluppo di un Ptsd (Disturbo post traumatico da stress) , denominato traumatizzazione vicaria o secondaria.
La traumatizzazione secondaria riguarda l'impatto psicologico del vissuto traumatico del paziente sull'operatore ( o anche su chi e' vicino emotivamente al paziente:partner, familiari, amici). Attraverso la relazione con la persona che ha vissuto il trauma, il terapeuta viene investito dallo stesso trauma ma in modo indiretto e secondario.
I sintomi della traumatizzazione secondaria sono infatti sovrapponibili a quelli descritti nel DSM-IV per il Ptsd e si manifestano in varie aree: cognitiva, affettiva, comportamentale, somatica, relazionale, emozionale con sintomi psicosomatici, depressivi, dissociativi, irritabilita', ansia, affaticamento, problemi familiari, distacco emotivo, evitamento.
Charles Figley, psicologo e terapeuta familiare dell'Istituto di Traumatologia della Florida ha ulteriormente diversificato le varie terminologie intendendo per traumatizzazione secondaria il vissuto dei familiari dei traumatizzati. Nei suoi primi studi sui reduci e attraverso numerose interviste alle loro famiglie osservo' che i membri familiari stavano vivendo indirettamente i traumi della guerra attraverso le risposte emozionali e comportamentali del reduce.
Mentre con il termine traumatizzazione vicaria o compassion fatigue (letteralmente "stanchezza della compassione") sempre Figley vuole intendere l'effetto della relazione col paziente con PTSD sul terapeuta stesso.
Si puo' considerare inoltre la traumatizzazione vicaria come una strategia di difesa verso le difficolta' e lo stress derivanti dallo svolgere una professione d'aiuto.
Lavorare col trauma e' un processo difficoltoso, venire in contatto con i racconti e le sofferenze che i pazienti hanno sperimentato puo' aprire vecchie ferite in modo intenso , certamente e' difficile ma non impossibile mantenere una posizione di neutralita' terapeutica.
Tali racconti generano potenti emozioni nel terapeuta come nel paziente, coloro che si trovano ad interagire col paziente con Ptsd possono avere pensieri intrusivi o sperimentare una sorta di colpa e produrre risposte inappropriate che interferiscono con la terapia o creano un disturbo a livello personale.
Questa problematica si puo' manifestare quando: il trauma del paziente evoca particolari emozioni che il terapeuta non riesce a gestire, quando vi e' un eccessivo coinvolgimento ed identificazione, quando non vi e' una adeguata formazione professionale per il trattamento delle situazioni traumatiche.
Vi sono dunque dei fattori di rischio personali e esterni insiti nelle professioni di aiuto:
I problemi emotivi irrisolti correlati con esperienze del paziente con Ptsd
L'eccessiva identificazione
La sensibilita' empatica verso la sofferenza altrui
La continua esposizione all'esperienza dolorosa dell'altro.
E' importante riconoscere questi rischi professionali e trovare un sostegno per prevenire ed eventualmente affrontare le problematiche della traumatizzazione vicaria o secondaria.
Tali misure possono includere lo sviluppo della conoscenza di se' , un adeguato supporto ambientale, la formazione, supervisione ed il lavoro di gruppo e strutture istituzionali che possano occuparsi di tali problemi garantendo adeguati servizi.


Bibliografia
Maura Sgarro "Post Traumatic Stress disorder. Aspetti clinici e psicoterapie"Ed. Kappa, 1997
C:Cherniss " professional burnout in human service organization, Praeger. New York 1980
C.Maslach, Burned out, Human behavior 5,16-22,176
C.Figley Stress and the family vol 2 . 1989 Jossey Bass
D.T.Blair, RamonesV.A. (1996), Understanding vicarious traumatization,J. Psychosoc.Nurs.Ment.Health Serv.,34(11),24-30
Figley C.R.(ed) 1995. Compassion fatigue: Coping with econdary traumatic stress disorder those who treat the traumatized. New York: Brunner/Mazel


Area "Mobbing e gravi stress al lavoro" (O.Rosati, G.Pace , e-mail:
seawitch@iol.it)


Perchè il mobbing.

La parola d'ordine delle imprese, ai nostri tempi, è "Ridimensioniamoci!". Con la globalizzazione che avanza a ritmi sostenuti, ci troviamo e sempre più ci troveremo a dover convivere con l'imperativo "lean and mean" (magri e avari) applicato in tutte le imprese, sia pubbliche che private, dall'industria ai servizi. Il costo del lavoro, che rappresenta la voce di spesa fissa più importante nei bilanci aziendali, costituisce uno dei nodi centrali nel ridimensionamento. Per questo motivo, ormai da diversi anni, i livelli occupazionali sono divenuti oggetto di assidue attenzioni poichè attraverso la ristrutturazione delle mansioni, lo sviluppo delle competenze trasversali e la flessibilità operativa si possono ottenere importanti risultati in termini di razionalizzazione del ciclo produttivo. Tutto questo sarebbe molto bello se non avesse come effetto collaterale l'eliminazione di numerosi posti di lavoro in nome di margini di profitto, che potrebbero essere ugualmente ottenuti attraverso una maggiore creatività nella ricerca di spazi competitivi. In questo piacevole contesto, nel quale tutti si sentono e sono vulnerabili, nei luoghi di lavoro aumentano i comportamenti aggressivi tesi ad assicurarsi la sopravvivenza. E' così che in tutti i Paesi ad economia avanzata si sviluppano fenomeni di vera e propria ostilità nei luoghi di lavoro che prendono il nome di "mobbing", "bossing", "bullying" a seconda del ruolo ricoperto dalle vittime o dai carnefici.


Bibliografia

Adams A.: Bullying at work: how to confront and overcome it.
London, Virago Press, 1992.
Adams A.: The standard guide to confronting bullying at work. Nursing Standard 7(10):44-46, 1992.
Bargagna M., Canale M., Consigliere F., Palmieri L., Umani Ronchi G.: Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente. Giuffre'Editore, Milano, 1996.
Calcagni C., Mei E.: Danno morale, danno biologico psichico:
aspetti giurisprudenziali e medico-legali. Aggiornamenti di Medicina Sociale, 4:153, 1998.
Cleckley H.: The mask of sanity. Saint Louis, MI: CV Mosby,
1964.
Greco L.: Danno biologico: gli effetti del c.d. mobbing. Guida al Lavoro, 11:12, 23 marzo 1999.
Grieco A., Andreis L., Cassitto M.G., Fanelli C., Fattorini E.,
Gilioli R., Legnani G., Prandoni P.: Il mobbing: alterata interazione
psicosociale sul posto di lavoro. Prime valutazioni circa l'esistenza del fenomeno in una realta' lavorativa italiana. Prevenzione Oggi, 2:
75, 1992.
Leymann H.: Mobbing and psychological terror at workplaces. Violence and Victims, 5(2):119 - 126.=20


Associazioni di aiuto e sostegno ai mobbizzati:

1. Prima, Associazione Italiano contro Mobbing e Stress Psicosociale, Via Tolmino 14 - 40134 Bologna (Tel: 051/6148919)
http://www.volontariato.it/centranchio/bologna/prima.htm
2. M.i.m.a. - Movimento Italiano MobbizzatiAssociati
ia Filippo Meda 169 - 00157 Roma (Tel.:06/4510843)
http://web.tiscalinet.it/MIMA_PALERMO
3. Mobby, Gruppo di auto aiuto ,Milano (Tel. 0330 473380)
http://www.freeweb.org/associazioni/mobby2000
4. La Punta dell'Iceberg , Associazione solo su Internet, Cagliari http://members.xooom.it/_XOOOM/icebergpunta/


- Area "Ptsd e malattia cronica in età evolutiva" -
(Gianni Biondi, Angela Rossi, e-mail: biondi@opbg.net)


Solo da pochi anni, si è osservato come anche i bambini possano soffrire degli effetti di forti traumi attraverso una sintomatologia che è stata definita Post Traumatic Stress Disorder (Ptsd).
Nella malattia cronica infantile il Ptsd sembra essere più presente di quanto fino ad oggi si riteneva essendo rilevabili entrambe le condizioni descritte nel crierio (a) del DMS IV.
Pur esistendo classificazioni utili ed importanti come l'Ads (Disturbo acuto da Stress) ed il Ptsr (Post Traumatic Stress Reaction), si è preferito riferirsi al Ptsd poiché tale classificazione comprende in modo esaustivo diversi dei disturbi presenti nella malattia cronica infantile.
La condizione di malattia impegna severamente lo stato psicologico di una persona sottoponendo l'individuo ad uno stress di notevole intensità.
Nell'infanzia la malattia incide e viene influenzata dalle condizioni presenti nelle diverse fasi dello sviluppo che a loro volta, rappresentano diversi livelli di bisogni: dal legame affettivo e rassicurativo, alla percezione del Sé, al desiderio di autonomia, alle capacità cognitive, relazionali etc.
La malattia cronica per il suo carattere di persistenza nel tempo determina una presenza ripetuta di situazioni di stress alle quali il bambino non sempre è in grado di reagire adeguatamente (il confronto con il dolore, con l'invasività delle cure, con le paure derivanti dalla specificità della condizione sofferta).
L'esperienza clinica evidenzia che gli adulti (genitori, personale sanitario, insegnanti) rivolgono una scarsa attenzione ai primi segnali di disagio psicologico attivandosi solo nel momento che tali segnali sono divenuti sintomi conclamati.

I segnali più frequenti di sofferenza psicologica nei bambini ed adolescenti affetti da malattia cronica possono essere indicati in:
- aspetti individuali (solitudine, isolamento, scarsa progettualità, abulia, apatia, ritiro dalle relazioni con i coetanei/dai familiari, ansia, etc.)
- aspetti sociali (difficoltà nella relazione nell'ambiente, percezione di indifferenza/emarginazione/discriminazione da parte dei coetanei e/o degli adulti ad esempio).

I sentimenti di paura caratterizzano in modo specifico la condizione di malattia cronica e possono essere indicati come:
- paura dello sconosciuto e dell'imprevedibile;
- paura per il ripetersi di alcune pratiche cliniche invasive dolorose non sempre adeguatamente spiegate;
- paura per la violenza avvertita in certi interventi clinici che seppure necessari, possono essere percepiti come dei veri e propri attacchi con un vissuto doloroso di espropriazione del proprio corpo.

Un ulteriore condizione di rischio è rappresentata dalla qualità della relazione della coppia genitoriale antecedente all'insorgere della malattia del figlio.

Le aree di intervento per la prevenzione di PTSD vengono sintetizzate nei seguenti punti:
- studio, applicazione e verifica di protocolli concordati interdisciplinarmente specifici per età e per malattia cronica;
- qualità della comunicazione della diagnosi ai genitori
- supporto psicologico ai genitori e al bambino/adolescente malato cronico non solo nella fase acuta
- formazione permanente degli operatori sanitari (medici/infermieri)
- gruppi Balint per gli operatori.

(Liberamente riassunto da Gianni Biondi: "Ptsd e malattia cronica infantile" in (a cura) Maura Sgarro, Atti del Convegno "Gravi stress, traumi e salute" Kappa, Roma, 2000 (pp 57-66)


Bibliografia

Ascani, E., Biondi G., Lauri A., Mignani S. (1984) "La preparazione all'intervento chirurgico delle malformazioni della colonna vertebrale. Primi dati di una sperimentazione con il Training autogeno respiratorio (RAT)"., Atti e memorie dell'Accademia di storia e dell'arte sanitaria, n.1/2.

Biondi G. (1985): "L'esperienza di Palidoro"; Atti del Convegno Nazionale "Scuola e Gioco in ospedale" Amministrazione Provinciale di Pavia. Assessorato ai Servizi Sociali. IRCCS. Policlinico San Matteo. Pavia.

Biondi G. (1988): "Il Servizio Psico-sociale nell'organizzazione dell'ospedale pediatrico: descrizione di un'intervento ed alcune considerazioni"; in AA.VV.: Il laboratorio e la città; Guerini Ed. e Assoc. Vol 10/1.

Biondi G. (1989): "Papel da psicologia no hospital"; Accao Médica, Ano LIII, n.2.

Biondi G., Tabarini, Miano C., Rosati D. (1990) "Alcune considerazioni circa le principali problematiche relative alle difficoltà di un approccio interdisciplinare in un reparto di Ematologia"; in Aa.Vv.: La problematica psicosociale del bambino leucemico e della sua famiglia. Assoc. Ital. Di Ematologia ed Oncologia Pediatrica. Milano. Fondazione Tettamanti. Monza.

Biondi G., De Ranieri C., Tabarini P. (1990) "Il trapianto cardiaco in età pediatrica e neonatale: l'assistenza psicologica"; da: Marino B., Piccoli G. (a cura) Il trapianto cardiaco ortotopico. Masson, Milano.

Biondi G. (1991): " Rischio di abuso nel bambino con malattia cronica" in Montecchi F. (a cura): Prevenzione, rilevamento e trattamento dell'abuso dell'infanzia; Borla, Roma.

Biondi G. (eds) (1991): Psicologia in ospedale/Psychology in Hospital/; Nuova Ed. Spada. Roma.

Biondi G., Mignani S., Parisi F., and Marcelletti C. (1991): "Psycho-motor and affective development comparison before and after the heart transplantation in pediatric age"; in Johnston M., Herbert M and Marteau T. (edited by): European Health Psychology. Proceedings. 4th Annual Conference of European Health Psychology society. Bocardo Press. Leicester.

Biondi G. (1993): "La qualità di vita nei bambini trapiantati"; in AA.Vv.: Qualità della vita del cardiopatico operato. Fondazione Arturo Pinna Pintor. Torino.

Biondi G. (1994): "Prevenzione dello stress nel personale sanitario"; in Melino C., Rubino S., Allocca A., Messineo A., L'ospedale. Igiene, sicurezza e prevenzione. Ed Universo. Roma.

Sgarro M. (a cura di) "Atti delle 1o giornate di studio su Gravi stress, traumi e salute" ed. Kappa, Roma.

Ursano R.J. et al. (1999) - "Acute and chronic post-traumatic stress disorder in motor vehicle accidents victims", American Journal of Psychiatry, 156, pp. 589-595.


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