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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Psicodiagnosi e Clinica



Psicopatologia clinica,
Diagnosi psichiatrica, tipologia delle psicopatie,
Teoria della personalità e giustificazione teoretica della psicoterapia,
in un inquadramento dialettico

di G. Giacomo Giacomini *

Ripubblicato on-line da: “Psicoterapia Professionale”, AA. XII-XIX, 2001
(Fondamenti metodologici - Psicopatologia clinica, pagg. 53-122)


* Direttore dell'Istituto per la Scienze Psicologiche e la Psicoterapia Sistematica di Genova. Orientamento epistemologico dell'A: Dialettica Attualistica.

Il presente studio, come parte di un progetto di ricerca sistematica sulla metodologia della psicopatologia clinica e della psicoterapia, fa seguito ad altri lavori pubblicati su numeri precedenti della nostra Rassegna, relativi agli Anni V (n. 1-2, 1988, pp. 35-41); VI (n. 1-2, 1989, pp. 25-46); VII - VIII (n. 1-2, 1991, pp. 31-78); IX-XI (n. 1-2, 1994, pp. 36-76). In proposito, v. anche la Presentazione di questo numero della Rassegna.

N.B.: Le date tra parentesi, che compaiono nel testo associate ai nomi degli Autori, si riferiscono all'anno dell'edizione originale delle opere e rinviano alla bibliografia al termine dell'articolo.



"Dalla capacità d'intendere il contrasto tra il
principio della comprensione rispetto alla spiegazione
causale, dipende, in psicopatologia, la possibilità di uno
studio ordinato e di una chiara ricerca di fonti ultime di
conoscenza, profondamente diverse l'una dall'altra."
K.Jaspers
, Psicopatologia generale, Introduzione


CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
E RIFERIMENTI ALLA TAVOLA EPISTEMOLOGICA UNIVERSALE (TEU)


"La comprensione come tale non porta alla
spiegazione causale, ma vi giunge urtando
contro l'incomprensione".
K.Jaspers
, Psicopatologia generale, Parte II


1) Il problema della psicopatologia come scienza naturale: la diagnosi psichiatrica e il concetto di entità nosografica, fondato sul principio della spiegazione (Erklären)

Come risulta chiaramente dalla nostra ormai più che trentennale ricerca, non è possibile comprendere il significato della psicopatologia, della psicosomatica, della psichiatria e della psicoterapia, nel quadro della clinica medica, se non si tengono presenti due difficoltà preliminari che hanno condizionato, sin dalle origini, la ricerca teoretica, l'inquadramento nosografico e la pratica terapeutica di queste discipline.
Noi abbiamo verificato, innanzi tutto, come la psichiatria e la psicopatologia clinica si siano costituite intorno alla seconda metà del secolo scorso, in funzione dell'ideale, esplicitamente formulato, di conformare i propri fondamenti teoretici e clinici a quelli operanti nelle altre discipline mediche.
Sotto questa prospettiva, in primo luogo, dovevano valere, per le discipline psicopatologiche e psichiatriche, i principi del naturalismo, sia per quanto concerne il significato da attribuirsi ai fatti psichici e psicopatologici, sia in relazione al concetto medico di malattia.
Questa fondazione naturalistica di tali discipline doveva dunque comportare, in generale, il principio della più radicale dipendenza dei fatti psicologici dai fatti fisiobiologici: in questo senso, il fatto psichico, in ogni caso, dovrebbe essere interpretato, secondo il metodo naturalistico della spiegazione (Erklären) come un epifenomeno del fatto fisico e/o come una funzione adattiva dell'organismo biologico all'ambiente naturale.
E' ovvio pertanto che, in una simile prospettiva, risulterà impossibile la costituzione di una psicologia come scienza autonoma, dal momento che il fondamento reale e razionale dei fatti psichici non sarà inerente a tali fatti, ma alla dimensione fisiobiologica di cui essi saranno la conseguenza naturale e in cui il ricercatore, come neurofisiologo, neurochimico, neurobiologo, neurogenetista, ecc., dovrà, pertanto, cercare la loro causa e la loro spiegazione. In tal modo, la psicologia, come scienza, dovrà risolversi nella neurofisiologia, nella neurologia, nella neurogenetica, ecc.
In particolare, sul piano della psicologia medica e della psicopatologia clinica, tale principio della dipendenza naturalistica della psiche dalla fisi doveva tradursi nella negazione della malattia mentale come patologia inerente alla stessa dimensione mentale. Dal momento, infatti, che l'alterazione della psiche, come disfunzione obiettivabile dell'adattamento biologico e/o come sofferenza individuale, non poteva essere altro che la conseguenza di un'alterazione strutturale dell'organismo biologico, risultava ovvio che la disfunzione psichica, in sé, non potesse essere considerata propriamente come una malattia, ma solo come il sintomo di una condizione patologica che interessava direttamente le strutture neurobiologiche dell'organismo fisico e che rappresentava la causa del quadro clinico.
Questa concezione naturalistica della patologia mentale è stata tipicamente teorizzata da E. Kraepelin, generalmente riconosciuto come il fondatore della psichiatria clinica moderna,secondo il ben noto modello dell'entità nosografica.
Significativa, al riguardo, è la concezione del Kraepelin, secondo il quale "non si potrebbe a rigor di termini parlare di malattie della psiche, sia che si consideri questa come un'entità autonoma, oppure soltanto come il complesso della nostra esperienza interna. Sono invece le alterazioni del substrato corporeo della nostra vita mentale quelle sulle quali noi dobbiamo, dal punto di vista medico, dirigere la nostra attività e i nostri sforzi terapeutici.
Quando saremo riusciti, con le osservazioni cliniche, a formare gruppi morbosi, con cause, manifestazioni e decorso ben certi e sicuri, allora sarà nostro compito di approfondire lo studio delle singole forme morbose. Si è già usata da tempo a questo fine l'anatomia patologica.
Noi dovremo avere da un lato una nozione precisa dei cambiamenti nelle condizioni anatomo-fisiologiche della corteccia cerebrale, dall'altro delle morbose manifestazioni psichiche ad essi connesse. Solo allora noi saremo in grado di dedurre dalle alterazioni della vita psichica i relativi fondamenti anatomo-patologici, e quindi le cause dell'intero processo morboso e viceversa.
Dovremo quindi imparare a conoscere questi rapporti che dominano il decorso delle manifestazioni psichiche, e studiare con la massima accuratezza le leggi di dipendenza che esistono tra fatti fisici e psichici. Non è impossibile sperare di poter giungere ad una vera fisiologia della psiche, che darà certo una base utile per la psichiatria; essa ci servirà a scomporre nei loro più semplici elementi le manifestazioni più complicate, ed in questa scomposizione della vita psichica normale troveremo gli elementi per poter giudicare e spiegare i diversi disturbi morbosi.
"(1)

Su queste basi, pertanto, trova la sua giustificazione il noto aforisma del Luxenburger, secondo il quale "la psiche non può ammalare", anche se, ovviamente, può segnalarci, attraverso il sintomo, la presenza di una condizione di malattia (biologica).
Tale impostazione teoretica e metodologica, che avrebbe dovuto conferire alla psichiatria ed alla psicopatologia clinica un chiaro ed univoco inquadramento sistematico, basato sull'anatomia patologica e sulla diretta correlazione tra la specificità dei quadri sintomatologici ed i fondamenti neurobiologici (a loro
volta specifici) della malattia, veniva a trovarsi però, come già si è detto (2), sin dalle origini, di fronte a due difficoltà preliminari, di ordine clinico e teoretico.
Noi sappiamo anche che tali difficoltà discendono precisamente dalla sostanziale impossibilità di verificare il postulato naturalistico fondamentale, che intenderebbe stabilire un diretto rapporto di dipendenza tra un "disturbo" psicopatologico tipico e un quadro anatomopatologico specifico.
In ragione di tale postulato, in effetti, una volta individuato un reperto neuroanatomopatologico specifico, dovrebbe essere possibile inferire un corrispondente quadro psicopatologico, a sua volta specifico; mentre, viceversa, l'individuazione, sul piano dell'osservazione clinica, di un quadro psicopatologico tipico, dovrebbe consentirci di riconoscere la presenza di una specifica patologia cerebrale.
I seguenti passi del Kraepelin illustrano in maniera esemplare questo punto di vista: "Se in uno dei tre domini della pazzia, quelli cioè dell'anatomia patologica, dell'etiologia, della sintomatologia, noi possedessimo la conoscenza assolutamente completa di tutti i particolari, non solo ci sarebbe possibile rinvenire in ciascuno di essi una suddivisione idonea e definita delle psicosi, ma anche ci sarebbe possibile mettere in relazione tra loro queste tre classificazioni. I casi morbosi originati da cause realmente simili dovrebbero offrire sempre le stesse manifestazioni e lo stesso reperto anatomico; le apparenti eccezioni che noi incontriamo adesso frequentemente, derivano dalla imperfezione delle nostre cognizioni. Da tale concetto fondamentale si deduce che la classificazione clinica delle alterazioni psichiche dovrà basarsi sulla suddivisione, contemporaneamente, su tutti e tre i mezzi di aiuto, ai quali si deve aggiungere ancora l'esperienza acquistata sul decorso, sull'esito e sulla terapia. Quanto più grande sarà la somiglianza tra le forme ottenute nelle varie classificazioni, tanto maggiore sarà la sicurezza che esse rappresentino realmente particolari stati patologici." (3)
La prima delle due difficoltà di ordine teoretico e nosografico, cui agli inizi si è accennato, si riferisce, precisamente, al fatto che nessuna di queste due condizioni, necessarie per la costituzione di una nosografia psicopatologica naturalistica sistematica e per la fondazione di una diagnostica psicopatologica differenziale, è stata soddisfatta nell'ambito della psichiatria clinica tradizionale.
In effetti, sulla base del confronto tra i reperti neuroanatomopatologici e le osservazioni della clinica psicopatologica, era possibile verificare come, a reperti biologici simili, potessero far riscontro quadri psicopatologici corrispondenti alle più diverse tipologie; mentre, di rimando, non era dato di reperire alcun quadro psicopatologico tipico, cui non potessero corrispondere i più svariati reperti dell'anatomia patologica del cervello.
Queste osservazioni mettevano, così, in crisi il postulato portante della psicopatologia naturalistica delle psicosi e della sua concezione diagnostica, basata sull'idea dell'entità nosografica.
A questo riguardo, K. Jaspers osserva:
"La speranza di trovare, con l'osservazione clinica dei fenomeni psichici, dell'evoluzione e degli esiti , gruppi caratteristici che, successivamente, possano essere confermati dai reperti cerebrali, facendo un lavoro preparatorio per l'anatomia cerebrale, non è stata realizzata. La storia ci insegna i fatti seguenti:
a) i processi cerebrali fisicamente dimostrabili sono stati scoperti sempre ed esclusivamente mediante esami somatici senza alcun lavoro psicopatologico preliminare;
b) quando si sono trovati processi cerebrali chiaramente delimitati, si è constatato che in essi possono insorgere di volta in volta tutti i sintomi psicopatologici e che nel campo psichico non esistono segni caratteristici.
Né le forme psicologiche fondamentali, né la teoria delle cause (etiologia), né i reperti cerebrali, hanno condotto a raggruppamenti di unità morbose, nelle quali si potessero classificare tutte le psicosi.
L'idea dell'unità morbosa non può essere mai realizzata nel caso particolare. Perciò la conoscenza della coincidenza regolare delle stesse cause con gli stessi fenomeni, evoluzione, esito e reperto cerebrale, presuppone una completa conoscenza di tutte le singole coincidenze, conoscenza che sta in un futuro straordinariamente lontano. L'idea dell'unità morbosa è un'idea nel senso kantiano: il concetto di un compito di cui è impossibile raggiungere la meta, perché sta nell'infinito; essa però ci indica una direzione di indagine feconda e significa un vero punto di orientamento per la ricerca empirica particolare.
L'idea dell'unità morbosa non è un compito raggiungibile, ma il punto di orientamento più utile.
" (4)


2) Il problema della psicopatologia come conoscenza dell'esperienza interiore e della sua intrinseca conflittualità, fondata sul principio della comprensione (Verstehen).

L'altra difficoltà, inerente alla costituzione di una psicopatologia conforme ai canoni del riduzionismo naturalistico, era rappresentata dal problema delle psicopatie (o nevrosi), cioè da tutte quelle alterazioni psichiche (stati di sofferenza interiore, disordini del comportamento, disadattamento sociale, ecc.), cui non era possibile, in alcun modo, collegare una qualche significativa alterazione cerebrale. (5)
Stati ansiosi e depressivi, comportamenti fobici e ossessivi, collera e aggressività incontrollabili, tendenze irrefrenabili verso l'alcool e le droghe, non sono, in moltissimi casi, attribuibili a malattie del cervello, ma, quando sia stata esclusa, in sede di osservazione clinica, ogni patologia biologica, sono riferibili all'esperienza interiore del soggetto, sulla base di analogie che l'osservatore stabilisce con la propria stessa esperienza e che presuppongono, pertanto, un atto di identificazione psicologica.
In questi casi, la metodica adottata non è più, ovviamente, quella naturalistica, per la quale noi spieghiamo, in via causale, sul piano dell'esteriorità naturale, le sofferenze e le disfunzioni delle prestazioni psichiche come la conseguenza di una malattia cerebrale. In tali circostanze, in effetti, ci rivolgiamo alla nostra interiorità, per comprendere, attraverso la conoscenza che abbiamo di noi stessi, dei nostri conflitti, delle nostre contraddizioni e dei contrasti che viviamo col mondo, con gli altri, con noi stessi, quella interiorità che, per via analogica, noi attribuiamo all'altro, riconoscendolo, a sua volta, come soggetto di esperienza interiore e, come tale, accessibile attraverso la comunicazione espressiva e dialogica (verbale e non verbale).
Certamente, non è casuale il fatto che, prima di affidarci ad una metodica dialogica, che si ripropone di comprendere le difficoltà psicologiche del paziente, noi, attraverso un'adeguata diagnosi differenziale, ci riproponiamo di escludere che tali difficoltà non siano la conseguenza (il sintomo) di una malattia cerebrale.

E' evidente, infatti, che, in quest'ultimo caso, sarebbe improprio perseguire un'indagine sul piano dell'interiorità soggettiva (psicologica), quando l'urgenza problematica (la malattia) risiede sul piano somatico, cui spetta la priorità dell'intervento terapeutico, secondo una metodica che dovrà esserle conforme.
Nell'accertata assenza di ogni malattia neurobiologica, noi, tuttavia, non dubitiamo della legittimità di una metodica psicologistica, basata sul dialogo e sull'identificazione analogica, per comprendere gli stati psicopatici che, in tal caso, consideriamo come varianti esasperate e drammatizzate di conflitti, sentimenti, sofferenze interiori, di cui noi stessi, secondo modalità variamente personalizzate, abbiamo, o possiamo avere, una diretta esperienza. Su tali premesse trova la sua giustificazione l'applicazione sistematica del metodo della comprensione (Verstehen).
I sostenitori ad oltranza del naturalismo sostengono che, anche i tali casi, tuttavia, non sarebbe lecito abbandonare il solido terreno della scienza naturale, ma occorrerebbe pur sempre cercare di spiegare gli stati psichici, non solo psicopatologici e psicopatici, ma anche normali, come conseguenza di processi cerebrali.
Infatti, secondo tale punto di vista, solo da una simile metodologia naturalistica sarebbe possibile ricavare
conoscenze di ordine scientifico e propriamente razionali.
In realtà, chiunque può rendersi conto che, seguendo una simile metodologia, anche nei casi non classificabili come neuropatologici, potremo pervenire soltanto ad una conoscenza neurofisiologica che, eventualmente, potrà anche informarci sui livelli prestazionali e operativi di molte attività mentali e comportamentali (intelligenza tecnica, memoria riproduttiva, abilità settoriali specifiche, ecc.). Su tali basi, tuttavia, non potremo mai entrare in merito ai temi fondamentali dell'Io riflessivo, della coscienza e della personalità, che caratterizzano l'autentica conoscenza psicologica, come esperienza dell'interiorità soggettiva.
In effetti, ogni tentativo di ridurre anche l'Io, la coscienza, la personalità, a schematismi riduttivi ed operazionistici, in base ad artificiose equazioni empirio-naturalistiche (come ad es. Io = sistema organizzato di controllo della realtà esterna; coscienza = livello di vigilanza; personalità = automatismi comportamentali stabilizzati, costituiti da abitudini acquisite, ecc.), eventualmente riconducibili a localizzazioni cerebrali o a circuiti neuronali, ci porterà ad affrontare problemi di ordine esclusivamente neurologico e fisiobiologico, ma non certamente di ordine propriamente psicologico e personologico.
Pertanto, di fronte alle problematiche sollevate dai casi psicopatici (personalità psicopatiche e reazioni psicopatiche), ci troveremo sempre di fronte ad un dilemma ineludibile: o rinunciare a comprendere queste condizioni di alterazione psichica, secondo una metodologia che sia conforme alla loro tipologia; oppure individuare e sviluppare la specifica metodologia corrispondente alle problematiche tipiche che a tali condizioni sono pertinenti e che chiamano in causa l'esperienza interiore dell'Io e della personalità.
In effetti, un esame delle diverse dottrine psicopatologiche ci consente di verificare come alcune di esse abbiano sviluppato teorie riduzionistiche empirio-naturalistiche delle psicopatie. In questa prospettiva, sono state elaborate, sotto il profilo neurobiologico, come base di spiegazione delle psicopatie, le teorie sulle costituzioni biologiche e neuropatiche. Dal punto di vista dell'empirismo radicale, invece, hanno acquisito credito le varie teorie dello stimolo-risposta e degli automatismi di adattamento agli stimoli provenienti dall'ambiente esterno, che costituirebbero un fattore di condizionamento costante, necessario e sufficiente a spiegare ogni aspetto del comportamento, animale e umano, adattato e disadattato.
L'altro orientamento psicopatologico, che contesta la fecondità delle metodologie riduzionistiche per lo studio delle psicopatie, trova la sua legittimazione nella necessità prioritaria di conoscere, in questi casi clinici, la problematica interiore del soggetto, in funzione di un rapporto dialogico interpersonale che non si differenzia, fondamentalmente, da quello che ogni uomo, in quanto soggetto di esperienza interiore, stabilisce con l'altro uomo, cioè con colui cui attribuisce un'analoga interiorità soggettiva.
Perciò, mentre la psicopatologia empirio-naturalistica, in relazione ai comportamenti umani, partirà dal principio che la loro spiegazione dovrà essere ricercata in cause esterne naturali (processi neurobiologici, condizionamenti degli stimoli ambientali, ecc.), la psicopatologia integrazionistica stabilirà, come suo punto di riferimento, la dimensione dell'interiorità soggettiva, con tutte le determinazioni tipiche che le sono pertinenti.
In questo modo, la psicopatologia integrazionistica si trova a percorrere la stessa via di cui ha diretta esperienza qualsiasi individuo umano che, desiderando conoscere l'identità di un altro individuo, non lo considera come un semplice sistema di organi e di funzioni biologiche, nè un complesso spersonalizzato di automatismi adattivi, ma stabilisce con lui un rapporto dialogico, in funzione del quale gli attribuisce, innanzi tutto, aprioristicamente, un'interiorità e un'intenzionalità riflessiva.


3) Metodo esplicativo, metodo comprensivo e loro fondamenti epistemologici: la Tavola Epistemologica Universale (T.E.U.).

Sul piano epistemologico, pertanto, noi possiamo verificare, in psicopatologia, la presenza di due differenti impostazioni metodologiche.
Di queste, l'una, di origine naturalistica, fondata sul principio della spiegazione fisiobiologica (Erklärende Psychopatologie), nega radicalmente ai fenomeni psichici e psicopatologici qualsiasi autonomia interiore e ne riconosce una valenza scientifica o clinica solo come conseguenza epifenomenica o come sintomo rivelatore della realtà somatica (e, in particolare, delle condizioni del substrato neurobiologico).
In questa prospettiva naturalistica, il discorso psicopatologico, a livello scientifico, può fondarsi solo sul terreno della patologia neurologica. In tal modo, la psicopatologia (anche prescindendo dalla possibilità di validazione clinica della teoria dell'entità nosografica) dovrà necessariamente risolversi nella neuropatologia.
In effetti, è evidente che, in presenza di patologie cerebrali, in relazione alle necessità cliniche di ordine diagnostico e terapeutico, assumerà un'importanza primaria una classificazione degli stati morbosi psicopatologici in funzione dell'anatomia patologica e della eziopatogenesi delle diverse malattie neurologiche (infettive, tossiche, degenerative, circolatorie, neoplastiche, dismetaboliche, endocrine, anossi-anemiche, ecc.).
Osserva, a tale riguardo, lo Jaspers: "Lo studio del cervello - senza tener conto della clinica e senza aver imparato nulla dalla psicopatologia - ricerca i processi morbosi del cervello. I risultati all'incirca sono: ogni anomalia psichica può presentarsi in qualsiasi processo cerebrale organico (ma solo se viene considerata oggettivamente ed esteriormente). A misura che questa ricerca progredisce, le affezioni psichiche diventano sempre di più malattie "sintomatiche" di processi propriamente neurologici. Il concetto di unità morbosa passa, secondo questo punto di vista, dal campo della psicopatologia in quello della neurologia". (6)
Sotto questo profilo, anzi, la psicopatologia clinica, utilizzata come semeiotica psichiatrica, in ragione della sua aspecificità, dovrà essere sempre considerata di ordine secondario rispetto alla semeiotica neurosomatica, per quanto concerne il valore dei reperti diagnostici. In tal senso, lo Schneider così si esprime:
"Nel quadro della diagnostica psichiatrica la psicopatologia si trova in continuo regresso. Se l'idea della psichiatria come scienza medica fosse ormai compiuta e definita, la psicopatologia non avrebbe più in essa alcun decisivo peso diagnostico; non avrebbe più alcun significato pratico. Naturalmente però, ciò ha valore solo per la psicopatologia delle psicosi, non per le varianti abnormi e, stricto sensu, psicopatiche della personalità e per le sue reazioni all'“avvenimento”, che non solo oggi ma mai potranno essere ricondotte a malattie".(7)

L'altra metodologia psicopatologica, che possiamo definire personologica (e che si giustifica, in sede clinica, in assenza di reperti somatici significativi, i quali richiederebbero, invece, l'intervento del metodo esplicativo), stabilisce il suo punto di riferimento non già sul piano dell'esteriorità naturale, come dimensione dei fatti fisici e biologici, ma nell'ambito dell'interiorità soggettiva, assunta come una forma autonoma e reale di esperienza, accessibile unicamente in funzione di un atto di relazione diretta del soggetto con se stesso, o con un'esperienza soggettiva aliena (un altro individuo soggettivo) cui si attribuisca un'analoga possibilità di autorelazione.
Questa metodologia personologica, in quanto fondata sul principio dell'esperienza soggettiva assunta come realtà originaria e irriducibile, è stata anche definita come psicopatologia della comprensione (Verstehende Psychopathologie) e delle relazioni comprensibili, pertinenti al concreto essere individuale.
In tal senso, essa è stata contrapposta all'astrattezza della metodologia naturalistica della spiegazione (Erklären) che nega all'individuo ogni autentica realtà interiore, per ridurlo alla dispersività delle strutture e delle funzioni proprie della corporeità fisio-biologica.
Ai nostri giorni, non è possibile impostare alcun serio discorso nell'ambito dell'epistemologia della psicopatologia, senza la consapevolezza che queste due differenti impostazioni metodologiche non corrispondono a due differenti realtà, d'ordine empirico, o naturalistico, o ontologico-metafisico, bensì a due diverse categorie mentali, ovvero a due nostre differenti modalità di ordinamento delle nostre conoscenze. (8)
Da tali differenti categorie dipendono le diverse e contrapposte modalità di concettualizzazione delle antitesi fondamentali della nostra esperienza, quali il rapporto soggetto-oggetto, io-non io, mente-corpo, sanità-malattia, interiorità-esteriorità, individuo-specie, cultura-natura, singolo-società, particolare-universale, immanenza-trascendenza, ecc.
L'esigenza di impostare, in psicopatologia, un discorso epistemologico differenziato e sistematico, rinvia necessariamente alla Tavola Epistemologica Universale ed alle sue categorie fondamentali, senza le quali ci è impossibile comprendere i differenti significati che, in relazione a tali categorie, vengono assunti dalle antitesi originarie della nostra esperienza (V. Tavola I). (9)
Noi abbiamo già evidenziato come la metodologia del riduzionismo naturalistico comporti una semplificazione radicale delle problematiche inerenti a tali antinomie: in effetti, ciò che caratterizza il naturalismo è la negazione della realtà del soggetto e la sua risoluzione nella dimensione dell'oggettualità, che il naturalismo riconosce come unica autentica realtà.
Il riduzionismo naturalistico, che nella T.E.U. (Tavola Epistemologica Universale) trova la sua collocazione nella colonna 1, secondo tre differenti formulazioni categoriali (1A, 1B, 1C), assume la sua più coerente teorizzazione nello strutturalismo riduzionistico (formulazione categoriale 1A) che, in psicopatologia, corrisponde alla nosografia psichiatrica conforme al modello dell'entità nosografica (W.Griesinger, K.Kahlbaum, K.Kleist, E.Kraepelin, C.Wernicke,T.Meynert, ecc.). (10)
Noi sappiamo come questa impostazione riduzionistica della psicopatologia psichiatrica tradizionale sia stata messa in crisi dal funzionalismo integrazionistico (categoria 2B della TEU) che, nella definizione dei quadri nosografici, ha assegnato alle sindromi funzionali tipiche (secondo K.Bonhöffer, A.Hoche, O.Bumke) ed ai cosiddetti "tipi di reazione" (A.Meyer) una importanza prioritaria rispetto al modello della cosiddetta "entità nosografica", considerato come "mitico" e praticamente inutilizzabile.(11)
Poiché, tuttavia, il modello delle sindromi funzionali e dei tipi di reazione assume come termine di riferimento il principio dell'adattamento, anzi del disadattamento ambientale, può accadere, non di rado, che venga misconosciuta l'importanza dalla problematica clinica relativa al fondamento differenziale (somatico o personologico) dei quadri psicopatologici e psicopatici.
A tale riguardo, la psicopatologia strutturalistica, nella sua versione integrazionistica (categoria 2A della TEU) si fa interprete della necessità di una diagnostica differenziale dei quadri nosografici in relazione al loro differente fondamento patogenetico (somatico o personologico), da cui dipende l'applicazione delle due diverse metodologie (della spiegazione o della comprensione) nella ricerca, nella clinica e nella terapia. (12)


4) I fondamenti epistemologici della diagnostica differenziale in psicopatologia: strutturalismo integrazionistico, funzionalismo integrazionistico e giustificazione teoretica della psicoterapia.

E' evidente infatti che, in sede clinica, il compito dello psicopatologo non potrà esaurirsi nella definizione di un quadro di disadattamento più o meno tipico e nella valutazione della sua più o meno rilevante gravità, secondo il modello delle sindromi psicopatologiche funzionali o dei tipi di reazione, perché, per una seria indagine clinica, dal punto di vista metodologico della diagnosi, della terapia e della ricerca, si imporrà sempre la necessità di individuare (esplicitamente o implicitamente) la specifica patogenesi (somatica o personologica) dei quadri psicopatologici osservabili.
In effetti, anche nell'ambito della psicopatologia funzionalistica di orientamento integrazionistico viene riconosciuta la necessità di una differenziazione metodologica specifica ad ogni livello (di ricerca, di diagnosi, di terapia) in relazione a quei fenomeni che, in un identico quadro psicopatologico, possono essere riferiti ad una patogenesi somatica (e che, pertanto, risulteranno riducibili alla metodologia della spiegazione
naturalistica come sintomi di una malattia neurobiologica). A tali fenomeni si contrapporranno pur sempre altre manifestazioni psicopatiche che, viceversa, sono riferibili ad una patogenesi personologica (e che, come tali, saranno interpretabili secondo la metodologia della comprensione, in quanto espressione di conflitti interiori). (13)
A sua volta, nell'ambito della psicopatologia strutturalistico-integrazionistica, viene riconosciuta (con K.Jaspers e K.Schneider) l'impossibilità di una verifica, sul piano empirico, del concetto di entità nosografica. In tal senso, la funzionalità del concetto di sindrome psicopatologica e di tipo di reazione può essere clinicamente legittimato. Il principio dell'entità nosografica, tuttavia, resta pur sempre validato, sul piano clinico, come ideale regolativo che, per quanto irrealizzato empiricamente, stabilisce i criteri della diagnostica differenziale psicopatologica, indispensabile per una nosografia psichiatrica sistematica.
Al giorno d'oggi, pertanto, è possibile asserire che, attraverso l'integrazione reciproca dei loro contributi, i due grandi orientamenti della psicopatologia, strutturalistico e funzionalistico, nelle loro versioni integrazionistiche, siano pervenuti ad una visione sostanzialmente uniforme delle nosografia psichiatrica, epistemologicamente fondata sulla differenziazione tra due grandi categorie psicopatologiche: da un lato, la categoria della psicosi organiche o comunque fondabili su basi somatiche, cui è pertinente la metodologia della spiegazione; dall'altro lato, la categoria delle psicopatie (personalità psicopatiche, sviluppi psicopatici, reazioni abnormi agli avvenimenti), che non sono derivabili da un fondamento somatico significativo ed alle quali dovrà applicarsi la metodologia della comprensione (V. Tavola III). (14)
Una tale differenziazione, in ragione della sua coerenza epistemologica, ci consente di individuare due vere e proprie psicopatologie, ognuna caratterizzata da un proprio metodo specifico: l'una, cui è pertinente il metodo della spiegazione e che ricerca sul piano neurobiologico l'origine (come patogenesi) dei fenomeni psicopatologici (in quanto sintomi e sindromi), rappresenta il fondamento teoretico della psichiatria clinica; l'altra, che si conforma al metodo della comprensione e che riconosce nell'interiorità soggettiva e nelle sue intrinseche contraddizioni il fondamento originario dei conflitti psichici e della sofferenza mentale, dovrà essere invece considerata il fondamento teoretico della psicoterapia. (15)

E' importante sottolineare, in primo luogo, come questa classificazione sia l'unica in grado di conferire un autentico significato teoretico e clinico al principio della diagnostica psicopatologica differenziale, in funzione del quale il fenomeno psicopatologico potrà assumere una valenza specifica, come sintomo di una malattia neurobiologica, oppure come espressione di una esperienza conflittuale soggettiva.
Inoltre, in secondo luogo, un simile ordinamento consente di superare l'incertezza della più generica classificazione che, sulla base di criteri ispirati ad un semplice funzionalismo adattivo, distingue i quadri psicopatologici secondo le due categorie delle neurosi e delle psicosi, in relazione all'entità dei disturbi dell'adattamento comportamentale al mondo esterno ed alle alterazioni del senso della realtà. (Vedi Tavola V).
Poiché il senso della realtà ed i disturbi dell'adattamento possono presentare diverse variazioni accidentali non solo nei quadri neurotici, ma anche in quelli psicotici, questi criteri, sul piano clinico, hanno un valore puramente empirico e, ai fini di una classificazione sistematica, non sono paragonabili a quelli basati sulla differenziazione epistemologica tra il metodo della spiegazione e quello della comprensione.
Perciò, malgrado l'apparente semplificazione, la classificazione secondo la bipolarità neurosi-psicosi lascia inappagata l'esigenza di una classificazione epistemologicamente fondata, così da rendere necessaria l'introduzione di categorie supplementari (come le cosiddette "sindromi marginali" o i casi "borderline", ecc.), che complicano e confondono il prospetto nosografico.
Infine, in terzo luogo, la nosografia sistematica epistemologicamente fondata secondo la distinzione tra psicosi e psicopatie è l'unica in grado di garantire una giustificazione teoretica alla psicoterapia come disciplina autonoma.
In effetti, la differenziazione sistematica, di ordine epistemologico, tra psicopatie e psicosi definisce nel modo più rigoroso la linea di demarcazione tra il settore disciplinare della psicoterapia e quello della psichiatria, assegnando al primo la conoscenza dell'esperienza psicopatologica in funzione del metodo della comprensione, al secondo la conoscenza dei fatti psicopatologici in funzione del metodo della spiegazione.


5) Metodo esplicativo e metodo comprensivo in psicopatologia: antitesi, complementarietà, dialettica.

Trattandosi di una differenziazione di ordine metodologico e non contenutistico, è evidente che, sul piano della clinica psicopatologica, entrambe le metodologie dovranno essere applicate ai medesimi contenuti di osservazione, dovendosi assegnare all'osservatore il compito di individuare quale delle due dovrà essere legittimamente applicata al caso specifico.
E' evidente che la legittimazione dell'applicazione clinica, al caso psicopatologico specifico, della metodologia della comprensione dovrà comportare l'esclusione del valore significativo, in relazione allo stesso caso, della metodologia della spiegazione.
Viceversa, quanto più lo psicopatologo si persuaderà della necessità di impiegare, al caso osservato, il metodo della spiegazione, tanto meno si riterrà funzionalmente validabile, ai fini della soluzione clinica del caso in questione, il metodo della comprensione. In questo caso, il valore significativo assegnato, sul piano clinico, al metodo della spiegazione, comporterà, parallelamente, una invalidazione del metodo comprensivo e, conseguentemente, condurrà ad una riduzione della fenomenologia psicopatologica osservata ad una dimensione neurobiologistica e naturalistica, che escluderà ogni problematica pertinente all'interiorità soggettiva.
In particolare, in una simile prospettiva, alle componenti "psicogene" (esperienze conflittuali, reazioni agli avvenimenti, atteggiamenti della personalità, vissuti della storia individuale, ecc.) presenti nel quadro clinico, non sarà accreditato un significato propriamente "psicogenetico", ma soltanto "patoplastico", ininfluente dal punto di vista del determinismo genetico della psicosi.

In tal senso, il rapporto tra le due metodiche, della spiegazione e della comprensione, risulterà definito in termini di antitesi e di complementarietà.
E' evidente che i due metodi sono tra di loro reciprocamente antitetici perché, quanto più troverà applicazione l'uno, tanto più si ridurranno le possibilità di applicazione dell'altro.
Essi, tuttavia, sono anche complementari, perché non è possibile giustificare l'applicazione del metodo della comprensione se non in funzione di una corrispondente, accertata inapplicabilità del metodo della spiegazione, e viceversa.
Il rapporto tra le due metodologie può essere definito dialettico per quanto concerne le possibilità di estendere il metodo della comprensione (riconosciuto come pertinente all'autentica personalità), riducendo, quanto più è possibile, le condizioni che ne limitano l'applicabilità
e che postulano l'intervento del metodo della spiegazione.
In tal senso, il rapporto dialettico tra le due metodologie si riconduce alla dialettica tra la positività della personalità, come Io interiore, cui si contrappone la natura esteriore, vissuta dall'Io come limite che nega le sue possibilità di autoaffermazione e che deve essere negato in funzione dell'autoaffermazione del soggetto (A = non-non A)
Per tale ragione, il rapporto tra i due metodi decadrà dalla sua dialetticità quanto più assumerà rilevanza il metodo della spiegazione, in funzione del quale ogni spontaneità soggettiva, inerente all'autentica personalità, risulterà radicalmente annullata.
In suo luogo, subentrerà una serialità naturalistica di ordine causale, conforme alle leggi della natura fisica (A = A), cui competerà, in esclusiva, l'autentica positività, mentre qualsiasi forma di intenzionalità interiore dovrà essere aprioristicamente negata, in quanto priva di qualsiasi significato logico e scientifico.
La legittimazione dell'applicabilità del metodo comprensivo comporta, viceversa, il riconoscimento non solo della spontaneità soggettiva come autenticazione positiva della personalità, ma anche la definizione dell'oggettualità naturale come limite esteriore che nega il soggetto e che il soggetto deve dialetticamente superare, per realizzare se stesso come personalità. Il contrario, però, non è vero, perché l'assunzione della natura come incondizionata positività oggettuale (così come postulato dal metodo della spiegazione) comporta la perdita di senso e l'annullamento radicale, di ordine ontologico-metafisico, di qualsiasi forma di spontaneità soggettiva, su cui si fonda l'autentica personalità.


6) Diagnostica differenziale tra psicopatie genuine e "pseudopsicopatie" (sintomatiche): la giustificazione clinica della psicoterapia sistematica e la sua fondazione personologica.

Il carattere razionale e funzionale della nosografia psichiatrica epistemologicamente fondata, non solo in rapporto alla possibilità di definire le condizioni per un'autentica diagnostica psicopatologica differenziale, ma anche per delimitare i confini entro i quali può configurarsi la psicoterapia come disciplina autonoma, è verificabile, in particolare, in riferimento al problema diagnostico della differenziazione tra psicopatie genuine e pseudopsicopatie (o psicopatie sintomatiche di una patologia neurobiologica).
Per quanto, come già ha sottolineato K.Schneider, l'idoneità dei contenuti psicopatologici a valere come sintomi specifici di una psicosi fondabile su basi somatiche sia sempre problematica (perfino un delirio confuso non sempre è sufficiente per inferire la presenza di una patologia neurobiologica, che potrà essere diagnosticabile con certezza soltanto tramite i reperti somatici), tuttavia l'individuazione di talune insufficienze prestazionali (quali il disorientamento temporo-spaziale, gli stati amnestici, il difetto del giudizio critico, ecc.), le loro modalità di insorgenza ed il loro decorso clinico, vengono riconosciute universalmente come indici significativi di decadimento mentale conseguente a patologie cerebrali di diversa natura. (Soprattutto nelle forme a decorso cronico e progressivo, l'individuazione di tali deficit intellettivi e prestazionali consentirebbe di formulare un giudizio diagnostico di psicosi fondabile su una neuropatologia da inquadrarsi secondo la metodologia naturalistica della spiegazione, di competenza psichiatrica).
In questa prospettiva, non vi è alcuna ragione per non considerare come "sintomatici" anche quei quadri clinici che, pur presentando una tipologia "psicopatica", compaiono nelle fasi prodomiche delle psicosi organiche croniche. In caso di accertata presenza di una patologia neurobiologica, non c'è dubbio che debba essere considerato preminente, in sede clinica, il principio dell'“esserci” (Dasein) dello stato psicopatologico o psicopatico, come alterazione formalmente "non comprensibile" dell'esperienza soggettiva, da correlarsi, in termini di spiegazione naturalistica, all'insorgenza della malattia neurobiologica. Parallelamente, passerà in secondo piano il principio dell'"essere così" (Sosein) del quadro psicopatico, come tipologia dei contenuti di esperienza riferibili comprensibilmente agli avvenimenti, alla storia del soggetto ed alla sua personalità (i quali risulteranno accreditabili di una valenza soltanto "patoplastica").
La condizione opposta si verificherà nel caso che dalle indagini somatologiche si ottenga un responso negativo o anche scarsamente significativo per una correlazione di dipendenza somato-psichica della fenomenologia psicopatica.
In questo caso si aprirà una problematica psicopatologica che si richiamerà al principio della comprensione e che giustificherà l'introduzione del discorso psicoterapeutico, in quanto diventerà legittimo ricercare nella stessa interiorità del soggetto e nelle antitesi fondamentali del suo essere e del suo divenire storico le radici conflittuali della psicopatia.
In questo senso, il discorso psicoterapeutico si giustificherà in funzione di una teoria della personalità che renda esplicita la tematica dialettica del soggetto come costitutiva contraddizione e come possibilità di superamento delle sue problematiche interiori nell'ambito dello sviluppo storico della sua personalità.


7) La psicopatologia comprensiva e la sua fondazione dialettica, in un contesto clinico: psicoanalisi e fenomenologia

Il riconoscimento delle psicopatie come categoria psicopatologica autonoma non può prescindere da una teoria sistematica della personalità e dall'inquadramento del metodo della comprensione in una prospettiva dialettica. Queste sono anche le condizioni necessarie per la legittimazione di una psicoterapia sistematica.(16)
In effetti, solo in funzione di una logica dialettica diviene possibile giustificare razionalmente, secondo il metodo della comprensione, la teoria della personalità e, conseguentemente, legittimare logicamente anche una teoria sistematica della psicoterapia.
Noi sappiamo come la possibilità di un'autentica fondazione logica e sistematica sia della teoria della personalità, sia della teoria della psicoterapia, rappresenti uno dei più controversi problemi della psicopatologia comprensiva.
Queste problematiche hanno trovato, in età contemporanea, le loro più significative interpretazioni nelle ricerche psicologiche e psicopatologiche di ispirazione fenomenologico-esistenzialistica e nelle psicoterapie di orientamento analitico (psicoanalisi freudiana, psicologia individuale adleriana, psicologia analitica junghiana, analisi del carattere reichiana, ecc.).
In un contesto psicopatologico generale occorrerà innanzi tutto ribadire, in via preliminare, come tanto il discorso fenomenologico come quello psicoanalitico, così come ogni altra forma di psicologia comprensiva o personologica, risulteranno giustificabili, sul piano clinico, soltanto nella proporzione in cui sarà possibile escludere l'applicabilità del metodo esplicativo, cioè la prospettiva di una diretta dipendenza dei quadri psicopatici da patologie neurobiologiche.
Una corretta applicazione clinica della metodologie fenomenologiche e psicoanalitiche ai casi psicopatici, sia per quanto concerne la teorizzazione della personalità e l'interpretazione psicopatologica, sia in relazione alla teoria ed alla pratica della psicoterapia sistematica, non potrà pertanto prescindere da un'adeguata diagnostica psicopatologica differenziale.
E' evidente che l'accertamento diagnostico di una qualsiasi patologia somatica (di ordine degenerativo, infettivo, tossico, dismetabolico, endocrino, neoplastico, anossi-anemico, circolatorio, ecc.) porrà dei limiti ben precisi allo sviluppo ed all'applicazione, in sede clinica, delle metodologie comprensive e psicoterapeutiche, in quanto tenderà a sopprimere, per definizione, la dialettica dell'esperienza soggettiva.
Ciò premesso, occorrerà anche verificare in quale misura fenomenologia e psicoanalisi abbiano contribuito allo sviluppo della dialettica come condizione per la costituzione di una teoria sistematica della personalità, delle psicopatie e della psicoterapia.
In effetti, non può esservi dubbio che una teoria sistematica delle psicopatie e della psicoterapia come disciplina autonoma possa costituirsi soltanto sulla base di una concezione della personalità che abbia nella dialettica il suo fondamento logico specifico.
Solo in tal caso si prospetterà la possibilità di teorizzare una patologia le cui origini non siano di ordine naturalistico, le quali, come tali, non si presentino come un limite estrinseco alla personalità ed al suo processo formativo, ma siano radicate nella stessa dialettica della personalità interiore, come possibilità, da parte del dialettismo, di negare se medesimo sino al limite dell’annullamento del proprio stesso sviluppo storico.
E' da sottolineare, a tale riguardo, che solo in una prospettiva dialettica noi saremo in grado di pervenire ad una teoria comprensiva della patologia psichica, nella sua autenticità, in quanto contraddizione e conflittualità costitutivamente inerenti all'interiorità soggettiva.
Occorre anzi non dimenticare, in tal senso, che proprio in questa interiorità del soggetto la contraddizione e il conflitto assumono una concreta realtà, mentre restano aprioristicamente escluse dalla dimensione della natura esteriore (fisica, chimica, biologica), dove la formula logica dell'identità (A=A) si applica, senza eccezioni, ad ogni fatto di osservazione, inclusa anche la fenomenologia del patologico.
In effetti, in una coerente concezione naturalistica, qual è quella definita dallo strutturalismo riduzionistico (vedi il riquadro 1A della T.E.U.), il fenomeno "patologico" resterà sempre immune da ogni implicazione di ordine defettivo o contraddittorio.
Pertanto, una volta riconosciuta nella sua obbiettività, come fatto partecipe delle leggi della natura e conforme alla razionalità universale, qualsiasi "patologia" troverà la sua validazione in tale razionalità (A=A), da cui resterà esclusa ogni considerazione particolaristica di disvalore da parte del soggetto individuale.
Occorrerà, a tale proposito, ricordare che ogni posizione soggettivistica sarà sempre, da un punto di vista naturalistico, identificata col puro particolarismo e, come tale, sarà considerata fonte di errore e di travisamento della realtà.
Verità e realtà, secondo tale punto di vista, saranno raggiungibili soltanto attraverso un radicale emendamento da ogni soggettività, al fine di approssimare, quanto più è possibile, i nostri giudizi e le nostre conoscenze alla pura oggettualità naturale e alle sue leggi universali e necessarie.


8) La fondazione metodologica autonoma della psicopatologia comprensiva: il metodo dialettico come condizione per la teorizzazione della diagnostica psicopatologica differenziale.

Da tutto ciò deriva che, in conformità a quanto contemplato dalla T.E.U., il concetto del patologico presenterà sempre un duplice significato, in ragione della duplice formulazione categoriale che gli sarà stata conferita.
In relazione ad una formulazione categoriale rigorosamente naturalistica (corrispondente allo strutturalismo riduzionistico: vedi T.E.U., categoria 1A), il concetto del patologico e della malattia non comporterà, in Sé, alcun giudizio di disvalore. La malattia, in effetti, rappresenterà un fatto obbiettivo, al pari di ogni altro fatto della natura, individuabile in funzione delle leggi necessarie, universali e inviolabili pertinenti alla natura stessa (A=A; Essere=Essere).
Dal punto di vista scientifico, a fronte del fondamento ontologico-strutturale della malattia come realtà naturale, il deficit funzionale e lo stato di sofferenza esperita soggettivamente risulteranno affatto trascurabili (fatta salva la possibilità di una loro utilizzazione pratica, in sede clinico-diagnostica, come "segni" e come "sintomi" della malattia biologica).
In relazione, viceversa, ad una formulazione categoriale dialettico-attualistica (vedi T.E.U. categoria 2C), il concetto del patologico assumerà una valenza profondamente differente. In effetti, essa troverà il suo punto di riferimento non già nell'oggettualità indifferente, in quanto natura (A=A), bensì nel soggetto e nella problematica della sua autorealizzazione dialettica (A=non-nonA; Essere=non-nonEssere).
E' evidente che, in rapporto all'essere soggettivo, in quanto processo autoformativo che si caratterizza per la sua costitutiva problematicità, il principio del non-essere acquisterà una concreta realtà, in quanto limite negativo per la realizzazione dell'essere soggettivo.
E' anche evidente, al riguardo, che assumerà un differente significato la negatività che si pone come limite estrinseco rispetto a quella che si pone come limite intrinseco in rapporto all'autorealizzazione del soggetto. In effetti, il limite estrinseco, come realtà naturale, comporta, per il soggetto, una problematicità il cui superamento richiede una metodologia esplicativa (di ordine fisicalistico e tecnicistico).
Il limite intrinseco, come esperienza della contraddizione immanente all'esperienza interiore ed al suo processo autocostitutivo, comporta, invece, la possibilità dell'estrema esasperazione delle stesse antitesi dialettiche della personalità in antinomie inconciliabili, così che la dialettica si annulla da se stessa. L'autenticazione della dialettica, come soggetto che lotta per la realizzazione del suo essere, in quanto personalità, comporta pertanto che le antitesi costitutive dell'interiorità soggettiva, e lo stesso limite del non-essere, conservino la loro funzionalità storica.
In tal senso, si richiede che le contraddizioni fondamentali dell'interiorità soggettiva si traducano in rinnovati momenti di integrazione storica della personalità e che in tale processo di integrazione trovino la loro risoluzione i momenti involutivi e conflittuali che limitano lo sviluppo del soggetto e la sua individuazione. (17)
Pertanto, in tale prospettiva, la problematica del limite intrinseco, come condizione interiore del soggetto che si dibatte e si aliena nelle antinomie della propria esperienza, comporterà l'esigenza di una metodologia comprensiva che riconosca e mantenga viva la dialettica delle contraddizioni nella loro funzionalità storica, come condizioni per la realizzazione della personalità.
Risulta evidente, perciò, che, in un contesto clinico, la fondazione epistemologica di una psicopatologia comprensiva autonoma rappresenti la condizione per la teorizzazione di una diagnostica psicopatologica differenziale.
In effetti, una tale condizione potrà verificarsi individuando nella dialettica, come logica della personalità, il fondamento metodologico autonomo della psicopatologia comprensiva, in contrapposizione col metodo esplicativo (delle cause naturali), che caratterizza invece la psicopatologia psichiatrica.


9) Psicopatologia comprensiva, psicoanalisi, metapsicologia e dialettica della personalità

E' dunque indubitabile che una psicopatologia comprensiva, in quanto condizione metodica per la fondazione di una teoria sistematica della personalità, dovrà trovare nell'interiorità soggettiva il suo punto di riferimento, in antitesi con una psicopatologia psichiatrica esplicativa, che individua nell'oggettualità neurobiologica il fondamento di ogni patologia.
Malgrado questa sua imprescindibile caratterizzazione, una psicopatologia comprensiva può tuttavia smarrire la sua autentica identità epistemologica quando, indugiando sulle posizioni di una teoresi naturalistica, non acquisisca la piena consapevolezza del suo intimo fondamento dialettico.

A questo proposito, la psicoanalisi freudiana rappresenta l'esempio tipico di una simile contraddizione epistemologica.
Com'è noto, da un lato, la psicoanalisi nasce originariamente nell'ambito della prassi psicoterapeutica, come rapporto dialogico e dialettico medico-paziente.
In questo contesto, ciò che si pone in primo piano è l'esperienza soggettiva, anzi intersogggettiva, come problematica della personalità interiore e della sua relazione interpersonale, intrapersonale e oggettuale.
E' ben noto come, in questo senso, la psicoanalisi, come prassi terapeutica, si riproponga di promuovere il dialogo interiore del soggetto, nella sua massima spontaneità (tecnica delle libere associazioni e analisi del mondo onirico e fantastico) e, nel contempo, di sviluppare la riflessione critica del paziente soprattutto in riferimento allo sviluppo storico individuale nel suo rapporto di alterità (analisi dei conflitti infantili e dei primi rapporti oggettuati), prendendo come punto di riferimento la stessa relazione interpersonale attuale con l'analista (analisi del rapporto di transfert).
D'altra parte, noi sappiamo come, sul piano teoretico, S. Freud si sia riproposto di ridurre tutta la ricca problematica dialettica, che si evidenzia sul piano del dialogo analitico, ad una dimensione positivistica e naturalistica.
Così, l'antitesi dialettica fondamentale tra esperienza del piacere ed esperienza della realtà viene ridotta al meccanismo di scarico e/o di contenimento di un'energia fisiobiologica denominata libido; il rapporto di soggetto e di oggetto è ricondotto ad un "investimento", ovvero ad un "trasferimento" di cariche libidiche dal contenitore originario dell'”Io” ad un altro contenitore esterno, che in tal modo si arricchisce di energia a spese del suo elargitore (oppure, in alternativa, viene teorizzato come opportunità, per il sistema di controllo dell'”Io”, di scaricare all'esterno le energie eccedenti dell'Es); la contraddizione tra l'ideale del sentimento per un immediato appagamento e l'ideale della riflessione verso un costante autosuperamento si riduce all'introiezione, in uno spazio interiore fisicalizzato, di oggetti originariamente esteriori, sovraccaricati di libido che, in tal modo, sono idealizzati e introdotti (come Superio) nello spazio "interno", in contrapposizione con un “Io” svuotato di libido; e così via.
Com'è noto, il sistema teoretico adottato da Freud per ricondurre le antitesi dialettiche fondamentali evidenziate dalla sua ricerca (Conscio-Inconscio, principio del piacere-principio della realtà, Io-Es, relazione narcisistica-relazione d'oggetto, libido-destrudo, ecc.) ad una dimensione naturalistica, è rappresentata dalla cosiddetta metapsicologia. Da questa dipende anche un modello di teoria della personalità che è tradizionalmente considerata come il prototipo delle personologie nate dall'esperienza psicoterapeutica analitica e dalla psicopatologia della comprensione ad essa collegata. (V.Tavola VI).


10) La teoria psicoanalitica della personalità nel quadro della metapsicologia freudiana e della sua impostazione funzionalistica

La teoria psicoanalitica della personalità può dirsi compiutamente costituita con l'introduzione, nella metapsicologia freudiana, del punto di vista strutturale, presentato per la prima volta, nel 1922, nell'opera "L'Io e l'Es"
Il punto di vista strutturale che, con la sua antitesi Io-Es, si sovrappone, senza abolirlo, al punto di vista topico (rappresentato dall'altra antitesi Conscio-Inconscio), si integra anche con gli altri due punti di vista, economico e dinamico, del sistema metapsicologico, dando luogo a quella che, nei paesi di cultura anglosassone, è stata denominata la "corrente dominante" (mainstream) della dottrina psicoanalitica. (18)
Occorre sottolineare, in proposito, che, in una prospettiva epistemologica, sia la metapsicologia freudiana, sia la teoria della personalità che essa comporta, sia lo stesso punto di vista strutturale, non corrispondono affatto ad una concezione strutturalistica, bensì ad una impostazione metodologica funzionalistica (che, come tale, si colloca nella fascia B della T.E.U.). (19)
In effetti, sotto un profilo genetico ed evolutivo, la differenziazione tra Es ed Io, sulla quale si fonda il punto di vista strutturale, non risulta, nel contesto della metapsicologia e della teoria freudiana della personalità, come un fatto originario, ma soltanto secondario, conseguente all'esigenza di adattamento delle pulsioni dell'Es alle pressioni dell'ambiente esterno.(20)
In tale prospettiva, l'Io si presenta come una semplice sovrastruttura, derivata dalle leggi funzionali dell'adattamento biologico, cioè dalla necessità vitale, da parte dell'essere biopsichico, di raggiungere una sorta di compromesso tra l'istanza dell'Es (che segue il principio della scarica immediata delle tensioni libidiche e distruttive nel mondo degli oggetti esterni) e l'istanza della Realtà (che pone limiti più o meno minacciosi alla scarica delle pulsioni).
In tal senso, la formazione della struttura dell'Io dovrebbe essere considerata come la conseguenza della funzione dell'adattamento biologico, che, in un'accezione funzionalistica integrazionistica, comporterebbe il processo di formazione di strutture sempre più evolute e differenziate di adattamento.
Occorre tuttavia sottolineare che, nella metapsicologia freudiana, la versione integrazionistica del funzionalismo non risulta prevalente.
Noi sappiamo infatti, come, nella dottrina freudiana, assuma una posizione dominante la teoria economicistica dell'omeostasi. Secondo tale teoria, che corrisponde ai canoni del funzionalismo riduzionistico (T.E.U., 1B) l'organismo biopsichico sarebbe da considerarsi tanto meglio adattato, quanto più la differenza di tensione tra il suo stato interno e l'ambiente esterno fosse uguale a zero.
In questa prospettiva, la metapsicologia freudiana tende a considerare le strutture differenziate dell'Io come risultanti non già di un'intenzionalità adattiva spontaneamente inerente allo stesso Io e al suo processo evolutivo, bensì come la conseguenza di una indesiderata rottura dell'equilibrio omeostatico provocata da un eccesso di stimoli da parte dell'ambiente interno e/o esterno dell'organismo biopsichico.
In tal senso, la costituzione e la differenziazione della struttura dell'Io sarebbero da considerarsi come eventi antiomeostatici, che contrasterebbero la più profonda tendenza naturale dell'organismo a ritornare all'indifferenziazione dello stato inorganico. Questa teorizzazione conduce, tra l'altro, ad attribuire, sul piano della teoria delle pulsioni, una posizione prioritaria alla pulsione di morte rispetto alla pulsione libidica, dal momento che la stessa libido tenderebbe all'estinzione delle proprie cariche energetiche .


11) Il funzionalismo della metapsicologia freudiana e la sua antitesi metodologica: la teoria riduzionistica dell'omeostasi e l'integrazionismo della psicologia dell'Io, secondo O.Fenichel.

Da questo punto di vista, il funzionalismo riduzionistico della teoria dell'omeostasi e della costanza si pone in antitesi con il funzionalismo integrazionistico della psicologia dell'Io che, viceversa, intende assegnare allo stesso Io una funzione originale e fondamentale nell'ambito della fenomenologia psichica e del processo analitico.
E' da rilevare, a questo proposito, come tale antinomia epistemologica tra il funzionalismo riduzionistico all'omeostasi e il funzionalismo integrazionistico della psicologia dell'Io sia presente, in primo luogo, nello stesso pensiero di Freud che, da un lato, sembra non perdere occasione per ridurre al minimo il significato funzionale dell'Io, mentre, da un altro lato, ne sottolinea il carattere primario e fondamentale per la costituzione della personalità e per il trattamento psicoanalitico. (21)
Non è dubbio, d'altro lato, che una teoria psicoanalitica della personalità, nell'ambito della metapsicologia freudiana, sia possibile solo in funzione di un riconoscimento reale, e non fittizio, del principio dell'Io.
Malgrado ciò, noi troviamo questa antinomia epistemologica anche in alcuni dei più significativi esponenti del cosiddetto "mainstream" psicoanalitico, cui si deve lo sviluppo della psicologia psicoanalitica dell'Io e della teoria psicoanalitica della personalità, nel quadro del punto di vista metapsicologico strutturale.
Secondo O.Fenichel, ad esempio, "l'omeostasi è, come principio, alla radice di ogni comportamento istintivo; il frequente comportamento «contro-omeostatico» deve venir spiegato come una complicazione, imposta all'organismo da forze esterne. Gli impulsi desiderosi di scaricarsi rappresentano una tendenza biologica primaria; quelli contrari vengono portati all'organismo da influenze esterne" (22)
E' evidente che, sulla base di tali premesse, la costituzione di un'autentica teoria dell'Io e della personalità si presenti sostanzialmente problematica.
In realtà, il cosiddetto "mainstream" (che può annoverare, tra i suoi esponenti più significativi, oltre allo stesso O.Fenichel, A.Freud, R.Sterba, R. Waelder, H.Hartmann, E.Kris, R.M.Loewenstein, D.Rapaport, M.Gill, E.Bibring, L.Rangell e, più recentemente, C.Brenner, H.Blum, ed altri) viene a trovarsi, dal punto di vista epistemologico, di fronte alla stessa contraddizione che abbiamo visto presente nella teoria freudiana dell'Io.
In effetti, noi abbiamo qui, da un lato, un'impostazione metapsicologica che assegna alle pulsioni istintuali un fondamento biologico reale nella costituzione della fenomenologia psichica (o del cosiddetto "accadere psichico"): in tale contesto, l'Io può assumere soltanto il significato di una sovrastruttura più o meno fittizia, destinata ad essere vanificata dalla ben più importante realtà degli istinti e del mondo esterno.
Dall'altro lato, si pone l'esigenza di un Io detentore di una funzionalità autonoma, come condizione per la costituzione di un'autentica teoria della personalità e di una psicopatologia della comprensione fondata sulla teoria del conflitto psichico, così da rendere possibile anche una teoria sistematica della psicoterapia.
Da ciò nasce l'esigenza di una psicopatologia comprensiva e di una psicoterapia basate sull'antitesi e sul conflitto tra l'Io e l'Es, così come sulla possibilità di risolvere tale conflitto.
"Il conflitto nevrotico, per definizione, si svolge tra uno sforzo verso lo scarico ed un altro ad esso contrario: l'intensità del primo sforzo dipende non solo dalla natura dello stimolo, ma soprattutto dallo stato fisico-chimico dell'organismo. In genere si possono equiparare le tendenze che si sforzano verso lo scarico con istinti («impulsi istintivi»); il vagliare gli impulsi, vale a dire, la decisione di permettere il loro scarico è stato definito una funzione dell'Io. Potremmo dare, dunque, questa formulazione generale: il conflitto nevrotico ha luogo tra l'Es e l'Io." (23)
"In ogni sintomo nevrotico si presenta al paziente qualcosa che egli sente come strano ed inspiegabile.
Possono essere movimenti involontari, irregolarità nelle funzioni corporali o sensazioni varie come
l'isteria: o umori ed emozioni ingiustificate e sconvolgenti come negli attacchi di angoscia e nelle depressioni; o bizzarri impulsi e pensieri come nelle coazioni e nelle ossessioni. Tutti i sintomi danno l
'impressione di un qualcosa che sembra irrompere nella personalità da fonte ignota - un qualcosa che disturba la continuità della personalità e che è fuori dal reame della volontà conscia. Ma vi sono anche fenomeni nevrotici di altro genere. Nei «caratteri nevrotici» la personalità non appare uniforme o disturbata soltanto da questo o da quello evento che ne interrompe la continuità; ma è così palesemente lacerata e deformata, spesso così implicata nella malattia, da non potersi dire dove finisce la «personalità» e cominci il «sintomo». Però per quanto i sintomi nevrotici ed i caratteri nevrotici sembrino differenti, ambedue hanno questo in comune: il modo normale e logico di trattare con le esigenze del mondo esterno e con gli impulsi intimi, è sostituito da qualche fenomeno irrazionale che sembra strano e che non può venir controllato dalla volontà. Poiché il funzionamento normale della mente è governato da un apparato di controllo che organizza, guida e inibisce le forze più profondamente arcaiche e più istintive - come la corteccia cerebrale organizza, guida ed inibisce gli impulsi più profondi e più arcaici del cervello - possiamo affermare che il denominatore comune di tutti i fenomeni nevrotici è una insufficienza del normale apparato di controllo.
Il modo più semplice di controllare gli stimoli è di scaricare attraverso reazioni motorie l'eccitazione da essi provocata. In seguito lo scarico immediato è sostituito da un meccanismo di controllo di contro-forze più complicato. Questo controllo consiste in una distribuzione di controenergie in un adeguato equilibrio economico tra lo stimolo e lo scarico."
(24)
Appare evidente, in questo contesto, la necessità di chiarire se l'Io debba essere considerato come un semplice automatismo di controllo (per quanto sofisticato possa essere dal punto di vista tecnologico),
dipendente dal gioco di fattori estrinseci (rappresentati dalle forze interagenti dell'Es e del Mondo esterno), oppure se debba essere riconosciuto come una realtà autonoma, cui siano inerenti attività di giudizio, di mediazione, di deliberazione, essenziali per la costituzione della personalità, del sentimento di Sé e della propria autodeterminazione.


12) La teorizzazione neurobiologistica dell'autonomia dell'Io, secondo H.Hartmann, e il suo carattere fittizio.

Noi sappiamo come, nell'ambito del cosiddetto "mainstream", è stato riconosciuto soprattutto a H.Hartmann il merito di aver teorizzato una "psicologia psicoanalitica dell'Io", che rivendica all'Io una sua autonomia. (25)
In particolare, al riguardo, questo autore pensò di poter riconoscere all'Io, almeno in parte, un carattere primario, sulla base di un suo presunto fondamento neurobiologico autonomo , indipendente dai fondamenti biologici dell'Es.
Sulla base di questa sua autonomia neurobiologica, l'Io avrebbe la possibilità di adempiere adeguatamente i suoi compiti di adattamento alla realtà muovendosi in "un'area libera dai conflitti" cioè al di fuori della dipendenza dalle pulsioni istintuali.
Rivendicare, però, l'autonomia dell'Io sulla base di un fondamento biologico diverso e indipendente rispetto a quello dell'Es, risulta illusorio dal punto di vista di una psicopatologia comprensiva e di una teoria dialettica della personalità.
In effetti, qualora l'Io sia identificato con un apparato biologico di adattamento funzionale riconducibile ad un substrato neurologico, ogni riferimento alla problematica dell'interiorità riflessiva, in cui consiste l'autentica soggettività, verrà abolito. In tal modo però l'Io, nella sua autenticità, risulterà soppresso, essendo ridotto ad un puro automatismo biologico.
Nello stesso senso, si presenta pure illusoria l'intenzione dello Hartmann di teorizzare un Io non conflittuale, in quanto attribuibile ad un fondamento biologico cognitivistico, diverso da quello, conflittuale, pertinente alle pulsioni istintuali.
In effetti, quando si voglia teorizzare l'Io conformemente alla sua intrinseca costituzione dialettica, non si potrà disconoscerne la fondamentale conflittualità (A = non-nonA) in riferimento a qualsiasi sua forma di attuazione (cognitiva, affettiva, volitiva, ecc.).
Viceversa, qualora si vogliano trasferire, riduttivamente, le attività psichiche (non importa se quelle degli istinti, o quelle dell'Io) in una dimensione biologica, non si potrà più parlare nè di conflittualità nè di dialettismo, perchè il mondo naturale e i suoi automatismi biologici e fisico-chimici si realizzano sempre secondo leggi fisse e immutabili, esenti da qualsiasi contrasto o contraddizione.


13) L'inquadramento epistemologico dialettico della psicologia psicoanalitica dell'Io, secondo R.Waelder.

Noi dobbiamo considerare R.Waelder come l'unico importante esponente del "mainstream" psicoanalitico che abbia riconosciuto il carattere epistemologico del contrasto tra la psicologia dell'Es e la psicologia dell'Io.
Già per il passato, abbiamo sottolineato come nel Waelder la contrapposizione tra Io ed Es non assuma un significato empirico, bensì metodologico. (26)
"A tutti i fenomeni psichici" egli osserva, " è applicabile un duplice metodo di osservazione" in funzione del quale "la psicoanalisi, distinguendo all'interno della personalità un Io e un Es, riconosce la presenza di due aspetti: la sua tendenza a essere guidata e quella ad agire in modo deliberato".
"Quindi lo schema dei processi che avvengono nell'Es è: pulsione-espressione della pulsione; e, nell'Io, compito-soluzione del compito o tentativo di soluzione del compito".
(27)
In tal modo, pertanto, l'Io e l'Es non vengono più definiti come due strutture empiriche della psiche, o due spazi mentali in cui "accadono" i fenomeni psichici, bensì si presentano come due modelli metodici, tra loro antinomici, secondo i quali noi possiamo inquadrare la fenomenologia psichica e, in particolare, la personalità umana. Pertanto, adottando il modello dell'Es, noi interpretiamo tale fenomenologia in funzione di "tutte le forze che guidano il singolo individuo", di "tutte le tendenze interiori che lo influenzano", e di "tutte le vis a tergo".
Al contrario, una metodologia conforme al principio dell'Io identificherà la personalità con "le azioni volontarie del soggetto, la sua direzionalità". (28)
In questo dualismo metodologico noi possiamo così vedere riproposta la fondamentale distinzione tra psicologia degli elementi e psicologia degli atti che, già con Wundt, ha segnato gli inizi della psicologia contemporanea e che, dopo essere stata esplicitamente evidenziata nella psicologia degli atti di F.Brentano, ha trovato la sua sistemazione metodologica nella contrapposizione tra la psicologia (e psicopatologia) della comprensione (o psicologia personologica) e la psicologia (e psicopatologia) della spiegazione (o psicologia prestazionale o psicofisiologia o neuropsicologia).
Definendo i caratteri di un'autentica psicologia dell'Io, il Waelder viene così a capovolgere la prospettiva adottata dall'originale pensiero freudiano, che assegna all'Es, all'inconscio ed alle loro pulsioni elementari il fondamento della realtà psichica , relegando l'Io e la soggettività in un ruolo secondario e passivo.
In effetti, nella prospettiva del Waelder, l'Io non è più concepito come un semplice contenitore vuoto, recettore passivo di stimoli (sensoriali o pulsionali) dai quali "è agito" ineluttabilmente, in quanto dominato da "forze oscure e incontrollabili" (29), senza potersi dare una ragione o un perchè; e neppure può essere ridotto ad un semplice automatismo difensivo, in funzione di un contingente adattamento ambientale.
Ciò che caratterizza l'Io, nella sua intrinseca originalità, è viceversa, secondo Waelder, la sua capacità di tradurre ogni sua condizione passiva in termini problematici, ricercando le vie attraverso le quali gli sia possibile di convertire la sua passività in attività, di ricercare una soluzione alla sua dipendenza dalle pulsioni e dagli stimoli esterni, di trovare una mediazione alle sue contraddizioni estrinseche ed intrinseche. "Anche nel caso estremo di un'azione impulsiva, che a prima vista sembra essere guidata solamente dalla pulsione, l'Io ha pur sempre svolto la sua parte: il compito che veniva posto all'Io era in tal caso la perentoria richiesta di soddisfazione di una pulsione emergente, e l'azione che ne è seguita è stato il modo che l'Io ha scelto per risolvere quel compito".(30)
Pertanto, secondo Waelder, non è possibile ridurre l'Io ad un ruolo passivo, perchè la sua originalità
consiste proprio nella "sua attività personale rivolta sia verso il mondo esterno che verso le altre forze il cui insieme costituisce quello stesso soggetto del quale anche l'Io fa parte. Questa attività dell'Io consiste nel suo tentativo di far valere i propri diritti, di aver successo e di assimilare nel suo sviluppo organico sia il mondo esterno che le altre forze, a lui esterne, dell'individuo. La prima di queste attività dell'Io che si fu in grado di osservare fu quella diretta verso il mondo esterno. Ma pare che, sin da principio, l'Io si sforzi di portare sotto l'ombrello della sua guida centrale anche la componente pulsionale della vita dell'individuo. Questa affermazione deriva dalla constatazione del fatto che l'Io sperimenta qualsiasi aumento eccessivo delle pulsioni, anche di quelle che non portano con Sé alcuna implicazione minacciosa di provenienza esterna, come un pericolo, il pericolo, cioè, che l'organizzazione dell'Io ne possa venire sommersa, distrutta. L'Io, evidentemente, assume una posizione attiva nei confronti della vita pulsionale; esso tende a tenerla sotto controllo, o meglio, ad assimilarla all'interno della sua organizzazione. (31)
Da ciò deriva la necessità di concepire l'Io come l'attività personale di un soggetto, che si realizza metodicamente in termini problematico-risolutivi, così che le sue attività saranno definibili come "tentativi di soluzione di un compito: l'Io di ogni singolo essere umano si caratterizza per il numero di metodi specifici in suo possesso atti a ricercare queste soluzioni." (32)
Da questa concezione problematico-decisionale dell'Io come esperienza soggettiva, deriverà, conseguentemente, la necessità di individuare nella dialettica la logica inerente a tale esperienza e la metodologia più idonea per la sua interpretazione.
"I compiti che vengono imposti all'Io sono in contraddizione con quelli che l'Io stesso cerca a sua volta di imporre dal momento che la richiesta di gratificazione delle pulsioni è in contraddizione col tentativo di controllo delle pulsioni stesse; obbedire ai comandi del Super-Io è in contraddizione col tentativo di conquista del Super-Io da parte dell'Io, mediante assimilazione." Ne consegue che la funzione fondamentale dell'Io, come atto psichico, dovrà configurarsi in termini di una mediazione dialettica, che si porrà, come proprio ideale di perfezione, "la ricerca di una soluzione completa dei suoi compiti contraddittori." (33)
Ciò che dunque contraddistingue l'Io, come atto psichico, è la mediazione dialettica dei contrasti immanenti al proprio stesso essere, anzi, "la capacità dell'essere umano di andare al di là di se stesso, di oltrepassare le pulsioni e gli interessi insiti in ogni data situazione, di andare al di là di questi con il proprio pensiero, le proprie esperienze, i propri atti, ponendo se stesso al di là di questi".(34)
Caratteristica specifica dell'Io, in quanto atto riflessivo, è pertanto la funzione dell'autobbiettivazione, per la quale l'Io, obiettivando se stesso, trascende, nel contempo, se stesso: "va al di là di se stesso, considera se stesso come un oggetto, e ciò avviene sia che il Super-Io agisca in modo punitivo e aggressivo, sia che si comporti in modo affettuoso e amorevole, sia, infine, che si mostri disinteressatamente obiettivo, come avviene nell'autoosservazione e nella capacità di staccarsi dai propri personali punti di vista." (35)


14) La problematica del Sé e del Soggetto riflessivo nella dottrina freudiana: la teoria del narcisismo e della relazione oggettuale come autobbiettivazione. Conseguenze sulla teoria della difesa patogena, sul concetto ideale dell'Io e sulla teoria della libido.

L'analisi epistemologica del Waelder sul carattere dell'Io autentico ci conduce così alla problematica dell'autobbiettivazione, del Sé e del Soggetto riflessivo.
Occorre peraltro sottolineare che questa problematica (cui hanno dedicato un particolare interesse, negli ultimi decenni, molti esponenti della speculazione psicoanalitica, quali R.D.Fairbairn, O.Kernberg, H.Kohut, R.D.Stolorow ed altri) non è affatto estranea al pensiero di Freud che, del resto, in età giovanile, non era rimasto indifferente alla lezione di F.Brentano.
Per quanto concerne le attività di riflessione e di autobbiettivazione dell'Io in quanto Sé, cioè come Soggetto che osserva se stesso e, nel contempo, come Oggetto che è osservato da se stesso, pur conservando la sua identità, Freud così si esprime:
"L'Io può prendere come oggetto se medesimo, trattarsi come altri oggetti, osservarsi, criticarsi e fare di se stesso Dio sa quante altre cose ancora. Così facendo, una parte dell'Io si contrappone alla parte restante. Le parti possono successivamente riunirsi." (36)
In realtà, noi sappiamo come, originariamente, già nei primi studi sull'isteria, Freud abbia attribuito la genesi della amnesie e delle difese patogene non (o non soltanto) a semplici meccanismi automatizzati, bensì, in primo luogo, ad un'intenzionalità fondamentale dell'Io, che assume un atteggiamento di ripulsa contro tutto ciò che mortifica e contraddice l'immagine di Sé, il senso di valore e di dignità della propria personalità.
Secondo Freud, ciò che si presenta nel nevrotico come un "non sapere" è, in realtà, un "non voler sapere", da parte dell'Io, in relazione ad esperienze e rappresentazioni collegate a stati emotivi negativi (dell'angoscia, dell'autorimprovero, del dolore psichico, della menomazione, ecc.) e comunque "tali che si preferirebbe non averle vissute e che si vorrebbe piuttosto dimenticare." (37)
In questa prospettiva, è evidente che, anche in rapporto alle amnesie ed alle difese patogene, Freud assume una teoria del conflitto psichico fondata sull'Io riflessivo e, più precisamente, su quei sentimenti in cui si riflettono i giudizi sul proprio valore, come autostima e autorimprovero, autoapprovazione e autocritica, autocompatimento e vergogna, merito e colpa, onore e disonore, legittimità e illegittimità, dignità e indegnità, ragione e torto, senso di integrità e senso di menomazione, ecc.
Questo carattere riflessivo della difesa, come atto dell'Io, si trova ancora più evidenziato nel saggio sul narcisismo, dove il problema dell'Io è concepito esplicitamente come Sé e come soggettività riflessiva e dove il conflitto psichico è concepito da Freud in funzione di una contrapposizione di sentimenti che risultano da una doppia identificazione dell'Io:
"La rimozione procede dall'Io. Potremmo essere più precisi e sostenere che procede dalla considerazione che l'Io ha di Sé." (38)
In effetti, perché le rappresentazioni etiche pertinenti al contesto sociale in cui il soggetto vive possano avere un'efficacia repressiva, provocando un conflitto nella sua interiorità, non è sufficiente che egli ne abbia una nozione puramente intellettuale, ma "occorre sempre che egli le riconosca come normative" e che si identifichi con esse, ponendosi in antitesi con un'altra parte della sua personalità.
"Le stesse impressioni, esperienze, impulsi, moti di desiderio nei quali un individuo indulge, o che quanto meno elabora consapevolmente, sono respinti da un altro con la massima indignazione o almeno soffocati prima di pervenire alla coscienza". (39)
E' evidente come, in questo caso , Freud ponga le basi di una teoria della difesa patogena e del conflitto psicopatologico che comporta una doppia identificazione dell'Io con sentimenti contrapposti e, quindi, una duplice personalità: da un lato l'Io che si identifica col sentimento del piacere immediato; dall'altro, l'Io che si identifica con un ideale e con i sentimenti ad esso correlati, che vanno al di là della semplice esperienza immediata (autostima e colpa, orgoglio e vergogna, ecc.).
"Possiamo dire che un individuo ha costituito in Sé un ideale rispetto al quale misura il proprio Io attuale, mentre nell'altro non avviene questa formazione di un ideale. La formazione di un ideale da parte dell'Io sarebbe la condizione della rimozione". (40)
Freud, tuttavia, non sembra del tutto consapevole che un simile dualismo dell'Io non è concepibile senza presupporre il principio dialettico della riflessione come costitutivo dell'interiorità soggettiva.
Egli ritiene, infatti, che tale dualismo possa essere inquadrato nella sua teoria della libido.
In tal senso, egli immagina che il dualismo dell'Io dipenda dal fatto che una personalità, quella che si identifica con le pulsioni immediate (cioè con la libido) non abbia assunto alcun ideale, mentre l'altra personalità ne avrebbe adottato uno, come suo termine di paragone.
Freud intenderebbe dare una spiegazione empirica a questo ideale dell'Io, considerandolo come il risultato di un'introiezione-identificazione con le figure parentali, che, a loro volta, sarebbero soggette ad una idealizzazione e ad un investimento libidico.
E' evidente, peraltro, che tutti i processi psichici di cui parla Freud a proposito del narcisismo e dell'ideale dell'Io (contrapposizione tra l'"Io" e il mondo esterno, rappresentato dalle figure parentali idealizzate; identificazione tra l'Io e le figure parentali idealizzate e interiorizzate; confronto nell'interiorità dell'Io tra l'Io "libidico" e tali figure come ideale dell'Io, ecc.) presuppongono, per la loro concettualizzazione, un Io riflessivo che non è derivabile empiricamente da fatti naturali.
Anche quando Freud afferma che all'ideale dell'Io si rivolge quell'amore di sé che l'Io ha realmente sperimentato, in Sé, come amore ricevuto dai genitori (41), egli dovrebbe comunque presupporre, nell'Io, una coscienza di Sé, cioè una esperienza riflessiva, senza la quale neppure l'amore dei genitori (e degli altri, in generale) potrebbe essere vissuto come tale. E' evidente, infatti, che un amore rivolto verso un oggetto costitutivamente privo di coscienza di Sé non possa risvegliare, in questo, alcun amore di Sé: solo in un oggetto che sia a sua volta soggetto (e nel quale, pertanto, noi presupponiamo presente una riflessività interiore analoga alla nostra) noi possiamo sperare di risvegliare, col nostro amore, un analogo sentimento (come amore verso l'altro e/o amore di Sé).
La teoria freudiana del narcisismo, dovendo necessariamente presupporre una concezione dell'Io riflessivo, in quanto Sé, non può, contrariamente all'opinione del suo autore, costituirsi in funzione di una concezione fisicalizzata della libido, quale era stata originariamente formulata dallo stesso Freud.
In effetti, qualora venga riconosciuta, sul piano epistemologico, la funzione primaria dell'Io riflessivo, in quanto Sé, a tale funzione dovrà essere subordinata qualsiasi altra concettualizzazione psicologica, compresa quella relativa alla stessa libido, alla relazione di oggetto, all'idealizzazione del Sé e dell'Oggetto, ecc.
In questa prospettiva metodologica, che esplicita il principio dell'Io come riflessività originaria (cioè come dialettica dell'obbiettivazione di Sé, della contrapposizione con l'oggetto e dell'identificazione con l'oggetto) la stessa libido, pertanto, acquisirà un carattere riflessivo. In effetti, nella sua teoria dell'Io come doppia personalità, Freud presenta la libido come la forma più immediata di obbiettivazione dell'Io, cioè come quella personalità che si conforma al principio del piacere e al sentimento dell'onnipotenza e che, come tale, può essere oggetto di giudizio (di critica o di approvazione) da parte dell'Io riflessivo.
A tale riguardo, è significativo che Freud, contraddicendo se stesso, neghi, in un primo tempo, che la personalità "libidica" abbia un ideale (che attribuisce solo alla personalità normativa) mentre, successivamente, ammette che l'idealizzazione è possibile sia nella sfera della libido dell'Io, come in quella della libido oggettuale. (42)
In realtà, in una prospettiva riflessiva, conforme al metodo dialettico, io posso vivere e idealizzare le esperienze impulsive (come quelle della sessualità e dell'aggressività) in quanto sentimenti originari pertinenti alla mia più profonda spontaneità, in contrapposizione con i comportamenti "artificiali" di un Io convenzionale e inautentico. Tuttavia, io posso anche percepirli come forze oscure e caotiche, in contrasto con la luce del mio Io razionale e sociale, portatore dei valori dell'etica e della civiltà.


15) Il dualismo epistemologico della teoresi freudiana: la metodologia esplicativo-naturalistica della metapsicologia e l'esigenza metodologica comprensiva della teoria del narcisismo, come Io riflessivo.

Noi possiamo comprendere, pertanto, come il saggio freudiano sul narcisismo (“Introduzione al narcisismo”, 1914) che, com'è noto, è antecedente ai primi scritti sulla metapsicologia (1915) e al saggio "L'Io e l'Es" (1922), sia stato subito avvertito, nell'ambiente psicoanalitico del tempo, come incompatibile rispetto alla tradizionale dottrina delle pulsioni istintuali. (43)
In realtà, è possibile verificare come, nella metapsicologia tradizionale, basata su una concezione funzionalistica dell'Io come apparato di adattamento all'ambiente esterno e "interno" (rappresentato dall'Es), non vi sia una reale incompatibilità tra i diversi punti di vista (strutturale, topico, economico e dinamico). In una simile prospettiva, infatti, le strutture e le funzioni dell'Io possono essere pur sempre ridotte ad automatismi e dinamismi naturali (quali scariche energetiche, apparati di controllo, distribuzione, antagonismi ed equilibri di forze e controforze fisiche, ecc.) traducibili nei termini di una obiettivazione puramente quantitativa.
Con l'introduzione della teoria del narcisismo, viceversa, l'Io non può essere più ridotto ad un puro automatismo di controllo di tensioni energetiche, nè al semplice derivato di uno scontro tra opposte forze naturali (stimoli e pulsioni).
In ultima analisi, ciò che caratterizza il fenomeno del narcisismo è l'esperienza di un Io che ha se stesso come oggetto primario e come punto fondamentale di riferimento, sensoriale e ideale: l'esperienza narcisistica è contrassegnata dalla sua riflessività, dove l'Io è, al tempo stesso, il soggetto ed il primo oggetto di se stesso, rispetto al quale ogni altro oggetto è secondario e subordinato.
Nella metapsicologia tradizionale, dunque, l'autentica realtà è rappresentata dall'oggettualità naturale (pulsioni e mondo ambientale), mentre l'Io si configura come un semplice epifenomeno, una sovrastruttura fittizia, destinata a subire passivamente i condizionamenti pulsionali e sensoriali. (44)
Nella teoria del narcisismo, invece, l'Io si propone come la prima realtà, esperienza riflessiva di una soggettività comprensiva della stessa oggettualità.
A tale riguardo, occorre sottolineare come la teoria del narcisismo comporti anche un capovolgimento epistemologico della concezione tradizionale della libido, che in una psicologia dell'Es deve essere postulata come un'energia naturale, pertinente alle pulsioni istintuali. In una psicologia dell'Io riflessivo, viceversa, la libido viene a identificarsi con l'Io medesimo, sia che venga concepita come sentimento del piacere (che rappresenta un'esperienza fondamentale dell'Io), sia che si intenda come amore primario dell'Io per se stesso, sentimento riflesso della propria incondizionata positività e della realtà del proprio essere. (45)
Soltanto nella prospettiva dell'Io riflessivo, pertanto, può acquistare un senso concreto anche la stessa teoria freudiana della sessualità in funzione del principio del piacere: il piacere, in effetti, in quanto esperienza vissuta, non può essere riferito ad una dimensione biologica o comunque fisicalizzata, ma esclusivamente all'interiorità dell'Io e alla sua riflessività, che postula la metodologia della comprensione.
Perciò, lo stesso Freud parla di due distinte modalità (e, quindi, di due differenti metodologie tra loro non compatibili) secondo cui può essere concepita la sessualità: l'una, integrata con la dimensione dell'Io, in quanto pertinente all'esperienza del piacere immediato, l'altra alienata dall'Io e pertinente alla dimensione naturale.
" Vi sono due modi paralleli, verosimilmente entrambi legittimi, di concepire i rapporti tra l'Io e la sessualità. Secondo il primo punto di vista, ciò che conta è l'individuo; la sessualità è vista come una delle attività dell'individuo e il soddisfacimento sessuale come uno dei suoi bisogni. Secondo l'altro punto di vista l'individuo è l'appendice provvisoria e transeunte del pressoché immortale plasma germinale che gli è stato affidato dalla generazione".
"La sessualità non va posta sullo stesso piano delle altre funzioni dell'individuo, poiché le sue intenzionalità travalicano l'individuo singolo e hanno come contenuto la generazione di altri individui, ovverossia la conservazione della specie.
L'organismo singolo, che considera se stesso la cosa principale e la propria sessualità un mezzo fra gli altri per il proprio soddisfacimento, dal punto di vista biologico è solo un episodio di una successione dotata di virtuale immortalità, quasi il detentore temporaneo di un fidecommesso destinato a sopravvivergli.
L'individuo conduce effettivamente una doppia vita, come fine a se stesso e come anello di una catena di cui è strumento, contro o comunque indipendentemente dal suo volere. Egli considera la sessualità come uno dei propri fini; ma, da un altro punto di vista, egli stesso non è che un'appendice del suo plasma germinale a disposizione del quale pone le proprie forze in cambio di un premio di piacere. Egli è il veicolo
mortale di una sostanza virtualmente immortale, al pari del detentore di un maggiorasco che usufruisce solo temporaneamente di un istituto che gli sopravvive. La differenziazione tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io non farebbe altro che riflettere questa duplice funzione dell'individuo". (46)
E' evidente, peraltro, che, una volta tradotta in termini naturalistici, la sessualità dovrà inquadrarsi in una metodologia esplicativa, sia che venga interpretata come un istinto programmato dalla specie per la propria perpetuazione, sia che venga identificata con un'energia fisica (la libido fisicalizzata) intenzionata secondo le leggi dell'omeostasi e della costanza.(47)
Ogni tentativo, da parte di Freud, di fondare su basi biologiche una teoria psicologica della sessualità e della libido, in quanto esperienza del piacere, è pertanto destinato a fallire, nel momento medesimo in cui egli stesso, con la teoria del narcisismo, mette in luce l'incompatibilità metodologica tra il metodo naturalistico, che nega la realtà dell'individuo (in quanto semplice mezzo di una programmazione naturale estrinseca), e il metodo della comprensione, che assume come suo punto di riferimento il piacere individuale, come esperienza interiore e intenzionalità primaria dell'Io.


16) Il dualismo epistemologico della teoresi freudiana: la teoria della relazione d'oggetto secondo la formulazione metodologica "omeostatica" e secondo la formulazione riflessiva della teoria del Sé e del narcisismo.

E' dunque possibile individuare in S.Freud, anche in sede teoretica, quel tipico dualismo epistemologico tra la psicologia degli elementi (fondata sul metodo della spiegazione) e la psicologia degli atti (fondata sul metodo della comprensione) che caratterizza tutta la psicologia contemporanea.
Questo dualismo, come per la prima volta ha messo in luce R.Waelder, non si limita, nel quadro del pensiero freudiano, al tema dell'angoscia, del trauma psichico, delle difese patogene, del conflitto psichico, del narcisismo, ma è pertinente a tutte le grandi tematiche della teoria e della clinica psicoanalitica, soprattutto quelle concernenti la relazione d'oggetto, le emozioni e la vita affettiva, le motivazioni fondamentali, la personalità, il processo analitico, la relazione di transfert.
Una volta che, con la teoria del narcisismo, sia stata evidenziata la rilevanza epistemologica dell'Io riflessivo, in quanto Sé, risulterà chiaramente come queste tematiche fondamentali acquisteranno significati radicalmente differenti in funzione del loro diverso inquadramento metodologico, cioè in relazione alla possibilità di un loro riferimento o all'interiorità soggettiva (e al metodo comprensivo che le è pertinente), oppure all'esteriorità naturale (conforme al metodo esplicativo).
E' dunque evidente che in una prospettiva epistemologica, qual è quella illustrata dalla TEU, le tematiche e i concetti psicoanalitici fondamentali, come l'angoscia, il trauma psichico, le difese patogene, l'Es, l'Io, la relazione d'oggetto, l'affettività, lo stesso narcisismo, ecc. si troveranno di fronte ad una duplice alternativa metodologica. Da un lato, noi avremo un'interpretazione di ordine naturalistico che, rifiutando la funzione epistemologica dell'Io riflessivo, sarà portata a ridursi nelle posizioni del funzionalismo tradizionale (nella versione metapsicologico-evoluzionistica del cosiddetto "mainstream" [settore 2B della TEU] oppure nella accezione riduzionistica radicale, conforme alle leggi dell'"omeostasi" e della "costanza" [settore 1B della TEU]). Dall'altro lato, si aprirà la prospettiva di un ribaltamento metodologico globale della teorizzazione psicoanalitica, in funzione del riconoscimento del principio epistemologico dell'Io riflessivo, cui dovrà essere subordinata ogni concettualizzazione particolare, la quale, in tal modo, acquisirà una valenza dialettica (settore 2C della TEU).
La portata di questo ribaltamento metodologico può essere valutata, in particolare, quando si consideri il diverso significato che potrà assumere il tema della relazione di oggetto in funzione delle due differenti metodologie della spiegazione naturalistica (che si ricollega alla metapsicologia tradizionale) o della comprensione dialettica (fondata sul principio epistemologico dell'Io riflessivo).
E' noto come, nelle più recenti elaborazioni della psicologia psicoanalitica dell'Io e del Sé, la relazione di oggetto sia stata prospettata secondo formule che prescindono dalla metapsicologia freudiana delle pulsioni, considerata incompatibile con una visione "relazionale" della vita psichica.
Sulla base di questa esigenza di una concezione "relazionale" della psiche come rapporto tra l'Io e l'oggetto, autori come M.Mahler, W.R.D.Fairbairn, O.Kernberg, H.Kohüt, propongono una teoria della personalità che tende a rifiutare la metapsicologia tradizionale.
La verità è che anche la teoria metapsicopatologica tradizionale non ignora affatto il problema della relazione dell'Io con gli oggetti, ma gli conferisce una soluzione metodologica naturalistica. In tale prospettiva, la relazione dell'Io con gli oggetti esterni, riconosciuti come reali in ragione della loro pertinenza al mondo naturale, avviene, in ultima analisi, in funzione della loro idoneità a consentire lo scarico della libido in quanto carica energetica dell'Es. L'oggetto così fisicalizzato diviene, in tal modo, il termine di una relazione con un'entità a sua volta oggettualizzata e fisicalizzata (la libido) in funzione delle leggi naturali dell'"omeostasi" e della "costanza".
E' evidente che una definizione della relazione di oggetto in una simile prospettiva omeostatica non consente l'autenticazione del principio dell'Io riflessivo nè di una teoria della personalità.
In effetti, nè l'Io riflessivo, nè la personalità individuale possono assumere alcun significato reale in una visione naturalistica, dove non sussiste una vera relazione dialettica di soggetto-oggetto, Io-mondo, interiorità-esteriorità, ecc. Qui, in ultima analisi, tutte le autentiche relazioni si svolgono su un piano interoggettuale tra corpi fisici ed energie fisiche.
In una simile concezione, lo stesso Io si presenta come un apparato obiettivamente determinabile sul piano naturale, con funzioni di regolazione automatica dei flussi di energia tra l'organismo corporeo e gli altri corpi fisici (biologici e non biologici), secondo le leggi dell'omeostasi e della costanza.
In ogni caso, sia che un simile "Io" svolga funzioni di "allarme", per segnalare un pericoloso aumento delle tensioni "antiomeostatiche" all'interno del sistema organico, sia che compia un "esame di realtà" obbiettivo e "libero da conflitti" - al fine, soprattutto, di verificare le condizioni più idonee per lo "scarico" delle tensioni e recuperare l'equilibrio omeostatico del sistema, - risulta pur sempre evidente che esso stesso è parte di tale sistema, alle cui leggi naturali integralmente appartiene.
Con l'esclusione di un Io riflessivo viene però anche meno la possibilità di concepire un'autentica realtà psichica come esperienza interiore del soggetto che aspira a realizzare se stesso al di là della propria costitutiva conflittualità; anzi, risulterà impossibile perfino concepire una reale conflittualità psicologica, perché sul piano naturale non può costituirsi una teoria dei contrasti, ma soltanto dell'uniformità e della costanza delle leggi fisiche, chimiche e biologiche.

* * *

Perciò, l'autentica fondazione di una teoria psicologica della relazione di oggetto (e dei conflitti ad essa collegati) si presenta per la prima volta, nel pensiero freudiano, proprio con la teoria del narcisismo.
In questa teoria, non può dubitarsi che la realtà dell'Io e del proprio essere costitutivo sia rappresentata dalla sua stessa riflessività, per la quale egli si pone, ad un tempo, come soggetto e come il primo oggetto della propria intenzionalità esperenziale, emotiva, conoscitiva, volitiva, rispetto alla quale ogni altra forma di obiettivazione risulterà secondaria.
Risulta evidente, pertanto, che, in una formulazione naturalistica (secondo la metapsicologia delle pulsioni) il rapporto dell'Io con l'oggetto risulterà radicalmente condizionato dall'oggetto e dell'oggettualità.
In questa prospettiva, in effetti, l'Io risulterà a sua volta oggettualizzato, perché sarà identificato con le pulsioni libidiche, in quanto Es, ovvero sarà ridotto ad un'agenzia dell'Es, specificamente deputata alla regolazione dello scarico delle tensioni pulsionali.
In una formulazione conforme alla teoria del narcisismo, viceversa, il primato della relazione Io-oggetto non sarà più da assegnarsi all'oggetto (in quanto fatto naturale) ma all'Io in quanto soggetto riflessivo, che è anche l'oggetto primario di Sé stesso e dal quale dipenderà il significato della relazione oggettuale, in quanto problematica dell'alienazione e dell'integrazione.
E' noto che nell'esperienza narcisistica originaria il sentimento fondamentale dell'essere si identifica col sentimento della propria soggettività, come incondizionata autonomia, assoluto piacere e illimitata onnipotenza.
Il modello del narcisismo primario corrisponde ad una esperienza senza obiettivazioni nè di Sé, nè degli oggetti esterni, dove, per l'Io, non esiste defettività, né bisogno di alcunché, né dipendenza da nulla fuori di Sé. In tale modello, il principio dell'essere si identifica col sentimento del proprio essere.
Il soggetto che non sperimenta alcuna dipendenza dall'oggetto non conosce alcuna realtà oggettuale, nè può riconoscere altra realtà al di fuori di Sé.
Freud definì questa condizione ideale del soggetto primordiale come "narcisismo primario" ("primärer Narzissmus"), dove l'appagamento aprioristico di qualsiasi bisogno e l'estinzione immediata di qualunque defettività escluderebbe le stesse condizioni per il costituirsi della percezione di una realtà esteriore. (48)
Il delinearsi, nell'esperienza soggettiva, di una relazione di oggetto, deve pertanto coincidere con una radicale problematizzazione del narcisismo primario, come soggetto assoluto.
In tal senso, l'oggetto è, in primo luogo, la negazione della realtà assoluta del soggetto, l'esperienza del trauma e della costitutiva defettività dell'Io che vive se stesso come bisogno, angoscia, minaccia del proprio annichilimento e del proprio non essere. (49)
Inoltre, l'oggetto è, in secondo luogo, l'esperienza negativa dello stimolo doloroso, l'alienazione del soggetto che, negandosi come detentore dell'essere, ricerca l'essere fuori di Sé, in funzione del bisogno di integrazione del proprio essere.
Il rapporto tra soggetto ed oggetto si presenta pertanto radicalmente problematico, perché si configura in una forma di esperienza interiore, per la quale i due termini risultano antitetici e complementari.
E' evidente, infatti, che la realtà originaria del soggetto, in quanto esperienza narcisistica, nega la realtà dell'oggetto: in effetti, riconoscere la realtà oggettuale significherà, per il soggetto, negare il principio della propria incondizionata autonomia ed accettare la dipendenza del proprio essere dall'essere oggettuale, come condizione estrinseca di integrazione del proprio Sé.
D'altro lato, è altrettanto evidente che questa contrapposizione dell'oggetto e della sua realtà rispetto all'esperienza soggettiva originaria è anche la condizione per la differenziazione del soggetto e del suo sviluppo storico.
In ultima analisi, il soggetto si sviluppa storicamente nella sua concreta, e non fittizia realtà, soltanto attraverso la verifica progressiva delle sue condizioni di dipendenza dall'oggettualità ed in funzione delle metodiche che è in grado di costituire al fine di superare l'antitesi oggettuale, affrancarsi dalla dipendenza, pervenire all'integrazione dell'oggetto e conseguire una rinnovata sintesi della propria esperienza.
La progressiva differenziazione dell'esperienza soggettiva presuppone necessariamente il costituirsi della realtà oggettuale, che è antitetica alla realtà dell'Io primordiale "narcisistico", ma è anche complementare per la formazione della realtà dialettica dell'Io, come individuazione della personalità e come sviluppo storico. (50)
Lo sviluppo della personalità oscilla tra la posizione "narcisistica" di chi afferma il principio della propria incondizionata realtà e quella di chi costituisce la propria autonomia reale e il proprio sviluppo storico attraverso la verifica delle proprie condizioni di dipendenza e l'elaborazione delle metodiche che gli consentono di neutralizzare, via via, tali condizioni di dipendenza.
In questo senso, l'oggetto è il limite problematico e la negazione del soggetto, ma è anche la condizione necessaria per la sua concreta e non illusoria realizzazione storica, in quanto personalità individuata e differenziata.


17) Narcisismo e teoria delle relazioni di oggetto in funzione del principio epistemologico del Sé: la concezione di R.D.Fairbairn, M.Mahler, H.Kohut.

Noi possiamo pertanto comprendere come quegli esponenti della speculazione psicoanalitica, i quali si sono riproposti di approfondire la problematica delle relazioni di oggetto dal punto di vista dell'esperienza del Sé, quale già si era venuta delineando nella teoria freudiana del narcisismo, abbiano implicitamente o esplicitamente riconosciuto l'incongruenza della teoria naturalistica delle pulsioni istintuali.
Una concettualizzazione della relazione di oggetto in funzione del principio epistemologico del Sé, come Io riflessivo, comporta necessariamente l'introduzione di una teoria dell'esperienza psichica in funzione delle antitesi di differenziazione e indifferenziazione, di autonomia e di dipendenza, di mediazione e di immediatezza, di interiorità e di esteriorità, di integrazione e di alienazione, di Io = essere e di oggetto = non essere (e viceversa), di immanenza e di trascendenza, di individuazione e di spersonalizzazione, di identità e di alterità, ecc.
E' evidente che il riconoscimento di una simile problematica dell'antitesi e della contraddizione, nell'ambito dell'esperienza psichica, in quanto Io riflessivo, non consente la validazione della teoria naturalistica delle pulsioni, fondata sulle leggi dell'omeostasi e della costanza.
In effetti, una concezione della psiche come Io riflessivo e teoria del Sé comporta un'impostazione antiomeostatica: l'oggetto col quale il soggetto si pone in relazione non è una semplice occasione di scarico (o di non -scarico) di tensioni energetiche, in funzione del mantenimento di un equilibrio omeostatico; al contrario, l'oggetto è il termine, bensì problematico, ma anche assolutamente necessario per lo sviluppo del Soggetto, in quanto Sé riflessivo, differenziazione metodica dell'esperienza interiore, promozione dell'autonomia dell'Io e superamento delle sue condizioni di dipendenza, autoaffermazione ed autocreazione storica della personalità.
Il concetto che il momento dell'antitesi, del contrasto e della contraddizione, in quanto contrapposizione dell'oggetto, sia essenziale per l'autoformazione del soggetto, - il quale, pertanto, si realizza concretamente, nella sua autoaffermazione, attraverso il superamento metodico del limite posto dall'oggetto -, comporta necessariamente l'assunzione di una prospettiva epistemologica di ordine dialettico, incompatibile con la metodologia del naturalismo.
Solo in una prospettiva dialettica può, ad esempio, rendersi comprensibile la tesi di R.D.Fairbairn, secondo il quale l'Io si caratterizza per la sua costitutiva ricerca degli oggetti come condizione per lo sviluppo formativo della personalità, mentre l'uso dell'oggetto come semplice mezzo per lo scarico delle proprie tensioni è considerata non una modalità tipica della realtà psichica, ma una condizione deteriore che denuncia il fallimento dell'Io nella propria relazione oggettuale. (51)
Solo in una prospettiva dialettica può giustificarsi anche il concetto di oggetto-Sé, cioè di oggetto che il soggetto identifica con se medesimo, come esperienza integrativa del proprio essere.
Allo stesso modo, i concetti fondamentali usati da M.Mahler per la sua teoria della personalità e del rapporto oggettuale, quali differenziazione e individuazione, sperimentazione e angoscia di separazione, ecc. possono assumere un reale significato psicologico solo in una prospettiva dialettica, che presupponga, nel soggetto interiore, un'intenzionalità di differenziazione, di individuazione, di autonomia e, nel contempo, di integrazione e di identificazione, rispetto all'oggettualità e all'alterità. (52)
Analoghe considerazioni valgono per la teoria della personalità elaborata da H.Kohut in funzione di una psicologia del narcisismo imperniata sui concetti di "Sé grandioso" e del "sano narcisismo". (53)
E' evidente che, anche nella concezione del Kohut, viene assegnata una priorità epistemologica al principio dell'Io riflessivo, che esclude la possibilità di assumere, come punto di riferimento metodico, il principio naturalistico dell'omeostasi su cui si fonda la teoria delle pulsioni.
Il fatto che lo sviluppo della personalità venga teorizzato come un passaggio da una fase più immatura e indeterminata del sentimento di Sé (il "Sé grandioso") ad una fase più matura e differenziata (il "sano narcisismo") comporta che non solo la relazione di oggetto venga ad essere teorizzata in funzione del soggetto riflessivo (per il quale l'oggetto si determina come oggetto-Sé), ma anche che lo sviluppo del Sé, come personalità interiore, si realizzi in funzione di un processo di autobbiettivazione e di autodeterminazione che conduce ad una relativazione del sentimento di onnipotenza ed alla sua dialettizzazione nel quadro del processo di maturazione storica della personalità, dove peraltro il principio del Sé dovrà sempre assumere un ruolo epistemologico prioritario. (Si veda, in merito, il concetto del "Sé coesivo").
Proprio il fatto che il Kohut imposti la sua teoria della personalità in funzione del principio del narcisismo, viene a rendere più esplicite quelle problematiche dialettiche che già erano state evidenziate da S.Freud nel suo celebre saggio di introduzione al narcisismo e che avevano messo in luce, al riguardo, l'inadeguatezza della teoria delle pulsioni e della metodologia naturalistica.


18) "Soggettivismo" e "intersoggettivismo" nella concezione di R.D.Stolorow.

In tempi più recenti, la tesi della priorità epistemologica del Sé e della soggettività in contrapposizione al naturalismo della metapsicologia tradizionale è stata sostenuta, in termini ancor più espliciti, da R.D.Stolorow e dai suoi collaboratori.
In questo autore il tema della soggettività è infatti definito come incompatibile rispetto alle formule ontologizzanti del naturalismo metapsicologico.
A tale proposito, lo Stolorow critica quegli autori che, pur presentandosi come teorici della psicologia del Sé e della Soggettività, traducono poi questi concetti in termini naturalistici, fisicalistici, neurologistici, cibernetici, informatici, ecc.
Riferendosi ad uno di questi teorici, lo Stolorow così si esprime:
"Basch è nello stesso tempo un eminente sostenitore della psicologia del Sé e il rappresentante dichiarato di quella tendenza della psicoanalisi contemporanea che cerca di fondare la teoria psicoanalitica nelle neuroscienze. Basch propone un modello concettuale che mira a colmare «l'antico e controproducente divario tra la psicologia e la biologia», e che intende essere «una teoria della psicoterapia unificante, unificata e costruita su basi scientifiche». Questo tentativo di unificazione di psicologia e biologia si rifà allo spirito dello sfortunato " Progetto di una psicologia" del 1895, in cui Freud prospettava la riduzione del funzionamento psichico a processi meccanicistici localizzati nel sistema nervoso. Basch, basandosi su immagini e metafore tratte dalla cibernetica e dall'informatica, descrive l'attività psicologica essenzialmente come una serie di cicli di feedback che si svolgono all'interno del cervello."
"Si consideri ora il costrutto centrale della metapsicologia di Basch, il cosiddetto sistema del Sé. Tale sistema è definito come un'entità biologica consistente in un'organizzazione gerarchica di cicli di feedback. Sebbene Basch dichiari che non è corretto ridurre la complessa attività solitamente designata con il termine «mente» all'attività neurologica, il suo concetto di sistema del Sé fa precisamente questo. Si tratta infatti di un'entità creata dal cervello, situata nel cervello, e che controlla e guida il cervello nella sua relazione col mondo. Inoltre, il sistema del Sé ha la funzione di permettere al cervello di operare «come un computer che si autoprogramma» servendosi di configurazioni di software che svolgono la funzione di «custodi dell'ordine, assicurando la competenza e, in ultima analisi, l'autostima». In questa immagine, che raffigura il cervello come un computer che si autoprogramma ponendosi esclusivamente in relazione con le proprie costruzioni interne, noi scorgiamo un esempio lampante di materializzazione, mediante il quale la mente isolata viene equiparata a un organo fisiologico dotato di attributi propri della persona."
(54)
Al fine di superare gli enigmi dell'ontologismo naturalistico che intenderebbero proporre un'immagine fisicalizzata della soggettività, lo Stolorow propone un modello teorico secondo il quale "l'esperienza personale si sviluppa sempre all'interno di un sistema intersoggettivo in evoluzione". (55)
Secondo le intenzioni di questo autore, il modello "relazionale" dell'"intersoggettività" dovrebbe essere considerato sufficiente per superare sia i limiti della "reificazione" naturalistica del Sé, sia il mito della "mente isolata", tipica della metapsicologia tradizionale.
In tal senso, il modello "intersoggettivo" dovrebbe rappresentare la forma più autentica della concezione relazionale, che si ripropone di sostituire il modello metapsicologico, considerato insufficiente ad interpretare la complessità dell'esperienza psicoanalitica, tanto in sede teoretica, quanto sul piano clinico.
Tuttavia, noi sappiamo (e lo stesso Stolorow sembra esserne consapevole, con la sua critica alla teoria del Basch) che l'uso di una terminologia "soggettivistica" o "relazionale" non è sufficiente a garantire il discorso psicologico e psicopatologico dagli equivoci del naturalismo ontologizzante.
In effetti, come già abbiamo segnalato, una concezione naturalistica (sia essa rappresentata dalla metapsicologia freudiana o da un modello neurofisiologico e cibernetico) non esclude affatto una prospettiva "relazionale" della mente, nè si fonda sul presupposto mitico di una "mente isolata": vero è, piuttosto, che la sua concezione del rapporto mente-corpo, soggetto-oggetto, ecc., è di ordine naturalistico e, pertanto, concerne sempre entità oggettuali, anche quando venga usata una terminologia soggettivistica.
Questa anomalia (segnalata appunto dallo stesso Stolorow) non esclude affatto che si possano concepire i sistemi "mentali", teorizzati in termini fisicalistici e impropriamente definiti come "Sé" o come "Soggetto", quali parti di un supersistema a sua volta fisicalizzato, che garantisce una interrelazione organizzata e permanente tra le parti componenti.
Tutto ciò, al contrario, deve considerarsi presupposto in una visione naturalistica, in quanto nel sistema generale del mondo fisico tutti i fenomeni particolari sono soggetti a leggi universali e necessarie (di ordine matematico) dalle quali sono definite a priori le loro reciproche relazioni.


19) Ghestaltismo, empatia e teoria degli affetti nell'"intersoggettivismo" di R.D.Stolorow.

Definire i fenomeni mentali come "relazionali" e "intersoggettivi" non è pertanto sufficiente a garantirne l'autenticità "soggettiva": occorre anche definire metodicamente la natura della loro interrelazione, che, qualora fosse concepita in termini fisicalizzati, si collocherebbe in una dimensione oggettualistica dove verrebbe annullata ogni forma di soggettività e di intersoggettività.
Proprio questo effettivamente accade alla psicologia dello stesso Stolorow, che sembrerebbe incline a concepire la sua "intersoggettività" nei termini di una sorta di "teoria del campo" o di psicologia della Gestalt : in questo caso, però, come già da parte nostra è stato osservato, si correrebbe il rischio di costituire una nuova entità naturalistica "intersoggettiva" dove il processo di differenziazione dell'individuo rispetto all'Alterità non avrebbe più un'autenticità reale, nè una legittimazione logica, perché la realtà originaria sarebbe rappresentata da una indifferenziazione immediata "intersoggettiva", dove qualsiasi tentativo di introdurre una differenziazione dovrebbe essere considerato come un'arbitraria astrazione. (56)
In simili condizioni epistemologiche peraltro, risulterebbe impossibile costituire una vera teoria della personalità, per la quale il principio della differenziazione e della individuazione del soggetto rispetto all'altro soggetto è da considerarsi indefettibile, perché rappresenta il principio problematico da cui scaturisce lo sviluppo storico dell'Io riflessivo (Sé), sia come alienità e contrapposizione dialettica, sia come identità e identificazione dialettica con l'alterità.
La natura dialettica delle relazioni intra ed inter soggettive rende improponibile qualsiasi elaborazione epistemologica di tipo ghestaltico, che riporterebbe la problematica della soggettività su posizioni oggettualistiche e naturalistiche, senza poterne definire l'intrinseco fondamento logico, nè sul piano teoretico, nè sul piano clinico.
In effetti, tanto nella teoria, come nella clinica, lo Stolorow sembra proporsi come sostenitore di un soggettivismo o (secondo la sua terminologia) di un "intersoggettivismo" empatico, dove le correnti emozionali si costituiscono nell'ambito di un "campo" bipolare (o pluripolare) cui tutti i poli dell'"intersoggettività" ugualmente partecipano.

E' evidente come la teoria dell'"intersoggettivismo" empatico di Stolorow rappresenti un radicale sovvertimento dei fondamenti della psicoanalisi freudiana, sia nella teoria come nella pratica terapeutica.
Sul piano teorico, una delle conseguenze più importanti di tale sovvertimento è verificabile nella teoria degli affetti e del rapporto di alterità, mentre sul piano clinico e terapeutico viene messa in crisi la teoria freudiana del transfert.
Il carattere più singolare di questa teoria della soggettività dello Stolorow è che essa, pur giustamente criticando il riduttivismo della teoria freudiana degli affetti e la logica del naturalismo su cui essa si fonda, tuttavia non perviene all'individuazione dell'autentico fondamento logico dell'affettività, limitandosi a riproporre una concezione basata sull'empatia e sull'esperienza immediata (Erlebnis)
L'interrogativo epistemologico di una teoria "empatica" degli affetti qual è quella proposta dallo Stolorow, è che se essi scaturiscono da un "campo" "intersoggettivo", occorrerà pur sempre precisare se tale "campo" sia conseguente alla interrelazione delle diverse individualità soggettive, presupposte come realtà primaria dell'affettività, oppure se il "campo emozionale" debba concepirsi come una realtà primaria, nell'ambito della quale si costituiscono o vengono condizionati i diversi soggetti individuali.
In quest'ultimo caso, il "campo emozionale" potrebbe essere teorizzato secondo una formula fisicalistica, come un campo energetico che, in ultima analisi, non risulterebbe incompatibile con una teoria della libido transpersonale (come quella junghiana); oppure potrebbe rinviare ad un mondo di intenzionalità trascendenti dalle quali dipenderebbe la configurazione del "campo" ed i destini dei soggetti individuali che in esso trovano la loro collocazione (così come accade nella dottrina junghiana degli archetipi o nella concezione fenomenologica-esistenzialistica della trascendenza).
E' evidente però che, in una simile impostazione epistemologica, si otterrebbe proprio quella ontologizzazione (o reificazione) delle esperienze emozionali dalla quale lo Strolorow aspirerebbe ad emendarsi, dopo averne denunciato la presenza nella dottrina freudiana delle pulsioni.
Se infatti il mondo delle emozioni e degli affetti non appartiene originariamente al Soggetto, come Io riflessivo, ma è concepito come dipendente da una realtà fisicalizzata (come un "campo" fisico, una "energia" libidica, ecc.) oppure da una realtà trascendente (strutture archetipiche, mondo del valori, ecc.), allora la realtà del mondo affettivo sarà teorizzabile solo in una dimensione oggettuale di contenuti fisicalizzati oppure trascendenti, mentre il soggetto individuale sarà ridotto ad una contenitore vuoto che sarà a sua volta oggettualizzato e la cui sorte dipenderà dai contenuti che in esso troveranno la loro collocazione.
E' evidente che, in tali condizioni, parlare di "soggettività" e di "intersoggettività" risulterà del tutto illusorio perché il soggetto risulterà completamente alienato e determinato da una realtà obbiettiva che lo trascende, negandogli ogni reale autonomia.
Allo stesso modo, in una simile prospettiva, risulterà illusorio ogni tentativo di elaborare una vera teoria della personalità, fondata sull'autonomia dell'Io riflessivo.


20) La teoria naturalistica degli "affetti" e la dialettica del sentimento in una prospettiva dialogica.

L'altra alternativa per una concezione degli affetti secondo una teoria del "soggetto" e dell'"intersoggettività" consiste nel riconoscere nel soggetto stesso, come interiorità riflessiva, l'origine primaria di ogni forma d'affettività.
In questo caso, però, la relazione "intersoggettiva", dalla quale si originano gli affetti, non potrà essere collocata sul piano esteriorizzato di contenuti emozionali o di sentimenti trascendenti, che i vari "soggetti" coinvolti recepiranno passivamente.
Al contrario, il punto di riferimento della relazione "intersoggettiva" dovrà essere situato all'interno della stessa esperienza soggettiva, come sentimento di Sé, in contrapposizione al sentimento dell'Alterità e dell'oggettualità.
In una prospettiva fondata sul principio dell'Io riflessivo (che, in psicoanalisi, viene introdotto esplicitamente da Freud, col suo saggio sul narcisismo), il problema della vita emotiva non può più trovare il suo punto di riferimento sul piano dell'esteriorità oggettuale e della passività degli "affetti". Il soggetto che sia "posseduto" e condizionato dagli "affetti" come rappresentanza delle "pulsioni", o di "campi emozionali" o di "valori" trascendenti, non è più un autentico soggetto, perché vive il sentimento del Sé come costitutivamente alienato da se stesso ed ontologicamente non integrabile nel proprio Io.
La costituzione di una vera teoria della personalità diviene possibile soltanto adottando una metodologia dialettica e capovolgendo così la prospettiva naturalistica che presuppone i sentimenti come costitutivamente alienati dal soggetto e dall'Io riflessivo.
In effetti, mentre in una concezione naturalistica l'alienazione del sentimento, in quanto "affetto" passivamente "subito" dal soggetto, è ontologicamente irriducibile, in una visione dialettica, viceversa, tale alienazione è fondamentalmente funzionale, in quanto comporta la differenziazione e lo sviluppo del sentimento di Sé, attraverso le antitesi di Identità-Alterità, Soggettività-Oggettualità, Integrazione-Alienazione, Indifferenziazione-Differenziazione, Soggetto-Oggetto, Dipendenza-Autonomia, Immediatezza-Mediazione, Particolarismo-Universalità, ecc.
In tal modo, dal primitivo sentimento di Sé, come narcisismo originario, il soggetto trapassa, nel momento dell'alienazione, al sentimento dell'Alterità e dell'Oggetto, percepito a sua volta, nel momento dell'integrazione, come Oggetto-Sé, costitutivo del proprio essere e del proprio divenire. (57)
In tal senso, il processo di autobbiettivazione come alienazione del soggetto è dialetticamente complementare al processo di individuazione dell'Io come integrazione e sviluppo della personalità.
In una prospettiva dialettica, tali antitesi non possono essere ricavate empiricamente dall'esperienza esterna, perché sono categorie fondamentali, cioè il presupposto aprioristico per la concettualizzazione di qualsiasi esperienza psichica e di ogni soggettività.
Questo carattere categoriale delle antitesi fondamentali della soggettività, come esperienza interiore, ci obbliga ad attribuire un valore categoriale anche ai sentimenti che sono correlati con tali antitesi.
Il fatto che attribuiamo un significato categoriale, inseparabile dal nostro essere, come concreta esistenza, a sentimenti quali l'angoscia e la gioia, l'amore e l'odio, la depressione e l'esaltazione, l'insicurezza e la sicurezza ecc., non è altro che la traduzione, sul piano dell'esperienza interiore, di quella vicenda di integrazione e di alienazione attraverso la quale il soggetto si differenzia e si sviluppa storicamente come personalità.
Questo sviluppo storico del soggetto come personalità comporta pertanto l'obiettivazione dialettica dell'interiorità nell'esteriorità, come espressione e come linguaggio, attraverso il quale l'Io si realizza come Alterità.
Perciò, in una prospettiva dialettica, la teoria dello sviluppo del sentimento è inseparabile da una teoria del linguaggio come relazione dialogica con l'oggettualità e l'Alterità. (58)
Poiché, tuttavia, tanto il sentimento, quanto l'oggetto e l'altro, assumono un significato riflesso, la loro formulazione fondamentale si pone nei termini del sentimento di Sé e di autobiettivazione (in quanto Sé che osserva e che è osservato; sente se stesso ed è sentito da se stesso; vuole se stesso ed è voluto da se stesso, ecc.; o, viceversa, nega e rifiuta l'autosservazione, l'accettazione di Sé, la percezione di Sé, ecc.).
Risulterà essenziale perciò stabilire, ai fini di una valutazione del rapporto dell'Io col mondo, se, nella fase originaria della sua costituzione, il sentimento di Sé sarà orientato secondo l'amore, l'accettazione e la valorizzazione di Sé, oppure secondo l'odio, il rifiuto, il deprezzamento di Sé, perché la formula fondamentale del sentimento che il soggetto applica verso se stesso sarà anche quella che il soggetto applicherà verso gli altri soggetti, in universale.
Con l'esplicita introduzione dei temi dell'Io riflessivo, del Sé, del Soggetto e dell'Intersoggettività, la speculazione psicoanalitica approfondisce dunque la propria problematica epistemologica, mettendo in luce il dissidio metodologico, già presente nel pensiero freudiano, tra il metodo riduzionistico dominante nella metapsicologia e l'esigenza di un metodo integrazionistico e dialettico, evidenziata dalla teoria del narcisismo.


21) Il problema psicoanalitico delle motivazioni e dell'intenzionalità nella prospettiva epistemologica dell'Io riflessivo e della psicopatologia comprensiva: biologismo, trascendenza, dialettica.

L'esigenza di una metodologia dialettica in psicoanalisi si rende tanto più evidente quanto più, nella ricerca e nella clinica, assumono rilevanza i temi dell'Io riflessivo, del Sé, della Soggettività, in rapporto ai quali il metodo riduzionistico si dimostra inadeguato.
Questa necessità di un rinnovamento metodologico della psicoanalisi sul piano della psicopatologia della comprensione e della teoria della personalità, è stata messa in luce, per il passato, soprattutto dalla ricerca di R.Waelder e, in tempi più recenti, dalla teoria del Sé e del narcisismo di H.Kohut e dalla teoria della soggettività e dell'intersoggettività, di R.D.Stolorow.
E' evidente che una simile riforma del metodo psicoanalitico mette in crisi l'ideale freudiano della psicoanalisi come psicopatologia e teoria della personalità che avrebbero dovuto conformarsi alla teoria biologica delle pulsioni istintuali ed alle leggi economiche dell'omeostasi e della costanza e che, appunto in ragione di tale conformità, avrebbero dovuto fondarsi sulla metodologia della spiegazione, tipica delle scienze naturali.
Con l'introduzione del principio epistemologico dell'Io riflessivo come Sé e come Soggettività, viene posto in crisi non solo il programma freudiano di una biologizzazione della fenomenologia psichica in funzione della teoria delle pulsioni, ma anche il programma di H.Hartmann di una biologizzazione dell'Io come apparato di adattamento dotato di circuiti neuronali specifici.
In effetti, se la teoria hartmaniana di un'autonomia dell'Io basata su una specificità dei suoi fondamenti biologici deve dimostrarsi affatto illusoria (dal momento che un automatismo di adattamento biologico può essere definito come "Io" e come "autonomo" soltanto in funzione di un abuso terminologico), nessun artificio concettuale o terminologico è sufficiente per mascherare l'inadeguatezza della metodologia naturalistica della spiegazione di fronte alla problematica dell'Io riflessivo e della sua motivazionalità autonoma, come Sé e come Soggettività.
Lo spostamento, in psicoanalisi, dalla dimensione epistemologica della metodologia della spiegazione, tipica della metapsicologia delle pulsioni istintuali, a quella della metodologia della comprensione, introdotta dal principio del Sé, della Soggettività e dell'Io riflessivo, comporta necessariamente una debiologizzazione della metodologia psicoanalitica, soprattutto in relazione alla teoria delle motivazioni, che non sono più riducibili al modello omeostatico.
In effetti, in una teoria della personalità e della psicopatologia fondata sul principio epistemologico dell'Io riflessivo, la motivazione fondamentale non può che essere, a sua volta, riflessiva: l'oggetto dell'Io, in quanto soggetto, non può essere che l'Io stesso, in quanto Sé.
La natura riflessiva dell'Io comporta pertanto che la motivazione fondamentale ed ogni altra motivazione dell'esperienza psichica siano rivolte, in ultima analisi, alla realizzazione dello stesso Io, cioè della personalità, come individualità autonoma e come risoluzione delle condizioni defettive che limitano o minacciano la sua autonomia.
Da un punto di vista riflessivo e propriamente personologico, l'oggetto di qualsiasi motivazione particolare sarà sempre in funzione dell'intenzionalità fondamentale del Soggetto, che aspirerà alla realizzazione di se stesso come Io ideale e integrazione della personalità.
In questo senso, il tema delle motivazioni e della loro integrazione nell'intenzionalità fondamentale dell'Io si ricollega alla problematica della trascendenza, in quanto comporta la necessità, da parte del Soggetto, di problematizzare dialetticamente la sua realtà immediata, in funzione del conseguimento di un modello ideale dell'Io che non è immediatamente presente, ma che costituisce la condizione normativa della personalità e di ogni suo comportamento.
Pertanto, anche in rapporto al tema della motivazionalità e dell'intenzionalità, la teoria psicoanalitica della psicopatologia e della personalità si troverà di fronte alla necessità di operare un'opzione tra la metodologia naturalistica della spiegazione e quella personologica della comprensione.
Il rifiuto, da parte della psicoanalisi della soggettività, di legittimare ontologicamente la metapsicologia, come teoria motivazionale delle pulsioni, fondata sul principio omeostatico, comporta dunque la necessità di riformulare la teoria delle motivazioni in funzione antiomeostatica, secondo il modello dell'Io riflessivo e della sua intenzionalità trascendente.

* * *

Il fatto che la trascendenza, come motivazione fondamentale, caratterizzi l'intenzionalità dell'Io riflessivo in quanto Sé, spiega l'accostamento della psicoanalisi della soggettività alle posizioni della personologia e della psicopatologia fenomenologiche e alla loro motivazionalità di ordine "superiore".
In tal senso, l'aspirazione della psicoanalisi a costituirsi come anello di congiunzione tra le scienze della natura (Naturwissenschaften) e le scienze dello spirito (Geisteswissenchaften), già formulata da Freud in funzione del modello naturalistico delle pulsioni, viene ad essere riformulata, dai teorici della soggettività, su posizioni capovolte, in funzione del modello ermeneutico dei significati trascendenti e della loro intenzionalità.
E' evidente che, in questo mutamento di prospettive (come, del resto, nella opposta prospettiva naturalistica) in relazione al problema motivazionale, ciò che risulta di primaria importanza non può essere l'individuazione empirica di un certo numero di motivazioni "superiori" (trascendenti) in opposizione ad un catalogo di motivazioni "inferiori" (biologico-pulsionali), bensì la possibilità di costituire una valida e coerente metodologia della Soggettività e della sua intenzionalità, in opposizione alla riconosciuta inadeguatezza della metodologia naturalistica e del suo modello delle motivazioni pulsionali.
A questo proposito, occorrerà tenere presente che, in entrambe le prospettive, biologico-pulsionale o soggettivistico-intenzionale, le motivazioni, sul piano della fenomenologia empirica, potranno apparire innumerevoli (sia che si attribuiscano agli istinti o alle forme di esistenza corrispondenti), ma, in ogni caso, per ciascuna delle due prospettive, il principio motivazionale fondamentale sarà sempre unitario.
In effetti, da un lato, il motivazionismo pulsionale si caratterizza per il suo riduzionismo radicale, che porterà ad assegnare un significato fittizio alle motivazioni "superiori", per ricondurle alla più "autentica" realtà delle motivazioni biologiche che, a loro volta, troveranno il loro fondamento motivazionale unitario nel principio dell'omeostasi.
In una prospettiva soggettivistica, viceversa, l'autentica realtà dell'Io, in quanto personalità, comporterà la necessità di una subordinazione delle motivazioni "inferiori" biologiche (pulsioni, istinti, ecc.) alle motivazioni "superiori", il cui fondamento universale unitario sarà costituito dal Sé ideale, come trascendenza dell'Io.
Il problema della motivazione, nel quadro della psicopatologia della comprensione e della teoria della personalità, ci pone così, ancora una volta, di fronte al problema della fondazione teoretica della psicologia degli atti (già patrocinata da F.Brentano) in contrapposizione con la psicologia degli elementi (che ha il suo più celebre antesignano in W.Wundt) e della psicofisica (rappresentata soprattutto da T.Fechner).
Non possiamo stupirci, pertanto, di ritrovare, nella più recente letteratura psicoanalitica, una polemica epistemologica che si ricollega direttamente all'antitesi metodologica che abbiamo riconosciuto presente, sin dalle origini, nella psicologia contemporanea. Abbiamo così, da un lato, la posizione di chi, appellandosi alla necessità di conferire alla psicoanalisi delle motivazioni uno statuto “razionale” e “scientifico”, identifica tale razionalità con le metodiche quantificatrici e fisicalizzanti delle scienze naturali e, pertanto, giudica insostituibile la metapsicologia freudiana, soprattutto in relazione al punto di vista economico, che dovrebbe consentire di ridurre in termini puramente quantitativi la fenomenologia personologica e psicopatologica, abolendo ogni fattore qualitativo (O.Fenichel, H.P.Blum, L.Rangell, C.Brenner, ecc.).
Dall'altro lato, noi troviamo un'impostazione che, ispirandosi alla psicologia degli atti ed alla intenzionalità del soggetto interiore, ritiene che il problema della motivazione umana non sia riducibile alla pulsionalità biologica, ma debba trovare il suo punto di riferimento e la sua più tipica caratterizzazione nell'Io riflessivo e nell'autotrascendimento del Sé (M.N.Eagle, R.P.Stolorow, G.E.Atwood, ecc.).
Vediamo così riproporsi nella psicoanalisi dei nostri giorni quell'antitesi metodologica che tipicamente caratterizza l'epistemologia della psicologia moderna . Da un lato, l'ideale di fondare le conoscenze psicologiche e psicopatologiche secondo le basi scientifiche del naturalismo, conduce la psicoanalisi freudiana alla soppressione del soggetto e della sua tipica motivazionalità riflessiva, annullando, così, l'originale problematica psicologica e la possibilità di costituire un'autentica psicopatologia della comprensione. Dall'altro lato, la rivendicazione dell'originalità del soggetto e della sua intenzionalità porta l'odierna psicoanalisi ad interrogarsi su quale possa essere il principio di razionalità dell'interiorità soggettiva e se sia possibile costituire una teoria della motivazione del Sé, da cui possa anche derivare una teoria della personalità ed una psicopatologia sistematica della comprensione.
Il tema dell'Io riflessivo conduce pertanto la psicoanalisi della soggettività a confrontarsi con problematiche quali l'intenzionalità, la trascendenza, l'empatia, gli Erlebnisse dell'esistenza e dell'"essere nel mondo" (Dasein) come Alterità e Alienità, ecc., che caratterizzano la ricerca fenomenologica.
E' senza dubbio significativo che tutte queste problematiche, sia dal punto di vista teoretico, sia in sede clinica, portino in primo piano, oltre al tema dell'Io, anche quello del sentimento, che diviene fondamentale, non solo in psicoanalisi, ma anche nella fenomenologia, per la costituzione di una teoria comprensiva della personalità e della psicopatologia.


22) La psicologia dei sentimenti (patopsicologia) e la necessità della sua fondazione dialettica in quanto psicologia dell'Io, nella psicoanalisi dell'intersoggettività e nella fenomenologia: la posizione di K.Schneider.

L'aspetto più significativo della psicoanalisi della soggettività (Stolorow e collaboratori) è dunque l'esigenza di emendamento del riduzionismo tipico della metapsicologia freudiana, che risolve i sentimenti umani in semplici "affetti" riconducibili alle pulsioni istintuali ed alla legge dell'omeostasi, rendendosi così responsabile di una concezione a sua volta fisicalizzata dello stesso Io (ridotto ad un puro automatismo di adattamento)
In effetti, richiamandosi al tema dell'empatia come esperienza intersoggettiva, la psicoanalisi della soggettività mette in evidenza l'esigenza di integrazione del sentimento con la dialettica dell'Io riflessivo, in funzione dell'autenticazione della teoria della personalità e della psicopatologia comprensiva.
Sotto questo profilo, la psicoanalisi dell'intersoggettività ci ripropone una tematica che caratterizza la psicopatologia fenomenologica di K.Schneider.
Nella psicopatologia fenomenologica di K.Schneider, i sentimenti, esplicitamente definiti come "stati dell'Io", occupano una posizione di primo piano in relazione alla teoria della personalità, in generale, e delle personalità psicopatiche, in particolare. (59)
Non è dubbio che, per la costituzione di una psicologia sistematica della comprensione, non solo interpersonale, ma anche intrapersonale, si renda necessaria una teoria dei sentimenti, del loro fondamento logico e delle loro reciproche contraddizioni, in relazione all'esperienza dell'Io.
In effetti, non è possibile concepire alcuna forma di comunicazione e di comprensione sia interpersonale che intrapersonale, se non in funzione di un fondamento, al tempo stesso logico ed empatico, che conferisca unità e continuità a tutte le diverse forme del sentimento, individuali e interpersonali, al di là delle antitesi e contraddizioni secondo cui sono vissute nell'interiorità soggettiva.
Il fatto che la metodologia della comprensione includa il principio del sentimento, è esplicitamente riconosciuto da Jaspers.
"Quando comprendiamo i contenuti delle idee come scaturiti da stati d'animo, desideri e timori di chi pensa, allora comprendiamo veramente in modo psicologico o partecipando attivamente".
"La partecipazione affettiva ci introduce nelle stesse relazioni psichiche. Mentre la comprensione razionale è solo un ausilio della psicologia, la comprensione affettiva ci introduce nella psicologia stessa".
(60)
Sotto il profilo epistemologico, peraltro, occorrerà precisare se la metodologia comprensiva dovrà ridursi alla pura empatia dell'Einfühlung e dell'Erlebnis (come esperienza immediata) o se ad essa dovrà essere riconosciuta immanente una forma logica idonea a interpretare la problematicità del sentimento e la sua costitutiva contradditorietà, in rapporto al principio dell'Io.
Il fatto che i sentimenti si presentino in termini contraddittori, è cosa ben nota anche alle psicologie positivistiche (come quella di Wundt) che di regola li descrivono secondo coppie antitetiche (piacere-dolore, tensione-distensione, amore-odio, egocentrismo-socialità, ecc.). Tali psicologie, tuttavia, perseguono l'ideale di ridurre le stesse antitesi a fattori quantitativi, come tipicamente si ripromise anche Freud, a proposito dell'antitesi piacere-dolore, con la sua teoria economica delle pulsioni.
E' evidente, peraltro, che la contraddittorietà, così come l'articolazione logica dei sentimenti, potrà essere adeguatamente teorizzata solo nell'ambito della dialettica dell'Io, mentre verrà del tutto obliterata con l'introduzione di una metodologia naturalistica della spiegazione, che si riproporrà, in ogni caso, di ridurre l'esperienza interiore della vita emotiva ad una dimensione estensiva, di ordine puramente quantitativo. In tal modo, i sentimenti saranno ricondotti a reazioni neurovegetative, ovvero a pulsioni biologiche, sostenute da energie fisico-chimiche quantificabili e misurabili.
Nell'impostazione metodologica adottata da K.Schneider, i sentimenti sono riconosciuti nella loro originalità e nella loro differenziazione qualitativa, secondo un inquadramento già adottato da N.Hartmann e M.Scheler. (Vedi Tavole IV e IV A).
Conformemente a tale inquadramento, i sentimenti, nella loro "stratificazione" elementare, si risolverebbero nella sensorialità e nella pulsionalità (sentimenti "somatici", "sensoriali", "pulsionali", "vitali", ecc., collegati col sentimento della corporeità, dei suoi bisogni e della sua vitalità, della sua integrità e della sua defettività). Nelle loro "stratificazioni" più "elevate", viceversa, i sentimenti assumerebbero significati di valutazione (in senso positivo o negativo) che li renderebbero inscindibili dall'attività giudicativa e volitiva in quanto comporterebbero atteggiamenti, inclinazioni o tendenze, in senso positivo o negativo, da parte del soggetto, verso l'oggettualità e l'alterità (che può essere rappresentata anche dal soggetto stesso).
Per quanto, da parte dello Schneider, si manifesti il proposito di ricondurre la fenomenologia dei sentimenti alla formula dell'esperienza immediata (Erlebnis), non sembra che questa formula trovi un'effettiva validazione nella sua "patopsicologia". In effetti, ciò che risulta fondamentale, nella teoria schneideriana dei sentimenti, è il loro costitutivo riferimento all'Io riflessivo, sia nella loro forma più elementare (che presuppone comunque la coscienza della "mia" corporeità), sia nelle loro "stratificazioni" più elevate (che postulano l'attività giudicativa dell'Io ed il suo riferimento ad un mondo dei valori).
Questo specifico riferimento dei sentimenti all'Io è esplicitamente riconosciuto dallo Schneider, che però non ne trae tutte le dovute conseguenze sul piano metodologico.
In effetti, lo Schneider, per quanto concerne la teoria dei sentimenti (la sua "patopsicologia") viene a trovarsi di fronte ad una duplice possibilità.
Da un lato, vi è la possibilità di interpretare la psicologia dei sentimenti (la "patopsicologia") secondo una duplice metodologia (della comprensione e della spiegazione), secondo quanto proposto dalle dottrine di N.Hartmann e di M.Scheler, che assegnano a tale dualismo metodologico un fondamento ontologico.
Questi autori, infatti, adottano, per la psicologia dei sentimenti "elementari" e "inferiori", una metodologia naturalistica esplicativa, in quanto sarebbero pertinenti all'"essere" fisiologico.
Attribuiscono invece alla psicologia dei sentimenti "complessi" e "superiori" una metodologia comprensiva, in quanto ad essi sarebbe pertinente un riferimento ad un mondo di valori fondato sull'essere trascendente. (Vedi Tavola IV A).
In tal modo, secondo una simile prospettiva, l'Io non potrebbe essere altro che lo spettatore passivo di una fenomenologia dei sentimenti il cui fondamento reale non risiederebbe nel proprio Sé interiore, ma nella stratificazione somato-organica (per i sentimenti "inferiori") oppure nell'Essere trascendente (per i sentimenti "superiori").
L'altra alternativa, invece, consiste nella possibilità di riconoscere tanto ai sentimenti "inferiori", come a quelli "superiori", un comune riferimento riflessivo, rappresentato dall'Io interiore e dal suo processo dialettico di autobbiettivazione.
E' evidente che, in una prospettiva dialettica, tanto i sentimenti cosiddetti "inferiori", come quelli cosiddetti "superiori" vengono radicalmente problematizzati, perché se, da un lato, essi definiscono altrettante condizioni di integrazione dell'Io, dall'altro lato, all'opposto, si configurano come altrettante condizioni di crisi e di alienazione, cioè stati di problematizzazione dell'interiorità soggettiva, che l'Io dovrà risolvere e superare per conseguire l'integrità del proprio essere.
Piacere e dolore, ansia e sicurezza, tristezza e gioia, autodeprezzamento e autostima, amore e odio, speranza e disperazione, merito e colpa, ecc., rappresentano altrettante antitetiche determinazioni, secondo le quali, in condizioni differenti, si manifesterà la dialettica del sentimento.
Occorre però tenere presente che tale dialettica può acquistare un reale significato in quanto sia derivata non da "stratificazioni" "inferiori" o "superiori" dell'Essere (naturale o trascendente), ma dall'interiorità dell'Io e dalla sua costitutiva riflessività.
Piacere e dolore, ansia e sicurezza, speranza e disperazione, amore e odio, ecc., possono avere un autentico significato epistemologico solo in quanto si presupponga la presenza di un Io riflessivo, come soggetto interiore che, rapportandosi all'esteriorità oggettuale, gode e soffre, si angoscia e si rassicura, spera e dispera, ama e odia, ecc., in funzione del valore, positivo o negativo, che assume la propria obiettivazione.


23) L'integrazione dialettica dell'Io riflessivo con il principio del sentimento, come condizione per l'autenticazione della teoria della personalità e della psicopatologia comprensiva.

E' necessario sottolineare che qualsiasi altra "patopsicologia" che non riconoscesse nell'Io riflessivo il principio fondante e la forma dialettica costitutiva di tutti i sentimenti, non ci consentirebbe di pervenire ad un'autentica teoria della personalità nè ad una psicopatologia comprensiva.
In base alle precedenti considerazioni, risulta evidente che il principio della comprensione empatica, che noi troviamo alla base della psicoanalisi intersoggettiva (Stolorow e collaboratori) e della psicopatologia fenomenologica (K.Jaspers, K Schneider) potrà considerarsi idoneo per la costituzione di una teoria della personalità e di una psicopatologia personologica soltanto in funzione della sua integrazione col principio della dialettica, come forma logica dell'Io riflessivo.
In effetti, una psicologia dei sentimenti che si riducesse alla pura registrazione di una serie di dati emozionali di esperienza immediata (Erlebnisse), ovvero che concepisse la comprensione empatica come un'identificazione immediata con l'affettività dell'altro (Einfühlung), senza individuare il fondamento logico che la collega alla dialettica dell'Io riflessivo, si troverebbe costretta a rinunciare alla possibilità di un'autentica teorizzazione sistematica, nè potrebbe contribuire alla costituzione di una teoria della personalità.
Al di fuori della dialettica dell'Io riflessivo, una psicologia dell'affettività potrà trovare soltanto una teorizzazione spuria. In effetti, seguendo il principio della spiegazione naturalistica, gli affetti si ridurranno ad un fatto fisiologico (come accade nella metapsicologia freudiana). In base al principio della trascendenza, d'altra parte, le origini dei sentimenti (soprattutto di quelli "superiori") saranno ricercate in una realtà onnicomprensiva, non intelligibile da parte dell'Io.
In tali condizioni, peraltro, si assisterà al paradosso di un Io costitutivamente alienato dai propri sentimenti. In effetti, in una teorizzazione di tipo naturalistico (come quella metapsicologica freudiana) l'Io verrà a percepire gli stati affettivi unicamente come una sgradevole tensione interna, nei confronti della quale si troverà a vivere una condizione traumatica o uno stato penoso di arginatura. (61)
Anche in una teorizzazione di tipo trascendente, peraltro, l'Io recepirà i sentimenti e gli affetti (soprattutto quelli "superiori") non come espressione della propria spontaneità, ma come "rivelazione" di una realtà trascendente di valori, dalla quale sarà "afferrato" e "vissuto", senza potersi dare una ragione logica o una spiegazione naturale. Nella concezione di K. Jaspers, ad esempio, "i valori prendono forma di un fatto oggettivo, di un regno particolare come qualcosa che ha vigore per se stesso, e vuol essere realizzato e promosso". (62)
Anche secondo N. Hartmann, "i valori sussistono indipendentemente dalla coscienza di valore . . .
In ogni caso è la coscienza di valore a dipendere dall'esistenza del valore, non il valore dalla coscienza.
. . . Se i valori esistono indipendentemente dal loro sentimento, se, anzi, è questo che dipende da quelli; allora l'adesione ai valori è il contatto con una diversa sfera che esiste accanto o al di sopra del reale e comunque non ne dipende . . . L'adesione dello spirito al mondo dei valori è come un legame con un altro mondo, quasi la sua disposizione ad ascoltare il richiamo che ne scende nel mondo reale, ad interpretare l'esigenza dettata dai valori. Il sentimento dei valori ha la forma di un interiore
Vernehmen (coglimento), e si accosta quindi al senso primario della parola Vernunft (ragione). Risulta del tutto sensato concepire la ragione pratica come coglimento di valori . . . Il "coglimento" dei valori - anche in se stessi, nella loro idealità e indipendentemente da ogni realizzazione - è, in generale, più un esser colti e soggiogati da essi, che un vero e proprio cogliere.
. . . Il sentimento umano del valore è il protrarsi dello spirito vivente dentro l'altro mondo; o, piuttosto, al contrario, il protrarsi di questo mondo altro, in Sé ideale e indifferente alla realtà, nel mondo reale. L'essere umano vivente, lo spirito personale, è il punto in cui il mondo reale si apre all'esigenza ideale che proviene dai valori".
(63)
L'ontologizzazione trascendente degli universali del sentimento, elaborata da L.Binswanger nella sua fenomenologia antropoanalitica ed applicata da questo autore anche nella discussione dei suoi celebri casi clinici, rappresenta, a questo proposito, un esempio tipico. (64)
In un tale contesto, però, paradossalmente, l'alienazione dei sentimenti rispetto all'Io non sarà più prospettabile come uno stato "negativo" ("abnorme" o "psicopatico") della personalità, nè la reintegrazione dei sentimenti nell'Io sarà da considerarsi come corrispondente alla normalità originaria dell'essere personologico.
Al contrario, le configurazioni universali del sentimento definiranno condizioni dell'esistenza originariamente precostituite nell'Essere trascendente ed alle quali il soggetto individuale potrà essere chiamato a partecipare, senza peraltro esserne l'autore, e senza che gli sia possibile formulare legittimamente in merito un giudizio di valore o di disvalore.
In tal senso, gli universali dell'immaginario, gli atteggiamenti emotivi e le visioni del mondo che (in senso "normale" o "psicopatico") caratterizzano la personalità umana non potranno essere considerati come pertinenti alla spontaneità dell'Io, ma apparterranno alla stessa trascendenza, cui dovrà attribuirsi il processo costitutivo del Sé e della personalità, rispetto al quale l'Io risulterà in ogni caso alienato.
Questo paradosso dell'alienazione dell'Io rispetto al Sé ed alla personalità autentica, in quanto sentimento, è verificabile, in modo tipico, nelle teorie fenomenologico esistenzialistiche di quegli autori che ontologizzano la dialettica dei sentimenti sul piano della trascendenza (come N.Hartmann, M.Heidegger,L.Binswanger, M.Boss , C.G.Jung).(65)
Una simile impostazione epistemologica trova la sua collocazione nel quadro 2A della TEU (Tavola Epistemologica Universale).


24) L'essere personologico come dialettica del Sentimento di Sé e della sua problematizzazione: il sentimento dell'angoscia.

Ai nostri giorni, il problema dell'integrazione del sentimento nella forma dell'Io riflessivo si presenta dunque come la condizione fondamentale per la costituzione di una psicopatologia comprensiva e di una teoria della personalità.
Noi abbiamo potuto verificare come, nell'ambito della cultura psicoanalitica, l'alienazione del sentimento dall'Io sia da imputarsi al riduzionismo naturalistico della metapsicologia freudiana. Questa metapsicologia, da un lato, intenderebbe risolvere la differenziazione qualitativa e la dialettica dei sentimenti nella pulsionalità biologica e nelle sue costituenti energetiche, economicamente quantificabili e sottoposte alle leggi dell'omeostasi e della costanza.
Dall'altro lato, la stessa struttura dell'Io, cui sono attribuite funzioni automatiche per l'adattamento delle pulsioni alle condizioni imposte dall'ambiente esterno, sarebbe a sua volta riconducibile ad un fondamento neurobiologico.
In un simile contesto, strettamente naturalistico e riduzionistico, l'esperienza dell'Io riflessivo, come sentimento interiore del Sé, viene a trovarsi in una condizione di alienazione radicale, che ne rende impossibile una coerente teorizzazione.
Questa alienazione radicale si traduce, nella metapsicologia, non solo nello scacco dell'Io di fronte alla triplice limitazione sia del sentimento biologizzato come Es; sia del Mondo esterno come ordine precostituito di significati convenzionali, minacciosi e inquietanti; sia del Superio come rappresentante interiorizzato e automatizzato di contenuti remoti e inattuali, pertinenti a tale ordine simbolico (66); - ma anche, e soprattutto, nel dramma dell'Io, come autenticità riflessiva, di fronte a se stesso, in quanto percezione del limite rappresentato dalla propria obiettivazione empirica ed esigenza del suo autotrascendimento in funzione dell'integrazione con l'ideale del proprio Sé.
A tale proposito, non è difficile verificare come la visione psicoanalitica del sentimento debba trovare il suo esito logico nella teoria dell'angoscia come costitutiva fatiscenza dell'Io di fronte alle ben più consistenti realtà, biologiche e sociali, degli istinti e della normatività estrinseca (sia esteriorizzata che interiorizzata).
In ultima analisi, dunque, l'angoscia, in tale visione, dovrà prospettarsi come il sentimento fondamentale dell'Io riflessivo, nell'atto in cui percepisce il proprio radicale non-essere, di fronte alla realtà ineluttabile della Natura e del Mondo Esteriore, come Essere assoluto.
In assenza di una teoria dell'Io riflessivo, è evidente che ogni altra determinazione o differenziazione qualitativa del sentimento dovrà apparire illusoria, dal momento che la negatività assoluta risulterà come l'unica connotazione adeguata del sentire umano.
Non può perciò meravigliare che, dovendo prendere in considerazione la problematica dell'Io riflessivo, in quanto Soggettività interiore, la psicoanalisi della soggettività debba ricondurre le angosce particolari (dell'Es, del mondo sociale, del Super-io) al problema fondamentale dell'integrazione del Sé, cioè alla possibilità dell'Io riflessivo di percepire la propria interiorità come essere reale ed autentica individualità.
Nell'ambito della psicologia della soggettività, come Io riflessivo, la problematica del sentimento dovrà prospettarsi non estrinsecamente, ma intrinsecamente all'esperienza che l'Io ha di se stesso, come sentimento del proprio essere e sicurezza della realtà del proprio essere, in quanto prima realtà.
Questa esperienza dell'essere come realtà della propria interiorità, comporta, per il soggetto, in quanto Io riflessivo, la percezione dell'oggetto (in quanto essere esteriore) come non-Io e come negazione della realtà dell'essere soggettivo.
La percezione dell'oggetto come essere autonomo che nega l'autonomia del soggetto e confina il soggetto nella condizione della dipendenza, del bisogno, del non-essere, della spersonalizzazione, dell'alienazione dell'Io, è pertanto il limite problematico che il soggetto deve negare e superare, per riaffermare il proprio essere, ricostituire l'integrità del proprio Io e, nel contempo, pervenire ad un rinnovato sentimento di Sé.
Il superamento dell'oggetto, peraltro, non comporta che, dal punto di vista dialettico, l'oggetto sia immediatamente soppresso, ma che sia integrato nel soggetto dal soggetto stesso, il quale, in funzione di tale integrazione, ritroverà se stesso in una rinnovata forma di strutturazione, corrispondente ad un'ulteriore fase del proprio sviluppo storico.
Pertanto, in una psicologia della soggettività, in quanto Io riflessivo, le antitesi del sentimento, come affermazione e come negazione di Sé, scaturiranno necessariamente dalla forma riflessiva secondo cui l'Io si costituisce problematicamente, nel suo processo di autobiettivazione.
Poiché, in una prospettiva soggettivistica, l'essere del soggetto, come esperienza interiore, può costituirsi soltanto dialetticamente, nei termini antitetici e problematici della individuazione e della differenziazione, dell'alienazione e dell'integrazione, dell'obbiettivazione e della subbiettivazione, dell'esteriorizzazione e dell'interiorizzazione, ecc., sarà evidente che il sentimento dell'angoscia corrisponderà al momento della problematizzazione radicale dell'essere del soggetto che, sul limite antitetico dell'oggettualità assoluta, percepirà se medesimo come assoluta defettività ma, nel contempo, percepirà anche il suo rifiuto disperato ad accettare il proprio annichilimento.


25) Il sentimento di Sé come prima realtà e sviluppo dialettico della personalità. L'esigenza di un'integrazione dialettica della teoria psicoanalitica.

Il postulato della psicologia soggettivistica, che il sentimento di Sé rappresenti sia il fondamento dell'essere del Soggetto, sia la prima realtà dell'Io, come assoluto piacere e incondizionata onnipotenza, comporta che il soggetto non rinunci mai al principio del proprio essere ed all'autoaffermazione del proprio essere, in funzione dell'ideale della propria assoluta autonomia.
Perciò, di fronte ai sentimenti dell'angoscia, della dipendenza, del bisogno, della propria defettività, corrispondenti alla negazione dell'essere del soggetto, il soggetto riaffermerà il principio del proprio essere come sentimento di contrapposizione e di reintegrazione con l'essere alieno dell'oggettualità.
Nell'ambito di tale contrapposizione tra il soggetto e l'oggetto, tra l'Io e il non-Io, dalla cui problematica dipende la possibilità dell'essere e del non-essere del soggetto, sarà possibile individuare lo sviluppo dialettico dei sentimenti, corrispondenti ad altrettanti atteggiamenti del soggetto di fronte all'oggetto e ad altrettante metodiche di reintegrazione dell'essere del soggetto.
Onnipotenza e annichilimento, piacere e dolore, angoscia e gioia, odio e amore, aggressività e conciliazione, superbia e umiltà, esaltazione e tristezza, ribellione e sottomissione, minaccia e preghiera, rivendicazione e rassegnazione, attività e passività, fede e disperazione, conquista e rinuncia, ecc. si presenteranno come altrettante concrete possibilità pratiche di rapporto con l'oggetto, in cui si attuerà l'essere del soggetto, come modalità di attuazione della personalità.
E' evidente, dunque, che in una prospettiva soggettivistica non sarà più possibile concepire l'essere dell'Io, del Sé, della Soggettività, dell'interiorità, del sentimento, ecc., secondo formule naturalistiche ed oggettualistiche.
In effetti, una volta accertato che l'essere originario dell'Io riflessivo sia rappresentato dal sentimento di Sé e che questo sentimento di Sé si sviluppi dialetticamente come alienazione e come reintegrazione del soggetto interiore, la problematica di questa esperienza non sarà più riducibile alle categorie logiche ed epistemologiche del naturalismo, ma sarà necessario introdurre una metodologia di ordine dialettico (categoria 2 C della TEU), che riferisca la differenziazione e lo sviluppo dei sentimenti all'Io riflessivo, riconducendone lo specifico significato nell'ambito del rapporto soggetto-oggetto.
La necessità di un'integrazione dialettica del pensiero psicoanalitico si presenta perciò incontrovertibile nel momento in cui, nella stessa psicoanalisi, viene a presentarsi l'esigenza di una teorizzazione dell'esperienza soggettiva, nella sua originalità.
In effetti, poiché, sul piano epistemologico, l'originalità dell'esperienza soggettiva (in quanto Sé e intersoggettività) non può esaurirsi in una forma immediata di empatia (Einfühlung), ma si pone nei termini di una dialettica dei sentimenti che si svolge nella relazione di soggetto-oggetto, diviene evidente come nè la logica naturalistica dell'identità (A=A), nè il principio della pura identificazione (intuitiva o empatica), potranno bastare a comprendere l'interiorità soggettiva nella sua specificità, ma sarà necessario introdurre, in merito, una metodologia dialettica.
A tale proposito, pertanto, sarà anche necessario acquisire una chiara coscienza metodologica che ci consenta di individuare i differenti significati epistemologici che la stessa soggettività verrà ad assumere in funzione delle diverse formule categoriali ( naturalistiche o dialettiche, riduzionistiche o integrazionistiche) che potranno essere usate nella teorizzazione e nella ricerca, soprattutto in relazione alla teoria della personalità ed alla psicopatologia comprensiva.


26) L'esigenza di un'integrazione dialettica della teoria del sentimento nella visione fenomenologico-esistenzialistica.

Questa esigenza di integrazione dialettica della teoria dei sentimenti si presenta non solo nella psicoanalisi della soggettività (come esperienza empatica che intende superare il riduzionismo biologico-pulsionale della metapsicologia), ma anche nella psicopatologia fenomenologico-esistenzialistica.
In effetti, nella prospettiva fenomenologica, le esperienze empatiche, in funzione delle quali si costituisce la personalità nell'articolata differenziazione dei suoi sentimenti, sono riconosciute nella loro specificità qualitativa, come Erlebnisse originari, non riconducibili alla dimensione naturalistica e quantitativa delle pulsioni biologiche.
Dal punto di vista epistemologico, tuttavia, si porrà pur sempre l'interrogativo del loro fondamento unitario e della loro ultima intenzionalità, da cui dipenderà anche la possibilità di costituire una teoria sistematica della personalità e della psicopatologia comprensiva.
In tal senso, le forme empatiche fondamentali e le determinazioni universali del sentimento, da cui dipende la strutturazione della personalità, presenteranno due diverse possibilità di teorizzazione: in effetti, il principio originario del loro essere e della dialettica della loro reciproca correlazione potrà essere riconosciuto nello stesso Io riflessivo, oppure potrà essere attribuito ad una realtà che trascende infinitamente l'esperienza dell'Io e che, attraverso le forme del sentimento, potrà rivelarsi e imporsi all'Io, il quale, di fronte ad esse, assumerà il ruolo passivo di semplice strumento o di alienato spettatore.
In quest'ultimo caso, però, anche ciò che più specificamente viene considerato pertinente al soggetto, cioè le determinazioni del sentimento più universali e più intimamente collegate alle antinomie dell'esistenza, quali l'Essere-nel-mondo (Dasein), la Trascendenza, la Temporalità, la Cura, l'Angoscia, ecc., verranno ad essere integralmente sottratte alla dialettica dell'interiorità soggettiva ed alla forma riflessiva del Sentimento, per essere riferite ad una realtà trascendente, di rango ontologico-metafisico.
Una tale realtà, per quanto di ordine "qualitativo", sarà non meno alienante di quella, di ordine "quantitativo", del riduzionismo obbiettivante fisiologico, tipico della psicologia naturalistica.
Con una simile ontologizzazione trascendente, le determinazioni universali del sentimento, dalla dialettica dell'interiorità soggettiva, vengono trasferite nella dimensione dell'Essere assoluto, rendendo così problematica una teorizzazione metodica e differenziata della personalità umana. Tutto ciò viene così criticato da K.Jaspers, soprattutto in relazione alla metafisica dell'esistenza di M.Heidegger e della Daseinanalyse di L.Binswanger:
"La psicologia fa dello psichico un oggetto, una cosa presente, ma anche l'ontologia lo ha fatto, ed è tanto più confusionaria in quanto essa stessa ha stabilito come principio la non-oggettività.
Heidegger ha cercato di creare un campo definito del sapere, che indica come "ontologia fondamentale" e che lascia sviluppare nelle ramificazioni delle "esistenzialie" ("Existentialien") in analogia alle "categorie" delle oggettività immediate. Tali "esistenzialie", come essere-nel-mondo, stato d'animo, ansia, preoccupazione, dovrebbero cogliere l'elemento ontologico, che è il presupposto per cui noi viviamo e ci comportiamo in un certo modo, sia esso vicino alle origini e autentico, sia invece nel modo coperto, diluito, sviato, dell'inautentico "uomo" medio.
L'impiego in psicologia di tale ontologia dell'esistenza può avere tutt'al più il valore di una teoria oppure di una costruzione per singole relazioni comprensibili, ma non il valore di una teoria della struttura psicologica dell'uomo. Questa costruzione teoretica diventa, a sua volta, di nuovo un mezzo per nascondere, che diventa tanto più funesto, in quanto, con frasi che sono molto vicine all'esistenza, si può fallire la vera esistenza e renderla poco seria.
Se Kunz ritiene che "la psicologia esistenziale sia anche capace di una teorizzazione e di una oggettivazione", io lo contraddirei: l'esistenziale direttamente non diventa oggettivo o, se è diventato oggettivo, è falsato. Quello che io non trovo qui è una decisa reazione a pensieri e metodi, che coprono perfino sotto i veli della filosofia l'essere umano, lo distruggono e lo escludono".
"Quando L. Binswanger vuole esaminare l'uomo da un punto di vista di una certa idea, e respinge per lui il "concetto di conglomerato" come unità corporea-psichico-spirituale, che consiste nella sintesi di diversi metodi (p. es. di quello scientifico-naturalistico, di quello psicologico, e di quello delle scienze dello spirito), e richiede invece una "idea preordinata", che chiama "l'idea fondamentale-ontologica della esistenzialità", commette un errore filosofico e scientifico"
(67)
Nella concezione di K.Jaspers viene pertanto esclusa la possibilità di una riduzione della problematica del sentimento e della sua intrinseca contradditorietà a qualsiasi formula ontologica, ma, nel contempo, le contraddizioni radicali costitutivamente inerenti al sentimento dell'Io e dell'interiorità riflessiva tendono ad essere considerate, dallo stesso Jaspers, alla stregua di antinomie irriducibili che rinviano ad un mondo di valori trascendenti, il cui ultimo significato sfugge ai limitati poteri dell'intelletto umano.
Nella prospettiva della trascendenza, le antinomie irriducibili e inconciliabili si traducono in enigmi metafisici di fronte ai quali fallisce l'intelletto, come contro un limite insormontabile del conoscere.
Perciò l'esperienza delle antinomie non è rapportabile alla conoscenza o alla scienza, bensì proprio allo stesso sentimento in cui le situazioni limite del rapporto soggetto-oggetto, immanenza-trascendenza, si rivelano allusivamente, attraverso il linguaggio cifrato in cui si annuncia l'intenzionalità arcana dell'Essere onnicomprensivo.
"L'uomo attuale - pensante, senziente, agente -, sta quasi tra due mondi: davanti a lui l'oggetto, dietro di lui il soggetto, l'uno e l'altro infiniti, inattingibili, impenetrabili. Nell'una e nell'altra parte sono insite antinomie decisive".
"L'uomo vive, di sua natura, entro la scissione di soggetto ed oggetto e non è mai, in questo ambito, in uno stato di tranquillità e di quiete, bensì aspira e tende di continuo verso un fine, uno scopo, un valore, un bene qualsiasi. Con ciò non si vogliono intendere soltanto gli scopi che uno pensa in forma razionalmente chiara, bensì ogni atteggiamento nei confronti di un bene, ogni direzione del tendere, tutte le cose che possono anche non prendere per nulla, in chi vive, una forma cosciente razionale e chiara.
La situazione pur così mutevole, e così diversa a seconda degli uomini cui si rivolge, ha questo, tuttavia, di tipico: essa è per tutti a due tagli, incita e ostacola e inevitabilmente limita, distrugge, è infida e insicura.
Quanto più in fondo giungono la coscienza e la vocazione, e tanto più si fa chiara la coscienza della struttura antinomica del mondo: ad ogni cosa si collega (nel mondo oggettivo), a dispetto dell'effettiva realizzazione, una cosa non voluta; ad ogni volizione si collega (nel mondo soggettivo) una non volizione, una controvolizione: noi stessi e il mondo siamo scissi antinomicamente . . . L'uomo non può, in quanto lo muovono le forze di una visione del mondo, starsene fermo al concreto finito, in quanto tutto il concreto ha ad un tempo carattere finito e infinito . . .Se resta entro la scissione di soggetto ed oggetto, ogni infinitudine lo conduce a quegli abissi di contraddizione che sono le antinomie. Ma se egli si sforza sia nel pensare, sia nell'autoesperienza e nell'autoformazione, sia nell'agire e nel creare, di trovare una soluzione al di là delle contraddizioni, non ottiene altro che l'eliminazione delle contraddizioni, a guardar bene, superficiali (che non erano, in fondo, contraddizioni). Egli allora approfondisce, per contro, proprio di fronte alle infinitudini, proprio ai limiti da lui in quel momento raggiungibili, le antitesi in antinomie, vale a dire in elementi tra loro inconciliabili, che non possono non apparirgli componenti definitivi ed essenziali dell'esistenza, all'interno della scissione di soggetto ed oggetto. Gli elementi fra loro inconciliabili del pensiero, i conflitti che accompagnano l'azione non trovano già, all'interno della scissione tra soggetto ed oggetto e di fronte all'infinitudine, una soluzione, bensì s'intensificano paurosamente; la colpa diviene inevitabile per i conflitti di doveri che nascono, costellati da un atto in un primo momento casuale; e una razionalità intensissimamente sviluppata dà luogo al pathos di un pensiero che si distrugge da se stesso. . . Le antitesi reali sono antinomie quando le si concepisce come qualcosa di supremo, che appare, nel rispetto del valore, come essenziale e problematico, quando si concepisce l'esistenza come scissa in antitesi nella sua essenza più profonda, in modo che ogni esistenza concreta particolare si costituisce solo allorché quelle forze o manifestazioni antitetiche si trovano insieme. . . .L'essenziale, innanzi tutto, è la "struttura antinomica" dell'esistenza; e, se questa è un limite proprio dell'immagine del mondo e della sua natura oggettiva, le corrisponde per altro, in sede soggettiva, la sofferenza che accompagna ogni vita. Non sono altro che casi particolari di quel fatto generale e, nella loro particolarità, più concreti e quanto mai efficaci in sede reale, le situazioni limite della lotta, della morte, del caso, della colpa".(68)
Perciò, anche nella concezione jaspersiana, noi assistiamo ad una radicalizzazione ontologica delle contraddizioni del sentimento ed alla loro traduzione in antinomie trascendenti, che potranno anche trovare nello stesso sentimento, attraverso il linguaggio cifrato della trascendenza, una loro trascrizione.
Tuttavia, il sentimento dell'Io riflessivo non sarà mai in grado di dialettizzare tali antinomie in funzione della realizzazione unitaria della personalità, perché il loro ultimo significato rinvierà all'intenzionalità dell'Essere onnicomprensivo, che la mente umana non è in grado di penetrare.
"La coscienza, l'autocoscienza e la personalità sono l'unità che noi possiamo essere, ma che non possiamo oggettivare e pensare in maniera logicamente adeguata". (69)
"Per il fatto che l'uomo è onnicomprensivo nelle sue possibilità non è determinabile nella sua natura . . I modi dell'onnicomprensivo non si possono conoscere, ma solo illuminare. L'onnicomprensivo è l'essere in Sé (mondo e trascendenza) oppure l'onnicomprensivo che siamo noi. Rendere l'onnicomprensivo oggetto e trattarlo come qualche cosa di conoscibile, è un errore radicale del nostro pensiero".(70)
"Esistenza è l'Essere per Sé che si rapporta a se medesimo, e quindi alla trascendenza, per mezzo della quale esso si sa originato e sulla quale si fonda . . .
Quanto più decisamente noi siamo noi stessi, tanto più decisamente sperimentiamo che anche noi non lo siamo per opera di noi soli, ma che noi riceviamo, come in dono, il nostro vero Essere. Anche la nostra propria realtà dell'esistenza non è "Realtà".
(71)
"La Trascendenza è la potenza mediante la quale io divengo me stesso . . . Quindi la Trascendenza è per noi nulla, in quanto tutto ciò che per noi è ha la forma dell'essere determinato.
E quindi la Trascendenza è per noi tutto, in quanto tutto ciò che nel mondo dell'Essere determinato è vero essere per noi, lo è soltanto in rapporto alla Trascendenza o come simbolo della Trascendenza"
(72).
Pertanto, anche nella concezione di K.Jaspers, le determinazioni fondamentali del sentimento dell'Io, su cui deve costituirsi la personalità ed il suo sviluppo storico, restano pur sempre condizionate ontologicamente dalla trascendenza, dalla quale dipende il loro significato ed il destino dell'individuo, come essere determinato.
"Nell'essere determinato vi è il giubilo della vita che si compie, ed il dolore di ciò che in essa si perde. Di fronte ad entrambi però risulta l'insufficienza del mero essere determinato, risulta la noia della ripetizione, lo spavento nella situazione estrema del naufragio; ogni essere determinato già porta in Sé la rovina . . .
Nello spirito la profonda soddisfazione è nella totalità, ed il tormento nell'irriducibile incompiutezza. Di fronte ad entrambi cresce la disarmonia e la perplessità innanzi allo sfacelo di ogni totalità. Nell'esistenza vi è la fede e la disperazione .
(73)
"Non possiamo cogliere la Realtà su nessuna altra via che attraverso la percezione della credenza, dell'esperienza di fede.
Alla fede non importa la rappresentazione, ma la realtà di quanto è creduto. Come la realtà nel mondo è accessibile attraverso la fede, sia questa filosofica o religiosa . . .
Il linguaggio della realtà trascendente è un'obiettività di origine incomparabile e indeducibile . . .
Esso è il linguaggio dei simboli per la filosofia, esso è la presenza della trascendenza reale nel mito, è la rivelazione per la religione. La Realtà viene semplicemente e naturalmente assunta come incomprensibile."
(74)
E' evidente, pertanto che, anche nell'ambito della cultura fenomenologica, un'autentica teoria della personalità e della psicopatologia comprensiva risulterà possibile solo in funzione di un'integrazione metodologica dialettica, che consenta di emendare le Weltanschauungen antitetiche del sentimento da ogni riduzione ontologica e di restituirle alla mediazione dell'Io riflessivo ed alla sua intenzionalità.


NOTE

(1) Kraepelin E. (1901), p. 1; (1904), Vol. I, p. 4; (1904), Vol. II, p. 1; (1904), Vol I p. 5.
(2) Giacomini G.G. (1983), (1989/a), (1991/b), (1991/c).
(3) Kraepelin E. (1904), Vol. II, p. 5.
(4) Jaspers K. (1959), pp. 610, 608, 612 passim (corsivi aggiunti).
(5) Giacomini G.G. (1991/a).
(6) Jaspers K. (1959), p. 613.
(7) Schneider K. (1950), p. 96.
(8) Giacomini G.G. (1969), (1980), (1986), (1987/a), (1987/b).
(9) Giacomini G.G. (1994/e).
(10) Giacomini G.G. (1988), (1989/a).
(11) Giacomini G.G. (1994/b).
(12) Giacomini G.G. (1989/a), (1991/a).
(13) Giacomini G.G. (1991/a).
(14) Giacomini G.G. (1988), (1989/a), (1991/a), (1991/b), (1994/b), (1994/d).
(15) Giacomini G.G. (1991/b), (1991/c), (1991/d).
(16) Giacomini G.G. (1984/a), (1991/a), (1991/b), (1991/d).
(17) Giacomini G.G. (1980), (1984/a), (1987/a), (1991/a), (2000/a).
(18) Rangell L. (1995).
(19) Giacomini G.G. (1994/c). Si veda in proposito anche la Tav. VI e relativa didascalia.
(20) "La concezione secondo cui l'Io è quella parte dell'Es che è stata modificata dalla vicinanza e dall'influsso del mondo esterno, non ha quasi bisogno di essere giustificata: è questa la parte predisposta per la ricezione degli stimoli e per la protezione dagli stessi, .paragonabile allo strato corticale di cui si circonda il grumo di materia vivente. "
"L'Io, in fin dei conti, è soltanto una parte dell'Es , una parte opportunamente modificata dalla vicinanza del minaccioso mondo esterno "
"L'Io deve eseguire le intenzioni dell'Es, e assolve il suo compito andando alla ricerca delle circostanze che gli permettono di meglio eseguire tali intenzioni". Freud S. (1932), pp. 186-188, passim.
(21) E' ben noto che Freud, il quale ne "L'Io e l'Es" definisce la condizione dell'Io come una servitù passiva da tre padroni (Es, Super-Io, realtà esterna), concepisca tuttavia il processo analitico come una progressiva conquista, da parte dell'Io, di territori sempre più estesi dell'Es.
"L'Io, in fin dei conti, è soltanto una parte dell'Es, una parte opportunamente modificata dalla vicinanza del minaccioso mondo esterno. Sotto l'aspetto dinamico è debole, avendo preso a prestito le sue energie dall'Es, e non ci sfuggono i metodi - i "trucchi", si potrebbe dire - con i quali l'Io sottrae all'Es ulteriori importi di energia.
L'Io deve eseguire le intenzioni dell'Es, e assolve il suo compito andando alla ricerca delle circostanze che gli permettono di meglio eseguire tali intenzioni. Il rapporto dell'Io con l'Es potrebbe essere paragonato a quello del cavaliere con il suo cavallo. Il cavallo dà l'energia per la locomozione, il cavaliere ha il privilegio di determinare la meta, di dirigere il movimento del poderoso animale. Ma tra l'Io e l'Es si verifica troppo spesso il caso, per nulla ideale, che il cavaliere si limiti a guidare il destriero là dove quello ha scelto di andare.
Un proverbio ammonisce di non servire contemporaneamente due padroni. Il povero Io ha la vita ancora più dura: è costretto a servire tre severissimi padroni, deve sforzarsi di mettere d'accordo le loro esigenze e le loro pretese. Queste sono sempre fra loro discordanti e appaiono spesso del tutto incompatibili; nessuna meraviglia se l'Io fallisce così frequentemente nel suo compito.
I tre tiranni sono: il mondo esterno, il Super-Io e l'Es.
Il poveretto si sente stretto da tre parti, minacciato da tre specie di pericoli, ai quali reagisce, in caso estremo, sviluppando l'angoscia.
Aizzato così dall'Es, limitato dal Super-Io, respinto dalla realtà, l'Io lotta per venire a capo del suo compito economico di stabilire l'armonia tra le forze e gli influssi che agiscono in lui e su di lui.
Se è costretto ad ammettere le sue debolezze,
l'Io prorompe in angoscia: angoscia reale dinanzi al mondo esterno, angoscia morale dinanzi al Super-Io, angoscia nevrotica dinanzi alla forza delle passioni dell'Es". Freud S. (1932), pp. 188-189, passim.
"La coscienza è soltanto una qualità (o attributo) dello psichico, incostante per giunta. Con tutto ciò, non è detto che la qualità della consapevolezza abbia perduto per noi il suo significato. Resta la sola luce che nelle tenebre della vita psichica ci illumina e ci guida. A causa della particolare natura della nostra conoscenza, il nostro lavoro scientifico nell'ambito della psicologia consisterà nel tradurre i processi inconsci in processi consci, così da colmare le lacune della percezione cosciente". Freud S. (1938), p. 644.
"Gli sforzi terapeutici della psicoanalisi seguono una linea analoga. La loro intenzione è in definitiva di rafforzare l'Io, di renderlo più indipendente dal Super-Io, di ampliare il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove zone dell'Es. Dove era l'Es deve subentrare l'Io." Freud S.: (1932), p. 190 (corsivi aggiunti). Vedi anche Freud S. (1922), pp. 486-487; pp. 517-518.
(22) Fenichel O. (1945/a), p. 23.
(23) Fenichel O. (1945/a), p. 148
(24) Fenichel O. (1945/a), p. 29.
(25) Blum H.P. (1998); Rangell L. (1995).
(26) Giacomini G.G. (1989/b).
(27) Waelder R. (1936), pp. 108-109.
(28) Waelder R. (1936) ivi.
(29) Freud S. (1922), p.486.
(30) Waelder R. (1936), p. 108-109.
(31) Waelder R. (1936), p. 110.
(32) Waelder R. (1936), p. 111 (corsivi aggiunti).
(33) Waelder R. (1936), p. 112.
(34) Waelder R. (1936), p. 123 (corsivi aggiunti).
(35) Waelder R. (1936), ivi.
(36) Freud S. (1932), p. 171.
(37) Freud S. (1892-'95), pp. 1179-182; pp. 406-409, passim.
(38) Freud S. (1914), p. 463.
(39) Freud S. (1914), ivi.
(40) Freud S. (1914), pp. 463-464.
(41) Freud S. (1914), p. 464.
(42) Freud S. (1914), pp. 463-464.
(43) Jones E. (1953), II, pp. 368-370.
(44) "Noi veniamo "vissuti" da forze ignote e incontrollabili."
"Un individuo è dunque per noi un Es psichico, ignoto e inconscio, sul quale poggia, nello strato superiore, l'Io, sviluppatosi dal sistema P come da un nucleo."
Freud S. (1922), pp. 486-487.
"La concezione secondo cui l'Io è quella parte di Es che è stata modificata dalla vicinanza e dell'influsso del mondo esterno, non ha quasi bisogno di essere giustificata: è questa la parte predisposta per la ricezione degli stimoli e per la protezione dagli stessi, paragonabile allo stato corticale di cui si circonda il grumo di materia vivente". Freud S., (1932), pp. 186-187 (corsivi aggiunti).
(45) Giacomini G.G. (1961).
(46) Freud S. (1915), pp. 20-21; Freud S. (1917), pp. 564-565; Freud S. (1914), p. 448.
(47) "In relazione al nostro materiale empirico non solo ci avvaliamo di determinate convenzioni sotto forma di concetti fondamentali, ma ci serviamo altresì di alcuni complicati postulati da cui ci lasciamo guidare nella nostra elaborazione dei fenomeni psicologici. Il più importante di tali postulati è di natura biologica, ha a che fare con il concetto di intenzionalità (ed eventualmente di opportunità), e può essere così formulato: il sistema nervoso è un apparato a cui è conferita la funzione di eliminare gli stimoli che gli pervengono, o di ridurli al minimo livello; oppure è un apparato che vorrebbe, sol che ciò fosse possibile serbare uno stato del tutto esente da stimoli".
"Il dispiacere in generale è l'espressione di una tensione particolarmente elevata e dunque in questo, come in altri casi, ciò che si converte nella qualità psichica del dispiacere è una certa quantità di un evento materiale".
"Il principio del piacere si pone, come una bussola, al servizio dell'Es nella lotta contro la libido che introduce dei turbamenti nel corso della vita.
Se il principio di costanza, così come è stato inteso da Fechner, domina la vita, la quale dovrebbe dunque essere un lento scivolamento verso la morte, sono le richieste dell'Eros, le pulsioni sessuali, quelle che come bisogni pulsionali impediscono l'abbassamento di livello, e introducono nuove pulsioni”.
Freud S. (1915), p. 16; Freud S. (1914), p. 455; Freud S. (1922), pp. 508-509.
(48) "Se si potesse soddisfare immediatamente ogni bisogno, con tutta probabilità non sorgerebbe mai una concezione di realtà" :Fenichel O.(1945/a), p. 46
(49) Giacomini G.G. (1980), pp. 302-348; (1987/a).
(50) "L'origine dell'Io e l'origine del senso di realtà non sono altro che due aspetti di uno stesso grado di sviluppo. Questo è inerente nella definizione dell'Io come quella parte della mente che tratta con la realtà. Il concetto di realtà crea anche il concetto dell'Io. Noi siamo individuali al momento in cui ci sentiamo separati e distinti dagli altri". Fenichel O. (1945/a), p. 47.
(51) Fairbairn W.R.D. (1952), Cfr. Eagle M.N. (1984).
(52) Mahler M. e coll. (1975).
(53) Kohut H. (1971, 1977).
(54) Stolorow R.D. e Atwood G. (1992), pp. 29-30; p. 31.
(55) Stolorow R.D. e Atwood G. (1992), p. 33.
(56) Giacomini G.G. (1969), pp. 376-451.
(57) Giacomini G.G. (1980), pp. 263-519; (1987/a).
(58) Giacomini G.G. (1980), pp. 353-434; pp. 468-571.
(59) Schneider K. (1967), pp. 174-194.
(60) Jaspers K. (1959), p. 330.
(61) Fenichel O. (1945/a), pp. 26-32; pp. 182-189.
(62) Jaspers K. (1925), p. 275.
(63) Hartmann N. (1933), pp. 206-220, passim (corsivo aggiunto).
(64) Binswanger L. (1955), (1957/a), (1957/b).
(65) Giacomini G.G. (1980), pp. 55-121; Giacomini G.G. (1991/a), pp. 31-78.
(66) Freud S. (1922), p. 517.
(67) Jaspers K. (1959), pp. 826-827; p. 798.
(68) Jaspers K. (1925), pp. 270-271; pp. 267-270.
(69) Jaspers K. (1932/c), p. 231.
(70) Jaspers K. (1959), pp. 805-810, passim.
(71) Jaspers K. (1938), pp. 40-93, passim.
(72) Jaspers K. (1938), pp. 109-110, passim.
(73) Jaspers K. (1938), p. 62.
(74) Jaspers K. (1938), pp. 112-114, passim.

 



SUMMARY

Clinical Psychopathology, Psychiatric Diagnosis,
Typology of Psychopathies, Theory of the Personality and
Theoretical Foundation of Psychotherapy
in a Dialectical Framework.

Preliminary Remarks and References to
the Universal Epistemological Table (UET)

K.Jaspers' epistemological distinction between an explicative and a comprehensive method, is to be considered fundamental both in theory and in clinics for a coherent systematization and a further development of psychopathological, psychoanalytic, psychotherapeutical, psychiatric disciplines and the theory of personality as well.
In particular this epistemological distinction is essential, in psychiatry, for a differential diagnosis between the psychotic and psychopathic nosological forms.
It should be considered however that the theoretical meaning of this methodical dualism is to be set in a dialectical perspective, including a dialectical theory of Ego, Self, Subjectivity, Personality, in contrast to a naturalistic conception of the mind.
Nowadays, in psychoanalysis, a dialectical integration is requested in relation to the crisis of the Freudian metapsychology and the most recent comprehensive conceptions of Self and Subjectivity, both in theory and in therapy.
K. Jaspers' existential conception of the antinomies of the human intimate experience also requires a dialectical epistemological integration for a systematic theory of the personality.
A reference to the Universal Epistemological Table (UET) is considered indispensable for a critical discussion of these issues.


NOTA BIBLIOGRAFICA

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18 FENICHEL O. (1945/a) Trattato di psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi, trad. it., Astrolabio, Roma, 1950.

19 FENICHEL O. (1945/b) The Psychoanalytic Theory of Neurosis (with an Introduction and Epilogue by Leo Rangell) 50th Anniversary Edition, Norton, New York, 1995.

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25 FREUD S. (1915) Pulsioni e loro destini, in: Freud S. (1886-1938), Vol. VIII, pp. 13-35.

26 FREUD S. (1917) La teoria della libido e il narcisismo, in: Freud S. (1886-1938), Vol. VIII, pp. 563-580.

27 FREUD S. (1922) L'Io e l'Es, in: Freud S. (1886-1938), Vol. IX, pp. 475-520.

28 FREUD S. (1932) La scomposizione della personalità psichica, in: Freud S. (1886-1938), Vol. XI, pp. 170-190.

29 FREUD S. (1938) Alcune lezioni elementari di psicoanalisi, in: Freud S. (1886-1938),
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33 GENTILE G. (1943) La filosofia dell'Arte, Sansoni, Firenze, 1950.

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35 GIACOMINI G.G. (1969) I fondamenti teoretici della psicologia contemporanea. Saggio di psicologia critica. I: Il problema della psicologia come scienza: dal naturalismo al criticismo, Sabatelli, Savona, 1969.

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40 GIACOMINI G.G. (1987/a) I fondamenti logici dello psicologismo e del naturalismo: dialettismo e intellettualismo, in "Psicoterapia Professionale", A. IV, n. 1-2, La Nuova
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41 GIACOMINI G.G. (1987/b) Teoria della personalità e metodo dialettico in psicologia, in "Psicoterapia Professionale", A. IV, n. 1-2, La Nuova Scienza, Genova, 1987, pp. 29-44

42 GIACOMINI G.G. (1988) Psichiatria e psicoterapia: diagnostica psicopatologica e cultura psicoterapeutica, in "Psicoterapia Professionale", A. V, n. 1-2, La Nuova Scienza, Genova, 1987, pp. 25-42.

43 GIACOMINI G.G. (1989/a) Psichiatria e psicoterapia: la psicopatologia strutturalistica come diagnostica differenziale e nosografia delle psicosi, in "Psicoterapia Professionale", A. VI, n. 1-2, La Nuova Scienza, Genova, 1989, pp. 25-46.

44 GIACOMINI G.G. (1989/b) Nel 50° anniversario della morte di Freud. Il nodo epistemologico della psicoanalisi freudiana: il riduzionismo naturalistico ed il rapporto tra clinica e metapsicologia, in: "Psicoterapia Professionale", A.VI, n,.1-2, La Nuova Scienza, Genova, 1989, pp. 65-105.

45 GIACOMINI G.G. (1991/a) Il problema delle psicopatie nella psicopatologia strutturalistica,, in: "Psicoterapia Professionale", A.A.VII-VIII, n,.1-2, La Nuova Scienza, Genova, 1991, pp. 31-78.

46 GIACOMINI G.G. (1991/b) Psicopatologia, in: "Psicoterapia Professionale", A.A.VII-VIII, n,.1-2, La Nuova Scienza, Genova, 1991, pp. 92-96.

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49 GIACOMINI G.G. (1994/a) L'istituzionalizzazione della psicoterapia professionale e il fallimento delle discipline accademiche psicologiche e psicopatologiche, in Italia. I: Il fallimento della psichiatria accademica italiana e il problema del metodo in psicopatologia e in psicoterapia, in "Psicoterapia Professionale", AA.. IX-XI, n. 1-2, La Nuova Scienza, Genova, 1994, pp. 9-34.

50 GIACOMINI G.G. (1994/b) La psichiatria funzionalistica e il problema del metodo in psicopatologia, in: "Psicoterapia Professionale", A.A.VII-VIII, n,.1-2, La Nuova Scienza, Genova, 1994, pp. 36-128.

51 GIACOMINI G.G. (1994/c) Psiche, inconscio, coscienza, in: "Psicoterapia Professionale", A.A.IX-XI,n,.1-2, La Nuova Scienza, Genova, 1994, pp. 94-122.

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53 GIACOMINI G.G. (1994/e) Tavola Epistemolgica Universale, in: "Psicoterapia Professionale", A.A.IX-XI, n. 1-2, La Nuova Scienza, Genova, 1994, pp. 153-165.

54 GIACOMINI G.G. (1994/f) Analisi dialettica (attualistica), in: "Psicoterapia Professionale", A.A.IX-XI, n. 1-2, La Nuova Scienza, Genova, 1994, pp. 166-173.

55 GIACOMINI G.G. (2000/a) La dialettica attualistica come logica dell'Io e teoria della personalità, in: "Psicoterapia Professionale", A.A. XII-XVIII, n. 1-2, La Nuova Scienza, Genova, 2001.

56 GIACOMINI G.G. (2000/b) Io, in: "Psicoterapia Professionale", A.A.XII-XVIII, n. 1-2, La Nuova Scienza, Genova, 2001.

57 GIACOMINI G.G. (2000/C) Preliminary Epistemological Remarks about the Concepts of "I", "Ego", "Self", "Myself", "Subjectivity" in Psychology and Psychoanalysis. Relations with the Universal Epistemological Table (UET). I: The Concepts of "I", "Ego", "Self", "Myself", "Subjectivity" in Psychology; II: The Concepts of "I", "Ego", "Self", "Myself","Subjectivity" in Psychoanalysis.; III: The Concepts of "I", "Ego", "Self", "Myself","Subjectivity" in a Dialectical Analytic Perspective, in: "Professional Psychotherapy", A.A. XII-XVII, n. 1-2, La Nuova Scienza, Genova, 2001.

57 GILL M.M. (1994) Psicoanalisi in transizione, trad it., Cortina, Milano, 1997.

58 GLOVER E. (1956) La nascita dell'Io, trad. it., Astrolabio, Roma, 1994.

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63 HEIDEGGER M. (1927) Essere e tempo, trad. it., Bocca, Milano, 1953.

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