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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Psicopatologia


L’amore perverso

Eros melanconico e perversificazione

 

Riccardo Dalle Luche

 

Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, Dipartimento di Salute Mentale, ASL 1 MASSA CARRARA




Riproduciamo in anteprima il testo di un intervento del dr. Riccardo Dalle Luche ad un Congresso tenutosi a Parma nel 2000. Un ringraziamento particolare al prof. Carlo Maggini per averci permesso di riprodurre il testo di un capitolo del volume degli Atti in corso di pubblicazione: Malinconia d’amore. Frammenti di una psicopatologia della vita amorosa, a cura di Carlo Maggini (Edizioni ETS,Pisa, 2001, pp 207-247).

 

Mario Rossi Monti e Antonella Di Ceglie


 

1.Immagini

 

“(...) quello che serve a noi è qualcosa di forte, che spacchi

(Max Renn, visionando un film soft-core

 per una Tv privata  in “Videodrome” di David Cronenberg)

 

 

 Le immagini dicono sempre molto di più delle parole che sollecitano per interpretarle.

 In vista di questo intervento su un argomento di cui, nel momento in cui si crede di sapere tutto, non si sa in effetti nulla –si è sempre dei debuttanti quando si deve parlare d’amore come quando ci si innamora (l’amore ci trascende e ci spiazza, ci vanifica come individui)-, mi sono tornate in mente le immagini della sequenza onirica che Ingmar Bergman ha posto come introduzione ad uno dei suoi film più belli e psicopatologicamente significativi, “Persona1: al termine di un incubo, popolato da immagini di morte e di cadaveri, un bambino cerca con il palmo della mano di toccare il volto di una donna (la madre?) proiettato su uno schermo. Un gesto concreto, rivolto a sentire o, forse, a risentire le sensazioni legate ad un rapporto vivificante, un gesto ripetuto e protratto, che va a vuoto, perché cerca di afferrare qualcosa che non c’è, che è assente, non tanto perché l’imago materna è sepolta dalla rimozione, ma perché nessuna immagine ha corpo. Si potrebbe discutere a lungo su chi rappresenti questo enorme volto di donna, sullo schermo su cui il bambino fruga lentamente, sacralmente, in effetti si tratta solo dei volti delle due attrici protagoniste che qui si succedono insensibilmente, mentre nel film, per esprimere la natura simmetrica e fusionale del loro rapporto, Bergman li farà sovrapporre. Che si tratti della madre, o della madre in quanto prima femmina cui si rapporta il piccolo d’uomo, o di ogni donna adulta che rinvia all’immagine della madre, cambia poco. Più interessante è la sensazione che trasmette il gesto di questo bambino, la matrice angosciosa della sua ricerca che cerca di dare corpo ad un’immagine esterna perché dentro di sé ha solo immagini morte. Rivedendo alcuni film in vario modo legati al tema delle perversioni sessuali e soprattutto delle relazioni perverse, sono stato colpito dal fatto che in ciascuno di essi, negli amori impossibili, negli amori fusionali e nelle storie di sesso perverso che raccontano, c’è una mano di un adulto che cerca, allo stesso modo, con la stessa necessità e con la stessa disperazione, sul e nel corpo del partner, di concretizzare quell’immagine: vediamo alcuni fotogrammi tratti da “Bitter Moon (Luna di fiele)”, da “Crash”, da “La femme a côte (La signora della porta accanto)2. Ciò che distingue un amore perverso da uno che non lo è, ammesso che si possa fare questa distinzione, è, forse, proprio il farsi dramma di un’immagine che non ricongiunge ma che separa dall’oggetto d’amore; contro questo diaframma oniroide, che il “normale” riconosce e rispetta, il “perverso” ingaggia una lotta strenua, concreta, ossessiva, coattiva, indifferente ai mezzi ed agli strumenti necessari per infrangerlo o per coltivare l’illusione che ci sia qualcosa al di là di esso, anche a costo di crearlo. L’infrazione di questo schermo, al di fuori della creatività artistica che consente di ri-simbolizzare l’angoscia del vuoto esistente tra l’assenza e l’allucinazione, implica un diniego delle strutture (spazio, tempo, memoria) che formano le immagini interne; la realtà deve essere percepita nella sua concretezza, sia pure limitatamente alle relazioni erotiche, ed in questa intolleranza simbolico-rappresentativa la perversione, come l’incubo, è vicina al delirio, seppure paradossalmente ne difenda dovendo fare i conti con pezzi di realtà, per adoperarli.

 

 

2. Introduzione

 

“(…) l’immaginazione sessuale è illimitata

quanto a prospettiva e a forza metaforica

 e non potrà mai essere davvero repressa (…)

Specialmente adesso che il sesso sta diventando

sempre più un’azione concettuale, intellettualizzata,

 lontana sia dall’affetto che dalla fisiologia,

si devono tenere ben presenti i meriti delle perversioni sessuali.”

 

(Ballard J.G., La mostra delle atrocità)

 

 

 La nozione di “perversione” è tra le più complesse, confuse e controverse dell’intera psico(pato)logia, a causa dell’impossibilità di svincolarsi dal riferimento ad una “norma sessuale” socialmente condizionata e rapidamente variabile, cioè, in ultima analisi, di sottrarsi al campo doxico (26). Il termine si colloca in una perenne ambiguità tra deviazione e sovversione della norma, tra incapacità di adeguarvisi e volontà di spostarne i limiti consensualmente ammessi, tra malattia e fenomeno sociale e di costume innovatore, infine tra comportamenti disgiunti o contigui alla normalità affettiva ed erotica. Alle influenze sociali si sovrappongono in una continua circolarità quelle culturali: la psicoanalisi ha monopolizzato la discussione scientifica nell’area dei comportamenti perversi trasformandone lo statuto da vizio, devianza, indice di degenerazione o di costituzione morbosa –paradigmi dominanti alla fine del secolo diciannovesimo (42, 21, 61, 44) - psicologizzabili nei limiti del concetto di Binet di “accident agissant sur un sujet predisposèe” (15), in una visione che valorizza in ogni comportamento perverso la componente fantasmatica e il significato di difesa. Nel corso della sua evoluzione, la psicoanalisi è tuttavia progressivamente slittata da una concezione delle manovre perverse come difese dai derivati istintuali ad una che le riferisce al rapporto con l’oggetto del desiderio (56, 31) ed ha spostato il suo assetto epistemologico dalla metabiologia alla metapiscologia al campo relazionale transfert-controtransferale, nel quale il termine viene usato in modo sovente idiosincrasico e senza alcun riferimento alla vita sessuale (22). Nello stesso tempo l’area dei comportamenti perversi (o parafilici, se si vuole - 5) ha guadagnato una progressiva visibilità sui diversi canali mass mediali, creando un suo diffuso immaginario e un variegato mercato (dai fumetti, alle videocassette, a Internet, ai club privèe) al quale è del tutto estranea ogni considerazione di ordine psico(pato)logica. I comportamenti perversi possono essere semplicemente considerati fenomeni antropologici legati al fatto che in determinati periodi storico-culturali “certi modi di pervenire all’orgasmo (o di tentare di pervenirvi)” siano più o meno eccezionali, divenendo in questo caso “ripugnanti” per coloro che fruiscono di modalità più diffuse e abituali (44). Banali excursus psicostorici ed un semplice sguardo alla letteratura e l’arte libertina dei secoli scorsi (36) conferisce alla visione psicopatologica delle perversioni una dimensione del tutto relativa, storicamente e socialmente determinata.

 Scorrendo le liste delle pubblicazioni più recenti su una qualsiasi Medline si coglie una tendenza a recuperare alla ricerca clinico-biologica i comportamenti sessuali anomali e devianti  (38,50); che tuttavia, se non sono sottoposti al vaglio di rigorosi criteri euristici e definitori, danno l’impressione di rappresentare un mondo variegato, eterogeneo e un po’ folkloristico, non molto diverso dalla casistica di Krafft Ebing (42), nella quale, ora come allora, è difficile cogliere il legame con i fenomeni psicopatologici (vedi anche 44). In effetti il rilievo clinico delle parafilie è relativamente raro nella pratica di ogni psichiatra (a partire da Freud, che, forse per questo, privilegiò le fantasie perverse –34,35)3; se esse non si associano ad altri disturbi psicopatologici, ha luogo soprattutto per mandato sociale o forense (9), mentre se co-occorrono con altri disturbi  sono per lo più transitorie, poco esplorabili e decifrabili.

Con tutte queste riserve e nella convinzione che forse il termine perversione non dovrebbe essere usato affatto, come del resto già fanno i principali manuali diagnostici internazionali (5,69) e, in ogni caso, dovrebbe comunque esserlo in modo connotativo e mai denotativo, l’immenso lavoro degli psicopatologi della vita sessuale, e soprattutto degli psicoanalisti lungo tutto il ventesimo secolo ha consentito di costruire una sensibilità particolare nello psichiatra che con notevole frequenza si trova ad affrontare dinamiche e modalità relazionali di tipo perverso nel contesto di relazioni erotiche nelle quali possono o meno emergere comportamenti parafilici. Nonostante la consapevolezza di trovarsi in un’epoca epistemologica di passaggio, che mette bene in evidenza non solo l’apodittticità, l’autoreferenzialità, l’inconsistenza, l’oscurità e perfino la bizzarria di gran parte della letteratura psicoanalitica, un secolo di psicoanalisi non può essere cancellato in pochi anni. Su un tema come quello delle relazioni perverse, in assenza di modelli esplicativi realmente nuovi, appare possibile solo introdurre slittamenti discreti di significato rispetto alla matrice psicoanalitica a favore di una riformulazione linguistica e concettuale improntata alla chiarezza e all’aderenza alla clinica (che costituiscono i doveri di ogni psicopatologia).

Sia nell’ottica psicoanalitica che in quella clinico-nosografica, l’amore perverso del titolo che mi è stato assegnato non esiste; esistono infatti comportamenti sessualmente perversi (“parafilie” o “disturbi delle preferenze sessuali”, con tutte le difficoltà definitorie relative –24), che dell’amore non hanno la caratteristica essenziale, cioè quella di essere una relazione, essendo piuttosto condotte anonime e stereotipe a-relazionali se non antirelazionali (31). Esiste invece, e forse sempre di più, in relazione al dis-ordinamento e alla liberalizzazione garantista della morale sessuale ed all’omologazione dei comportamenti sessuali maschili e femminili, la perversificazione dell’amore, vale a dire la distorsione ed il sovvertimento della sua naturalezza legati all’amalgamarsi con le situazioni erotiche di istanze relazionali e modalità difensive arcaiche e regressive.

 

 

3.  Due esempi d’Autore

 

 Per motivi che meritano attenzione e stimolano le interpretazioni, il cinema d’Autore abbonda di riferimenti alle pratiche e alle dinamiche perverse: sugli schermi sono state portate le più diverse variazioni sul tema amore/morte o, se si vuole Eros/Thanathos, non soltanto come “ingredienti” di genere, ma come vicende narrative o apologhi di notevole fascino per lo sguardo accorto di uno psicopatologo (29)4. In questa sede ho scelto due esempi d’Autore che illustrano con grande chiarezza il senso psicopatologico del feticismo e del sadomasochismo. Il primo esempio è tratto da “Belle de Jour” (17) uno dei film scandalosi di Luis Buñuel (un Autore nel cui cinema amour fou, feticismo e sadomasochismo sono ubiquitari e straordinariamente verosimili tanto da rappresentare un materiale di studio di enorme interesse per chi voglia occuparsi di perversioni e relazioni perverse –24); il secondo è costituito dal melodramma “Bitter Moon-Luna di fiele” di Roman Polanski (57), un Autore anch’esso che più volte si è cimentato sui temi del sadomasochismo, del feticismo e della psicosi (26) e che in questo suo film mette in scena compiutamente la trasformazione di un innamoramento in una relazione sadomasochistica simmetrica e irreversibile

 

a) Bella di giorno: il “sole nero” del Duca necrofilo

 

 L’avvenente moglie di un medico, Séverine (Catherine Deneuve), seguendo una sua disposizione masochistica ed espiativa che probabilmente le deriva dall’aver subito una seduzione infantile da parte di un operaio, si prostituisce volontariamente in una casa di appuntamenti parigina ogni pomeriggio. Diviene rapidamente la prediletta di numerosi clienti perversi che sono attratti più dalla sua aria impacciata e remissiva che dalla sua conturbante bellezza. In questo contesto accetta l'invito mercenario di un misterioso e raffinato Duca (Georges Marchal), che afferma, con un’espressione di fissa e cupa melanconia, "nulla mi allieta come il sole d'autunno, il sole nero", una frase a cui Severine fa eco, come condividendola, balbettando "il sole nero". Séverine gli serve per una messa in scena necrofila in sostituzione della moglie morta (forse uccisa da lui).

 Il Duca la conduce nella sua residenza sontuosa sulla carrozza che simbolizza in tutto il film il percorso autoterapeutico delle reveries masochistiche della donna. “Uomo d'altri tempi, in cui era ancora vivo il culto dei morti”, la fa spogliare dal maggiordomo e la fa stendere, immobile, nuda, con indosso una corona  e un velo nero, in una cassa da morto5.

Il rituale necrofilo appare un po’ confuso nella versione ufficiale del film in cui l’impianto complessivo della scena risente palesemente dei tagli della censura; l’episodio comprendeva infatti originariamente una messa funebre nella cappella di famiglia su cui troneggiava l’immagine di un Cristo di Grünewald (18).

Non è possibile interrompere un perverso nel bel mezzo della sua pantomima (in precedenza anche un ginecologo masochista si era già arrabbiato quando dovette interrompere il suo rituale per l’imperizia di Séverine). Così il Duca, che afferma di aver posseduto una gatta di nome "Bella di notte", si arrabbia quando il maggiordomo chiede se debba “introdurre i gatti” nel bel mezzo rituale necrofilo, quando, Sèverine stesa nella bara, era già immerso nelle sue recriminazioni rituali:

 "Ti ho portato qualche asfodélo, ti piacevano tanto. Come sei bella! La tua pelle è ancora più bianca, e i tuoi capelli ancora più morbidi. Mia povera cara, che visino freddo, ricordi che appena ieri abbiamo giuocato insieme, abbiamo riso e abbiamo cantato, e adesso sei qui e non dici niente, immobile...spero tu mi abbia perdonato, non è colpa mia, ti amavo troppo...".

L’allestimento ha comunque buon fine, il Duca può giungere al suo soddisfacimento facendo tremare la bara sotto cui finisce a masturbarsi mentre continua il suo dialogo con la “morta”: “adesso i tuoi occhi non si apriranno più, le tue membra sono rigide e i vermi ti rodono il cuore, e questo odore di fiori morti, questo odore ubriacante di fiori morti...i vermi ti rodono il cuore..!”.

Il rituale necrofilo funziona quindi in due tempi: una prima parte che riattiva il ricordo nostalgico di un oggetto d’amore morto, negandone la morte mediante la sostituzione con un feticcio, la seconda che erotizza quegli aspetti ripugnanti (la decomposizione, la putrefazione della carne) legati alla morte, in una sorta di libera aggressione al morto, nella persona, si potrebbe dire, del suo feticcio; questo secondo aspetto mette bene in evidenza il legame esistente, sia pure in una polarità antinomica, tra perversioni ed ossessioni, essendo i temi della morte, degli addobbi funebri, della putrefazione della materia tipici contenuti delle fobie ossessive mentre l’attrazione per lo sporco, il decomposto e l’amorfo una delle sorgenti di eccitamento più tipicamente perverse (27,28) 6.

 Per la sua perfetta collusione masochistica e feticistica col rituale, Severine ne è affascinata e vorrebbe poterlo ripetere, ma il maggiordomo la liquida bruscamente dicendo che il Duca vuole che le ragazze reclutate vengano sempre sostituite. Perché possa funzionare il rituale deve escludere l’instaurarsi di una relazione continuativa; l’oggetto d’amore non può nè deve essere sostituito, deve mantenere il suo statuto feticistico perchè solo così può assolvere la funzione di alleviare concretamente il dolore depressivo garantendo l’illusione della negazione di un lutto e facendo da bersaglio per la rabbiosa aggressività del sopravvissuto.

 

b) Bitter Moon (Luna di fiele), o il destino degli universi fusionali

 

“Luna di fiele”, film tratto dal notevole romanzo di Pascal Bruckner “Lunes de fiel” (16) nel quale l’elemento “perverso” è maggiormente dettagliato e sottolineato (26), mette invece in scena una situazione apparentemente reale e normale, quella dell’innamoramento di uno scrittore (Oscar, Peter Coyote) per una giovane ballerina (Emanuelle Seigner) “uno sconcertante miscuglio di maturità sessuale e innocenza infantile”. Ben presto nell’esplosiva situazione emotiva ed erotica che si produce, si immettono comportamenti perversi (sadomasochisti, esibizionistici, scatofili) rivolti a mantenere intatta l’apicalità emotivo-affettiva fusionale. Ma è proprio nel corso di uno di questi rituali recitati collusivamente che i due si rendono conto dell’insufficienza della funzione rappresentativa (del play acting) a suscitare e evocare l’acme fusionale e improvvisamente piombano nella noia (una perversione non può integrarsi con le dinamiche relazionali, essendole antinomica; la sua iteratività infatti funziona solo in una dimensione di distacco che evita ogni coinvolgimento affettivo). A rivitalizzare la relazione sono allora agiti rabbiosi e aggressivi (litigi furibondi, sentimenti di gelosia e aggressioni delle possibili rivali da parte di Mimì, falsi abbandoni, il ricorso da parte di Oscar a rapporti mercenari esterni alla coppia etc.). Imprigionati dalla impossibilità di separarsi e, nello stesso tempo, dalla necessità di mantenere in vita una relazione agonizzante rispetto alle loro esigenze emotive, i due possono solo instaurare dinamiche sadomasochistiche nelle quali Oscar fa la parte del sadico e Mimì quella della vittima umile e compiacente (“posso sopportare tutto pur di stare con te...ti prego, non mandarmi via, anche se non mi ami!”). Ma anche questa soluzione non è stabile perché comporta un progressivo incremento del sadismo di Oscar che giunge a far abortire e liberarsi brutalmente della ragazza abbandonandola su un aereo diretto ai Carabi. Oscar potrà così dedicarsi ad un dongiovannismo sfrenato che ritrova nella quantità di effimeri incontri sessuali un equivalente quantitativo dell’infinità emotiva qualitativa dell’innamoramento per Mimì.

 La ragazza ricomparirà, rovesciando a suo favore la relazione sadomasochistica in virtù dello stato di impotenza in cui Oscar si ritrova a seguito di una lesione midollare che lei gli provoca. Sessualmente impotente, incontinente e totalmente dipendente dalle cure di lei, Oscar, suo malgrado, diviene il partner masochista ideale per ogni sorta di vessazioni che lei gli infierisce: “sei prezioso per me, più prezioso di quanto non lo fossi prima”, gli dice. Ma anche quest’assetto sadomasochistico rovesciato non è stabile perchè nella sua necessità di essere agito (nella componente erotica) al di fuori della coppia, richiede la collusione dei due nel coinvolgere altri partners e, consumata anche questa possibilità, non resta loro altro da fare che mettere in atto un omicidio/suicidio.

 Questa vicenda, così perfetta nella sua doppia simmetria di trasformazione dell’amore in odio e della capacità della perversione di comporre l’uno e l’altro facendoli coesistere, è emblematica di tutti gli amori nati sotto l’egida saturnina della mutua riparazione narcisistica (di un lutto preesistente ed originario); se l’innamoramento, col suo giuoco di identificazioni proiettive ed il suo assetto fusionale, assolve perfettamente questa funzione, molto problematica diviene la gestione della fase di differenziazione e defusione dei partners che, dovendo gestire una ferita narcisistica rabbiosa, necessariamente si immettono nel gioco sadomasochistico di uccisione reciproca rituale, per riscoprirsi, nel sopravviverne, ancora innamorati, cioè fusi; ma questa temporalità rituale e circolare si avvolge su se stessa come una spirale che implode non lasciando più alcun spazio di movimento relazionale imprigionando i due in un baratro claustrofobico intollerabile. La perversificazione sadomasochistica che, paradossalmente, serve a dimostrare che la relazione è ancora viva e vivibile, in realtà finisce per strangolarla. Si giunge così alla inevitabile separazione, poi alla ricongiunzione con una struttura sadomasochistica vendicativamente invertita che, proiettando la coppia in un futuro da trascorrere necessariamente uniti, la richiude in effetti in una spirale destinata nuovamente all’implosione, cosa che nessuno dei due partner, di fatto, può tollerare.

 

 

4. Gli universi perversi nelle teoresi psicoanalitiche

 

Oltre ai già citati problemi di obsolescenza linguistica e concettuale, la precarietà dei modelli naturalistici relativi a disturbi comportamentali il cui significato psicopatologico è continuamente rimodellato dal variare della morale sessuale, com’è avvenuto per l’omosessualità, trattata comunemente come una malattia fino a pochi anni or sono (33,24,22), rende oggi fatico il pur imprescindibile esame della letteratura psicoanalitica. In essa risaltano peraltro contributi che conservano un notevole spessore fenomenologico e teorico (Masud Khan, Bak, Chasseguet Smirgel, Lussier, Bach, Adair) e sono ben evidenziabili alcuni leit motiv che mantengono il loro valore nelle trasformazioni terminologiche succedutesi nel tempo.

 Tentando di realizzare una revisione dotata di una qualche coerenza, gli elementi essenziali alla concettualizzazione psicoanalitica delle perversioni possono essere così  riassunti:

 

a)

“«Chi scrive» diceva il testo del dottor Nathan «è arrivato alla conclusione che il paziente metta in opera una peculiare relazione con gli oggetti, basata su un continuo e irresistibile desiderio di fondersi con l’oggetto stesso in una massa indifferenziata. La psicoanalisi, per quanto non possa giungere a padroneggiare il meccanismo arcaico primario del ‘riavvicinamento’, è però in grado di occuparsi della sovrastruttura nevrotica, guidando il paziente verso la scelta di oggetti stabili e significativi. Nel caso in questione, bisognerebbe tener conto della precedente carriera del paziente (pilota militare), e del ruolo inconscio delle armi termonucleari nel processo di fusione totale e di indifferenziazione di tutta la materia. Ciò contro cui il paziente reagisce è semplicemente la fenomenologia dell’universo, l’esistenza specifica di oggetti ed eventi indipendenti e separati, per quanto banali essi possano apparire. Un cucchiaio, per esempio, lo offende per il solo fatto di esistere, di occupare una porzione di spazio e di tempo (…)

   (J..Ballard, La mostra delle atrocità)

 

 

Il perverso è, fin dalla prima infanzia, incapace di separarsi dai suoi oggetti d’amore: né dal seno, né dalla madre, dal pene, dall’amore super egoico (1), pertanto non può accedere alla problematica edipica oppure, se lo fa, non può elaborarla, finendo per disconoscere le differenze di genere e di generazione (20) e per essere incapace di armonizzare il proprio sviluppo fisico-sessuale con una definita identità di ruolo sessuale adulto. Il carattere arcaico, fusionale, legato alle matrici psicofisiche della relazione d’oggetto, rende il futuro perverso incapace di distaccarsi da tutti gli oggetti parziali e totali, pena una sofferenza atroce e insostenibile; l’altro è sempre una parte di sé conglobata o rispecchiata narcisisticamente, pertanto la sua perdita è sofferta fisicamente come un’amputazione; l’assenza di distanza affettiva (e sovente anche fisica) dai suoi oggetti rende impossibile il lavoro del lutto, spesso sostituito direttamente da gesti suicidiari o da comportamenti equivalenti (ad esempio tossicodipendenze) (29).

Il futuro perverso finisce per crearsi una realtà fittizia in cui non devono esistere né perdite né ansie di separazione o di castrazione, un mondo intermedio tra la soddisfazione allucinatoria e l’accettazione della realtà garantita dall’investimento masturbatorio dell’erotismo con un partmer colludente (1). In questo mondo tutti gli oggetti sono intercambiabili e scarsamente distinguibili l’uno dall’altro e niente è mai definitivamente perduto (6,29). Purtroppo se niente si può davvero mai perdere, niente può essere veramente ottenuto. Il prezzo che il perverso paga per negare la castrazione, la perdita e la morte è quello di rimanere imprigionato in uno stile di vita stereotipo che è condannato a ripetere. Dove non c’è perdita, lutto e rinuncia non c’è possibilità di uscita da un assetto ambivalente (6).

 I testi di Sade, nel loro complesso (“La philosophie dans le boudoir”e “Les cent-vingt journèes du Sodoma” nel modo più completo e teoricamente avvertito –58,59) sono ritenuti paradigmatiche esemplificazioni della strutturazione perversa, della sistematica e totale equiparazione e confusione di ruoli e oggetti erotici, di un universo anale indifferenziato nel quale gli orifizi erogeni si equivalgono, in cui non esiste il divieto dell’incesto, né la distinzione tra il dentro ed il fuori del corpo, tra la vita e la morte (20,6). Il perverso sostituisce un universo pregenitale, fondamentalmente di marca anale, al mondo erotico dei genitori, riduce al caos originario la legge del padre, che proibisce l’ibridazione e la violenza (hybris) e che istituisce la barriera dell’incesto (20, 30).

Tuttavia l’opera di Sade, come le più recenti saghe degli universi perversi resi possibili dall’integrazione ai corpi di ogni sorta di protesi o feticcio tecnologico (di cui gli esempi maggiori sono dati dal cinema di David Cronenberg – 29- e Shinya Tsukamoto -68), non sono che opere di fiction, nelle quale l’indistinzione tra realtà ed immaginario rispetta ancora un ordine simbolico7. Le concretizzazioni di questo mondo, nelle relativamente rare evenienze criminali e, come intuì Pasolini (54), nella logica mortale dei campi di sterminio (“Salò o le centoventi giornate di Sodoma”), traducono un cedimento delle funzioni simboliche (41), ma, nonostante la loro esemplarità e clamorosità, concernono solo occasionalmente l’attività psichiatrica (20, 9).

 

b)

Ero scontento

delle ragazze a pagamento

così ne inventai una meccanica

 

potevo accenderla

potevo spengerla

 

con lei mi sentivo

molto volitivo

ma ora di notte son tanto malinconico

 

era soprattutto di plastica

con una bella pancia elastica

e il tono di voce monotono elettronico

 

aveva una graziosa fessura

che adoperavo con disinvoltura

 

la trattavo con molta indifferenza

per evitare una mia dipendenza

ma ora di notte son tanto malinconico

 

io l’avevo costruita

e io l’avrei demolita

se non rispondeva all’apparecchio telefonico

 

un brutto giorno il cuore le ho spezzato

e il pezzo di ricambio l’ho perduto

 

e ora che lei m’ha detto addio

in pezzi ci sono andato io

e così di notte son tanto malinconico

 

(“54”, in “Mi ami?”, di R.D.Laing)

 

 

Utilizzato come una protesi per aggirare i conflitti preedipici o le angosce di morte e disintegrazione del sé (29), l’oggetto perverso è un feticcio impersonale frapposto tra il desiderio e il partner, ridotto a complice collusivo (48): un feticcio non solo nel senso di un oggetto parziale inanimato (morto) (anche corpo-oggetto o parte del corpo-oggetto) che ne evoca magicamente un altro (un oggetto d’amore totale e vivo) 8 ma anche di oggetto composito (48) (feticcio-oggetto sé –29) nel quale si giustappongono, come in un patchwork, in un collage (48) componenti pregenitali e genitali, parti di sé e degli oggetti di attaccamento (la madre e le sue parti) ed anche modalità relazionali arcaiche9. Grunberger (37) sottolinea la regressione anale implicata nella creazione de feticcio che un inglobamento narcisistico secondario rende idoneo, come gli oggetti sacri e le reliquie, ad essere adorato ed esaltato, ma anche a divenire oggetto e strumento di attacchi aggressivi; più recentemente l’oggetto perverso è stato piuttosto valorizzato nella sua componente orale costituendo, come le sostanze di abuso, una mammella-pene dotata di grande potere calmante, un balocco feticistico in grado di sostituire le dinamiche affettive profonde con “accadimenti sensoriali immediati” (46); è un oggetto che, differenziandosi dal partner in quanto figura reale e presente, può essere tenuto a distanza, usato e manipolato, ma che, una volta perduto o sottratto, rivela il suo potere strutturante il sé del manipolatore.

All’oggetto perverso (il feticcio) sono state attribuite insomma una messe di funzioni diverse. Per Lussier (cit. in 30):  1) trionfa sulla castrazione, salvando il proprio pene e quello della madre; 2) protegge dall’esperienza di perdita depressiva e dell’angoscia di separazione 3) mette al riparo dall’omosessualità; 4) blocca l’accesso alle ferite del corpo; 4) difende dall’aggressività pur esprimendola; 6) nega la disintegrazione fecale affermando l’esistenza dell’oggetto parziale; 7) offre il possesso del seno e il pieno dominio sulla madre; 8) permette di autoilludersi; 9) si struttura come semidelirio per proteggere dal delirio, 10) serve da chiave di volta della struttura della personalità, proteggendo quindi dalla frammentazione.

Per De Martis (30) le funzioni dell’oggetto perverso (oggetto composito) sono: 1) E’ garanzia di stabilità narcisistica; 2) Consente l’adempimento di una ritrovata fusionalità (superando le angosce di castrazione e separazione); 3) E’ altamente idealizzato; 4) E’ altamente sfidante; 5) E’ la testimonianza di una duplice regressione, fallico-narcisistica e sadomasochistica, poiché assicura il piacere di dominare e dell’essere dominato; 6) E’ trasformista (le oche si tramutano in cigni –scriveva Glover); 7) E’ conglutinante, riuscendo a cucire le laceranti scissioni di base.

In generale il perverso utilizza i suoi oggetti per attuare manovre erotizzate difensive, riparative o vendicative rivolte al diniego di parti conflittuali della realtà ed al ribaltamento magico della minaccia della propria identità psichica o sessuale in un trionfo di godimento (63, 19). In ogni caso il feticcio è un oggetto che si presta a essere inventato, usato, abusato, saccheggiato, scartato e idealizzato (48), garantendo l’illusione di autosufficienza rispetto alla dipendenza oggettuale.

 Finchè c’è, l’oggetto perverso rappresenta uno strumento difensivo formidabile, onnipotente, che garantisce la piena integrità narcisistica del sé, ma quando viene meno lascia un vuoto ineliminabile, un vissuto di apatia, di tedio indifferente (48), di “morte psichica (deadness)” (53), insomma la ballardiana “morte degli affetti” (10), oppure diviene un persecutore, quando la frammentazione della funzione simbolica (della pellicola-schermo della rappresentazione) e dei confini dell’Io, aprono la strada a veri e propri scompensi paranoidi (29).

 Implicando un diniego parziale della realtà, l’oggetto perverso può esistere soltanto come illusione, come “quasi delirio che protegge dal delirio” (30, 49, 22, 9); la sua manipolabilità gli assicura una fruibilità, sebbene solo sul piano intermedio della sovrapposizione della rappresentazione alla percezione, cioè del giuoco, o, meglio, del giuoco agito (del playacting -6). Questo statuto, che accomuna oggetto perverso e oggetti della creazione artistica, facendo stabilire parallelismi tra l’una e l’altra attività (49), rende ragione del carattere spesso onirosimile della scena degli agiti perversi, e della confusività masturbatoria in essa tra zone erogene e mete del soddisfacimento. Il passaggio all’atto dei comportamenti sadomasochistici avviene infatti sovente in uno stato di restringimento crepuscolare della coscienza, in una “foschia erotica (erotic haze)” (6).

 Se indubbiamente vi è nella ricombinatoria perversa un necessario potenziale creativo (neosessualità secondo McDougall –49-, per la cui esemplificazione rimandiamo ancora una volta all’opera cinematografica di David Cronenberg -29)10 e può dare vita, nei gruppi che condividono particolari pratiche, a vere e proprie estetiche, mode e filosofie di vita (come nell’ambito dei sadomasochisti consensuali –60,64- e nei cultori del tattoo e del piercing –pratiche che ritualizzano le infrazioni dei confini corporei-, e del bondage –che sostituiscono il legare al legame- etc.), diversi autori (30) hanno sottolineato alcune caratteristiche anticreative della scena perversa, quali la stereotipia, il concretismo e la povertà simbolica, la coattività. E’ abbastanza ovvio che la ricerca e la dipendenza fisica da un oggetto esterno indichi un difetto nel mondo interno, “uno scacco della simbolizzazione”, “un vuoto nell’Io (Moi)” che deve essere “riparato o padroneggiato nella scena sessuale perversa” (49). Anche Balier (9), in un vasto campione criminologico di perversi (soprattutto esibizionisti),  sottolinea la presenza più che di angosce di castrazione di vere e proprie angosce di non esistenza e la necessità di un riconoscimento da parte dell’altro che ha le sue radici in gravi deficit integrativi del sè.

 

c)

"Ciascuno uccide le cose che ama/ 

alcuni uccidono l'amore da giovani/ altri quando sono vecchi/

chi lo strangola con la passione/ e chi con l'oro/

 i più gentili usano il coltello/

 perchè il cadavere si raffreddi prima./

 Ciascuno uccide le cose che ama/

alcuni amano poco altri troppo a lungo/

alcuni lo vendono altri lo comprano/

 alcuni lo fanno piangendo/  altri senza neppure un sospiro/

così ogni uomo uccide le cose che ama/

 eppure nessun uomo muore."

 

Lysiana (Jeanne Moreau)

in "Querelle de Brest" (1982) di Rainer Werner Fassbinder

 

 

-E’ stato ripetutamente sottolineato come la relazione oggettuale del perverso soddisfi l’esigenza di fusionalità e di intimità, di controllo tecnico totipotente, presimbolico, arcaico e fascinatorio. L’oggetto perverso può essere “idoleggiato” (48), vale a dire idolatrato e feticizzato, ma al contempo anche disumanizzato e reso inconsapevole strumento delle proprie esigenze narcisistiche (“tecniche dell’intimità” secondo Masud Khan); non vi è reciprocità nella relazione perversa, ma un coesistere di istanze fusionali e distruttive, cioè un’ambivalenza diversamente modulata, sia nel senso della seduttività (52), che della fascinazione (51) che della collusione (del contratto perverso –41), che rapidamente possono infrangersi per una distruttività impulsiva. Per chi tenti di relazionarsi col perverso non vi è alternativa tra i ruoli di complice o di persecutore, entrambi funzionali a difendere da insopportabili angosce destrutturati oppure da una normalità che, privata di ogni istanza grandiosa e magnificente, non può apparire che “scialba e insipida” (41). La relazione perversa, nel suo precario equilibrio tra narcisismo primario e dipendenza oggettuale, soprattutto quando riesce ad aggirare o liquidare ogni divieto normativo e ogni limitazione, ad essere cioè legittimata da una situazione sociale che minimizza o non riconosce affatto l’ordine edipico, a creare, come l’artista, un universo morale personale (4) di qualità superiore a quello normativo, ha una funzione “baricentrica” rispetto alle due strade impercorribili della psicosi e della normalità (29). Ciò che caratterizza queste relazioni e le connota come perverse (differenziandole da quelle nevrotiche) sono i mezzi e gli artifici che consentono di mettere in atto le fantasie sovrapponendole alla realtà; la strada più facilmente percorribile è quella della feticizzazione dell’altro, oltre a rappresentare l’oggetto primario, è di fatto reso inumano per poter essere “controllato, immobilizzato, messo in condizione di non poter mai sorprendere” (41) e di non essere mai perduto. Nell’“ordine feticistico” l’altro è un supporto indispensabile per la sopravvivenza dell’Io (9). Ma anche nei pazienti nevrotici le difese perverse, indipendentemente dal fatto di essere sessualizzate o no, hanno un valore vitale nella gestione degli affetti, dell’autostima e delle relazioni intersoggettive (22) e rappresentano meccanismi fondamentali per creare i “rifugi della mente” evidenziati ubiquitariamente nella patologia da Steiner (62).

 

d)

SAINT-ANGE: “Per cortesia, un po’ di ordine in queste orge;

 ne occorre anche nel delirio e nell’infamia.

(Sade, La philosophie dans le boudoir)

 

 

-perversione e ossessioni: Quando la sovversione perversa si dà un proprio ordinamento stabile, preserva dall’ansia e dalla depressione, e quindi si sottrae allo sguardo indiscreto e sanzionante (dal punto di vista del perverso) dello psicopatologo. Nelle parole affascinanti di Baudrillard ( 12) il perverso “sfugge alla legge per abbandonarsi alla regola (…) è la regola, non la sregolatezza” che accomuna i due membri del patto perverso, all’interno del quale è possibile ogni trasgressione, ma non “l’infrazione della Regola”. La regola instaura una serie di segni convenzionali, una logica artificiale e iniziatica estranea al mondo reale, un giuoco che si sottrae sia al principio del piacere che a quello della realtà.  E’ nell’impianto ossessivo che sostituisce la Regola (la codifica, le enumerazioni etc.) alla Legge, ben evidente, oltre che nell’opera di Sade (58,59), in quella cinematografica di Peter Greenaway (27,28), che la perversione evoca forti analogie con l’universo anale deanimato e simbolicamente impoverito dell’ossessivo-compulsivo. La ripetizione e la ritualità, i cerimoniali e la cura dei dettagli caratterizzano entrambi, tuttavia il mondo erotico dell’ossessivo è totalmente asservito alla legge e ai divieti, così come quello perverso vi si sottrae, più che trasgredendoli, negandoli. Non casualmente i temi ossessivi, quando sono sessuali, sono perversi e, non potendo essere agiti, costituiscono l’oggetto delle più tenaci difese (28). Queste affinità fenomeniche, ed alcune segnalazioni di una risposta agli stessi trattamenti farmacologici hanno suggerito di includere le parafilie nello spettro dei disturbi ossessivo-compulsivi (38, 50, 28).

Il perverso può anche conservare tratti ossessivi scindendosi in due mondi: nel primo accetta il sistema di regole del giuoco perverso, nell’altro si attiene alla legge ed alle norme convenzionali (31). Vi sarebbero quindi due tipi di perversi, uno che si dichiara e si ostenta pubblicamente in modo esibizionistico. narcisistico e grandioso, l’altro che invece mostra una facciata di assoluta normalità (e spesso di moralismo), come il ministro vittoriano che fu trovato a flagellare le prostitute nei bordelli (ed è forse questo il vero perverso, sadico e crudele tanto più quanto più innocua e insospettabile è la sua “facciata”, tanto più ossequiosa e scrupolosa la sua moralità ostentata).

 

e)

Sei insostituibile. Per questo è dannata

Alla solitudine la vita che mi hai dato.

E non voglio essere solo. Ho un’infinita fame

D’amore, dell’amore di corpi senz’anima.

 

(Pasolini P.P., Supplica a mia madre,

 da “Poesie in forma di rosa”, 1961-4)

 

 

-perversione e melanconia: Nel lavoro chiave per la comprensione psicoanalitica delle perversioni, “Il feticismo” (35), Freud parla del meccanismo di scissione e diniego parziale della realtà sia in relazione alle angosce di castrazione (assenza del pene nella madre), sia, in due esempi minori, in relazione al lutto per la perdita del padre. E’ curioso che lo stesso Freud e la letteratura psicoanalitica successiva abbiano trascurato a lungo questa doppia funzione del feticismo, in quanto operazione mentale comune alla perversione e alla melanconia. Grunberger (37) ne ha forse per primo sottolineato l’assoluta aspecificità in quanto “l’intera vita psichica è governata da un incessante movimento dialettico tra la percezione e la non percezione (…) il sogno e la realtà, il razionale e l’irrazionale, la visione oggettiva e la prospettiva narcisistica” Ogni adulto, ad esempio, sa di essere mortale ma si comporta come se fosse immortale, e lo stesso processo del transfert implica la convinzione simultanea dell’identità reale e simbolica del proprio analista (37). La letteratura più recente ha reso giustizia a questa universalità dimostrando come castrazione e separazione possano entrambe essere aggirate mediante il meccanismo della Verleugnung feticista (1, 30, 47). “In certi casi si può pensare che la nullità dei genitali (della madre) sia una metafora corporea di una serie di perdite evolutive culminate nella paura che non ci sia nessuno da amare o da cui essere amato (…) dietro lo schermo del rapporto (relatedness) tecnico.” (6). Appare sempre più scontato che meccanismi di tipo feticistico siano impiegati per rendere accettabili alcuni fatti universali della vita, quali “il riconoscimento del seno come oggetto massimamente buono, del rapporto sessuale tra i genitori come atto massimamente creativo, dell’ineluttabilità del tempo e, alla fine, della morte” (Money Kyrle, cit. in 62).

 L’identificazione delle dinamiche melanconiche e feticistiche è stata raffinatamente sviluppata da Giorgio Agamben (2) in un’analisi -nella quale le teoresi psicoanalitiche sono viste nella loro continuità psicostorica ed antropologica con la psicologia patristica, scolastica e neoplatonica: “l’ambizione specifica dell’ambiguo progetto” del malinconico consiste nella “capacità fantasmatica di far apparire come perduto un oggetto inappropriabile”. Infatti, “ricoprendo il suo oggetto coi funebri addobbi del lutto, la malinconia gli conferisce la fantasmagorica realtà del perduto; ma in quanto essa è il lutto per un oggetto inappropriabile, la sua strategia apre uno spazio all’esistenza dell’irreale e delimita una scena in cui l’io può entrare in rapporto con esso e tentare un’appropriazione che nessun possesso potrebbe pareggiare e nessuna perdita insidiare”.

 Concepita come “un processo erotico impegnato in un ambiguo commercio coi fantasmi”, la strutturazione (difensiva) melanconica ha dunque la funzione di rinviare all’infinito il lavoro del lutto mantenendo l’oggetto d’amore nell’ambiguo statuto di vivo e morto nello stesso tempo (33, 6). In questo, la malinconia, nell’analisi di Agamben condivide la Verleugnung col feticismo: come l’assenza del pene materno viene, secondo Freud (35), simultaneamente negata ed affermata dall’assunzione di un feticcio, così, nella malinconia, l’oggetto non è nè reale nè irreale, nè affermato nè negato, nè ”appropriato nè perduto, ma l’una e l’altra cosa nello stesso tempo” (2).

 Pur nella completa sovrapposizione formale dei meccanismi fantasmatici, perversione e melanconia si differenziano per il fatto che solo nella prima si manifestano obbligatoriamente nella sfera erotica, rendendole particolarmente “visibili” nei comportamenti. Gli psicoanalisti si trovano costretti a postulare l’evenienza di una “sessualizzazione” immaginaria infantile (a seguito di “attenzioni erotiche di adulti o per una particolare eccitabilità personale” –31)11. Ma si può forse pensare al ruolo quantomeno favorente di elementi presenti nella vita adulta, quali, molto banalmente, la bellezza fisica (secondo lo stereotipo del bello/a e perverso/a), o particolari fattori educativi o situazionali, che consentono o facilitano la messa in opera della “sessualizzazione” (o “erotizzazione”) di dinamiche melanconiche. La sessualizzazione è una strategia di potere che richiede una predisposizione, delle potenzialità (tra cui un adeguato “physique du rôle”) e l’acquisizione di abilità tecniche il cui raggiungimento rappresenta una fonte di gratificazione narcisistica. Non è altro che un processo tipicamente premelanconico di iperidentificazione ad un ruolo, di riduzione di sé a feticcio, del proprio agire a tecnica. Com’è particolarmente evidente nelle cosiddette “perversioni femminili” (39) il primo feticcio-oggetto sé del perverso è infatti il proprio corpo, distanziato ed usato intenzionalmente come strumento privilegiato di piacere e di potere, curato, abbigliato, idolatrato e idoleggiato, ma anche manipolato, aggredito, abusato e mutilato.

 Vi sono, ovviamente, perversioni del tutto indipendenti dai processi melanconici (post traumatiche, legate ai disturbi dell’identità di genere, a specifiche problematiche sessuali o anche solo uro-genitali), ma la differenza, formalmente e fenomenologicamente, viene meno quando il processo melanconico nasce o si esprime nel contesto di relazioni erotiche. L’utilizzo della “sessualizzazione” delimita un’area di confine, una nicchia o enclave all’interno dei disturbi dell’umore e dei suoi precursori, parzialmente sovrapposta a condizioni personologiche di tipo narcisistico, istrionico, borderline.

 

 

5. Dalla normalità alla patologia: l’innamoramento, l’ amore ed i suoi fallimenti

 

 

 (Lui): vedo che ti interessi alle notizie, a cosa accade nel mondo.

(Lei, ricoverata in clinica psichiatrica per una depressione): No! Ascolto le canzoni perchè dicono la verità.

Più sono stupide e più sono vere, e poi non sono stupide. Che dicono?

Dicono: “Non devi lasciarmi” “Senza di te non c’è vita” “Senza di te sono una casa vuota”  o

“Lascia che diventi l’ombra della tua ombra”, oppure

“Senza amore non siamo niente”

 

Da “La femme a côtè (La signora della porta accanto)” di F-.Truffaut

 

 

 Su un piano strutturale esiste quindi un ampio margine di sovrapposizione tra modalità relazionali perverse e strategie difensive antidepressive che viene sottovalutato dagli psichiatri sia perché non lo esplorano, sia perché lavorano sempre a posteriori, ricostruendo gli eventi antecedenti il tipo di manifestazione sintomatologica, mentre gli psicoterapeuti si trovano più spesso a seguire gli eventi durante il loro svolgimento, concettualizzandoli su un piano personologico. Nel tentativo di integrare psicodinamica e clinica denominiamo l’astratto soggetto preclinico, il typus ideale che non può tollerare le separazioni, “melanconico” e vediamo che cosa gli succede quando si innamora. Come ogni essere umano egli dovrà soggiacere al decorso di ogni amore degno di questo nome:

-la fase della scoperta di essere innamorato, un evento sempre discreto cui ben si applica la dizione di “colpo di fulmine”;

-la fase fusionale dell’innamoramento nella quale l’identificazione proiettiva sembra annullare le differenze tra i partners e la diffusione dei confini corporei estende le potenzialità erogene della coppia; per il suo carattere regressivo, arcaico, immerso nella matrice pulsionale indifferenziata che fornisce l’energia per trasformare e rivoluzionare le relazioni preesistenti ricostituendone di nuove (“stato nascente” secondo Alberoni –3-, “Being in love” secondo Bak -7), l’innamoramento ha caratteristiche ben descrivibili, ricorrenti ed in ultima analisi comuni a tutti gli uomini.

-la progressiva defusione che porta allo stabilirsi di una relazione duratura in cui i due partners si riconoscono diversi e separati anche se uniti da sentimenti fondamentalmente positivi e coesivi; è in questa fase di differenziazione che i diversi individui ritrovano ed evidenziano le loro peculiarità personologiche; il passaggio dall’innamoramento all’amore richiede la capacità di stare soli, di vivere i sentimenti in assenza dell’oggetto e indipendentemente dalla componente sensuale, insomma di tollerare la frustrazione e il rarefarsi dei momenti emozionali apicali;

-infine, prima o poi, la separazione, evento ineluttabile se non altro perché la coincidenza della morte è un evento naturale decisamente raro. Non diversamente dalla fase successiva all’innamoramento, ma in modo più intenso e definitivo, il lavoro del lutto testimonia della potenzialità personologiche dell’individuo (si potrebbe dire dimmi come elabori il lutto e ti dirò chi sei).

 

 La sequenza, pur nell’indeterminatezza della durata delle diverse fasi successive ai momenti puntiformi della scoperta di essere innamorati e della separazione dall’oggetto d’amore, mostra come ogni dinamica amorosa si svolga secondo una temporalità lineare rispetto alla quale il soggetto “normale” si sincronizza evitando così ogni complicanza psicopatologica. Al contrario la temporalità vissuta dal melanconico è fin dall’inizio distorta: per il melanconico, plasmato su una peculiare strutturazione emotivo-affettiva costituzionale, spesso rinforzata da perdite, abbandoni, incuria genitoriale (reali o fantasmatizzati nel corso dell’infanzia), ogni amore ha a che fare col restauro di un oggetto morto (restauro nel senso di ridare vita ad un oggetto perduto evocato da quello ritrovato –vedi anche Bak, 7) e successivamente con la necessità di tenere in vita un oggetto che lentamente perde lucentezza e muore. La scoperta di essere innamorato è per lui non un fatto nuovo, ma un ricordo, una reminiscenza: è il ritrovamento e la concretizzazione di un’immagine interna di un oggetto d’amore totale, vissuti con assoluta certezza soggettiva, come una percezione delirante; questo comporta l’attribuzione proiettiva all’amato di qualità che egli evoca ma che difficilmente possiederà totalmente e l’esigenza illusoria di poter condividere con lui ogni oggetto del proprio mondo interno, ogni costituente nucleare del sè.

Questa fase di rispecchiamento narcisista ed idealizzante, comune a gran parte degli innamorati (nell’innamoramento l’oggetto d’amore è totalmente buono –3), è, per il “melanconico”, completante ed abbagliante e non può incrinarsi se non a prezzo di una discontinuità catastrofica. Se l’oggetto d’amore non è tutto, allora è niente: re Mida alla rovescia, il “melanconico” rischia di togliere ogni valore a ciò che tocca, se solo questo si mostra nella sua imperfetta veste umana.  Ma poichè il melanconico agisce quello che fondamentalmente è un processo interno autoterapeutico, l’”uccisione rituale” dell’oggetto d’amore equivale ad un atto autolesionistico e comporta lo svuotamento e l’annichilimento del sè.

  Il grande nemico del “melanconico” è il tempo che, consumando ogni investimento e spengendo la brillantezza emotiva e sensuale della fase di innamoramento nella quotidianità dell’abitudine, introduce inesorabilmente la dimensione della separazione all’interno delle coppie più fusionali. La perversione melanconica in ultima analisi nasce da un problema di omeostasi narcisistica, cioè di impossibilità di passare dal tempo dell’innamoramento a quello della convivenza, dal tempo della festa a quello dei giorni feriali, da quello della fusione al tempo della differenziazione13. I sentimenti di noia traducono l’iniziale asincronia tra tempo oggettivo e soggettivo: questo, distaccandosi dal flusso del presente, inizia un percorso di va e vieni tra passato e futuro: frasi come “Com’era bello quando…” che traducono la nostalgia dolorosa del ricordo, e non il suo piacere (47), oppure “Tutto sarà come prima..” che pretende di ricomporre in un futuro impossibile un passato perduto, la ricerca di rassicurazioni -la domanda lainghiana (43), tanto banale quanto essenziale, “Mi ami?” “Mi ami davvero?”- una domanda che in fondo non ha alcuna risposta-, improvvise idee di gelosia che, per quanto immotivate, traducono la percezione di un’evenienza impossibile nella fase di innamoramento (3), ed invece ora divenuta possibile, rappresentano le avvisaglie di una separazione emotivo-affettiva che va evitata ad ogni costo. Costretto all’illusione di un tempo eterno non può vivere il presente ma solo l’alternativa tra la nostalgia e la demoralizzazione; per evitarla è costretto ad inventarsi una temporalità artificiale che soggiace e sostiene la perversificazione della relazione d’amore considerabile un sistema antidepressivo e antievolutivo organizzato (51), una titanica (narcisistica) lotta contro il divenire. Le figure di questa continua ricostruzione nella distruzione, di questa ricostituzione nella destrutturazione sono proprio le figure portanti di ogni perversione, il sadomasochismo e il feticismo.

 

a) Le dinamiche sadomasochistiche ritualizzano il gioco degli investimenti e della loro distruzione: si attacca l’altro per ogni minima mancanza per poterne percepire la presenza, la consistenza e l’integrità; il passaggio all’atto delle dinamiche sadomasochistiche è un evento catastrofico tutto o nulla che ristruttura la temporalità del melanconico facendo riapparire come presente qualcosa che sembrava perduto. Detto in altri termini il melanconico si trova nella situazione paradossale di dover uccidere l’oggetto d’amore ogni volta che non assolve la funzione di oggetto totale della quale necessita e da cui dipende, per poterne constatare l’indistruttibilità, risentirlo vivo e potersi riunire a lui. Queste paradossali modalità di attaccamento del melanconico una volta estroflesse ed accolte dal partner instaurano un regime sadomasochistico.

Tipicamente, come scrive Bach (6), il partner che incarna il ruolo di masochista dice: “«Farò quello che tu vuoi, ma non lasciarmi» e il «quello che vuoi» è sentito come piacevole perchè significa che il partner è sempre con lui. (...) da parte sua il sadico proclama «Posso fare tutto quello che voglio e tu sarai sempre qui». Il sadico nega i bisogni del suo oggetto sopravvalutando l’importanza delle sue scariche istintuali, mentre il masochista nega i suoi bisogni pulsionali sopravvalutando l’importanza del suo attaccamento all’oggetto. Poichè il sadico e il masochista spesso sono la stessa persona (...) il sadomasochismo può essere visto come un’oscillazione patologica tra la sopravvalutazione delle pulsioni e la sopravvalutazione dell’oggetto. Sia nel masochista che nel sadico, aggrapparsi all’oggetto ha tipicamente la meglio rispetto al lasciarlo andare a causa dello stadio di incompleta separazione a cui il sadomasochista è fissato: lasciare andare significa lasciare non solo l’oggetto ma anche una parte di se stessi. E’ per evitare questa perdita che il sadomasochista fugge dal mondo reale della dipendenza a quello immaginario dove può giuocare il falso giuoco dell’oggetto e del sè idealizzati.” (6)12.

 Il reiterarsi di queste dinamiche introduce nella coppia discontinuità discrete (40) nella discontinuità analogica della defusione, finendo per provocare sul piano reale quello che cercano di evitare su quello fantasmatico, cioè la separazione.

 Dalla continua instabilità tra separazioni e riunioni si giunge alle fase in cui né l’una né l’altra sono più possibili: uno stallo, una giustapposizione di momenti temporalmente inconciliabili ben descritto dall’enunciato paradossale “Né con te né senza di te”. E’ questa la fase in cui, non essendoci più le condizioni di possibilità di una relazione tra i due partners, è facile il passaggio ad agiti esterni alla coppia, ad esempio mediante il coinvolgimento di altri partners, strumentale a ristabilire un equilibrio narcisistico al prezzo di continui attacchi distruttivi; il vissuto di completezza e totalità un tempo garantita da un unico partner viene ad essere sostituito da una molteplicità potenzialmente illimitata di relazioni momentanee con altri partners. Il paradosso delle dinamiche sadomasochistiche è dato dal fatto che non è più l’eros a garantire una riunione, ma l’aggressione, secondo l’enunciato: “Sei ancora mio/a perché solo io posso farti così male”; il piacere dell’odio ha la stessa funzione di ricostituzione fusionale del piacere erotico, cambiato di segno (infatti l’indice affettivo della fine di un amore non è l’odio, ma l’indifferenza).

 Quando i comportamenti sadomasochistici si cronicizzano, assolvono la funzione paradossale di mantenere unita una coppia che altrimenti si separerebbe. Si può allora pervenire all’attivazione di dinamiche sadomasochistiche estreme che paradossalmente uniscano la coppia non più nella vita ma nella morte: tentativi di suicidio, suicidi a due, omicidi-suicidi, suicidi “legano” a vita coppie destinate alla separazione. La morte volontaria di uno dei partner è resa possibile dall’attualizzazione del fantasma di riordinare la temporalità pervenendo all’eternità mediante un gesto discreto e istantaneo. Nel suicidio il soggetto si identifica perversamente con l’oggetto e, uccidendosi, lo uccide nell’illusione (sorretta evidentemente da un deficit simbolico) di una fusione permanente con lui, che gli ridarebbe la vita.

 

b) Il feticismo evoca un’assenza e nello stesso tempo provvede magicamente a sostituirla. Le dinamiche feticistiche di mantenimento in vita di un oggetto d’amore morto sono facilmente comprensibili se si fa riferimento agli apparati sepolcrali per il culto del morti. Nelle società arcaiche il defunto veniva seppellito con le sue cose più preziose, come se ancora potesse adoperarle e gli dovessero essere utili, in una illusione di vita eterna. Oggi si pongono sui sepolcri, soprattutto sui sepolcri di bambini o giovani, oggetti simbolici (giocattoli, soprammobili), oppure un motto simbolico caro al morto che ne riassuma la filosofia di vita; ma è soprattutto l’uso dei fiori recisi, l’immagine fotografica del defunto (spesso colto in un momento di particolare vitalità), a garantire l’illusione di una presenza nell’assenza (che taluni sopravvissuti, valorizzando il dato immaginario rispetto al simbolico, sfruttano per realizzare monologhi dialoganti). Un apparato simbolico concretizzato, un oggetto significante, un feticcio, insomma, grazie all’attivazione immaginaria della memoria affettiva, nega ritualmente e temporaneamente la perdita rendendola meno dolorosa. Tutto questo non potrebbe realizzarsi su una tomba sciatta e trasandata; il rituale feticistico necessita di una perfezione che favorisca l’illusione percettiva concretizzando il diniego. Niente deve alludere alla decomposizione, alla degradazione, all’entropia della morte.

L’utilizzazione di questi meccanismi non è effettiva ed efficace solo a perdita avvenuta (per morte, separazione etc.) ma anche durante il corso di una relazione protratta che sarebbe vissuta come morta se non ritrovasse periodicamente vita con modalità feticistiche; di un amante svalutato/o si reinveste periodicamente il corpo o i suoi attributi, alcune qualità parziali, alcune situazioni che si possono vivere con lui/lei. Il feticismo riattiva la memoria affettiva attraverso un procedimento rappresentativo immaginario: la ritualità e la perfezione di questi momenti puntiformi (i “momenti perfetti”), che evocano la completezza fusionale dell’innamoramento, rendendo, sia pure momentaneamente presente un assenza, rappresentano modalità essenziali per mantenere in vita una relazione che ha perduto la sua naturalezza sincronica; ne sono una prova le crisi che si verificano quando questi meccanismi rituali vengono dimenticati o trascurati o sbagliati nella loro realizzazione, generando un effetto simile a quello della tomba trascurata, che evoca la decomposizione piuttosto che l’integrità del corpo, il nulla piuttosto dell’eternità per la quale è costruita.

La caratteristica delle relazioni erotiche perverse è quello di richiedere un perfezionismo ed un’estrema esigenza esecutiva dal punto di vista qualitativo che richiama alcuni tratti caratteristicamente ossessivi (33,48). Ma anche le continue richieste “isteriche” di attenzione traducono l’operare di un meccanismo di feticizzazione di rapporto.

 Queste coppie si reggono dunque non più tanto su un investimento reciproco, operante e co-operante sul piano del reale, quanto sull’investimento di oggetti o situazioni che, se attinte e realizzate con successo, hanno il potere magico di riattivare nella sua completezza il fantasma dell’oggetto d’amore totale della fase dell’innamoramento.

Se le dinamiche sadomasochistiche, rendendo la vita impossibile ai membri della coppia, e tendendo ad espandersi per mantenere la loro efficacia, conducono di regola a ciò che in effetti, paradossalmente, miravano ad esorcizzare, cioè la separazione affettiva, quelle feticistiche al contrario mantengono in vita, in un universo costretto continuamente all’artificio creativo, coppie che altrimenti si separerebbero. Se tuttavia uno dei due partners si sottrae a questo giuoco conservativo, l’altro prontamente pone in atto dinamiche sadomasochistiche.

 

c) Una volta pervenuta alla separazione il melanconico tende a ripeterla. Infatti vivrà secondo una ciclicità della morte e della rinascita in concomitanza del ritrovamento, dell’uccisione rituale, della sostituzione e del rinnovamento degli oggetti d’amore, la cui componente mortifera e ritualizzata è de-negata dalle dinamiche di “richiamo e di speranza che contraddistinguono la tecnica dell’intimità” (48), cioè dall’illusorio alibi di volervi porre fine. E’ questa l’origine della cosiddetta instabilità affettiva che altro non è che una forma perversificata di continuo cambiamento di oggetti che possano almeno temporaneamente evocare l’oggetto d’amore totale; la “quasi autonoma struttura difensiva dell’Io” in questi casi rappresenta una “delle più inattaccabili resistenze al cambiamento e alla cura” (48) ed il fatto questi pazienti non possano separarsi dai propri oggetti si riflette sul piano endopsichico sulla loro incapacità di differenziarsi e separarsi dai propri punti di vista e di sviluppare una consapevolezza prendendo una prospettiva diversa sui propri processi di pensiero (6).

 Questi stili di vita affettiva, sono talora rivestiti di una giustificazione ideologica (opzione libertina), più spesso sono coperti da conflittualità nevrotiche frammiste ad un parziale diniego della realtà (ad esempio viene ignorata sistematicamente la personalità del/della partner).

 

d) C’è poi quella che è classicamente ritenuta la forma atemporale par excellance della melanconia, e cioè l’astoricità del blocco vitale delle fasi clinicamente melanconiche, sia che esse si esprimano col blocco/arresto psicomotorio (come soprattutto nelle epoche preterapeutiche), sia, come vediamo oggi, con un’apatia/abulia che traducono l’arresto di ogni vitalità e creatività: periodi in cui il tempo cronologico è completamente disgiunto da quello interiore, che del resto è un non-tempo, una radicale impossibilità di sincronia. E’ esperienza comune che fasi di questo tipo siano scatenate da un lutto o dalla rottura di un rapporto sentimentale, soprattutto quando il soggetto rinuncia a porre in atto le difese perversificanti sopra descritte. L’individuo, rinunciando ad ogni illusione, fa proprio l’insopportabile dato di realtà ponendosene fuori in virtù dell’arresto del divenire vitale.

 Come il lutto di chi si rifiuta di far uso degli espedienti simbolici funerari è più protratto e doloroso, così la melanconia clinica ci indica quali catastrofiche conseguenze possano nascondersi dietro il non-uso dei meccanismi perversificanti. “Non è sbagliato paragonare l’ambivalenza sadomasochistica a quella della persona con un lutto patologico, che oscilla tra il credere che l’oggetto d’amore sia morto e che sia ancora vivo, rendendo impossibile il lavoro del lutto” (6).

 

Come tutti sanno, e come Alberoni (3) bene sottolinea, l’innamoramento è un fenomeno destinato ad estinguersi e a trasformarsinel regime di certezze quotidiane che chiamiamo amore”, è uno luogo edenico da cui non si può che essere continuamente scacciati (…) ogni innamoramento che dura a lungo (…) non può che costruirsi nell’immaginario, non può che durare nell’immaginario”14. Solo taluni sistemi socio-culturali, tra i quali principalmente quello ebraico-cristiano, grazie ad un complesso sostegno simbolico ed immaginario, ne propongono e ne impongono la continuazione in una relazione monogamica duratura in cui devono convivere esigenze di stabilità affettiva ed un soddisfacimento sessuale fondato e fondatore del primato genitale e patriarcale (3). A questo modello socioculturale aderisce di fatto l’intero pensiero psicoanalitico, non a caso attaccato sistematicamente da ogni associazione di “devianti” (in primo luogo gli omosessuali e le femministe) (25).

L’innamoramento in fondo non è che una “trappola della natura” che tutti gli individui subiscono, ed è autolimitante, dura un tempo sufficiente ad assicurare la riproduzione. I soggetti innamorati sono pertanto sottoposti alla necessità di mantenere un legame sulla base di dinamiche e motivazioni diverse da quelle dell’innamoramento, e non tutti sono in grado di reperirne.

 Il prolungamento indefinito dello stato emotivo dell’innamoramento, di fronte alla inevitabile percezione del suo estinguersi, della sua assenza è assicurata dagli espedienti della perversificazione, è, in ultima analisi, un’operazione di possesso sadomasochistico e di continua creazione feticistica. Si garantisce durevolmente lo splendore di una farfalla uccidendola e conservandola impregnata di formalina.

 Paradossalmente siamo agli antipodi rispetto alla visione psicoanalitica tradizionale: non è l’assenza del pene nella madre a dover essere denegata e rimpiazzata da un feticcio, ma l’assenza di valore affettivo del sesso (femminile o maschile che sia), al di là delle fasi di innamoramento, a dover essere sottoposta ai medesimi meccanismi difensivi in chi non può vivere alcuna perdita, e quindi neppure quella delle emozioni erotiche amorose che fanno di un oggetto un oggetto d’amore totale. Semplicemente il “perverso” o, come noi lo abbiamo chiamato, il “melanconico”, “non vuol vedere” che l’innamoramento è una realtà transeunte, per cui è costretto a tenere in vita con ogni tipo di espediente “tecnico”, un oggetto d’amore che altrimenti sarebbe destinato a morire in quanto tale (e nella migliore delle ipotesi a divenire un “compagno”, una figura protettiva, rassicurante, insomma un marito o una moglie). Questo tipo di comportamenti indica pertanto la presenza di una necessità di attaccamento intimo che si tramuta in volontà di ottenerlo ad ogni costo: il “perverso” (il “melanconico”) fanno esistere l’amore come indefinito prolungamento dell’innamoramento perché ne hanno necessità.

 Ma per il partner del “perverso” è compito non facile mantenere le qualità richieste ad un feticcio perché conservi le sue proprietà magiche, e quindi diviene facilmente oggetto di riprovazione e disprezzo, cioè di una attacco sadico cui potrà sottrarsi o riassumendo il ruolo di feticcio, o abbandonando il partner: deve vivere costantemente l’alternativa tra l’essere feticcio e/o vittima (o dominatore) oppure sottrarsi al patto, infrangere le regole del giuoco.

 Perché una coppia con uno o entrambi i membri sottoposti all’ordine melanconico del “sole nero”, non pervenga ad una separazione (reale o anche solo affettiva) è quindi necessario l’instaurarsi ed il mantenersi di una complicità che ha tutte le caratteristiche del “contratto” o della “collusione” attribuite dalla psicoanalisi alle coppie perverse (41). Contraddicendo il sapere convenzionale bisogna concludere quindi, dicendo che, almeno nell’universo della melanconia, in ultima analisi l’amore, o è perverso (perversificato), o non è.

 

 

6.  Alcune precisazioni cliniche

 

“Quello della perversione “è un mondo dove niente è ciò che sembra essere,

 in cui il confine tra sogno e realtà per un attimo si sfoca (..)”

 

 (P-Orridge in T.Sellers, La sadica perfetta)

 

 

Talora si osserva l’emergere di dinamiche sadomasochistiche e perversificanti nel corso di una fase depressiva, come se il disturbo di fondo dell’umore facesse emergere queste modalità relazionali probabilmente riattualizzandole dalla memoria affettiva dell’individuo in virtù di una destrutturazione della temporalità; a volte tuttavia esse appaiono in assenza di ogni riferimento biografico sia attuale che anamnestico, destituite di ogni senso che non sia quello “sintomatologico”, rispetto al quale un atteggiamento interpretativo risulta del tutto fuorviante. Come altre formazioni sintomatologiche nella melanconia (ad esempio il lamento –65) esse nascono forse da un cedimento simbolico e metaforico che preserva la coerenza logica delle argomentazioni e degli agiti, che tuttavia operano su una realtà neutralizzata, di cui è ritenuta solo la sembianza (65); per questo a lungo andare non sono mai completamente efficaci e rivelano la loro inconsistenza di fronte alla necessità di modificare la realtà. Non bisogna mai dimenticare, trascinati dalle apparenze e dal fascino dei racconti perversi, che la perversione è un gioco irreale e che nel momento in cui qualcuno evoca la possibilità di porla in atto significa che ha già neutralizzato il valore della realtà, è già in parte fuori della realtà. Le avventure perverse sono spesso parentesi confuse della vita, in cui l’individuo non si riconosce, che si dissolvono nel nulla come dal nulla sembrano essere emerse.

Anche la distinzione tra fantasia ed agiti, ampiamente relativizzata dagli autori di formazione e credo psicodinamico dovrebbe essere valutata criticamente; il fatto che una fantasia sia agita avviene sovente in funzione della destrutturazione volitiva ed inibitoria legata allo stato di malattia piuttosto che ad una particolare “urgenza” espressiva, o forza pulsionale della stessa. In parole semplici, una “perversione” può equivalere ad un deliriode sotteso da un disturbo depressivodi fondo.

 Moltissimo resta dunque da indagare nel campo delle manifestazioni perverse e delle dinamiche perversificanti, e, niente sarebbe più fuorviante che considerarli sempre e comunque interpretabili psicologicamente perchè certamente non si sottraggono all’ambiguità difetto/ difesa, realtà/irrealtà, senso/non senso di ogni fenomeno psicopatologico.

 

 

7. Verso una definizione delle operazioni essenziali della perversione

 

Caro ed illustre amico

ho fatto una scoperta, o meglio sono arrivato ad una conclusione

che desidero comunicarti perché tu ne faccia l’uso che credi:

LA FICA NON ESISTE

Non si tratta che di un’immaginazione da parte del maschio,

infine di una trappola della natura.

Che fare pertanto? Come comportarsi?

Rivedere le nostre posizioni? Denunciare il ricatto? (…)

 

M.Maccari, lettere a Flaiano (1947-1972)

 

 

Benchè ne condividano la denominazione, le due figure essenziali della perversificazione delle relazioni d’oggetto, il feticismo e il sadomasochismo, non vanno dunque confuse con i comportamenti parafilici che ne rappresentano una possibile concretizzazione agita. Nei loro aspetti psicodinamici e fenomenologici vanno piuttosto considerate meccanismi difensivi basici del funzionamento relazionale umano, una sorta di yin e yang delle strutture melanconiche, che traducono l’introdursi, nel contesto evolutivo di relazioni fusionali, di un’aggressività narcisistica rabbiosa incontenibile sul piano intrapsichico e dei successivi tentativi di riparazione dell’oggetto d’amore. Connesse a intense perturbazioni della sfera emotivo-affettiva, assolvono la funzione di proteggere da una destrutturazione del sè mediante una manipolazione parziale della realtà ed una contaminazione immaginaria che può o meno coinvolgere i comportamenti sessuali.

 Le dinamiche della perversificazione implicano la neutralizzazione fantasmatica degli oggetti d’amore: se il feticista (per Freud) la opera all’insegna di un diniego percettivo (cognitivo), il melanconico fa altrettanto per poter controllare il potenziale affettivo destrutturante insito nelle relazioni erotiche. Sia il feticcio che l’oggetto d’amore del melanconico, investito di tutta l’ambivalenza sado-masochistica attivata dal fantasma della perdita (dell’assenza), contemporaneamente sono e non-sono, sono nello stesso tempo tutto e niente, non sono né reali nè irreali, nè affermati nè negati, nè appropriati nè perduti, ma l’una e l’altra cosa nello stesso tempo, ed in questo modo divengono indefinitamente manipolabili. L’oggetto perverso e l’oggetto d’amore del melanconico condividono lo statuto di essere vivi e morti nello stesso tempo, e consentono a chi li mette in giuoco (nella peculiare dimensione comportamentale del play-acting) di sostituire un ordine temporale artificiale alla temporalità lineare che trascina inesorabilmente ogni relazione verso la defusione e la differenziazione dei partners, spengendo la possibilità di emozionalità apicali. Incapace di provare affetti intensi indipendentemente dalle emozioni e dalle sensazioni erotiche, il perverso (o, meglio, il perversificante) è colui che “gioca con i sentimenti”, ma nient’affatto ludicamente, perché alla sessualità richiede qualcosa che essa non può dare, se non in modo effimero e puntiforme, vale a dire il compito di mantenere, se non l’integrità del sé, quantomeno un tono dell’umore orientato positivamente verso il mondo, di chiederglielo continuamente, ripetutamente, coattivamente. E’ in questo senso che Masud Khan (48) definisce i perversi coloro che fanno l’amore per intenzione piuttosto che per desiderio, potendo così eludere la reciprocità e la mutualità non tanto perché non ne abbiano bisogno, ma perché ne temono gli effetti.

 I meccanismi perversificanti sono quindi operazioni difensive paradossali rivolte al tentativo di contrastare la naturalità dell’amore e la sua temporalità, sostituendo la vitalità di ogni relazione amorosa con il giuoco agito dell’uccisione rituale dell’oggetto d’amore, o del mantenimento in vita di un oggetto d’amore agonizzante o morto o, infine, dell’infinita ripetizione del ciclo morte/rinascita dell’oggetto d’amore. Implicando una ristrutturazione percettiva e rappresentativa, una anonimizzazione e feticizzazione del partner, sono operazioni intermedie tra il reale e l’immaginario che consegnano l’individuo, al di là delle apparenze, ad una dimensione privata e intersoggettivamente difettiva. Costituiscono indici significativi di una vulnerabilità psicopatologica (depressiva e/o paranoide), oppure si strutturano in comportamenti erotici stereotipi e ben collaudati rivolti a contenere ed immobilizzare gli affetti sostituendoli con le sensazioni erotiche, cioè in “perversioni” in senso stretto.

 

 

NOTE:

 

 1Lo stesso Bergman racconta come “Persona” l’abbia salvato da una delle peggiori crisi depressive della sua vita e addirittura dal suicidio, e sostiene che questo film tocchi “segreti senza parole, che solo la cinematografia può mettere in risalto” (14).

 2Ovviamente sono state proiettate durante l’esposizione congressuale del lavoro.

 3Non si può ritenere lo psichiatra un esperto di queste condizioni che hanno ben altri canali di visibilità e reclamano sempre più una propria legittimazione sociale (dopo gli omosessuali vi sono enclaves di sadomasochisti, di cultori del bondage etc.). Per questo molti dei contributi psicoanalitici arricchiscono le casisitiche con esemplificazioni letterarie e cinematografiche e nel loro complesso danno l’impressione di essere più elaborazioni teoriche che ipotesi  di lavoro aderenti alla fenomenologia clinica. Alcuni tra i ricercatori più innovativi, come Stoller, forse stanchi dei metodi speculativi, si sono dedicati all’osservazione diretta di gruppi di perversi nel loro milieu rinunciando ad ogni pregiudiziale teorica (64).

 Personalmente, in quasi venti anni di lavoro, ho visitato occasionalmente o trattato per brevi periodi 3 esibizionisti, una coppia di sadomasochisti consensuali, un’altra coinvolta in rituali esibizionistici/voyeuristici (entrambe le coppie erano in fase di separazione), alcune pazienti borderline tossicofile e promiscue (con poderosa fantasmatizzazione perversa e comportamenti sessualizzati impulsivi), un paziente psicotico feticista del cuoio, un altro psicotico frotteurista, due padri incestuosi, un caso di disturbo ossessivo-compulsivo a tema pedofilo, su cui ho riferito altrove (28), vari acting omosessuali in pazienti psicotici. Infine, ovviamente, moltissimi fantasmi perversi in pazienti nevrotici e depressi.

 Alcuni colleghi, cui ho chiesto quanti “perversi” avessero osservato nella loro pratica ambulatoriale mi hanno risposto che non indagano sulla vita sessuale dei loro pazienti.

 4 Per le problematiche che qui affronteremo senza dubbio potevano esser utilizzati, oltre a numerosi altri film di Buñuel, in primo luogo “Ensayo de un crimen/Estasi di un delitto”, “Diario di una cameriera” e “Tristana”), “La femme a côte (La signora della porta accanto)” e “La chambre verte (La camera verde)” di François Truffaut (nel secondo, citando letteralmente il Buñuel di “Estasi di un delitto”, viene mostrato il fallimento del mecccanismo compensativo della feticizzazione), ma anche “La donna che visse due volte” e “Psycho” (esempi clamorosi di feticismo) e “La finestra sul cortile” (voyeurismo) di Alfred Hitchcock; inoltre “Ultimo tango a Parigi” (perversione come impasto di amore e morte) e “La luna” (incesto) di Bernardo Bertolucci; “Il collezionista” di William Wyler (feticismo e sadomasochismo); “Play «Misty» for me” di Clint Eastwood (seduttività distruttiva); “Lezioni di vero (da “New York Stories)” e “Casino” (sadomasochismo di coppia) di Martin Scorsese; l’intera filmografia di Marco Ferreri, costituta in sostanza da una serie di apologhi sulla vita amorosa in cui ampio risalto hanno il feticismo e il sadomasochismo (vedi soprattutto “El pisito” e “El cochecito”, “Break up”, “L’Harem”, “Marcia Nuziale”, “I love you”, “La cagna”, “La carne”); “Cul de sac” (sadomasochismo edipico), “Che?” (un trattatello ironico sulle perversioni) e “L’inquilino del terzo piano” (travestitismo feticista e psicosi paranoide) di Roman Polanski; l’intera filmografia di Peter Greenaway, ed in particolare “Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante” e “The pillow book (I racconti del cuscino)” (entrambi veri e propri trattati di sadomasochismo, feticismo ed altre perversioni); l’intera filmografia di David Cronenberg, ed in particolare “Dead Ringers/Inseparabili”, “M Butterfly” e “Crash” (feticismo, neosessualità, omnisessualità); “Breaking the Waves (Le onde del destino)” (sadomasochismo), “Idiots (Idioti)” (sadomasochismo, esibizionismo) ed a suo modo anche il recente “Dancer in the Dark” (masochismo del personaggio, sadismo del regista) di Lars von Trier, infine “Tetsuo The Iron man” di Shinya Tsukamoto (un campionario di perversioni cyborg).

 5 L’episodio costituisce una libera elaborazione di uno dei casi narrati da Sade in “Le centoventi giornate di Sodoma”.

 6L’attrazione perversa per l’amorfo e l’indifferenziato, ben evidente nell’opera letteraria di Sade, ed anche, più recentemente, di uno scrittore come Ballard (10) e di cineasti come Cronenberg (23) e Tsukamoto (68), fonda e si conforma alle idee psicoanalitiche sulla matrice anale degli impulsi perversi e della formazione del feticcio (37): l’analità disindividualizza e omogenizza gli oggetti che diventano meri prototipi che possono essere fabbricati, padroneggiati , modificati, sostituiti e distrutti.

 7 Lo statuto intermedio tra realtà e fantasia, del feticcio fanno comprendere perchè le perversioni proliferano su ogni tipo di supporto tecnologico (videocassette, telefoni e GSM  e soprattutto Internet) che hanno una fruibilità fisica e percettiva concreta ma difendono dal rapporto diretto con l’altro che in un certo senso è reso esistente e non esistente nello stesso tempo. Le relazioni instaurate mediante Internet si prestano ad un infinito giuoco di avvicinamento e nascondimento che può nutrire fantasie e dinamiche difficilmente trasferibili nella realtà.

 8 Ne “La mostra delle atrocità” Ballard (10) concepisce una sorta di feticcio ideale, un “kit del sesso” che include, smembrate e deanimate, tutte le componenti necessarie ai fini erotici di un corpo di donna: “Contiene questi elementi: 1) Batuffolo di pelo pubico; 2)una maschera da viso di latex; 3)sei bocche staccabili; 4)un insieme di sorrisi; 5) una coppia di seni, col capezzolo sinistro segnato da una piccola ulcera; 6) un insieme di orifizi a prova di irritazione; 7) ritagli fotografici di una serie di situazioni narrative, per esempio una ragazza che fa questo o quest’altro; 8) una lista di esempi di dialogo, per lo più chiacchiere senza molto senso;  (…) nell’insieme questo inventario fornisce il ritratto soddisfacente di una donna;la si potrebbe addirittura ricostruire facilmente usando solo questi elementi. Le dirò di più: una lista del genere potrebbe essere ben più stimolante dell’originale.”

 9 Bak (8) ha tentato di chiarire le differenze esistenti tra i feticci infantili e gli altri oggetti transizionali dell’età evolutiva, spesso confusi anche terminologicamente, in vista della emergenza del feticismo nell’età adulta. L’utilizzo degli oggetti inanimati con varie funzioni difensive e maturative fa sì che di fatto il feticismo infantile e adolescenziale sia molto più diffuso che nell’età adulta. Già Winnicott ammonì però sull’uso del termine di “oggetto feticcio” nell’infanzia, suggerendo di limitarlo agli oggetti sostitutivi del fallo materno in funzione difensiva dei timori di castrazione, ubiquitari quantomeno nei maschietti. Tuttavia sono state numerose le osservazioni di “feticci pregenitali” con una funzione di lenire la separazione, la perdita dell’oggetto e le minacce all’integrità del corpo. Si tratta in questi casi di distorsioni della normale funzione transizionale degli oggetti che vengono scelti dal bambino in virtù di alcune proprietà tattili-olfattive per esprimere l’esigenza di un contatto fusionale con la madre piuttosto che per favorire l’acquisizione di una distanza e di una parziale sostituzione del seno. In altri casi si è parlato di “oggetti intermedi” scelti dalla madre in sua sostituzione oppure di “oggetti protesici”, di qualità sovente più dura e meccanica, o legata agli indumenti intimi della madre, che assolvono funzione di rinforzo di rappresentazioni falliche o clitoridee oppure di mantenimento dell’integrità del corpo, sovente in situazione di deprivazione affettiva. Questi possono essere considerati veri precursori del feticismo adulto. Vi sono poi veri e propri oggetti-feticcio utilizzati da bambini psicotici, che però assolvono piuttosto la funzione di differenziazione tra sé e non-sé.

 10 Il perverso compie la stessa operazione di molti artisti figurativi del novecento che, destrutturando l’ordine rappresentativo, ritornano alle matrici stesse della rappresentazione (forme elementari, colore, elementi matrici, lo stesso gesto creativo) per ricostruire una nuova forma di espressione artistica. Così il perverso, regredendo alle matrici indifferenziate della sessualità può ricombinarle a piacimento in un giuoco rappresentativo agito che è ben dimostrato nell’opera cinematografica di David Cronenberg (neoformazioni genitali, nuovi sistemi riproduttivi, vagine ectopiche, ani-vagine, peni-succhianti, fusioni di organi sessuali e elementi meccanici etc.) (29).

 11 De Masi (31) insiste sul fatto che la sessualizzazione, piuttosto che una difesa, costituisca “una tecnica di eccitamento (…) il cui nucleo è rappresentato dal piacere di dominare o possedere un altro o, viceversa, di essere dominati o abusati”, una vera “struttura psicopatologica antirelazionale e antiemotiva che monopolizza e domina il mondo psichico (..) un ritiro della mente, un mondo privato basato sulla distorsione sessualizzata delle percezioni, che sostiene tutte le forme di perversione”; “lo stato sessuale perverso” che su di essa si struttura, alla lunga porterebbe ad una destrutturazione dell’Io, indebolito “nella sua vitalità attraverso la dipendenza tossicomania del piacere sessuale”.

Questa visione –che in ultima analisi richiama in forma sofisticata la teoria della degenerazione- ha senza dubbio il merito di sottolineare alcune evoluzioni prognosticamente tragiche e drammatiche di pazienti che utilizzano i meccanismi di sessualizzazione, ma come ogni altra teoria psicoanalitica, diventa inaccettabile una volta che viene generalizzata a tutto l’ambito dell’area dei comportamenti perversi. Del resto, come scrive Barale (11) nella sua prefazione al testo di De Masi, l’interesse di quest’ultimo è quello di scindere la perversione sadomasochistica dalla teoria della sessualità al fine di metterne in rilievo la distruttività antagonistica alla sessualità e alla oggettivazione.

12 Ovviamente è questo solo uno dei modi del generarsi delle dinamiche sadomasochistiche che riconoscono un’altra importante genesi nella competizione invidiosa: l’altro viene attaccato sadicamente con dei pretesti per poterlo sottomettere e compensare un invidia inconfessabile. L’analisi di queste dinamiche non è pertinente tanto alla perversione, quanto alla paranoia.

 13“Questi pazienti mostrano una spiccata tendenza a manipolare il tempo in modo onnipotente: l’indeterminatezza della durata dell’analisi viene considerata equivalente alla sua in terminabilità: in terminabilità dell’analisi, della vita, in breve, immortalità. In altri termini essi si servono del particolare setting temporale dell’analisi per fissare il tempo in un presente continuo, negandone il suo trascorrere e il suo finire. In quanto garante del setting temporale, l’analista diventa il testimone e il complice necessario per alimentare l’illusione del paziente” (41).

 14Si può discutere criticamente, con Tatossian (66), il fatto che l’ebbrezza amorosa, quintessenza dell’amore passione, sia uno stato di gioia autentica, come la riteneva il Binswanger di “Grundformen und Erkenntnis menschlichen Daseins”, un vero essere-insieme- nella dualità dell’amore, che nella sua temporalità sospesa di istante-eternità, nella sua negazione della finitezza umana nel suo porsi al-di-sopra e al-di-fuori del mondo, ignora la quotidianità ed il tempo che la organizza, fino a condurre a rifiutarne l’alterazione da parte della vita nel patto suicidarlo degli amanti. Infatti  “una gioia che si rivela effimera non è più una gioia e piuttosto è già un debutto di angoscia”; in essa “vi è una promessa di continuità nell’avvenire ma si tratta piuttosto di un arresto (enfermement) nel presente” nel quale è impossibile il distacco dalle proprie sensazioni fusionali” che “implica la sparizione di ogni libertà ed una totale passività”. “L’amore non può dichiararsi provvisorio senza cessare di essere amore”. Inoltre, l’ebbrezza amorosa annulla l’ipseità, il sé e la cura ed in questo senso è piuttosto “una forma degradata, inautentica e, per così dire, patologica dell’essere-uomo”, “una sorta di delirio tossico analogo a quello prodotto dall’alcool (..) una delle sindromi episodiche della degenerazione”.

 

 

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