PM --> HOME PAGE --> NOVITÁ --> SEZIONI ED AREE --> PSICOPATOLOGIA

PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Psicopatologia

Acuto, cronico: crisi e ricostruzione dell'identità

di Arnaldo Ballerini


Relazione letta al convegno Crisi e Cronicità, Reggio Emilia, Sabato 2 dicembre 2000


Il concetto di cronicità del disturbo psicotico non è semplicemente quello linearmente connesso allo scorrere del tempo, che scandisce e sancisce la separazione fra acuto e cronico,nel modo che una certa storiografia della psichiatria fa discendere essenzialmente da Kraepelin per cui l'idea della Dementia Praecox è inpensabile senza questa accezione di cronicità. Certo è che per AA. come Pinel non esisteva il principio organizzatore della cronicità legata al puro trascorrere del tempo: come ci ricordano Del Pistoia e Coll. nella nosografia di Pinel ciascuna forma della follia poteva indifferentemente durare poco o molto; ma anche nel pensiero di H.Ey, forse oggi troppo poco ricordato, la differenza fra acuto e cronico non è quantitativa ma essenzialmente qualitativa. La tradizione psicopatologica inoltre ci consegna le tesi di Schneider per le quali ciò che conta, che ha valore epistemico per conoscere e distinguere è una diagnosi di stato, oltre la quale il decorso, cronico o no, poco aggiunge.
Il passaggio, la transizione fra acuto e cronico sono state studiate nelle loro condizioni di possibilità, da vari punti di vista che vanno dall'intrapsichico all'interpersonale, dalla persona al contesto culturale e sociale ed alle sue richieste e risposte al disturbo psicotico. Io cercherò di richiamare l'attenzione sul problema della identità della persona dello psicotico e sue vicissitudini.

In uno scritto sulla identità dell'uomo A.Tatossian, prendendo lo spunto dal testo di P.Ricoeur "Soi-meme comme un autre" (1990) considera che la natura della soggettività umana non è immediata, non ha un "Io" come punto di partenza come riteneva Descartes, ma sempre riflessiva e possiede una intrinseca ambiguità, ad esempio come permanenza nel tempo. Accade di confondere l'identità con l'essere-lo-stesso, cioè con la persistenza di qualità e caratteristiche. In fondo, essere-lo-stesso esprime la persistenza del "che-cosa" del "chi" dell'uomo, mentre la identità come ipseità esprime la permanenza di questo "chi", quando anche i suoi contenuti siano totalmente cambiati, come ad esempio dopo una conversione religiosa. E' proprio la dialettica fra essere-lo-stesso e ipseità, cioè fra etre-le-meme (essere lo stesso) e etre soi-meme (essere se stesso) che fonderebbe l'identità umana.
A.Kraus (1977) aveva in precedenza descritto una sorta di equilibrio nella normalità fra una identità costruita come identità di ruolo, avvicinabile alla identità dell'essere-lo- stesso, e una identità egoica avvicinabile alla ipseità di Ricoeur. Una proporzione fra un "Io-oggettivo" costruito su norme che provengono dalla competenza culturale, e comunque dall'esterno, ed un "Io-soggettivo" spinto a ridecidere di continuo su sè stesso. Questa nella normalità buona proporzione o equilibrio dialettico si esprime dal fatto che l'identità dell'uomo è una identità narrativa, in fondo biografica, che è mediatrice fra l'identità-idem (etre le meme) e l'identità-ipse (soi-meme), nei termini di Ricoeur.
Nella patologia questo equilibrio dialettico e questa persistenza inscritta nel tempo, possono rompersi: così nella condizione pre-melanconica, nel Typus, a favore dell'identità di ruolo, o nello schizofrenico a danno della identità di ruolo, in un "ipseità messa a nudo e privata di ogni proprietà durevole ", scriveva Tatossian.
Il complesso problema egologico delle psicosi coinvolge assieme la costituzione dell'Io e la autonomia nel mondo intersoggettivo, la mancanza di questa può ben essere considerata con W.Blankenburg un "momento costitutivo per la modificazione di essenza" del percorso psicotico. In uno stretto legame fra fondatezza dell'Io e naturalità dell'esperienza del mondo intersoggettivo, l'evidenza di ciò che va-da-se è in relazione all'essere-sè. La svolta psicotica travolge assieme la a-problematica ovvietà e continuità della esperienza del mondo e l'identità dell'Io, senza che sembri possibile ricondurre patogeneticamente l'uno all'altro aspetto.

Emblematico di questa condizione è lo stato di "perplessità" della acuzie psicotica, ancor prima o agli albori di quei fenomeni di alterazione del senso di appartenenza all'Io, leggibili come evanescenza dei confini dell'Io, che sostanziano le esperienze psicotiche, gli schneideriani sintomi di Iorango, ponendoli tutti sotto il sigillo di un abnorme prevalere della "passività". Passività nell'esperire il mondo, certo, culminante in quel Diktat dei significati promananti nel delirio statu nascendi dagli oggetti con una modalità propriamente rivelatoria e che eclissa la possibilità della persona di avere anche minima capacità di essere speculator sui, di ricondurre a sè quei significati come propri, sperimentandone la appartenenza, e, attraverso il senso di attività dell'Io avvertire la funzione costitutiva dell'Ego nel movimento intenzionale verso il mondo.
Ma questo significa nello stesso tempo avvertire il Sè come estraneo, come un altro: se tutto ciò è macroscopico nelle esperienze di influenzamento che esattamente trafiggono la ipseità, anche nella apofania della percezione delirante quel che risulta fenomenologicamente fondante non è tanto o soltanto l'esperienza del nuovo significato, ma l'esperienza del Sè fatta in quella esperienza (Blankenburg). Del resto la tradizione psicopatologica ha sempre sottolineato l'atmosfera di personale chiamata, di tua res agitur, di appello al cambiamento della ipseità contenuto nell'affiorare del delirio psicotico.
La crisi della identità è dunque una forma costitutiva dell'acuzie psicotica, e se, con Jaspers, la funzione dell'Io fenomenicamente in crisi è il senso di attività dell'Io, questo depossessamento del Sè è la superficie più semeioticamente vistosa del vacillare dell'identità.

L'esordio psicotico, qualunque sia per essere il suo destino prognostico, esce dal percorso narrativo costitutivo dell'identità, dividendolo in un prima e in un dopo. Non solo "l'Io penso" diviene un "Io sono pensato", ma la continuità della interiore "storia di vita" naufraga nel sovvertimento della "funzione di vita", e se questo non abolisce certo il sentimento dell'esistere, può obbligare la persona a una reinvenzione dell'identità, poichè esiste uno stretto rapporto fra fiducia, confidenza di base nella ovvietà dell'esperienza della realtà e identità dell'Io.
La persona ha ovviamente perso nella acuzie la identità come "etre le meme" e sembra in cerca di un "etre soi-meme", immerso in una temporalità che si affanna ad uscire dall'invivibile momento senza tempo che è lo stato di acuzie, protendendosi verso un rischioso futuro, pieno di incertezze e presagi ed ormai disarticolato dal passato, all'inseguimento di una identità, che se il percorso si fa cronico, il più spesso apparirà paradossale: una paradossale "maniera di esistere non esistendo" scriveva Racamier, verso uno sfuggente se-stesso.
Quando il malato in acuzie toccherà questa ingannevole nuova patria, avrà trasformato lo stato da acuto in cronico, e tutto li percorso psicotico si sposterà ormai sempre più dalla forma verso il contenuto. Jaspers parla di "mondo schizofrenico" e scrive che "il carattere del disturbo non è dato soltanto dai riempimenti casuali di strutture formali..di per se prive di senso..ma anche dalla originalità dei contenuti stessi".
In effetti sotto questo punto di vista la condizione cronica non ha tanto a che fare col calendario, con la durata oggettivamente lineare, come nella nosografia kraepeliniana e degli odierni manuali, ma con la funzione costitutiva di una nuova identità, nell'ambito di quella che Freud indicava come carattere "autoplastico" dell'esistenza psicosica.

L'autore che più ha segnato in maniera nuova il rapporto acuto-cronico è forse stato H.Ey, per il quale la psicosi acuta, sul modello della figura della "bouffée délirante", è una patologia della coscienza, nei termini jacksoniani di destrutturazione della coscienza, e la cronicità psicosica è una patologia della persona, un vettore evolutivo di costruzione di una mondo "altro" e di una identità altra. Del Pistoia e Coll. ci ricordano che da questo punto di vista "..la temporalità non è più qui una piatta questione di breve e lungo, ma si fa storia e struttura in quanto organizzazione sui generis di un contenuto sui generis".
Io penso che in questo vettore evolutivo può trovar posto quella particolare costruzione di una persona e di un mondo ermeticamente autistici che si può forse chiamare ancora schizofrenia, anche se manchiamo di criteri categoriali atti a definirla, fino ad oggi introvabili quando si contatta l'intuizione fenomenologica indicata da E.Bleuler come "autismo". La condizione schizofrenica della persona come speciale ricostruzione di un Sè eventualmente dopo l'acuzie: alla fine, insomma, e non agli inizi di un percorso psicotico.
Fra l'altro questo modo di vedere accentua le responsabilità di un servizio di psichiatria, se si accetta la considerazione di H.Ey secondo la quale in una assitenza che funzioni si permette ad un minor numero di schizofrenie di costituirsi, egli scriveva.

La psicopatologia fenomenologica ha da tempo sottolineato che uno dei modi essenziali della cronicizzazione psicosica è il passaggio da una iniziale crisi in cui la forma della vita psichica implode e domina il mutamento catastrofico del Sè, allo stabilirsi di temi e stili di vita. J.Wyrsch si chiedeva anche se in questo cambiamento fra il "diventar diverso" della fase di acuzie e l'"esser diverso" della cronicizzazione, non sia per la psichiatria fuorviante chiamare con lo stesso nome, per esempio delirio a allucinazione, esperienze che di tutta probabilità nella cronicizzazione si attuano in campi fenomenologici diversi dalla acuzie.
La fondazione, o rifondazione, della identità comporta cioè una riorganizzazione del mondo, interno ed esterno. Per Lanteri-Laura l'acuzie si contrappone al cronico non tanto come opposizione fra l'effimero e il durevole, quanto " di ciò che non può entrare nella storia del soggetto e di quello che riesce ad organizzarsi".
Ma questo storicizzarsi del mutamento psicotico è ipotizzabile sia fortemente modulato dalle dinamiche sociali e culturali, dal livello e tipo di competenza sociale attesa e richiesta, come dimostrano gli studi empirici di psichiatria trans-culturale sulla discreta invarianza dei sintomi di esordio e la sostanziale differenza della prognosi in paesi diversi. E' questa modulazione che fa della cronicizzazione una vicenda psicopatologica intrapersonale e assieme interpersonale, sociologica.
Certo, la intersoggettività è un problema di fondo nella psicosi, e si può osservare che le modificazioni dell'incontro interumano non sono una semplice ricaduta secondaria del processo psicotico, ma costituiscono il nucleo della alienazione schizofrenica. Vale a dire, il problema dell'Altro è centrale nella patologia psicotica, ma si può considerare, sulla scia delle analisi fenomenologiche di E.Husserl, che l'Altro compare a due diversi livelli costitutivi: compare come "costituito", ed è incontrato come tale all'interno del mondo, e da ciò discenderà il confontarsi della persona psicotica con le relazioni e le competenze che esse richiedono, ma l'Altro è anche fin dall'inizio co-costituente della ipseità stessa, che è una identità stabilitasi nell'evidenza empatica di un mondo fondato intersoggettivamente.

Che tipo di identità può essere ricostituita nella cronicità psicotica, che sconta la crisi di sicurezza ontologica dell'Io affiorante nella psicosi ? Prenderei ad esempio la condizione macroscopica della identità della persona autistica e penso si possa accettare la tesi di Blankenburg che prende le mosse dalla distinzione fenomenologica fra un Io "trascendentale" o fondante ed un Io "empirico" o fondato e sulla modificazione caratteristica fra queste due istanze nella costruzione del Sè autistico, laddove in difetto o debolezza dell'Io per naufragio del trascendersi, del movimento intenzionale verso l'altro, l'Io empirico si affanna comunque a stabilire una ipseità. "Io devo fabbricarmi a partire da me stessa", diceva l'Anne Rau di Blankenburg.
E' questo "fabbricarsi da sè stessi" che rappresenta la spinta verso una nuova identità che sigla la situazione cronica, abbastanza indipendentemente dalla durata del disturbo.

Tutto ciò può declinarsi in vari aspetti clinici, che coinvolgono sempre il Sè e il Mondo, ma con maggiore accentuazione della trasformazione nell'uno o nell'altro. Vi sono psicotici cronici con poco o punto delirio nei quali la minaccia derivante dal crollo della fondazione trascendentale riguarda prevalentemente il rapporto a sè stessi, mentre nel delirio cronico riguarda prevalentemente il rapporto con il mondo. Dalla prima condizione deriva talora una identità che avverte dolorosamente la propria carenza fondazionale, come se abnormemente affiorassero a livello ontico problemi ontologici normalmente silenti nella naturalità dell'esperienza, ed interrogativi sul perchè e sul come dell'Io e degli altri. I paranoidi cronici invece a questi interrogativi hanno già risposto. Ed hanno già risposto attraverso una trasformazione del mondo che appare il medium della nuova identità, una identità che prova ad essere ancora narrabile: del perseguitato, o del personaggio grandioso, etc.; naturalmente con tutte le transizioni che la clinica ci insegna possibili fra uno stato e l'altro, fra il polo dell'autismo "povero" a quello dell'autismo "ricco", nei termini di Minkowski.

In altre situazioni la neo-identità avvicina fortemente lo psicotico cronico a quelle condizioni che le classiche dicotomie nosografiche designano come disturbo di personalità. La fenomenica oggi rilevabile nel disturbo psicotico cronicizzato, specie nel passaggio dell'assistenza psichiatrica dall'ospedale al territorio e quindi anche per la maggior attenzione oltre che ai sintomi psicotici all'assetto della persona che quei sintomi esprime, pone in primo piano, assai più spesso di un tempo, la nozione di struttura di personalità e sembra sfumare la separazione fra questa e la nozione di psicosi. Del resto si pensi al concetto di "personalità schizofrenica" di J.S.Grotstein, alle varianti schizotipiche dei D.S.M. ed anche a tutta la vexata quaestio fra schizofrenia simplex e disturbo di personalità. La maggior frequenza con la quale vengono segnalati aspetti evolutivi della cronicità psicotica indicati come pseudo-caratteriali o pseudo-nevrotici della schizofrenia spinge a riconsiderare il rapporto fra assetto di personalità e percorso della psicosi, i sintomi positivi della quale sembrano perdere la continuità e astoricità un tempo loro attribuita e frammentarsi invece in episodi: è su questa linea che si è teso a sostituire il concetto di cronicità psicotica con quello di vulnerabilità alla psicosi, sullo sfondo di una struttura di personalità in precario equilibrio con le afferenze ambientali, dalle quali può trarre la spinta allo scompenso, al compenso o alla immobilità. Uno dei punti della difficile relazione fra struttura di personalità e fenomeni psicotici produttivi è, certo, il riferimento a contesti diversi: la personalità intesa come articolazione storica dei modi di essere della persona, i sintomi psicotici intesi come fenomeni nel campo del vissuto. Ma già Janzarik sottolineava i mutui scambi fra campo strutturale e campo fenomenico e il che comporta la possibilità di considerare la storia di molte psicosi cronicizzate come il sussegursi di compensi e scompensi di una struttura di personalità che tende ormai a non mutare, pur nella difficoltà a tenere, mantenere una sua intrinseca norma, e ove i due aspetti, patologia di personalità e psicosi, possono essere ognuno il fallimento e la difesa nei confronti dell'altro. In contesto analitico ciò è stato descritto con il termine di "organizzazioni patologiche" (J.Steiner) intese come i modi nei quali le difese si assemblano determinando un profondo effetto sulla personalità, una adesione egosintonica a tali strutture e quindi una nuova identità, vissuta come un bene o addirittura come una posizione superiore. Concordante mi sembra la posizione di Racamier che nel descivere la schizofrenia come una organizzazione atta a durare contro la catastrofe, avvicina la psicosi cronica e la caratterosi.

E vi è anche il rischio che nell'adozione di questa nuova identità nella cronicità psicotica, mediata dalla organizzazione patologica del carattere, la équipe curante venga più o meno consapevolmente coinvolta, per una identificazione isomorfica sentita come più immediatamente remunerativa rispetto alla angoscia dello scompenso e della acuzie. Pur tuttavia, parallelo a questo rischio, vi è la speranza di non fermarsi sulla strada della comprensione, di formulare e realizzare progetti terapeutici successivi, di tendere insomma ad allargare, al di là della stanchezza, noia e insoddisfazione, la parte osservante del Sè, nella convinzione che oltre alla attenzione ai sintomi psicotici un reale miglioramento è difficile da concepire senza un confronto con l'assetto strutturale della persona.
Lo psicotico che non guarisce, che fa della catastrofe psicotica un nuovo stile di vita ed una nuova identità, come fu la giustificazione morale degli asili di Esquirol e quella positivistica dei manicomi, resta anche la sfida dei nostri servizi di psichiatria, se avremo la inventiva di non considerare mai qualsiasi attività potenzialmente riabilitativa come la definitiva soluzione, a meno di non tornare a tacitamente congiurare con quella "onnipotenza inanitaria" (Racamier) che lo psicotico cronico, altrettanto tacitamente, ci fa vivere.

Per concludere, come voi avrete capito io non penso tanto alla cronicità psicotica quale persistenza dei sintomi nel tempo, dei sintomi quali rivelatisi nella acuzie o comunque nell'esordio, sintomi che non solo possono scomparire e riapparire lungo il percorso psicotico, ma che anche noi chiamiamo in modo uguale quando possono essere fenomenologicamente diversi, come può avvenire per un delirio persistente ma che nella cronicità non di rado è più narrato che vissuto, e lontano comunque dalla esperienza percettiva da cui scaturì, esperienza di fenomeni che possono essere tuttaltro che continui. E' anzi questo frequente procedere per crisi e scompensi dei fenomeni della coscienza che sostanziano i sintomi psicotici che, in osservazioni brevi in specie, può far propendere a ricondurre buona parte delle psicosi nell'ambito dello spettro bipolare. Ma nella prolungata presa in cura che caratterizza la psichiatria nella comunità ci si confronta invece con situazioni che tendono a persistere e che hanno trovato un loro fallace sbocco culturale nei sintomi negativi, intesi quali deficitari gusci comportamentali. Ciò che mi sembra essenziale nel percorso verso la cronicità è invece l'organizzarsi di una diversa identità personologica e attraverso essa quella di un universo certamente non privo di senso, ma ripiegato su logiche altre da quelle del "common sense". Una identità trasformata ed un mondo trasformato, secondo linee che hanno trovato la loro migliore illuminazione nel concetto di autismo.
Ma si può sottoscrivere, anche per il modo di essere autistico, la notazione di W.Blankenburg (1971) che, se ciò che noi osserviamo nelle sindromi della psichiatria clinica, è la reciproca interferenza dei due aspetti del disturbo primario e della modalità della persona di confrontarsi con esso, e resta il problema di fondo di ciò che determina lo specifico della cronicità psicotica: l'alterazione primaria o una sorta di reazione autistica secondaria. In riferimento a queste tesi si può pensare che le descrizioni cliniche, fenomeniche, che sono state fatte della condizione di cronicità psicotica nei suoi diversi aspetti comportamentali, relazionali, affettivi, riguardino anche le possibilità della "persona" di reagire e prendere per così dire posizione nei confronti di disturbi generatori più basilari.
L'autismo non solo può essere considerato "la difesa" più tipica dello psicotico , ma come teoresi e concezione tocca probabilmente l'essenza del percorso cronico. L'organizzarsi di questa forma di esistenza se rappresenta una essenziale difesa è anche una essenziale ferita.


PM --> HOME PAGE --> NOVITÁ --> SEZIONI ED AREE --> PSICOPATOLOGIA