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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Psicopatologia

Intenzionalità e vulnerabilità nel disturbo schizofrenico

Salvatore Spinelli



Psichiatra - C.S.M. di Arona (NO)
salvatore.spinelli@tin.it

Intervento presentato al Convegno Madness, science and society, florence renaissance 2000 (26-29 Agosto 2000) nell'ambito del Simposio Philosophers on madness. The dialogue between philosophy and psychopathology


Brevi spunti filosofici sull'intenzionalità
Col termine intenzionalità si intende la proprietà che hanno molti stati e eventi mentali di direzionarsi verso e di relazionarsi a oggetti o stati di cose, denominati oggetti o stati di cose intenzionali.
Il problema dell'intenzionalità origina dalla filosofia medioevale, infatti, benché già Platone ed Aristotele lo avessero considerato, il primo ad isolarne anche lessicalmente le specifiche caratteristiche fu Tommaso d'Aquino (1)
In seguito, è da ricordare un colosso della filosofia di lingua tedesca : Franz Brentano (2) - definito da Freud "un intelletto meraviglioso" ma anche "un intelligente dannato compagnone, di fatto un genio" - il quale evidenziò la capacità degli stati mentali di esser relativi a oggetti, stati di cose o eventi, affermando che tutti i fenomeni psichici sono intenzionali : "nell'amare c'è un amato... nel desiderare un desiderato..." (3, 4).
Husserl, dal suo punto di vista, trattando estesamente l'intenzionalità, che a suo avviso caratterizzava la coscienza ovvero la "proprietà degli Erlebnisse di essere coscienza di qualche cosa", non riteneva che tutti i fenomeni mentali fossero intenzionali così come non lo sono la gaiezza o l'euforia immotivata, il dolore o le vertigini (5).
Secondo il filosofo-psichiatra W. Blankenburg (6) invece ci dovremmo interrogare sul ruolo che l'analisi fenomenologica dell'intenzionalità potrebbe rivestire nella costituzione del sé e del mondo attraverso l'organizzazione trascendentale dell'Ego. L'Autore dedica molte pagine del suo famoso testo "La perdita dell'evidenza naturale" alla descrizione di un caso clinico, una forma subapofanica di schizofrenia ed alle difficoltà della sua paziente ad entrare ed a vivere nel senso comune ( common sense ), ovvero nell'insieme dei rimandi, dei linguaggi, e delle strutture basali della relazionalità umana, del senso pre-costituito dell'essere-con-gli-altri. Blankenburg, riferendosi a questa sorta di linguaggio di base, scrive: "le risposte corrispondenti sono già sempre pre-donate e pre-regolate dalle evidenze che dominano ...la nostra coscienza quotidiana ..".
Per Searle (7) l'intenzionalità è un fenomeno biologicamente fondato alla stessa stregua della digestione e della circolazione del sangue. Successivamente questo Autore (8) descriverà come i fenomeni intenzionali possano derivare da un insieme di facoltà di sfondo (tacite), di per sé non necessariamente intenzionali. Quest'idea dello "sfondo" verrà successivamente sviluppata da Searle in "Mente linguaggio e società" (9) avvicinandosi, a mio avviso, pur partendo da altri punti di vista al senso comune di Blankenburg. Scrive infatti l'Autore a proposito dello sfondo dell'intenzionalità : "Gli stati intenzionali non funzionano separatamente [....] devo disporre di un insieme di credenze che mi consentano di interagire con il mondo.Si tratta di quell'insieme di capacità, di abilità, di tendenze, abitudini, disposizioni, presupposizioni date per scontate (il corsivo è mio) nonché di sapere-come ( know-how ) generale, che ho chiamato sfondo". Anche per Dennett (10), i sistemi intenzionali intelligenti agiscono riferendosi l'uno all'altro.

L'intenzionalitànel disturbo schizofrenico
Mundt (11,12) nel corso dei suoi studi sulla sindrome di apatia nella schizofrenia suggerisce la necessità di sviluppare un modello che consideri in questa area psicopatologica il disturbo dell'intenzionalità, il quale avrebbe luogo tanto sul piano sensoriale, quanto su quello del linguaggio del pensiero e dei significati attribuiti dalla persona all'esistenza. L'Autore sostiene che il disturbo dell'intenzionalità si declina nelle diverse fasi della malattia, ed individua tre caratteri premorbidi che avrebbero in comune un disturbo dell'Intenzionalità ovvero l'astenico, il teso-atassico ed il tipo aperto.
Il modello dell'intenzionalità si basa sul fatto che a partire da un disturbo di costituzione della realtà si realizzerebbero dei meccanismi psichici di riparazione generando un'intenzionalità instabile con un ostacolo alla realizzazione di ruoli più maturi. Ciò esiterebbe in una crisi dell'intenzionalità instabile con l'insorgenza di un episodio psicotico. Dopo l'episodio psicotico si realizzano infine gli stati difettuali (di cronicità) dovuti ad un equilibrio tra intenzionalità instabile e richieste ridotte di sforzi intenzionali. In queste condizioni si verificherebbe per il paziente una sorta di scelta esistenziale verso una vita "in tono minore".
E' da ricordare infine che Mundt oppone il suo modello centrato sull'intenzionalità a quello della vulnerabilità in quanto considera il proprio modello più dinamico e capace di cogliere lo sviluppo della malattia e degli stati deficitari.

Modello vulnerabilità stress
Non vorrei soffermarmi molto su questo modello che ha raggiunto nella sua diffusione i luoghi più remoti della psichiatria. Questo orientamento della ricerca trova le sue origini in Zubin et al (13). Secondo questo riferimento concettuale, le ricerche epidemiologiche rilevano che la schizofrenia può essere considerata il prodotto di una complessa interazione tra un individuo vulnerabile ed un ambiente patogeno. Viene in pratica proposto l'assunto che la schizofrenia si può riscontrare solo in un individuo vulnerabile, qualora si verifichi un evento stressante esogeno od endogeno, di intensità tale da superare la soglia di tolleranza. Una volta varcata tale soglia, si sviluppa nella persona una crisi che può condurre ad un episodio patologico. Superato il periodo di stress, il paziente torna al suo stato premorboso rimanendo vulnerabile verso futuri episodi. Gli eventi stressanti avrebbero quindi la funzione di fattori precipitanti, e in loro assenza non si verificherebbero nuove crisi. Il modello della vulnerabilità individua almeno tre aspetti legati al verificarsi delle crisi :
1 - una soglia di vulnerabilità più alta in determinati individui che in altri
2 - l'esistenza degli eventi esistenziali stressanti, che abbassano la soglia di vulnerabilità
3 - alcune variabili moderatrici capaci di modulare l'impatto dei life events.
La malattia secondo questo modello è uno stato di vulnerabilità permanente ad ulteriori crisi. Secondo gli Autori il recidivismo o in altri termini il fenomeno dei pazienti "revolving door", che costituisce uno dei problemi più pressanti della psichiatria, non è dovuto ad una sottostante condizione di cronicità, ma allo stato di persistente vulnerabilità dell'individuo. Gli individui vulnerabili alla schizofrenia mostrano aspetti della personalità sensibili al disturbo che, identificati e messi in relazione con quelli scatenanti l'episodio possono costituire i punti di avvio di un programma preventivo. A partire da queste idee, che attengono nella sostanza un punto di partenza epidemiologico centrato sulla valutazione del rapporto tra individuo e ambiente sono stati elaborati modelli più sofisticati, tra i quali vorrei ricordare quello di Nuechterlein (1987) il cui schema è esposto nel testo "Psicopatologia della Schizofrenia" (14) di Rossi Monti e Stanghellini. Vorrei qui ricordare che oltre alla "vulnerabilità personale", allainterazione tra fattori individuali, ambientali (protettivi e non) e biologici (disfunzioni dopaminergiche,ecc.), esisterebbe nel modello un aspetto di personalità schizotipica perchè proprio sopra quest'area "debole" del modello si appuntano le critiche antropo-fenomenologiche a Zubin ed ai suoi "epigoni", ( come li definisce Stanghellini in " Antropologia della vulnerabilità" - 15 ).

Critiche a zubin
La prima di queste critiche è che il modello vulnerabilità stress pur delineando la multifattorialità sistemica e gli ambiti di mediazione ed integrazione psico-sociale del disturbo non analizza adeguatamente le "isole" di predisposizione genetica, neuropsicologica risultando debole nello specificare i markers di vulnerabilità schizotropica.
La seconda è quella di aver dato scarso rilievo (forse per un difetto di informazione) agli studi che venivano sviluppandosi in Germania da Huber e collaboratori (14) sui "sintomi base" - disturbi che precorrono anche di parecchi anni l'insorgenza di una franca sintomatologia schizofrenica. I sintomi base avrebbero il diritto di ricoprire uno degli spazi vuoti del modello di Zubin, quello degli indicatori psicopatologici di personalità (e di vulnerabilità) schizotropica. Si tratta in sostanza di lievi disturbi degli istinti, affetti, pensiero, linguaggio, percezione, propriocezione, motricità e funzioni vegetative spesso non evidenti clinicamente, legati a deficit neuropsicologici. Tali disturbi possono essere autopercepiti dal paziente e, con l'aiuto di un questionario , l'FBF ( Questionario dei Sintomi Base ), il clinico può individuare e trattare precocemente i pazienti che presentano una vulnerabilità verso il disturbo schizofrenico.
Stanghellini (15), infine, propone un'integrazione tra intenzionalità e vulnerabilità utilizzando come "tertium" il concetto di fenomeno base.
L'intenzionalità disturbata sarebbe alla base della difficoltà nella funzione costitutiva del sé e del mondo oggettuale, mentre il modello vulnerabilità stress potrebbe cogliere, implementato con il modello dei sintomi base il disturbo dell'esperienza.

L'intenzionalità tra filosofia della mente e psicopatologia della schizofrenia
Nel corso di numerosi incontri tra colleghi volti a definire e a ricercare le caratteristiche delle forme subsindromiche della schizofrenia ho avuto l'arduo compito, visto che mi ero appassionato al tema dell'intenzionalità, di pensare a come potesse essere concepita l'intenzionalità in un progetto di questo genere.
Subito ho avuto l'impressione di avere tra le mani un tema magmatico, vivo, dinamico, complesso, intrinseco alla natura umana, al suo continuo rapporto più intimo col mondo. La lettura di alcune introduzioni alla filosofia della mente (16,17) mi aveva solo dato un'idea generale. Come riportare concetti così attraenti, ricchi di spunti, di macchine di Turing, di automi frutto della più raffinata psicologia cognitiva, di dicotomie cartesiane, di comportamentismo filosofico, di intelligenza artificiale forte e di riduzionismi estremi a quello che mi serviva?
Ancora una volta da medico sono tornato alla clinica e, da filosofo dilettante ma appassionato, ho letto alcuni libri di Searle.
Searle sostiene che la coscienza è una proprietà del cervello, un prodotto della sua struttura nervosa allo stesso modo in cui la liquidità è una proprietà emergente delle molecole dell'acqua e, tra le caratteristiche essenziali della mente cita l'intenzionalità. L'intenzionalità è per questo autore un "termine generale per tutte le varie forme per mezzo delle quali la mente può dirigersi, riguardare o appartenere agli oggetti e agli stati di cose nel mondo". Ebbene, in quali termini possiamo studiare l'intenzionalità nel paziente schizofrenico? La mia impressione è che essa possa essere studiata tanto nelle forme paucisintomatiche e subcliniche quanto in quelle croniche, che sono state il prevalente oggetto di studio di Mundt.
Un esempio dell'uso del concetto di intenzionalità della scala di Mundt (11), l'INSKA, è dato da alcuni lavori (18) della scuola di Barison.
Riporterò qui senza dilungarmi uno stralcio di questi studi, nel corso del quale gli Autori analizzano alcuni degli Items a loro avviso più significativi nell'identificare il modo di essere dei pazienti schizofrenici [ricordando che la scala valuta sei aree (psicomotricità, comportamento verbale, reazioni affettive, delirio e autismo, iniziativa e motivazione e comportamento sociale), ha un totale di 60 items e che ha un preciso parametro di lettura per dare i punteggi].

Item 34
Ha perso lo sforzo esistenziale di un tempo
Gastone ci parla del lavoro che faceva prima di ammalarsi. Era un rappresentante di commercio, molto stimato dai colleghi nella propria professione, che svolgeva tra l'altro sempre fuori casa, dovendo visitare i clienti per tutta la regione. Era fidanzato con una giovane donna, con la quale aveva fatto progetti di matrimonio.
Da dodici anni passa almeno venti ore della sua giornata a letto, senza mai allontanarsene, se non costretto da noi, ed utilizza la camera come servizio igienico e come cucina.
Quando rievoca il tempo in cui aveva legami affettivi ed aspirazioni di carriera, assume l'atteggiamento di chi è terribilmente affaticato, sfinito, come avesse irrimediabilmente perso quella volontà di vivere, che anche allora gli costava quei "...molti sforzi", di cui spesso ci parlava.
"Oggi mi sento debole, non ce la faccio più... non sono più capace di fare quel lavoro... le donne non mi interessano più... Per me non c'è più niente da fare, non c'è più niente che mi interessi... Mi accontenterei di poter continuare così, perché è l'unico modo in cui riesco a vivere".
A noi viene da pensare a quale tremendo ed assurdo sforzo stia facendo per riuscire a vivere in un modo così autistico.

Ha perso la Strebsamkeit di un tempo; troviamo difficile deciderci sulla traduzione di Strebsamkeit che il Dizionario di tedesco traduce con "zelo, solerzia, ambizione" mentre il Dizionario etimologico del Kluge riporta il verbo streben con il significato di "tendere, aspirare a" (onori, ricchezze), in cui sono presenti sia il significato motorio, posseduto nel tedesco prima della Riforma Luterana, sia un'accezione più astratta e spirituale, sopravvenuta dopo la Riforma. Lo Streben esistenziale allude all'esistere come progetto. Strebsamkeit può allora essere inteso come progettualità che il soggetto avrebbe perduto nel tempo.
Addentrandoci nel contenuto dell'item, sorge la questione circa la possibilità di sostenere una perdita dello sforzo esistenziale nel momento in cui si osserva il soggetto poiché pensiamo che il "precedente" debba essere riferito al "premorboso".
Se il compito è di interpretare la non esistenza attuale di una possibilità progettuale, è difficile pensare di poter intuire se tale possibilità sia esistita oppure no nel passato.
Si è quindi sospinti verso un ambito di osservazione e di conoscenza che coinvolge tutto il rapporto con l'altro, dove è probabile rintracciare una tensione altra dalla precedente. Non si tratta di un deficit, ma un diverso modo di essere, ed è quindi alla qualità dell'esistenza che l'item sembra alludere.
Ha perso precedente zelo, lo Streben esistenziale, con riferimento ad un passato inesplorato, quasi che la non presenza di tale tensione sia suggestiva di un'assenza di proiezione nel futuro, come se la progettualità si fosse fermata. Una comprensione questa che ci porta ad intuire, sul piano ermeneutico, una diversa e particolare tensione in sé, è un esistere qualitativamente diverso.

La lettura di questo item da parte degli Autori ci evidenzia come la Daseinsanalyse possa essere uno strumento potente e magistralmente luminoso di lettura delle diverse voci dell'INSKA ed una occasione, come tra l'altro dichiarato dagli allievi di Barison, per usare lo strumento come uno spunto, un'indicazione atta a favorire lo sviluppo di un'atmosfera tanto nel colloquio quanto nella mente dell'esaminatore volta a cogliere appieno i tratti dell'esistenza del paziente schizofrenico. Gli strumenti sono qui quelli dell'analitica esistenziale, così brillante e per certi versi affascinante ed entusiasmante. Al momento sono impegnato a valutare, come ho già accennato all'inizio di questo mio intervento quanto vi sia somiglianza tra il concetto di sfondo di Searle e le strutture basali della relazionalità umana descritte da Blankenburg, ed a valutare ad esempio quanto l'INSKA possa avere un'interpretazione searliana, o quanto sia possibile impostare un'ipotesi di scala nuova, volta a valutare il disturbo dell'intenzionalità secondo un nuovo apparato concettuale. Per esempio, ciò che viene descritto dall'analisi precedente come un "esistere qualitativamente diverso", potrebbe essere inteso come la caduta di tensione dell'intenzionalità del paziente verso le dimensioni di sfondo che sottendevano prima il suo impegno verso il mondo, o, per dirla con Heidegger (19), il suo "commercio" col mondo.

Questo mio intervento costituisce una parte di un protocollo di studio e di ricerca volto a studiare le caratteristiche della vulnerabilità, dei disturbi cognitivi, del deficit di intenzionalità e degli aspetti dinamici che si manifestano nel contesto delle forme di schizofrenia paucisintomatiche. Tale studio ha interesse eminentemente fenomenologico e psicopatologico. Le nostre iniziali osservazioni sembrano convergere verso l'idea che diversi paradigmi nel loro articolarsi reciproco intorno ad un'unica realtà psicopatologica possano offrire insieme una visione più pregnante e ricca delle forme subcliniche della schizofrenia.

Bibliografia

1 - S. Gozzano. Storia e teorie dell'intenzionalità. Bari, Laterza, 1997.
2 - Franz Brentano ( 1924 ) Psychologie vom empirischen Standpunkt. Trad. it. " La Psicologia dal Punto di Vista Empirico, Laterza Bari, 1997
3 - L. Albertazzi. Introduzione a Brentano. Bari, Laterza, 1999
4 - R. Lanfredini . Intenzionalità. Firenze, La Nuova Italia, 1997
5 - R. Lanfredini. HUSSERL La teoria dell'intenzionalità., Bari,1994
6 - W. Blankenburg (1971).. Der Verlust der naturlichen Selbstverstandlichkeit. Trad. It. " La perdita dell'evidenza naturale", Raffaello Cortina , Milano, 1988
7 - J. R. Searle ( 1983 ), Intentionality, an essay in the Philosophy of Mind. Trad it." Della intenzionalità, un saggio di filosofia della conoscenza, Studi Bompiani, Milano,1985
8 - J. R. Searle ( 1992 ), The Rediscovery of the Mind. Trad it. " La riscoperta della mente, Bollati Boringhieri, Torino,1994
9 - J. R.Searle ( 1998 ), Mind Language and Society. Trad it. "Mente linguaggio e società" , Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000
10- D. Dennet . Intentional Systems. The Journal of Philosophy 68,87 - 106,1971
11 - C. Mundt ( 1985 ), Das Apathiesyndrom der schizophrenen. Trad. It. ăLa sindrome di apatia degli schizofrenici. CLEUP Editrice, Padova, 1990.
12- G. Merlin, G. Borgherini ( a cura di ). La Sindrome da apatia schizofrenica tra concezioni fenomenologiche e mondo delle scale,CLEUP Editrice, Padova, 1991
13 - Zubin J., Magaziner J. Steinhauer S. R., The methamorphosis of schizophrenia: from cronicity to vulnerability, Psychological Medicine, 13, 551-571, 1983
14 - M. Rossi Monti, G. Stanghellini. Psicopatologia della schizofrenia, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999
15 - G. Stanghellini. Antropologia della vulnerabilità, Feltrinelli, Milano, 1997
16 - W. Bechtel ( 1988 ). Philosophy of Mind. Trad it " Filosofia della mente", Il Mulino, Bologna, 1992
17 - M. Di Francesco. Introduzione alla filosofia della mente, La nuova Italia Scientifica, Roma, 1997
18 - F. Sbraccia, R. Tamburini, M. Cielo, P. Zane : Interpretazione dell'INSKA, in " Il disturbo schizofrenico dell'intenzionalità e la sindrome di apatia", Psichiatria generale e dell'età evolutiva, La Garangola, Padova,31, 135-188, 1993
19 - M. Heidegger ( 1927 ). Sein und Zeit. Trad it. " Essere e tempo ", Longanesi, 1976

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