PM --> HOME PAGE --> NOVITÁ --> SEZIONI ED AREE --> PSICOPATOLOGIA

PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Psicopatologia

Prefazione al volume:

Bin Kimura
Scritti di Psicopatologia Fenomenologia
Giovanni Fioriti, Roma, 2005

Arnaldo Ballerini


Introduzione
di Mario Rossi Monti

E’ stato recentemente pubblicato in italiano un libro di Bin Kimura intitolato Scritti di Psicopatologia Fenomenologia (Giovanni Fioriti, Roma, 2005). Bin Kimura è un compositore musicista che, dopo essersi laureato in medicina in omaggio ad una tradizione familiare che vedeva in lui il trentaseiesimo medico, ha cominciato ad appassionarsi alla psicopatologia fenomenologica dal momento in cui è stato coinvolto nella traduzione in giapponese dell’opera Schizophrenie di Ludwig Bisnwanger. La lettura dei casi Ilse, Ellen West, Jurg Z_nd, Lola Voss conferma Bin Kimura nella sua vocazione psichiatrico-clinica e psicopatologica. Nel contatto col mondo della schizofrenia, scrive Bin Kimura, l’esperienza musicale svolse una funzione fondamentale: “ quando incontravo uno schizofrenico io cercavo di insinuarmi in una fenditura attraverso i diversi sintomi che si mostravano alla superficie per penetrare nello spazio segreto che vi era dietro. Io mi trovavo allora in un luogo che mi appariva come il mio proprio luogo. Questo spazio segreto era la casa di dietro-il-mondo della mia propria esistenza”.
Del resto, come illustra bene Henri Maldiney in un saggio posto a conclusione del volume, “l’uomo che è il soggetto della psicosi non può essere ridotto a stato di oggetto della psichiatria. Per Binswanger e Kimura la malattia mentale non è una aberrazione della natura ma una forma di esistenza in eccesso o mancata, le cui condizioni di possibilità e, perciò stesso, il principio di intelleggibilità sono inscritti nella costituzione di noi tutti”.
Il concetto di “dissoluzione della coerenza della esperienza naturale” di Binswanger e di “crisi della evidenza naturale” di Blankenburg costituiscono il fondamento del modello di “fenomenologia patogenetica” della schizofrenia di Bin Kimura. Il volume è corredato di una Presentazione della edizione italiana di Arnaldo Ballerini (cui va anche il merito del difficile lavoro di traduzione dal francese), di un saggio di Henri Maldiney, di un riassunto della Autobiografia di Bin Kimura e di una splendida Postfazione per la edizione italiana, intitolata Verso una psicopatologia della prima persona, nella quale l’Autore raccorda il suo contributo pubblicato in francese nel 1992, con l’attuale dibattito intorno al ruolo della teoria della mente nella schizofrenia.
Riproduciamo con il permesso dell’Autore e dell’editore, che ringraziamo, la Presentazione della edizione italiana di Arnaldo Ballerini.




Presentare ai lettori interessati di psicopatologia la serie di testi di Kimura Bin raccolti nell' edizione in francese di questo libro, non è facile per la profondità e talora iniziale difficoltà del suo pensiero, così originale e che coniuga il grande spiritualismo della cultura religiosa e filosofica giapponese alla grande cultura occidentale. E' certamente un testo da meditare e che fornisce un approccio nuovo alla illuminazione dei vari modi di essere nella follia e al senso stesso che essa può avere. Così può sembrare inappropriato andare con la mente al pensiero, ai temi e alle tesi, illustrate dai maggiori psicopatologi occidentali. In realtà proprio questo aiuta a penetrare nella originalità di Kimura Bin, e del resto lui stesso fa frequenti riferimenti a pensatori dell'occidente, da Aristotele, a Kant, a Vico, a Husserl ed Heidegger, a v.Weitzsäcker ed altri, e a psicopatologi quali, Binswanger, v.Gebsattel, Tellenbach, Blankenburg, ed altri. Cosicchè la originalità delle sue illuminazioni fenomenologiche sui modi di essere umani si sviluppa e si articola anche in rapporto a questi grandi autori. << Il tentativo di Kimura Bin - ha scritto H.Maldiney - è dello stesso ordine di quello di L.Binswanger, il cui proposito costante è stato di basarsi sulla dimensione propriamente umana nella esplorazione, nella comprensione e nel trattamento dei disturbi psicotici...Per L.Binswanger e per Kimura Bin la malattia mentale non è una aberrazione della natura ma una forma di esistenza in scacco o in carenza, le cui condizioni di possibilità e, perciò stesso, il principio di intelligibilità sono inscritti nella nostra costituzione comune a tutti >>.
Kimura Bin, professore di psichiatria all’Università di Kyoto, è ben noto in Europa, per esempio attraverso la presentazione di alcuni dei suoi libri in Francia, quali gli Ecrits de psychopathologie phénoménologique (1992), La psychopathologie de la contingence ou la perte du lieu che le schizophrène (1997), L' Entre (2000), e di saggi come Cogito et Je (1997); ma sovrattutto egli occupa un posto di primo piano per il suo profondo contributo a quella psicopatologia fenomenologica che ha in Heidelberg uno dei suoi centri più importanti.
Ascoltare nei congressi, a Parigi come ad Heidelberg, le letture magistrali tenute da Kimura Bin vuol dire rendersi conto della sua originalità di pensiero che affonda le radici, come ho ricordato, tanto nella psicopatologia e filosofia europea quanto, e in maniera decisiva, nella filosofia giapponese, e forse il suo percorso di psicopatologo non può essere compreso che in parallelo con il suo personale percorso zen, portato avanti – come scrive nella sua autobiografia – durante gli anni di soggiorno di studio a Monaco.
Conoscerlo personalmente suscita la profonda impressione di una atmosfera di gentile disponibilità, di grande cultura, e non solo psicopatologica, ed assieme di calda cordialità.
E’ nel contesto della psicopatologia tedesca che Kimura Bin incontra gli scritti e le persone più significative di quella cultura. Egli elabora fin dall'inizio della sua prassi di psichiatra un ricerca fenomenologica della schizofrenia che prende in considerazione la alterazione del pricipio di realtà, del sensus communis, che regola gli aspetti della quotidianeità dell’uomo normale nel suo mondo: "individualità dell’individuo”, “identità dell’individuo” e “ unicità del mondo”. Ovviamente vi sono punti di consonanza con le ricerche di autori come Minkowski, Binswanger e sovrattutto Blankenburg, al quale egli tuttavia contesta di aver più centrato il suo studio sulla fenomenologia della schizofrenia che sulla sua origine: <<…il mio sguardo si posava più sull’autismo che sul delirio, più sulla struttura dell’esperire che sul contenuto esperito e più sulla crisi della identità, della ipseità dell’ io nella aïda con l’altro, che sul disturbo dell’io solipsistico>>(Kimura Bin). Kimura Bin è cioè attratto non solo e non tanto dal fenomeno psicopatologico in sè, dall'universo psicotico nel suo aspetto fenomenico, ma dalle condizioni del suo apparire, in ciò riprendendo quella interrogazione che fu proprio di Minkowski il quale scriveva che tentare di risolvere un problema psicopatologico significa retrodatarlo, <<perchè spiegare un fenomeno è in fondo conoscere la sua preesistenza>> (E.Minkowski), e su quale sia il minkowskiano "disturbo generatore" che regge ed organizza i modi patologici di esistenza.
Ma indagare sulla preesistenza, rispetto alle psicosi sintomatiche, di modi organizzati dell'esperire, significa sul piano clinico rivolgere l'attenzione al tipo di personalità premorbosa e ai suoi elementi costitutivi. Queste strade di ricerca hanno da tempo percorso la psichiatria, e basterebbe ad illustrarle la linea di pensiero che va dall'antica idea <<che la follia non è niente più che l'esagerazione del carattere abituale>> (B.A.Morel, 1860), ai famosi contributi di E. Kretschmer (1918,1930) sulle tipologie temperamentali pre-psicotiche (dal cicloide allo schizoide al sensitivo), alla tesi di W.Janzarik sul "difetto precorritore" nella schizofrenia (1968), alla individuazione del typus pre-melanconico (H.Tellenbach, 1974), alle ricerche del gruppo di G.Huber (1983) sui "Sintomi-Base", cioè su fenomeni esperiti a monte di psicosi clinica, per non citare che alcuni AA. classici, ed infine a tutta la gamma della ricerca attuale nell'ambito della teoria e della clinica della "vulnerabilità" pre-psicotica.
Nel centrare il disturbo schizofrenico sulla crisi dell’io nell’intersoggettività, Kimura Bin fa riferimento ad una concezione propria della cultura giapponese, per la quale l’essenza della identità del soggetto è aïda, è il “fra” della presenza umana, lo spazio nel quale il sè incontra sia se-stesso che l'altro. Aïda è la dimensione primaria dell’incontro con la alterità dell'altro, una differenziazione assieme intra-soggettiva e inter-soggettiva. Per Kimura Bin aïda significa quindi anche una differenza interna al sè, l'incontro con ciò che non è il sè ed è tuttavia al fondo del sè, una costituzione dell'io soggetto da parte dell'assolutamente estraneo. In ultima analisi, il Sè (mizukara) e la Natura (onozukara), il sè-stesso e il da-sè-stesso, hanno una origine in comune, e il sè interiore autentico sorge in una relazione o differenza interna, nell' aïda di mizukara e onozukara.
E' stato osservato (C. Vincent, 2000) che Kimura Bin sottolinea il valore dell'assolutamente altro nella costituzione del sè individuale, e se questa sorta di contraddizione non ha potuto essere superata, come accade nello schizofrenico, l'Altro diviene allora minaccia, rischio di depossessamento del sè ed effettiva invasione da parte dell'alienità dell'altro, come dimostrano le tipiche esperienze schizofreniche di influenzamento.W. Blankenburg scriveva a proposito dell'Altro che <<nella costituzione trascendentale l'altro appare a due riprese>>: come co-costituente l'intramondanità e perciò stesso anche l'evidenza naturale del Dasein umano, e come costituito nella quotidianeità del vivere. Anche se Kimura Bin non ritiene necessario ricorrere alla tesi husserliana dell'io trascendentale, sembra evidente che le due posizioni confluiscono nel considerare la carente fondazione primaria dell'altro nella soggettività come fonte del problema che l'altro, come un innaturale enigma, rappresenterà per lo schizofrenico, che anzi Blankenburg vede in ciò l'autismo colto statu nascendi, <<là dove lio empirico si mette in dovere di assumere il compito dell'io trascendentale>> (W.Blankenburg). E il disturbo che ne deriva non è tanto, scriveva D.Cargnello sulla scia di L.Binswanger, un eccesso quanto una mancanza di distanza io-altro, per cui l'altro è continuo pericolo per la soggettività schizofrenica; si attua cioè un processo di "mondificazione" dell'io autistico che schiaccia la persona schizofrenica quale individualità e soggetto, per cui la famosa "assenza di contatto", così acutamente esperita da chi incontra lo schizofrenico, può ben essere l'estrema difesa di una soggettività assediata.
Per Kimura Bin l’individuo non può quindi essere visto come una monade isolata instaurante successivamente una relazione con gli altri, <<…al contrario …l’ aïda interpersonale è primaria e solamente in seguito si attualizza sotto la forma del sè stesso e degli altri. L’ aïda non è una semplice relazione che mette in rapporto delle esistenze separate, ma è il luogo originario e comune de queste esistenze multiple>> (Kimura Bin), <<perchè - cita l'A. dal filosofo K.Nishida - nel fondo del sè, c'è l'altro e nel fondo dell'altro, c'è il sè....Che io veda l’altro assoluto nel mio io significa che io vedo me stesso vedendo l’altro assoluto, è così che si stabilisce la coscienza del sé individuale>>.
Il luogo della ricerca appartiene dunque all’ordine dell’<<homme situé>>, direbbe Minkowski, ove ciò che conta è la specifica configurazione dei rimandi fra il Sé e il Mondo nella sua fondamentale struttura intersoggettiva. L'accento è su di una psicopatologia <<...fondata non più nè sulla terza persona nè sulla prima, ma...sull' "io e tu", cioè sul fondamentale incontro umano.>> (E.Minkowski), e non a caso Kimura Bin cita fra gli aspetti al centro della sua attenzione per la schizofrenia il fenomeno dell'autismo, che può appunto essere visto come una basica difficoltà nella costituzione dell'Altro. Per l'A. le turbe schizofreniche dell'identità dell'io appaiono, eziologicamente e fenomenologicamente, attraversate interamente dai disturbi dell'incontro ed egli drasticamente scrive: <<Di fatto, se non ci fosse l'intreccio delle relazioni interpersonali, non ci sarebbero schizofrenici>>.
La insufficienza nella costituzione intra-soggettiva del "sè-stesso" corrisponde a un problema nella costituzione inter-soggettiva del sè-stesso.
Aïda designa dunque una distanza, uno spazio, fra l'io e il tu, ma anche designa le loro relazioni sociali e affettive. In un testo (Aida, 1988) Kimura Bin si riferisce al pensiero di Martin Buber (<<..questo campo ove si dispiega l'esistenza umana...è ciò che io chiamo fra-due (Zwischen)...è l'arche-categoria dell'esistenza umana >>, M.Buber) e se ne differenzia scrivendo : <<l'altro ..prima di divenire un tu è un altro terrificante che destabilizza la mia soggettività >>.
Quando aïda e la distanza non si stabiliscono, nemmeno il sè si costituisce: e il vissuto schizofrenico di usurpazione da parte dell'altro <<... vuol dire che l'assolutamente altro, attraverso il quale il sè dovrebbe costituirsi ...gioca un ruolo meno come fondamento del sè, che come fondamento dell'altro... l'ipseità ...è perduta e colmata di alterità... La schizofrenia deve anzitutto essere compresa come modo di essere dovuto al carente esercizio dell'assolutamente altro che è il luogo della costituzione del sè >>(Kimura Bin).
Oggidì la fenomenologia, almeno nel suo aspetto genetico, rivolge grande attenzione al disturbo dell’intersoggettività, non quale semplice ed ovvia ricaduta dei sintomi schizofrenici nelle relazioni interpersonali, ma come patogenesi del disturbo stesso, considerando che la presentificazione originaria dell’Altro ( risolta nel concetto di “empatia”, da E. Husserl e da E.Stein) è co-costitutiva della stessa ipseità e della naturalità del common sense.
La meditazione sul rapporto degli organismi viventi con "il fondo della vita" percorre il pensiero di Kimura Bin (<<ma come si articolano il soggetto in quanto rapporto al fondo della vita e il soggetto come principio di incontro con il mondo ? >>) (Kimura Bin). Cioè per l'uomo si tratta di connettere la dimensione dell'esistenza a questo fondo vitale e il fallimento di tale compito segna le condizioni psicopatologiche. In un suo testo (intitolato Aida, e tradotto in francese come L'Entre) con una mirabile sensibilità musicale l'A. prende esempio da una esecuzione musicale: <<... il musicista coglie questa aïda come interna alla sua soggettività ma la trova nello stesso tempo all'esterno con gli altri musicisti >>.
Kimura Bin incontra il concetto di common sense proprio in relazione alla tesi del rapporto della presenza umana con il "fondo della vita" e riferendosi alla distinzione husserliana fra "noesi" come atto della coscienza costituente e "noema" come oggetto costituito nella coscienza, definisce l' aïda come nella sua essenza un atto realmente noetico di incontro con il mondo: incontro che se mediato dai cinque sensi presuppone un sensus communis più elevato, un aïda "metanoetica" che mantiene il rapporto del soggetto al fondo della vita: il sensus communis, che si manifesta in ciascuno dei cinque sensi, come <<il senso più fondamentale che orienta l'atto noetico verso il mondo>> (Kimura Bin).
L'autismo, visto secondo una lunga tradizione oggi rinnovata, come carenza di "sintonia" (attunement) con il mondo interpersonale, in essenza significa un difetto o una difficoltà o fragilità nella costituzione dell'Altro (A.Ballerini,2002). E' da questa operazione costituente, pre-verbale e pre-cognitiva, che discendono aspetti indicabili, a seconda dell'angolatura di studio adottata, come "sintonia" interpersonale, "common sense", "competenza sociale", etc. che sono tutti i luoghi della vulnerabilità schizofrenica. E la carenza di questa operazione, quella che costituisce nel sè-stesso un soggetto altro-da sè, rende assai posticcia la rete sociale per la persona schizofrenica che, come tutti, pur vive in essa. In questa maniera di essere, siglata dal fenomeno dell'autismo, il self "sociale" (W.James), come modo di esser percepiti ed autopercepirsi in rapporto al contesto sociale, non può che essere precario, perchè precaria è per la persona la intersoggettività del mondo e quindi l'identità come ruolo è un esercizio difficile e problematizzante.
In fondo l'identità come Sè nel contesto intersoggettivo ci garantisce la fruibilità di ciò che si indica come common sense, come naturalità dell'evidenza ; o viceversa, il che è lo stesso. Se per common sense, per ovvietà del suolo tacito del mondo intersoggettivo nel quale la nostra presenza prende significato interpersonale, non intendiamo certo delle opinioni condivise, ma un accordo con il fatto che la presenza umana si attualizza in un contesto condiviso. Anche il rivoluzionario più radicale deve avere queste basi, se non vuole esser sterile e intende veramente cercare di cambiare il mondo.
Nella precarietà di queste basi, nella persona pre-schizofrenica, la costruzione della identità personale avviene con lo scarso o impossibile sostegno della continuità fornita dai processi sociali di assunzione di ruolo, che presuppone un margine di identificazione sintonica su come gli altri ci vedono e ci definiscono. In questa situazione di esitenza il "Se stesso come un altro" di P.Ricoeur è portato all'estremo, e non solo la persona non si riconosce una identità come gli altri la definiscono, ma è in continua ricerca di un essere-se-stesso per se-stesso. Ciò fa parte dello spostamento della mente schizofrenica da un piano di tacita ovvietà verso una angosciosa riflessività "simultanea" al suo esperire, affacciandosi a problemi propriamente ontologici, che concernono la costituzione del soggetto.
<< La certezza del "io sono me-stesso" - scrive Kimura Bin nel saggio Cogito et Je, 1997 - benchè abbia molta evidenza per la maggior parte degli uomini, non si costituisce sufficientemente nello schizofrenico, nella misura nella quale egli si sforza senza tregua in una riflessione eccessiva e dolorosa sul lui-stesso>>. L'A. osserva che fino ad oggi la psicopatologia fenomenologica della schizofrenia non si è rivolta al problema della sua patogenesi, ma si è essenzialmente consacrata alla descrizione del mondo soggettivo e dei comportamenti del paziente la psicosi del quale è già manifesta. Ma << E' principalmente nel disturbo del "me come me-stesso" o della "ipseità dell'io" che essa [la psicopatologia] ha potuto cogliere il cambiamento più essenziale della schizofrenia...Questa specificità della schizofrenia consiste innanzitutto nel fatto che il paziente non può determinare la rappresentazione delle cose come rappresentate da lui-stesso; in altre parole , l'evidenza di una appartenenza all' "io" del "mi sembra che" come è inscritta nel cogito [cartesiano] è perduta...>> (Kimura Bin).
Un altro grande filone di ricerca di Kimura Bin si rivolge alla “temporalità”, al tempo come costitutivo dei vari modi di essere. L' A. pone una distinzione, che giudica essenziale, fra "coscienza del tempo" e "vivere il tempo", fra - come egli scrive - il "tempo esperito" (temps éprouvé) e il "tempo vissuto" (temps vecu, nella versione francese, che adotta, senza dirlo, un celebre titolo che fu di E.Minkowski). La caratterisica del tempo vissuto è che esso non è necessariamente esperimentato nella coscienza nelle forme patologiche quali sensazioni di alterazione del flusso del tempo, come ad esempio può avvenire nella melanconia o nella mania. In altri termini nel caso del tempo vissuto, scrive l'A., il tempo <<non è necessariamente costituito noematicamente quale oggetto dell'intenzionalità...si tratta piuttosto del processo formatore della temporalità che del suo esperito. Essere-il suo-proprio-esser-là equivale dunque a esistere il suo proprio mondo e a vivere il suo proprio tempo. In questo senso le espressioni: l'essere-là-proprio e tempo vissuto esprimono la stessa cosa>>.
Per Kimura Bin essere coscienti del flusso temporale e vivere il tempo sono due eventi del tutto diversi nella loro costituzione ontologica. Il tempo vissuto entra nella costituzione del sè, e <<...le diverse dimensioni del tempo sono simultaneamente delle maniere di essere sè-stesso...Ciascuno di noi vive il suo esser-là temporalizzandolo a suo proprio modo... E' precisamente questa molteplicità della costituzione temporale ontologica dell'essere-sè-stesso che la psicopatologia clinico-antropologica può mettere in evidenza>> (Kimura Bin).
Riprendendo, non esplicitamente, un concetto caro alla psicopatologia post-binswangeriana, quello della "proporzione" per cui i modi di essere patologici lo sono in quanto "sproporzionati", Kimura Bin ci avverte che non possiamo stabilire dei limiti troppo netti fra la varie dimensioni della temporalità (presente, passato, futuro) quali si riflettono nei diversi stili di personalità, in quanto ognuno fruisce delle tre modalità di vivere il tempo in relazione equilibrata fra loro, anche se un piccola prevalenza di una modalità segna la "originalità" di ciascuna persona; ma nelle condizioni psicotiche o pre-psicotiche l'equilibrio è frantumato da una sproporzione fra le tre dimensioni temporali.
In effetti la considerazione per la temporalità nella costituzione dei modi di essere dell'uomo e la sua declinazione patologica, anzi fino al suo supposto ruolo di "turba generatrice" di diverse sindromi psicopatologiche, è una fase abbastanza recente della psichiatria, che vede i nomi di Minkowski, di v.Gebsattel, di Straus, di Storch, di Kunz , di Binswanger, di Cargnello, di Barison ed in genere degli psichiatri ad orientamento antropo-fenomenologico, anche se il problema del tempo è stato da molti secoli nella speculazione filosofica, e basterebbe citare S.Agostino, nel IV secolo dopo Cristo.
Improntando agli scritti fenomenologici di Kimura Bin, il problema è: quale forma di angoscia corrisponde a ciascun modo di esistenza, a ciascuna maniera di vivere il tempo ? Una prima forma di angoscia osservabile negli schizofrenici (e anche in forme di nevrosi giovanile) è rappresentata da una sorta di angoscia per l'avvenire sconosciuto, per l'imprevedibile, di ciò che potrebbe accadere ad ogni momento e che non è ancora presente. Le persone tendenzialmente schizofreniche si sforzano spesso e penosamente di afferrare i presentimenti, anche vaghi, e i lontani presagi, con assieme a questa straordinaria sensibilità una indifferenza per le cose del presente. Per Kimura Bin dietro a questo modo di vivere il tempo focalizzato sul futuro, vi è il problema schizofrenico della costituzione della propria soggettività, che non è mai posseduta una volta per tutte, ma deve essere acquisita sempre di nuovo, nel momento che segue, per cui << La ragione del poter essere se stessi si situa sempre davanti a noi>> (Kimura Bin). Modo di vivere il tempo che l’autore chiama modalità ante-festum (prima della festa), rifacendosi alla <<Falsa Coscienza>> di Gabel ove si parla della ideologia proletaria come “coscienza ante-festum” e a Lukacs che chiamava post-festum la borghesia.
Al contrario l'angoscia che erompe nel typus melanconicus (H.Tellenbach) come melanconia è una angoscia per il passato, lo stesso avvenire non è una regione dello sconosciuto, ma una estenzione del passato. Ha scritto H. Maldiney che <<L'essere del melanconico è un raddoppiamento continuo del suo essere stato>>. Evidente è il rapporto fra questa temporalità e la prevalenza della identità di ruolo nel typus tellenbacchiano, sottolineata da A.Kraus. E' questa costituzione del tempo che Kimura Bin chiama modalità post-festum.
In una sorta, se mi si passa il termine, di nosografia fantasmatica, esattamente perchè legata agli inespressi ed inconsapevoli fantasmi della temporalità costitutiva, Kimura Bin dirà che questi due modi del tempo strutturante, ante- e post-festum, compaiono in maniera esasperata in condizioni di patologia, ma sono già distinguibili nella tipologia del temperamento.
Una terza forma di temporalità costitutiva, e di angoscia e patologie ad essa correlate, è quella che l'autore chiama modalità intra-festum: una sorta di temporalità puntiforme, istante per istante nel presente, un essere assorbiti nella immediatezza, che trova la sua espressione in sindromi diverse e tipicamente nella patologia border-line. << In contrasto con lo schizofrenico, scrive Kimura Bin, che cerca nei confronti della minaccia per la sua trascendenza, di riferirsi alla possibilità futura illusoria in vista di arrivare ad essere sè stesso, il malato stato-limite tende piuttosto a sfuggire al futuro... cercando l'unione immediata con la pura presenza...Per questo assorbimento nel presente la maniera di essere di un malato stato-limite si distingue non soltanto da quella di uno schizofrenico ma anche da quella di un melanconico>>. E ciò mi sembra isomorfico al fatto clinico della assenza del nucleo della colpa nella depressione border-line, per grave che essa possa essere: la radice, la condizione fenomenologica di possibilità della colpa, sta infatti nel prevalere del passato, nella "rimanenza", nel debet: il debet è già colpa, ci avverte H. Tellenbach. Kimura Bin ritrova inoltre la temporalità intra-festum anche in alcuni malati di epilessia e di psicosi atipiche, sul modello della “bouffée délirante”, e nella struttura personologica di una parte almeno dei pazienti bipolari, che può essere così diversa da quella del typus del melanconico monopolare. In modo consapevolmente dolente Kimura Bin ci ricorda che essere nel tempo della continua immediatezza della festa, con tutti i suoi capricci, inconsistenze, instabilità e imprudenze, vuol dire allora tentare di riempire il vuoto, la noia e la disperazione della esistenza votata, ovviamente per tutti, alla morte.
Lo studio della temporalità ritrova così in qualche modo una sua valenza nosografica, non in quanto delimitazione di "malattie", che in modi di essere nel tempo connotano forme di esistenza trans-nosografiche e che trascorrono dalla normalità alla patologia, e neanche perchè le analisi di antropofenomenologia della temporalità siano state condotte al servizio della nosografia, chè anzi si rivolgono ai fenomeni in quanto fenomeni e non in quanto substrato di sintomi differenziali, ma perchè sembra evidente che nelle più profonde e meditate differenze che la psichiatria ha elaborato c'è un nucleo di verità che può convergere con le illuminazioni fenomenologiche.
Diversi di noi si chiedono talora quale sia il futuro delle analisi antropofenomenologiche, delle quali gli studi di Kimura Bin sulla temporalità costitutiva sono un esempio,e pensano che nella clinica abbiamo ancora bisogno della psicopatologia di derivazione jaspersiana e della suo fondamento epistemico di fenomenologia soggettiva. Probabilmente dobbiamo applicare ad essa, e ciò è perfettamente fattibile, delle metodiche di ricerca empirico-statistica, che associno alla sua innegabile validità una più elevata riproducibilità.
Ciò non vuol dire tuttavia rinunciare ai lampi di conoscenza e di insight che l'ermeneutica della presenza come illuminazione della sua temporalità costitutiva può darci. Anche perchè se è vero che la psicopatologia classica si fonda sull'ascolto-accoglimento-studio dell’ altrui esperire, in uno sforzo di comprensione che è in definitiva auto-comprensione (comprendiamo nell'altro quello che comprendiamo in noi), ed invece le illuminazioni fenomenologiche che hanno in Kimura Bin un grande maestro, si rivolgono ad una ricerca ed esplicitazione dell'essenza costitutiva dei modi di essere globali dell'altro, ci deve pur essere un un punto di origine nel quale <<modi globali di essere>> e <<modi di esperire>> mostrano la loro comune radice.
E' sulla strada verso questo luogo che Kimura Bin ci conduce per mano.

PM --> HOME PAGE --> NOVITÁ --> SEZIONI ED AREE --> PSICOPATOLOGIA